Prospettive assistenziali, n. 54, aprile - giugno 1981

 

 

LA CRUDA REALTÀ DI UN ISTITUTO DI ASSISTENZA ALL'INFANZIA DOCUMENTI E TESTIMONIANZE SU «CASA BENEFICA»

 

 

I tempi degli istituti dei Celestini di Prato e della Pagliuca di Grottaferrata forse sono finiti, certamente casi così gravi sono notevolmente meno numerosi rispetto agli anni scorsi. Questo obiettivo è stato raggiunto non su iniziativa delle autorità civili e giudiziarie che quando sono inter­venute lo hanno fatto perché obbligate o solleci­tate, ma per la pressione dei movimenti di base.

Adesso si tratta di fare un altro passo avanti: lottare contro tutte le situazioni che ledono i di­ritti fondamentali dei bambini e dei fanciulli, as­sumendo come prioritari gli interventi nei riguar­di dei minori più indifesi e cioè di quelli istitu­zionalizzati.

Riproduciamo pertanto il libro bianco pubbli­cato dalle Edizioni CONTROCITTA'.

 

 

PRESENTAZIONE

 

Com'è noto, ricoverare un bambino in istituto è sempre un intervento deleterio.

La personalità del bambino, infatti, viene più o meno profondamente deteriorata a causa della prolungata assenza di rapporti affettivi stabili. Quasi sempre gli effetti negativi provocati dal ricovero in istituto sono irreversibili.

Questo avviene anche se l'istituto è gestito be­ne, il personale è idoneo, le strutture sono ade­guate ed i ragazzi hanno la possibilità di frequen­tare il mondo esterno (scuola, attività ricreative, ecc.): cioè quando sono garantiti almeno i biso­gni materiali e le relazioni con la comunità.

Qualora invece l'istituto sia gestito male, il personale ruoti in continuazione, il Consiglio di amministrazione e la Direzione non pongano l'ac­cento sugli aspetti educativi e sulle esigenze psi­cologiche dei minori, allora i danni sulla loro per­sonalità ingigantiscono e sono non solo gravi ma anche definitivi.

«Casa Benefica» (1) rientra fra questi istituti da sempre criticati per la loro inadeguatezza e la loro insufficienza.

Ciononostante gli Enti Pubblici (Comuni e Pro­vince) hanno continuato a ricoverare alla Bene­fica bambini e ragazzi (2).

Non solo, ma gli stessi Enti sono spesso venuti meno alle loro funzioni di controllo sugli istituti per minori.

Infatti, in base alle leggi vigenti:

a) spetta alla Regione Piemonte il controllo su tutti gli istituti pubblici e privati di assistenza all'infanzia. In base all'art. 52 del R.D. 15 aprile 1926 n. 718 «Le ispezioni relative devono essere ordinarie e straordinarie. Le prime si effettuano in modo che si possa annualmente accertare co­me procedono in ciascuna provincia i servizi di protezione e di assistenza della maternità e dell'infanzia. Le ispezioni straordinarie hanno luogo ogni qual volta speciali circostanze lo richie­dano»;

b) compete alle Associazioni dei Comuni, al Comune di Torino e alle Comunità montane Val Pellice e Val Chisone la vigilanza sugli istituti pubblici e privati che operano nelle rispettive zone;

c) è compito degli Enti pubblici, che provvedo­no al ricovero, seguire i loro assistiti anche al fine di reperire modalità di intervento più idonee (ritorno nella famiglia d'origine, adozione, affida­mento familiare a scopo educativo, comunità al­loggio).

Purtroppo da parte dei suddetti Enti pubblici, quasi sempre, c'è un disinteresse pressoché to­tale nei confronti dei bambini e dei ragazzi rico­verati in istituto (3).

Quando i controlli vengono fatti (a volte sono addirittura preannunciati!), essi si riducono per lo più a visite superficiali e limitate agli aspetti esteriori e formali.

Diciamo questo per ribadire che, pur ritenendo che debbano essere accertati e perseguiti even­tuali fatti di natura penale addebitabili a singoli operatori, è tuttavia indubbio che le vere respon­sabilità delle disfunzioni e delle carenze dell'as­sistenza all'infanzia risalgono alla Regione, ai Co­muni, alle loro Associazioni ed ai Dirigenti delle istituzioni di ricovero.

Troppo spesso questo delicato settore è affida­to a persone incompetenti. Per le banche, per la scuola, per la sanità, per ogni attività si richie­dono competenze specifiche. Per l'assistenza in­vece troppo spesso avviene che qualsiasi sprov­veduto, soprattutto se danaroso, può essere pre­posto all'educazione di decine o di centinaia di minori.

Per accertarsene è sufficiente consultare gli elenchi degli amministratori delle IPAB.

Un ultimo punto. Non ci risulta che siano mai state fatte in Piemonte, sotto la responsabilità degli Amministratori pubblici, indagini sui minori istituzionalizzati, al fine di conoscere quali siano e siano state le conseguenze del ricovero sulla loro personalità.

Con questo libro bianco, l'Associazione nazio­nale famiglie adottive e affidatarie e l'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale intendono portare a conoscenza dell'opinione pubblica non solo la gravissima situazione della Casa Benefi­ca, ma anche e soprattutto il disinteresse degli Enti pubblici nei confronti dei 5500 bambini e ra­gazzi del Piemonte ricoverati in istituto, disinte­resse comprovato dal fatto che non si conosce nemmeno quanti e dove siano i minori istituzio­nalizzati (4) e che non si è provveduto a rinno­vare i molti Consigli di Amministrazione delle IPAB da tempo scaduti.

Nel pubblicare questo libro bianco le Associa­zioni suddette confidano che anche i Sindacati e gli operatori vogliano far conoscere le loro prese di posizione passate e presenti sulla Benefica, sulle altre IPAB e sulle alternative al ricovero in istituto dei bambini e dei ragazzi.

 

 

RELAZIONE SULL'INCONTRO CON TRE RAGAZZI OSPITI DI CASA BENEFICA

 

Il 6 dicembre 1980 i sottoscritti A e B alle ore 19.45 hanno incontrato nell'abitazione dei coniu­gi C (via ..., a ...) i minori x, y e z ricoverati all'Istituto Casa Benefica di Pianezza, i quali vi era­no stati accompagnati da E che lavora nell'Isti­tuto stessa.

E ci ha presentati a loro (i ragazzi sapevano che si sarebbero incontrati con noi in quanto E li aveva precedentemente consultati e loro si erano dichiarati disponibili) e si è quindi allon­tanato chiudendosi in un'altra stanza con il Si­gnor F.

Siamo restati nel tinello, oltre ai ragazzi, la signora G (che non è però mai intervenuta) e noi.

Abbiamo quindi spiegato loro i motivi per cui desideravamo parlare con loro, e cioè conoscere le loro condizioni di vita nell'Istituto.

I ragazzi spontaneamente hanno incominciato a raccontare. Quanto segue è una sintesi di quan­to da loro riferito.

I tre ragazzi sono ricoverati da diversi anni nell'Istituto:

- x, nato nel ..., è ricoverato da 6 anni;

- y, nato nel ..., è ricoverato da 3 anni;

- z, nato nel ..., è ricoverato da 10 anni.

Rientrano molto raramente in famiglia (durante le vacanze natalizie e estive, non tutti gli anni).

Non sappiamo se ci sono stati dei provvedi­menti del Tribunale per i minorenni nei loro con­fronti; le rette dell'Istituto sono pagate dai loro Comuni (uno forse dalla Provincia di Torino).

Le assistenti sociali che dovrebbero seguire i loro casi non si sono mai messe in contatto con loro, non ricordano di averle mai viste, non sa­pevano neppure come si chiamavano.

Essi hanno dichiarato che nel loro gruppo e nell'istituto c'è un clima di incertezza e tensio­ne, con «ricatti» anche da parte di H e di K di fronte alle loro - spesso minime - richieste: («Devi fare come ti dico io, altrimenti ti dimet­to», «Lo segnalo alla tua assistente sociale per­ché ti trasferisca in un altro istituto»...).

Y ha riferito ad esempio una serie di richieste che egli aveva inoltrato a H e che sono rimaste inevase:

- un paio di scarpe adeguate, con puntale in ferro, nel periodo in cui era ... ;

- un paio di scarpe pesanti, ora che lavora al­l’... e non un semplice paio di scarpe «Clarck» senza pelliccia interna per cui deve adottare 3 paia di calze per ripararsi dal freddo;

- della biancheria intima che non sia di lana, in quanto è allergico.

Inoltre, avendo lui chiesto di iscriversi ad una scuola serale per terminare le medie, H gli ha negato il permesso, sostenendo che non era nemmeno in grado di mantenersi un lavoro, figu­riamoci la scuola!

- per le spese di pullman e colazione ha in do­tazione solo L. 20.000 settimanali (lo stipendio è interamente versato su un libretto che custodi­sce la direttrice);

- non può portarsi il baracchino (all'Istituto non glielo preparano) e mangia panini a pranzo in quanto la sua ditta è sprovvista di mensa.

I tre ragazzi sono inseriti nello stesso gruppo di una decina di ragazzi e sono seguiti da 2 edu­catori (I e L) e ogni tanto da M.

Dell'educatore che loro chiamano «I» hanno detto: «Prima che la direttrice gli procurasse la casa era dalla nostra parte, ci era amico sincero, adesso non sappiamo bene cosa gli sia succes­so, ma è più diffidente con noi, meno socievole».

Dell'educatore E hanno dato un breve giudizio: «Sembra che si interessi a noi, si preoccupa di come viviamo».

Dell'educatore L hanno concordemente dato una valutazione negativa, motivandola: «Appro­fitta del fatto che è ..., fa quel che vuole nel re­parto, spesse volte va al bar e lascia scoperto il reparto (tornando anche ubriaco), si fa fare il let­to dai ragazzi e li paga con L. 1000».

Z inoltre riferisce che ha tentato atti di libidi­ne nei suoi confronti. Così lui ha riferito l'episo­dio. Un venerdì di novembre L, accampando un problema di doccia, si era attardato. Di fatto si era poi installato davanti alla televisione, accen­dendo su un canale privato dove andava in onda un film pornografico, ambientato nell'era nazista. Accortosi, ad un certo punto, che x lo osservava, riuscendo a sbirciare dalla porta rimasta aperta, gli si avvicinò, invitandolo a bere un bcchierino (x rifiuta, in quanto si era già servito prima, di na­scosto), quindi gli entra nel letto.

Da qui ha inizio tutta una serie di richieste. Comincia con il voler sapere se la vista di scene gli provoca l'erezione del pene. Continua, poi, vi­sto che x non risponde, chiedendogli di toccargli il pene. Successivamente vuole toccare il suo; al­la fine gli fa capire che vuole dormire e l'educa­tore lo lascia.

L'indomani, però, si fa premura di regalare a x un giradischi rotto, sapendo che è appassionato di elettronica; in più gli dà L. 23.000 per acqui­stare un giocattolo, sempre del genere elettroni­co, che desiderava da tanto tempo, ma al quale si era sentito sempre dire di «no».

Inoltre x ha aggiunto che l'educatore L aveva tentato «per gioco» (secondo l'educatore) di toc­care gli organi sessuali del fratello di 11 anni pretendendo però il silenzio quando questi si era rifiutato. Ha inoltre precisato che si era confidato con due compagni presenti (y e z) e poi con l'educatore E perché erano gli unici di cui si po­teva fidare.

Concordemente i tre ragazzi ammettono però che forse altri ragazzi più «sprovveduti», posso­no aver «ceduto» alle richieste di L.

Questi fatti indubbiamente hanno creato mag­gior tensione: y ad esempio ha confessato che lui dorme col coltello a serramanico sotto il cuscino.

I tre ragazzi hanno riferito inoltre che qualche caso di rapporti omosessuali fra i ragazzi si veri­fica: x ha riferito che l'estate scorsa, mentre erano in vacanza in colonia, lui aveva fatto spo­stare di camera suo fratello perché non voleva assistesse ai rapporti fra due fratelli che dormi­vano nella stessa stanza.

Senza che noi glielo chiedessimo i ragazzi hanno detto che avevano tenuto nascosto l'episo­dio sopra descritto perché temevano che se H l'avesse saputo «ci sarebbero andati di mezzo loro e non L».

Di fronte alla domanda se qualcuno del Con­siglio di Amministrazione dell'Istituto avesse qualche volta parlato con loro, non hanno capito chi potessero essere questi. Il Presidente l'ave­vano visto una volta e il Consigliere N aveva par­tecipato una volta a una funzione religiosa pres­so l'istituto quando gli avevano rapito il figlio.

Salutando i ragazzi li abbiamo informati che avremmo riferito agli altri dell'Associazione quanto da loro esposto e che avremmo comun­que operato per tutelare loro e gli altri ragazzi dell'Istituto evitando di fare i loro nomi. Loro han­no rilasciato a noi le dichiarazioni allegate.

 

I

L ogni sera esce per andare al bar e lascia il reparto scoperto. E delle volte torna abbastanza bronzo. L è uno dei tre educatori del nostro re­parto.

3/12/80

 

II

Un venerdì di novembre, mentre gli altri dormi­vano, L accese la televisione e mise un film porno.

Mentre io guardavo la televisione lui mi ha toccato gli organi sessuali; 5 minuti prima mi vol­le offrire degli alcoolici. Mi ha anche chiesto di toccare i suoi organi sessuali. Prima ancora fece a mio fratello la stessa cosa.

All'indomani lui ci regalò degli oggetti perché stessimo zitti e dandomi L. 23.000

3/12/80

 

 

DICHIARAZIONE DI UN OPERATORE DELLA CASA BENEFICA

 

Davanti a me ... è comparso x, nato a ..., il ..., residente a Torino in Via ...

Dal ... lavoro alla Casa Benefica, sia a Pia­nezza sia alla Comunità di Torino. Lavoro per i gruppi, sia piccoli che grandi, facendo anche i tur­ni di notte.

Mi pare che la situazione della Casa Benefica da molti anni non vada.

I problemi sono molti e vanno affrontati tutti perché l'istituzione funzioni in modo diverso. Il problema fondamentale è quello della gestione. Lo stesso statuto e il regolamento sono vecchi e non corrispondono ai bisogni.

Il Consiglio di Amministrazione è da tre anni scaduto e i Consiglieri, nominati ben sette anni fa, non sembrano molto preoccupati dei proble­mi dei ragazzi.

Di conseguenza le decisioni sono accentrate in capo alla Direttrice, senza una discussione po­litica da parte del Consiglio a monte e senza una partecipazione ad essa degli educatori.

Di qui un disagio generale negli educatori e nel personale, che nuoce al buon funzionamento dell'istituzione.

Inoltre il tipo di gestione è puramente priva­tistico, con contraddizioni costanti: si lesina sui problemi di salute dei ragazzi, per problemi di rapporti con altri enti, con la scusa che gli edu­catori non vogliono fare straordinari.

Ancora: non c'è mai stato un programma (che si fa giornata per giornata) che sia soggetto a verifiche.

C'è poi il problema degli educatori. Parecchi educatori venivano (e sono) assunti con contrat­to a breve termine, e per diversi motivi lasciano: di conseguenza variavano molto (meno ultima­mente) le figure di riferimento dei ragazzi, che entravano perciò in crisi.

Posso portare come esempio il caso di ... che aveva un buon rapporto con i minori ...

Ha inoltre significato pedagogicamente negati­vo il fatto che ci sono educatori che lavorino solo il sabato e la domenica.

Inoltre la qualificazione degli educatori (e della stessa Direttrice) non è sempre adeguata. Fra gli educatori ci sono due assistenti sociali, un geometra, un ragioniere, un ex allievo-autista, in­servienti studenti universitari (c’è uno studente di veterinaria), ecc.

La eterogeneità delle provenienze e il tipo di politica del personale fa sì che non ci sia un la­voro omogeneo (ciascuno si gestisce il gruppo come lo sa fare) e che gli educatori stessi sono messi gli uni contro gli altri.

Solo adesso abbiamo ottenuto dall’assessorato alla Assistenza del Comune di Torino (Ass. ...) un corso gratuito di aggiornamento per gli edu­catori (la cosa più importante è aggiornare gli educatori), ma il corso non è ancora cominciato né preparato e ci sono difficoltà (perché non si vuole riconoscere né in tutto né in parte la pos­sibilità di fare il corso in orario di lavoro).

I diritti del personale (consacrati nello Statuto dei Lavoratori) non sono riconosciuti.

Sono poi successi casi più gravi (anche se ca­pisco che sono soliti avvenire nelle istituzioni chiuse): recentemente ho appeso da ragazzi che un educatore avrebbe commesso atti di libidine su due minori.

Chi risente di tutto ciò sono i ragazzi, cui tal­volta non sono assicurati i diritti assistenziali minimi per quanto riguarda la salute, il recupero scolastico, il vestiario.

Noi educatori non sappiamo perché un ragaz­zo è arrivato alla Casa Benefica, quale sia la sua situazione familiare, se è stato prima ricoverato in altri istituti.

Il ragazzo disturba e nessuno sa perché di­sturba (per quali problemi precedenti).

Gli si dice: «Devi star buono». Ed allora gli si fa il ricatto: «O tu ti comporti come ti dico io oppure ti dimetto», «Non fai per noi», «Se non fai quello che devi fare vieni sbattuto fuori». I più grandi, proprio quelli che hanno più bisogno di aiuto, e che hanno talvolta più problemi (pro­prio perché non vengono adeguatamente seguiti), sono dimessi o messi in pensione o lasciati alla deriva. Una punizione frequente è quella di toglie­re la mancia settimanale ai ragazzi disturbanti (e disturbati).

Per la salute, faccio presente che le cartelle mediche non sono aggiornate, molti minori hanno i denti cariati, c'è un pullulare di verruche.

Non sono curate adeguatamente le scoliosi, non si sono fatte verifiche con visite mediche oculistiche per ragazzi che ne avrebbero bisogno. Ci vorrebbero, in sostanza, visite mediche gene­rali per tutti, proprio perché i ragazzi non hanno una famiglia dietro che si occupi di loro.

Anche il vestiario è insufficiente. I minori han­no un solo paio di scarpe (Clarck) fino a che non si lacerano; nessuno ha a sua disposizione calze di lana e fazzoletti.

Segnalo ancora, come questione architettonica, che in un reparto con nove ragazzi più l'educato­re e la donna delle pulizie, c'è un solo gabinetto; un altro reparto con dieci ragazzi si trova nella stessa situazione.

In certe ore della giornata, specialmente alla sera e al mattino presto, c'è un odore insoppor­tabile. Faccio presente che nel gabinetto si tro­va anche la vasca da bagno, dove l'acqua è riscal­data da un boiler, per cui quando due minori fan­no la doccia bisogna aspettare alcune ore perché ci sia di nuovo l'acqua calda.

Questo fatto ha provocato delle tensioni e delle aggressività tra i minori.

C'è poi il problema del recupero scolastico. In un gruppo, su 8 minori che vanno alla scuola media, 7 si trovano con delle gravi carenze di base, per cui il loro profitto è mediocre o insuffi­ciente; lo stesso può dirsi per gli altri 3 gruppi. Si risponde: «Non dobbiamo essere noi a far recuperare i ragazzi, ma la scuola».

Il personale non ha la possibilità di seguire scolasticamente i minori (sia perché gli educa­tori non sono qualificati, sia perché avendo molti ragazzi non si può seguirli).

C'è una maggiore difficoltà educativa anche perché i gruppi sono formati a casaccio, com­prendendo archi di età con esigenze diverse: in un gruppo ci sono due minori di 17 e 16 anni av­viati al lavoro, 1 di 16 anni che fa le medie, 1 di 14 anni, 4 di 13 anni e 2 di 11 anni. Di tutto ciò risentono i ragazzi.

Ci sono ragazzi che hanno trascorso 8-10 anni in Istituto.

Proprio quando sono cresciuti e hanno più bi­sogno di essere seguiti e aiutati a trovare un lavoro per loro idoneo (con un adeguato sostegno al datore di lavoro perché li capisca), li si mette in una pensione e sono lasciati a se stessi.

È significativo che alcuni ragazzi, dimessi per le ragioni più incredibili proprio nel momento più difficile dopo aver passato lunghi anni nella Be­nefica, diventano teppisti.

Ogni tanto ritornano alla Casa Benefica per chiedere un aiuto reale, ma sono scaricati con l'elemosina di 10.000 o 20.000 lire e indicati poi come modello negativo agli altri rimasti.

È successo di ragazzi, «figli della Benefica», che chiedevano di esservi ospitati o seguiti e che sono stati mandati via con la minaccia di far venire i carabinieri.

Quello che è più grave, a mio parere, è che tutto avviene senza che ci si accorga di un con­trollo reale, efficace da parte del Consiglio di Amministrazione, e neppure da parte del Comune e della Regione.

Non basta che un consigliere venga a mangia­re o a chiacchierare con la direttrice, perché la sua passeggiata non è un controllo.

Le assistenti sociali degli enti che inviano i ra­gazzi se ne scaricano; non li seguono, non ho mai fatto riunioni alla Benefica per discutere con le assistenti sociali, che hanno seguito i ragazzi all'origine, la situazione degli stessi.

Salvo per i minori ... abbiamo preso noi edu­catori, tempo fa, l'iniziativa di una riunione, ma ci siamo recati noi al Quartiere Mirafiori Sud per parlarne personalmente e poi abbiamo fatto lì un incontro anche con il giudice dei minori; la direttrice non ha condiviso questa nostra inizia­tiva.

Il giudice dà atto che la deposizione del sig. x è iniziata il 2 dicembre ed è stata interrotta per­ché il giudice era occupato. È ripresa il 17 di­cembre 1980.

 

 

RACCOMANDATA R.R. INVIATA L'8/1/1981 DALL'UNIONE PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE

 

- Elettra Cernetti - Assessore all'Assistenza - Regione Piemonte

- Angela Migliasso - Assessore all'Assistenza - Comune di Torino

- Fernando Gattini - Assessore alla Sicurezza Sociale - Provincia di Torino

- Presidente Unità locale n. 26 - c/o Municipio di Alpignano

 

Da notizie in possesso di questa Unione risul­ta essere molto preoccupante la situazione esi­stente presso l'istituto Benefica di Pianezza. Inoltre due ragazzi ricoverati ci hanno dichia­rato: il primo che un operatore lascia sovente scoperto il reparto per recarsi al bar, che delle volte torna abbastanza sbronzo; il secondo che vi sono stati tentativi da parte dello stesso opera­tore di cui sopra di atti di libidine nei suoi con­fronti.

Si chiede pertanto che la Regione Piemonte in base ai poteri-doveri di controllo nei confronti delle istituzioni pubbliche e private di assisten­za, che l'Unità locale n. 26 in attuazione dei po­teri-doveri di vigilanza e che il Comune e la Provincia di Torino in base ai compiti conseguenti ai ricoveri di minori disposti nel predetto istituto intervengano con la massima sollecitudine per accertare le condizioni di vita dei minori dentro e fuori l'istituto, la situazione della loro salute, la presenza di personale sufficientemente idoneo, l'idoneità dei locali e delle attrezzature e quanto altro necessario per una conduzione accettabile.

Trattandosi di una IPAB che rientra fra quelle trasferite ai Comuni, si chiede che, stante la si­tuazione dell'ente, questo trasferimento avvenga in tempi brevissimi, assumendo ovviamente tutte le altre iniziative necessarie per la salvaguardia delle esigenze dei minori ricoverati soprattutto per quanto riguarda il loro trattamento educativo e le cure sanitarie.

 

 

ESPOSTO PRESENTATO IL 27/1/1981 ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI TORINO DALL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE FAMIGLIE ADOTTIVE E AFFIDATARIE

E DALL'UNIONE PER LA LOTTA CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE

 

L'Istituto Benefica, con sede a Pianezza, è una IPAB (Istituzione pubblica di assistenza e bene­ficenza).

È pertanto sottoposto al controllo della Regio­ne e alla vigilanza da parte dell'UL 26.

L'istituto ospita una trentina di ragazzi a Pia­nezza e otto-nove nella comunità alloggio di To­rino in via Saluzzo 44.

Il Consiglio di amministrazione è nominato dalla Regione Piemonte su designazione degli Enti locali.

Già da molti anni sono state sollevate nume­rose perplessità sulla conduzione dell'Istituto. Nel 1975-76 numerose erano state le denunce, i dibattiti, gli incontri incentrati sulle cattive con­dizioni dell'Istituto, sulla negatività del sistema educativo, sulla mancanza di controlli da parte della Regione, dei Comuni e delle Province che ricoverano minori nell'istituto Benefica.

Nella deliberazione n. 2574 approvata dal Con­siglio comunale di Torino il 10 gennaio 1977 è scritto: «I vecchi criteri assistenziali che hanno caratterizzato in passato la gestione dell'Ente sono stati oggetto di numerose denunce anche a mezzo degli organi di stampa cittadina da parte di un ampio schieramento democratico di forze sociali, politiche e sindacali richiedenti interven­ti assistenziali alternativi ed una diversa orga­nizzazione educativo-assistenziale dell'Istituto stesso».

Nella delibera suddetta erano stati definiti gli accordi fra Provincia e Comune di Torino e l'isti­tuto Benefica che prevedevano fra l'altro la ridu­zione del numero dei minori ricoverati, il pas­saggio da parte del personale dell'istituto al Co­mune di Torino (16 operatori).

Inoltre l'Ente si impegnava «a riorganizzare la propria ridimensionata attività secondo i nuo­vi orientamenti di politica assistenziale in accor­do con gli Enti locali».

Va notato che, a seguito della suddetta deli­bera e con l'autorizzazione esplicita della Re­gione Piemonte, oltre 500 milioni, provenienti dalla vendita di beni, erano stati destinati, in vio­lazione a precise norme di legge, a coprire il passivo della gestione.

Ai sensi della legge della Regione Piemonte 10 aprile 1980 n. 20 l'IPAB Benefica dovrebbe già essere stata sciolta con trasferimento delle fun­zioni, personale e beni ai Comuni (v. art. 4 legge suddetta).

Il mancato trasferimento è uno degli elementi che contribuiscono a mantenere estremamente confusa la situazione della Benefica e delle altre IPAB previste dalla legge sopra citata.

Nei giorni scorsi è stata rilasciata al Tribunale per i minorenni di Torino da un educatore della Benefica una dichiarazione sulla vita dell'Istituto. Da detta dichiarazione risulta fra l'altro che:

- il funzionamento dell'Istituto è molto caren­te con gravi conseguenze sui bambini;

- molti ragazzi abbisognano di cure sanitarie, in particolare odontoiatriche;

- non vi è continuità educativa anche per il fatto che molti «educatori» lavorano solo il sa­bato e la domenica;

- molti sono gli «educatori» che non hanno alcuna qualificazione nel settore educativo, né risulta che per essi siano stati organizzati corsi specifici di qualificazione e nemmeno di aggior­namento;

- l'azione di vigilanza delegata da oltre un anno dalla Regione alla Unità locale n. 26 non è mai stata effettuata; molti enti pubblici che rico­verano i bambini alla Benefica si sono disinteres­sati, a volte per anni, dei loro assistiti.

Inoltre a questa Associazione sono state con­segnate da ragazzi ospiti della Benefica dichiara­zioni da cui risulta che un educatore ha tentato atti di libidine nei loro confronti.

Ciò premesso, queste Associazioni chiedono al­la Procura della Repubblica di svolgere le neces­sarie indagini ai fine di accertare quanto esposto, di valutarne l'eventuale rilievo penale e di assu­mere le iniziative che fossero utili per la tutela dei minori ricoverati alla Benefica.

Queste Associazioni si rivolgono a codesta Procura perché una segnalazione analoga al pre­sente esposto, inviata agli organismi di controllo amministrativo, non ha ancora ottenuto risposta e neppure, a quanto consta, qualche intervento.

Restano inoltre a disposizione del magistrato per fornire le eventuali precisazioni su quanto esposto.

 

 

DICHIARAZIONI DI RAGAZZI GIA' OSPITI DI CASA BENEFICA RILASCIATE IL 4/2/1981

 

I

Io sottoscritto ... dichiaro di essere stato ospi­tato nell'Istituto «Casa Benefica» nel periodo ... In questi anni ho subito violenze fisiche dagli educatori, avuto inoltre proposte omosessuali da persone che avevano libero accesso nell'Istituto. Inoltre li rimprovero di non avermi dato un'ade­guata educazione, di aver distrutto e modellato a loro piacere le mie idee (cioè creare un uomo che ubbidisce solo agli ordini che gli danno).

In quegli anni non ho avuto nessuna assistenza medica (di questo mi sto risentendo adesso); nessuno, anzi un solo incontro con l'assistenza sociale (quando avevo otto, nove anni),

Ricevevo vestiti abbastanza scadenti e il man­giare faceva schifo. Molte volte non sapevo come era il mangiare perché non me lo davano per «castigo».

Facendo quella vita, quando sono uscito dal collegio (cioè sono stato sbattuto fuori con l'in­ganno), mi sono trovato di fronte a una realtà difficile da accettare, perché non sapevo niente di come si viveva fuori dal collegio, dato che non ero mai uscito e non c'era più nessuno che si preoccupasse di me.

E così mi sono ribellato alla società diventando un «teppista».

Credo inoltre che l'amministrazione del colle­gio (cioè la direttrice) sapeva delle violenze fisi­che che subiamo dagli educatori, se non addirit­tura ne avesse lei dato l'ordine.

Inoltre il presidente ... non l'ho mai visto all'istituto e credo che più di noi ragazzi si interes­sasse più della contabilità.

Addirittura anche il nostro insegnamento non era «serio», dato che il nostro maestro (3ª, 4ª e 5ª elementare) andava a giocare a carte con il nostro educatore (facendo copiare fogli interi di libri per tenerci occupati). Il terrore era il nostro mondo, vivevamo sempre sotto il terrore.

Addirittura non ho mai visto (persona abba­stanza impostaci in questi ambienti) lo psicologo e addirittura vedevo la direttrice 2 o 3 volte all’anno.

Tutto quanto scritto riguarda gli anni dal ... al ... Dopo ho vissuto nella comunità della Casa Benefica a Torino.

 

II

Io sottoscritto ... dichiaro di essere stato in Casa Benefica dal ... al ...

Dichiaro che quando ero bambino mi davano la razione giornaliera di botte. Non mi davano quasi mai vestiti e mi ricordo che quando facevo le medie giravo con le scarpe sempre rotte. Uscivamo solo per andare alla messa. Poi non usciva­mo quasi mai e mi ricordo che ogni giorno si faceva sempre a botte tra di noi, perché c'era la legge del più forte. Poi su per giù due anni fa ci pagavano 500 lire per raccogliere la carta. Io la direzione non la vedevo mai.

Dall'istituto ho solo imparato la violenza, a ru­bare e a fare solo cose nere.

La mia assistente sociale la vedevo ogni mor­te di papa e rimanevo chiuso in Istituto per anni e anni senza vedere il mondo esterno.

Le mie dimissioni sono state così: mi avevano detto che passavo qualche giorno a casa per vedere se stavo bene o no. Quando ritornai mi dissero che io ero già sbattuto fuori dalla Casa Benefica.

 

III

Io sottoscritto ... dichiaro di essere stato mal­trattato nell’Istituto Casa Benefica dal ... al ... Ricordo di riuscire a vedere la Sig.ra Direttrice più o meno una volta all’anno e veniva solo per vedere se il nostro comodino era o non era in ordine, allora ci facevano andare nel camerone a mettere tutto in ordine e passava l’assistente per guardare se andava bene e chi non aveva tutto a posto veniva picchiato.

Ricordo quando ero all’ospedale, la mia di­missione. Ero stato ricoverato per coma diabeti­co. Stato in ospedale per circa un mese. Quando fui dimesso dal ricovero ospedaliero mi giunge la notizia che non ero più all'istituto Casa Bene­fica e che ero dimesso. Così dovetti andare a vivere con mia sorella e stetti ricoverato ancora una quindicina di giorni, che mia sorella venisse a portarmi a casa.

 

 

TELEGRAMMA DEL 29/1/81

 

- Elettra Cernetti - Assessore regionale assi­stenza

- Angela Migliasso - Assessore comunale assi­stenza

 

Associazione nazionale famiglie adottive e affi­datarie e Unione per la lotta contro l'emargina­zione sociale sollecitano nomina Commissario esperto problemi educativi Istituto Benefica per tutela minori et scioglimento ente.

 

 

RELAZIONE DI DUE EX DIPENDENTI

 

I

Periodo di lavoro alla Benefica: ...

Condizioni salariali: 280-300.000 mensili.

Reparto: Non si può parlare di reparto vero e proprio perché il gruppo era formato da 4 ragaz­ze (15-14-13-10) e 3 ragazzi (2 di 11 anni e uno di 4) e quindi aveva carattere sperimentale. Si tenga presente che alla Benefica erano ospitati nel passato solo maschi. Dato l'esperimento il gruppo dei ragazzi è stato ospitato prima nella ex infermeria (locale ampio e senza riscaldamen­to) ed in seguito nella palazzina adiacente all'istituto. Il locale era così diviso: una piccola stanza per le assistenti, due camere da letto per i ragazzi, una camera adibita a cucina e ritrovo e un bagno.

Personale: due educatori e una donna addetta alle pulizie.

Attività: Ad eccezione di qualche piccola atti­vità e iniziativa (es. una serata con canti e sce­nette) e di corsi di nuoto, non si facevano atti­vità particolari.

Orario di lavoro: L'orario di lavoro lo stabiliva la direttrice volta per volta. A volte rimanevo in servizio 24 ore. Gli straordinari, essendo solo due gli assistenti nel reparto, erano quotidiani; purtroppo non giustamente retribuiti.

Informazioni date dall'Ente: All'inizio del lavoro non ho ricevuto informazioni dalla direttrice sulla situazione dei ragazzi, né orientamenti educa­tivi. Probabilmente ogni ragazzo aveva una car­tella personale, ma non ne sono mai venuta a conoscenza. I ragazzi nuovi arrivavano come og­getti sconosciuti, da sistemare alla meno peggio.

Programmi a educativo: Il compito educativo era lasciato all'assistente. Non ricordo di aver fatto degli incontri per organizzare un minimo di pro­gramma educativo. Circa i cambiamenti degli operatori, si veda il numero di assistenti che si sono avvicendati nel gruppo dopo che sono stata licenziata.

Rapporto con le famiglie: Si può parlare di rap­porti sporadici ed occasionali, mai organizzati o voluti dall'Ente.

Aggiornamento professionale: Mancando un programma educativo, mancava di conseguenza anche l’aggiornamento professionale.

Rapporto operatori-specialista-direttrice: L'uni­co specialista che svolgeva servizio nell'Ente era uno psicologa. Nel periodo in cui sono stata in servizio lo psicologo non è mai venuto in repar­to. Rari erano gli incontri tra lo psicologo e i ra­gazzi; inesistenti gli incontri tra lo psicologo e gli operatori. Con la direttrice c'era un rapporto funzionale: la direttrice dava ordini che noi do­vevamo seguire e rispettare senza discutere.

Condizioni psicologiche, fisiche, sanitarie: Il servizio dello psicologo era carente, possiamo quindi immaginare la situazione psicologica di questi ragazzi con alle spalle famiglie disastrate e costretti a vivere in istituto. Circa l'aspetto fisico-sanitario non c'era interesse da parte della direzione. Più volte ho dovuto ricorrere ad amici medici per visite ortopediche ed oculistiche. In caso di malattie infettive (es. rosolia...) i ragazzi venivano parcheggiati all'Amedeo di Savoia e completamente dimenticati fino al momento del­la dimissione.

Vestiario, vitto, pulizia, locali: Per avere il ne­cessario per le pulizie e per i vestiti bisognava aspettare il «mandato». Più volte ho dovuto com­prare di mia iniziativa e con i miei soldi il neces­sario perché il mandato non era pronto. Si tenga presente che nel mio reparto c'erano 4 ragazze e quindi i bisogni erano maggiori. Sui locali si veda quanto detto sopra. Il vitto lasciava a desiderare, in particolare al mercoledì e alla domenica, giorni in cui il personale della cucina era ridotto in ser­vizio.

Rapporto educatori, presidente, componenti del consiglio: Nessun rapporto. Soltanto alla fine dell’anno scolastico ..., in seguito a richieste varie, si è riunito il consiglio di amministrazione. In quell'occasione ho esposto le carenze dell'istitu­to e i vari problemi esistenti: pochi giorni dopo sono stata licenziata.

Dimissioni dei ragazzi: Non ne sono a cono­scenza, perché durante il mio servizio non ci so­no stati casi di ragazzi dimessi.

Rapporti ex-allievi: Nessun rapporto.

Dimissioni di chi scrive: Non mi sono dimessa; sono stata dimessa. Motivo: era scaduto il con­tratto a termine.

Rapporti con operatori del Comune e della Pro­vincia: Rapporti occasionali, per lo più voluti da­gli operatori.

Notizie su ispezioni: Nulla, per quanto mi ri­sulta.

9/2/81

 

II

Sono stato alle dipendenze di «Casa Benefica» dalla fine di ... alla fine di ...

La mia assunzione é avvenuta in questo modo: ho saputo che si cercava un educatore disposto a svolgere il suo turno in modo continuativo dalla sera del venerdì al mattina del lunedì; tale turno mi avrebbe permesso di continuare a frequentare l'università e così mi presentai alla direzione dell'istituto. Dopo un colloquio con la direttrice e con lo psicologo e un week-end di compresenza con le 2 educatrici del gruppo, fui assunto con contratto a termine e mi fu affidato il Reparto...

La mia assunzione è sempre stata «a termi­ne», con contratti che periodicamente scadeva­no, e nella mia situazione era la maggior parte degli educatori operanti nella sede di Pianezza.

Il reparto ..., cui fui assegnato, ospitava 14 ragazzi, con età variabile dai 5 ai 12 anni, assi­stiti da 3 educatori, me compreso, che dovevano coprire tutta la settimana; non erano previste ore di compresenza, ma ogni educatore gestiva il gruppo da solo durante il suo turno. Un'opera­trice si occupava della pulizia dei locali occupati dai ragazzi e del guardaroba.

Le condizioni dei locali, siti al 3° piano dell'edificio che ci ospitava, lasciavano a desiderare soprattutto per quanto riguarda il riscaldamento e i servizi igienici. Il grande stanzone, che funge­va da camerata per tutti i ragazzi, e gli altri lo­cali erano d'inverno molto freddi a causa del cat­tivo funzionamento dell'impianto, cui non si po­neva rimedio. I servizi igienici (tre gabinetti ed una sola doccia funzionante) erano spesso sprov­visti d'acqua calda, con grave disagio soprattutto dei bambini enuretici, che ne avevano bisogno al mattino. Assistere i ragazzi nel tempo libero e nel tempo dedicato allo studio era compito del solo educatore, senza appoggi di nessun altro. La difficoltà stava soprattutto nel trovare attività ludiche, o comunque ricreative, che interessas­sero tutto il gruppo, data la forte disparità di età dei componenti dello stesso. Questo elemen­to era ancor più rilevante nel momento dello studio, non potendo l'educatore seguire da solo tutti i ragazzi e individualmente, se non con su­perficialità.

Ciò che più mancava era però un programma educativo vero e proprio, che tenesse conto della situazione specifica e delle esigenze di ogni ra­gazzo. Gli incontri fra gli educatori e fra questi e la Direttrice erano sporadici e si limitavano spesso a questioni tecniche di poco conto. Sui ragazzi e sulle situazioni che avevano alle spalle sapevo abbastanza poco, sia per le scarne noti­zie provenienti dalla Direzione, sia per la latitan­za delle assistenti sociali che inviavano tali ra­gazzi nell'Istituto. Tale situazione era particolar­mente critica all'ammissione di nuovi ragazzi.

Da rilevare inoltre l'assenza costante dei mem­bri del Consiglio d'Amministrazione per quanto riguarda la verifica dell'andamento reale dell'Isti­tuto; considerazioni analoghe vanno fatte per gli organi pubblici preposti ad attività di ispezione e vigilanza.

9/2/1981

 

 

DICHIARAZIONE DI UN EX RICOVERATO

 

Sono stato alla Benefica circa 3 mesi nel perio­do ... Eravamo in una camerata di circa 40 ra­gazzi, dai 12 ai 20 anni di età. Naturalmente i più grandi dominavano la situazione, cioè mi faceva­no fare quella che volevano loro. L'istruttore di notte non c'era e io dovevo sottomettermi a loro, pur ribellandomi.

Io cercavo di dire il mattino dopo all'istruttore quello che era successo, ma lui se ne fregava, così la notte dopo giù botte, perché avevo fatto la spia, e così per 3 mesi.

Mi ricordo una notte che tutti i più grandi ci presero e per divertirsi giocarono alla boxe, cioè ci legarono le mani a una sbarra e appesi noi facevamo quel sacco che ai boxeur serve per allenarsi. La parte più brutta erano le loro mastur­bazioni, cioè bisognava andare nei loro letti «e il seguito si sa».

Anche se vi sono rimasto poco ne ho un brutto ricordo della Benefica. Di tutti quei ragazzi, quan­do sono uscito per una fortuna, non ne vidi nem­meno uno. Un'altra cosa, mi ricordo, se volevi che ti lasciassero in pace bisognava pagare. Io diedi a loro cinquantamila lire e per un paio di sere dormii senza essere toccato.

13/2/1981

 

 

DICHIARAZIONE DI UN EX DIPENDENTE

 

Il lavoro svolto presso l'istituto «Casa Bene­fica» si è protratto dal ... al . . ., quindi circa dieci mesi. Le condizioni salariali in quel perio­do erano di novantamila lire mensili + tredicesi­ma mensilità + vitto e alloggio + assistenza sanitaria e inquadramento pensionistico. I re­parti dove ho lavorato sono stati due; ma molte volte se c'era carenza di personale si sostituiva il collega in un altro reparto. Il lavoro si svolgeva in questo modo: due reparti con tre assistenti, di cui due fissi e uno che li sostituiva nei giorni di riposo e anche se c'era qualche ora libera durante il mattino (più che libera a disposizione) molte volte la si passava a scuola ad essere in contatto con gli insegnanti. io ero quello che faceva la spola fra i due reparti molto differenti l'uno dall'altro, con problemi di conseguenza di­versi. Uno di ragazzi con un'età compresa tra i sei e i tredici anni: ragazzi che frequentavano la seconda elementare sita nell'Istituto e quelli più grandi frequentavano le medie nelle scuole stata­li del paese. In tutto arrivavano a 25-30 ragazzi. L'altro reparto era formato da sette o otto ra­gazzi da quindici a diciassette anni, una parte dei quali veniva da un'esperienza delle carceri mino­rili; per loro invece c'era all'interno un laborato­rio di falegnameria e meccanica dove venivano avviati ad un lavoro.

Per me diventava difficile svolgere un lavoro educativo continuo per il fatto che il mio lavoro lo svolgevo due giorni in un reparto e due giorni in un altro e poi perché funzionando in questo senso uno dei due educatori stabili portava a cre­dersi come titolare del reparto; il che senza un programma ben definito veniva a mancare quel lavoro educativo vero e proprio. Questo influiva a mio avviso anche sui vari rapporti con le fami­glie (che non avvenivano quasi mai), sulle attività sia interne che esterne che si riducevano a po­chissima roba, nei pochi rapporti con gli opera­tori (Assistenti sociali - Psicologi). Tutto ciò ine­vitabilmente influiva sui ragazzi che anche con la buona volontà non potevano seguire.

Il funzionamento dell'istituto mi è parso ca­rente. Nell'amministrazione dove i rapporti non ci sono mai stati; nella direzione dove rare volte ci si è incontrati per portare a conoscenza i vari problemi di reparto, come l'adattamento di nuovi arrivati, oppure la difficoltà di poter seguire un gruppo così enorme (tranne il reparto dei più grandi, tutti gli altri erano formati da 25 a 30 ra­gazzi e perciò non sempre anzi difficili da segui­re). Il tutto rimaneva chiuso in quelle pochissime riunioni.

Il motivo delle mie dimissioni: mi sono accorto di non essere preparato a svolgere un certo tipo di lavoro. Poi in quel breve periodo avevo capito che per loro bastava non un educatore ma sem­plicemente uno che guardasse questi ragazzi. Mentre per un buon funzionamento c'era bisogno di personale altamente preparato e per quel che mi risulta la maggior parte non lo eravamo, anche se tutti noi ci adoperavamo a sopperire queste mancanze.

18/2/81

 

 

DICHIARAZIONE DI UN EX RICOVERATO

 

Sono stato ricoverato nell'Istituto «Casa Be­nefica» sito in Pianezza, via Claviere 10, dall'ot­tobre ... al gennaio ... Sono stato ricoverato per finire la scuola dell'obbligo, e perché non avevo più una famiglia che potesse avere cura di me.

Sin da quando sono entrato nell'Istituto ho sempre subito dei maltrattamenti fisici e psichi­ci. Venivo vestito ordinariamente ogni due mesi da capo a piedi con vestiario già usato, e il cambio della biancheria veniva effettuato una sola volta alla settimana, per cui se avevi le mu­tande sporche e i calzini che puzzavano dovevi lavarteli da solo. Per tutto il tempo che sono stato ricoverato ho avuto solo cinque volte il cambio completo dei miei vestiti.

L'assistente esercitava su di noi severi mal­trattamenti fisici e psichici, perché esso diceva sempre che noi avevamo solo la testa marcia, e questo era il migliore dei metodi per cambiare la nostra opinione di persona.

Mi ricordo, dopo un anno circa che ero rico­verato, di aver visto due miei compagni fare l'as­sistente, di una squadra di ragazzi sotto l'età di 15-16 anni. Anche x l'ho visto esercitare la pro­fessione di assistente, ma già molto tempo pri­ma, cioè da quando è morto il direttore e al suo posto è subentrata la sig.ra ... (e si è sentito par­lare molto male nei suoi confronti solo dai vecchi assistenti); x l'ho visto esercitare tante mansio­ni di servizio nell'Istituto, cioè, era addetto ai lavori mensa, lavori di muratura, di verniciatura e di manutenzione di tutto l'Istituto, insomma aveva preso le mansioni di un vice direttore.

Negli ultimi mesi avevo sentito molto parlare di lui per aver usato atti di libidine verso i ra­gazzi ricoverati, ma già da tempo esisteva un comportamento di questo genere, dei ragazzi più adulti verso i ragazzi adolescenti. Sì perché an­che se avevi passato la maggiore età potevi rima­nere nell'istituto, lavorando per esso con un minimo di stipendio. E di questi casi vi erano molti, circa 30 persone. Tra questi c'era anche x.

23/2/81

 

 

RELAZIONE DI UN EX DIPENDENTE

 

(Vista la pendenza che ho ancora con la Be­nefica, e considerato che l'interesse attuale è finalizzato alla conoscenza della realtà ultima del­l'Ente, più che a quella del passato, realtà ultima che io non conosco bene perché da 4 anni ho cessato il servizio, le mie risposte saranno sche­matiche alquanto e soltanto alla fine farò alcune considerazioni).

- Stipendio: all'inizio L. 85.000 mensili + vit­to e alloggio; alla fine L. 270.000 mensili + al­loggio.

- Ho iniziato in reparto con la squadra (diversi mesi), poi sempre nei laboratori come respon­sabile, fino al trasferimento.

- Quando sono entrato gli educatori erano una decina con 260 ragazzi, in media le squadre erano formate da una trentina di ragazzi con otto assi­stenti fissi e due turnanti. L'altro personale era per le pulizie, la cucina (in un primo tempo c'era­no le suore), il magazzino, infine alcuni impiegati amministrativi e personale nei laboratori. Nel '76 le squadre erano di 12-15 ragazzi con 3-4 assi­stenti per squadra.

- Come già detto, quando ho preso il servizio c'erano 260 ragazzi dai 6 ai 18 anni, alla fine circa 70 solo in età scolare. Le cartelle personali c'era­no, ma erano custodite in segreteria e solo per motivi particolari si potevano conoscere.

- Le condizioni locali non sono sicuramen­te favorevoli, Pianezza è un paese borghese che ha sempre trattato con insofferenza la Bene­fica e gli assistiti, anche per una serie di sgra­devoli fatti che ogni tanto si verificavano; indub­biamente le responsabilità non sono soltanto dell'Istituto ma anche della cittadinanza.

- Se riferite agli assistenti: nei miei primi tempi dormivano (e vivevano) in un box attiguo alla camerata perché praticamente erano in ser­vizio 24 ore al giorno per 6 giorni, le cose poi so­no cambiate e alla fine nei box c'erano solo alla notte in cui erano in servizio.

- L'attività, per me, è sempre stata solo inter­na, non mi risulta ci siano state attività esterne da parte di qualche assistente.

- L'orario di lavoro all'inizio era di 6 giorni alla settimana pieni, dal mattino alla notte, si dormiva nei box attigui alla camerata, poi invece 5 gg. alla settimana 8 ore al g.

- Non c'era quasi informazione sui ragazzi, l'assistente incominciava a conoscere il ragazzo col tempo nella squadra, così poco veniva detto sui nuovi ammessi; solo in casi particolarmente difficili si approfondiva.

- Un programma educativo non c'è mai stato, tutto era demandato alle capacità e buona volon­tà del singolo assistente. I ragazzi hanno sempre avuto solo una generica e poco sufficiente assi­stenza (o custodia), con momenti che potevano essere arche creativi ed altri completamente negativi.

- I rapporti con le famiglie dei ragazzi in ge­nere erano precari e saltuari. Dipendeva dalla volontà dei parenti quando, alla domenica, usu­fruivano delle ore di visita. In seguito qualche as­sistente aveva iniziato dei rapporti personali con le famiglie, ma al di fuori di un vero e proprio piano organico istituzionale.

- Aggiornamenti professionali pressoché nul­li. Qualche assistente aveva iniziato il corso SFES ma dopo qualche tempo smetteva.

- A parer mio i rapporti con specialisti son sempre stati molto rari, in genere si improvvisa­vano quando c'era aria di contestazione o criti­che dall'esterno; con la direttrice i rapporti era­no stretti per qualcuno, molto rari per altri, non c'è mai stato uno schema preciso per la condu­zione del lavoro.

- Le condizioni psicologiche dei ragazzi erano in genere (con sempre qualche eccezione) im­prontate all'aggressività, svogliatezza, trascura­tezza, insofferenza verso tutto e tutti; le condizio­ni fisiche non erano trascurate, da un punto di vista sanitario s'interveniva quando insorgeva la patologia.

- Il vestiario è sempre stato carente, così pure le scarpe di cui abbisognavano in continuazione, i ragazzi, del resto, si son sempre curati poco del­la loro persona e della pulizia personale e c'era trascuratezza nella custodia dei loro effetti per­sonali. Il vitto era sufficiente qualitativamente e abbondante quantitativamente; la pulizia dei lo­cali era dignitosa, credo ci siano problemi oggi che 10 ragazzi sono costretti a dormire in 3-4 camere con letti a castello e senza spazi per le attività ricreative.

- I rapporti fra gli educatori ed il Presidente esistevano un tempo, seppur con grossi limiti, cessarono pressoché completamente con la Pre­sidenza Pianelli. Nei quattro anni di mia perma­nenza in Benefica con la Presidenza Pianelli, sarà venuto in Benefica sì e no 6-7 volte all'inizio poi non si è più visto. Con i consiglieri di ammini­strazione non c'è mai stato, da parte degli assi­stenti, un vero rapporto, salvo casi particolari di interesse sindacale; da un punto di vista organiz­zativo o educativo nessun rapporto.

- Le dimissioni avvenivano quando il ragazzo era autonomo, quando più nessuno pagava la ret­ta, quando la famiglia rivoleva il ragazzo, o se creava problemi disciplinari. In genere era una decisione autonoma del direttore.

- Alcuni ex allievi mantenevano un certo rap­porto con i compagni e il personale, o cercavano sovvenzioni attraverso la fondazione, altri spari­vano completamente.

- Non ho dato le dimissioni ma sono stato trasferito alla Provincia di Torino il 1° gennaio 1977, quando si concluse la Convenzione Benefi­ca - Provincia - Comune TO - Comune Pianezza con l'alienazione del corpo centrale dell'Istituto da parte della Benefica.

- A quel che so, pochissimi sono stati i rap­porti tra gli assistenti e gli operatori degli Enti che disponevano il ricovero; per quel che mi ri­guarda, in tanti anni di laboratorio non ho mai avuto alcun rapporto con nessuna degli opera­tori interessati. Quelle poche volte in cui veniva­mo a conoscenza di una visita di qualche opera­tore questa si svolgeva solo con la direttrice.

- Non ho notizie di nessuna ispezione o altre attività di vigilanza da parte degli organi preposti, credo non ci sia mai stato alcun controllo ammi­nistrativo od economico. (...). Sembra che nessun consigliere da parecchi anni firmi i verbali del Consiglio di Amministrazione e tanto meno le de­libere che, per legge, vanno firmate da tutti i con­siglieri; i bilanci sono stati sempre un qualcosa di unico con previsioni di entrate che non ci sarebbero mai state. Il Consiglio di Amministra­zione è scaduto da 4 anni e ancora continua la sua attività, mi risulta che alcuni Enti (Provincia e forse anche Comune) hanno nominato mesi fa dei nuovi consiglieri ma che però non sono mai stati chiamati dalla Benefica, di conseguenza han­no la nomina ma ai Consigli di Amministrazione sono convocati i vecchi consiglieri. (...). In questo momento vi è, a parer mio, una situazione di abbandono e di disinteresse verso l'istituto da parte di quasi tutti gli operatori. La Benefica da 6-7 anni si regge soltanto perché una volontà interessata e distorta contro ogni buon senso e interesse per i ragazzi, la tiene in piedi.

25/2,/1981

 

 

UN EX ASSISTITO RACCONTA LA SUA VITA

 

Sono un ragazzo di 24 anni: vi voglio racconta­re un romanzo, così si può definire la mia infan­zia. La prima volta che ho aperto gli occhi, il primo ricordo dei miei cinque o sei anni è stato il collegio.

Il primo dei quattro collegi da me frequentati era situato a Viù. Senza motivo apparente io mi trovavo in collegio, come se fossi nato lì; era normale e naturale che io come tanti altri co­mandati a bacchetta ubbidissimo in quella ma­niera: dormire in grossi dormitori, mangiare in grossi refettori, in una atmosfera silenziosa e rigida.

Ricordo che anche tra le suore ve ne erano due un po' più nervose delle altre, e non mi sono mancate le cucchiaiate in testa, schiaffi e nien­temeno che grossi morsiconi sulle braccia, ma niente di più di tutto questo.

Tanti si domanderanno, ma le suore facevano questo? Potrei rispondere così: esistono due ti­pi di collegi, il primo è il cosiddetto collegio di pri­ma categoria, cioè un collegio ove i genitori de­cidono di mettere i propri figli per un preciso periodo, pagando direttamente una retta mensi­le, e interessandosi attraverso i gestori, del com­portamento dei propri figli e per completare, con una visita settimanale.

Invece il secondo tipo di collegio è del tutto diverso, la categoria non esiste, i genitori per la maggior parte non esistono; anche se vi sono, non decidono e non conoscono nemmeno i pro­pri figli; per cui la retta viene pagata dai vari en­ti assistenziale tipo ONMI ed ENAOLI. Non es­sendoci controlli e principalmente i genitori, gli assistenti, le suore ecc. hanno carta bianca per fare ciò che vogliono, perché tanto nessuno all'esterno del collegio saprà mai nulla.

E per alcuni casi come il mio, dei più stretti parenti non se ne vedeva nemmeno l'ombra. L'unica persona che mi veniva a trovare, era una anziana signora, mia madrina di battesimo, che almeno una visitina ogni quattro o cinque mesi la faceva; appunto per quel ruolo di madri­na e di umana signora. Tutt'ora abita a Torino, per cui ci vediamo sovente e siamo molto legati.

Ripensando e rivedendo quegli anni, che sono poi gli anni che formano un carattere, perciò di estrema importanza, io ero un automa senza la minima personalità, con un profondo senso di sottomissione a chiunque altro, ma con un ca­rattere tranquillo e sensibilissimo.

Ricordo che apparentemente non soffrivo per niente del fatto che nessuno mi venisse a tro­vare, mi bastava la visita della mia madrina, e d'altronde credevo di non averli i genitori.

Fino a quando verso gli otto anni, anche per­ché vedevo gli altri genitori, iniziai anch'io a pen­sare ad una madre inesistente. Proprio in quel periodo una coppia francese sui quaranta anni, venne in Italia, probabilmente sopra richiesta dell'ONMI, proprio in questo collegio di Viù, e decisero di «affittare» un bambino che ero poi io ed avevo otto anni.

Appena finii la terza elementare, partii con lo­ro alla volta della Francia. Ricordo che era una coppia molto agiata, con una villa ed enormi ter­reni coltivati a patate ecc.

Alcuni anni prima gli era morto l'unico figlio, che avrebbe dovuto avere circa la mia stessa età. È stato proprio questo il motivo per cui hanno cercato un altro bimbo.

Il rapporto con questa coppia era a zero. Per prima cosa non sapevano una sola parola in ita­liano, ed io chiaramente non una parola in france­se, per cui era molto problematica l'intesa.

Durante il giorno erano sempre fuori, ed io da solo chiuso in una camera giocavo con molti giocattoli.

La mia creatività me la costruivo senza l'aiuto di nessuno, ed a quei giochi preferivo affacciar­mi alla finestra e contemplare.

Uscendo dal collegio avevo scoperto cose di­verse, vedevo gente nuova e sorridente, con una vita diversa dalla mia. Ero molto contento, ma non riuscivo ad inserirmi. Questa coppia la ve­devo come due normalissimi signori e non co­me amici o come addirittura dei genitori, e per questo motivo continuavo a pensare ad una mamma astratta, e sognandola rimanevo molto chiuso e bisognoso di affetto.

D'altra parte loro cercavano il più possibile una persona che avesse avuto la stessa persona­lità del precedente figlio.

Mi domando come si può pretendere una cosa del genere; quando si decide di adottare vera­mente un bambino, deve essere una decisione importantissima che va presa seriamente. A mio avviso comunque sarebbe certamente meglio adottarlo in tenera età, evitando così ogni tipo di problemi di questo genere.

Iniziai a frequentare la 4ª elementare in Fran­cia e chiaramente non capivo niente. La situa­zione era insostenibile e dopo un mese di scuo­la mi ritrovai in un treno che tornava a Torino, e sballottato in un altro collegio in una località del Lago Maggiore. Anche questo un collegio senza categorie.

Mi capitò subito un fatto molto curioso. Aven­do già iniziato in Francia la 4ª elementare, conti­nuai gli studi in una classe appunto di 4ª, ma sen­za motivo, dopo solo tre settimane mi retroces­sero in 3ª elementare; probabilmente per motivi burocratici riguardanti la mia pagella ed allo spo­stamento dalla Francia all'Italia.

Questo episodio dimostra quanto poco vales­se la mia persona, il mio parere, in quanto era­no sempre gli altri a decidere per me ed è inam­missibile uno spostamento del genere, ma chi è che mi restituiva quell'anno di scuola rubatomi e d'altronde non c'era nessuno che curava i miei interessi?

Governato anche questo secondo collegio da suore, sottolineava più rigidità del primo, anche perché noi eravamo più grandicelli. Non manca­vano anche qui umiliazioni e derisioni aventi principalmente lo scopo di non essere noi stessi e rimanere soffocati nelle nostre personalità in­fantili.

In questo luogo stetti altri due anni.

Avevo quasi undici anni quando vidi per la prima volta mia madre, la quale mi si presentò dicendomi «io sono tua madre» e rendendomi molto felice per aver esaudito i miei sogni.

Un grosso uomo stava con lei, ma capii, for­se per un innato senso d'istinto che colui non era mio padre. Mi presero con loro e mi portaro­no a Torino nella loro casa. Da qui iniziò un altro durissimo calvario. Dall'immediata contentezza dei primi giorni passai ben presto ad un'esisten­za passiva, in quanto iniziò presto il mio sfrut­tamento. Accudivo ai bambini, compravo da man­giare, scopavo, lavavo i pavimenti ecc. Data la situazione non andavo più a scuola, la quale pe­rò non era per me una scuola. Infatti mi misero senza motivo in una classe differenziale. Non rie­sco proprio a capire come possa essere questo il modo di aiutare dei ragazzi emarginati da un certo tipo di società, la quale continua quasi co­me un gioco a rovinare ed a creare immensi vuo­ti interni ed incolmabili.

Oltretutto mi picchiavano sovente pur non es­sendoci alcun motivo che poteva giustificare le loro gesta ed io, come sempre, subivo. Fu per me una sorpresa quando dopo sette mesi venne­ro alcuni uomini della Polizia a prelevarmi per riportarmi in uno dei soliti collegi. Comunque ne fui quasi contento poiché tutto sommato mi resi conto che forse sarei stato meglio. Il pensie­ro che fino a sette mesi prima mi assillava era diventato una cruda realtà, avendo quei mesi di­strutto tutto ciò che la mia fantasia per tanti an­ni aveva creato.

Mi ritrovai a Pianezza. Altri due anni di perma­nenza in un collegio estremamente repressivo e distruttivo. Per la prima volta non vidi suore, ma assistenti. Questi due anni ed i sette mesi pre­cedenti ad essi sono per me il più triste ricordo della mia vita.

Il mio reparto era composto da circa 35 ragaz­zi al comando di un assistente molto rigido. Qui la vita era assai diversa dai precedenti collegi, poiché impostata su sistemi che ricordano quelli militari. Anche le ricreazioni infatti erano limita­te. Era normale ricevere pugni in testa, calci e punizioni personali e non sono mancate le cin­ghiate. Moralmente ero proprio a terra e in se­guito alla precedente esperienza mi sentivo proprio solo, sempre più solo e non avevo più futuro.

Prima di conoscere mia madre almeno me la immaginavo e sognavo. Ma avendola conosciuta avevo la mente vuota e la cosa più triste era di non avere nessuna prospettiva allietante.

In questi due anni vennero a trovarmi una sola volta e non li rividi più.

In questo collegio ogni domenica mattina ve­niva una coppia di coniugi che prendeva per la intera giornata quattro o cinque ragazzi dalle si­tuazioni familiari molto carenti.

La fortuna arrivò anche su di me, sapendo che uno di questi ragazzi lo sistemarono in un nu­cleo familiare, allora proprio io presi il suo posto.

Questa coppia per me ha dato tanto nella mia vita, ed io li considero come genitori: sono zia Evelina e Beppe Ferrero.

Ritornando alle domeniche, ci portavano con loro alle Vallette e ci tenevano tutta la giornata in compagnia di altre persone, di cose nuove e di nuovi programmi; delle domeniche passate in allegria e la cosa più egregia di Evelina e Beppe (e ci tengo a dirlo e a sottolinearlo), è quello di avere fatto, con i loro mezzi e con l'aiuto dell'Associazione amici dei bimbi il più possibile per inserire noi ragazzi in una vita più umana; cosa che i responsabili del settore, così delica­to, si dimostrano veramente degli incompetenti.

Durante l'inverno di questo secondo anno, Evelina e Beppe notando la mia sensibilità, e il desiderio di vivere fuori dal collegio con una fa­miglia decisero di farmi passare le vacanze na­talizie con una famiglia. Quel Natale fu per me una cosa nuova, e porto tutt'ora bei ricordi; que­sta famiglia era composta da padre, madre e quattro figli dai quindici ai ventun anni. Anche questa famiglia però, non è partita chiaramente con l'intenzione di adottarmi, per cui tutto finì.

Evelina e Beppe ben presto si accorsero che questo collegio non dava per niente aiuto, e riuscirono a farmi cambiare di nuovo collegio.

Scelsero un collegio diverso dagli altri che fino ad allora avevo frequentato, ed era situato a Cascine Vica condotto da preti, e mi trovai ve­ramente bene, anche perché la mia personalità stava cambiando. Infatti per me il solo trascor­rere le domeniche con i Ferrero e la Associazio­ne amici dei bimbi creava in me un senso di si­curezza. In questo collegio stava con me Giu­seppe, un futuro componente della comunità che citerò in seguito.

I ragazzi con i quali mi incontravo la domenica erano: Salvatore, fratello di Giuseppe, Filippo, Franco, Sergio e Claudio e con due chierici pas­savamo la domenica a suonare vari strumenti, a visitare musei, frequentare cinema, giocare e discutere.

Stavamo abbastanza bene insieme e non ve­devamo l'ora di rivederci la domenica succes­siva.

Già due estati precedenti le avevamo trascor­se insieme a Favaro nel Biellese, dove l'Associa­zione amici dei bimbi aveva una casa centena­ria molto ampia ed avevamo avuto modo di cono­scerci abbastanza bene.

L'Associazione, e principalmente i Ferrero, avevano da tempo pensato di unirci a vivere in una comunità. Per cui dopo quasi due anni di permanenza in questo collegio, lasciai definiti­vamente i collegi.

Per me iniziava finalmente una nuova vita.

Ci trovammo, come da tempo desideravamo, a vivere insieme. Scoprimmo il gusto della liber­tà ed ognuno di noi aveva un ruolo ben preciso per poter vivere e mandare avanti la comunità. Era una novità per noi ad esempio riunirci la se­ra, dopo cena, e discutere dei vari problemi che via via sorgevano nel nucleo e fuori di esso. Co­me pure il conoscere persone adulte che venen­doci a trovare ci proponevano nuove fonti di di­scussioni. Così i nostri caratteri, assai differenti, andavano formandosi di giorno in giorno.

Mi sentivo felice.

La vita aveva un senso, mi rendevo utile agli altri e gli altri facevano altrettanto con me. Con il passare del tempo però, purtroppo le cose cambiarono. Questo perché, ad un certo punto i due chierici che vivevano con noi dovet­tero lasciarci per forza maggiore; e noi rimasti soli, perdemmo in un certo senso l'equilibrio che avevamo acquisito. Questo comportò una serie di incomprensioni reciproche che ad un certo punto ci costrinsero ad una scelta ben precisa: dividere la comunità.

Tutto ciò mi portò a riflettere: infatti, anche se era stata nostra in fondo la scelta di vivere in­sieme, essa mi accorsi che era stata una fonte di alternativa al collegio. E solo dopo questa esperienza del genere (del resto necessaria), mi resi conto che una comunità per essere ve­ramente unita deve essere creata per libera scelta personale e non come alternativa a situa­zioni peggiori.

Ognuno fece la sua scelta, ed io scelsi di vi­vere con Salvatore, Beppe e Franco. Ad essi si aggiunsero Carlo e Sergio: due nuovi amici adul­ti, anch'essi chierici.

La nostra era stata una scelta ben precisa e con il passar del tempo si dimostrò una decisio­ne esatta. Infatti questa vita di comunità era più che positiva. Io ho proseguito gli studi ed ho avuto ogni tipo di aiuto morale utile a costruire la mia vera personalità, e devo dire che sono soddisfatto di come ciò sia avvenuto.

Proprio in quel periodo conobbi una ragazza, che ora è mia moglie e madre del mio bambino, la quale fu per me di grande aiuto, insieme a tutti i miei amici, ed in modo particolare i Fer­rero. Ah! dimenticavo, come se non bastassero i dodici anni di collegio, mi presero al militare (nonostante la mia situazione) e dovetti soppor­tare un altro anno che ricordava molto una si­tuazione già da me dimenticata: il collegio.

Ma anche quello passò, ora a distanza di quat­tro anni fa parte dell'ultimo dei miei tristi ri­cordi.

Ora la mia vita è come quella di tante altre persone, quelle stesse persone che tanti anni prima i miei occhi vedevano superiori a me e senza motivo.

 

 

DICHIARAZIONE DI UNA EX DIPENDENTE

 

1° periodo di prova: dal .. . al ... in qualità di educatrice-responsabile della comunità «casa-famiglia» sita in via Saluzzo 44 (TO).

Condizioni salariali: L. 96.674 + vitto e allog­gio + previdenza e mutua.

Personale: due educatori ed una cuoca presen­ti giorno e notte, escluso un giorno libero setti­manale; una persona a ore per le pulizie.

Ragazzi: da sette a dodici ragazzi, di sesso ma­schile, di età variabile fra 17 e 28 anni; le moda­lità ed i criteri per l'ammissione in comunità erano legati al fatto che la direzione aveva scel­to di usare la comunità per situazioni di emergen­za: ex allievi usciti dal carcere e comunque in situazioni di bisogno, ragazzi non gestibili nella vita di collegio.

Non esistevano cartelle significative dal punto di vista dell'educatore, ma solo qualche dato bu­rocratico-amministrativo di ciascun ragazzo.

Condizioni dei locali: all'avvio della comunità i locali erano squallidi e sporchi; lavori di re­stauro più volte sollecitati non furono eseguiti durante tutto il periodo della mia permanenza in comunità (circa otto mesi).

Rapporti con la direzione: la responsabilità educativa era a totale carico degli educatori sen­za alcun appoggio tecnico né verifiche sull'atti­vità e su eventuali obiettivi. Le uniche richieste che la direzione implicitamente faceva agli edu­catori erano:

- assicurare una gestione del quotidiano che risolvesse i problemi più importanti di sopravvi­venza;

- fornire il rendiconto contabile-amministra­tivo della casa;

- dimostrare una sollecita disponibilità ad ac­cogliere tutti i ragazzi segnalati senza porsi il problema del gruppo che viveva in comunità e delle sue dinamiche.

Motivi delle dimissioni: il tipo di lavoro ren­deva impossibile una qualunque vita privata; an­che tutto ciò che era legato all'aggiornamento e alla riqualificazione non era possibile.

 

*  *  *

 

2° periodo di lavoro: da ... a ..., in qualità di psicologa presso l'istituto «Casa Benefica» di Pianezza.

Nel gennaio '73, ormai prossima alla specializ­zazione in psicologia, fui invitata dalla direttrice della Casa Benefica a collaborare, come psicolo­ga, allo scopo di seguire il lavoro degli educatori dal punto di vista psicopedagogico.

Fui assunta con un rapporto di lavoro che pre­vedeva una presenza di due giorni interi alla settimana, con una retribuzione di L. 120.000 men­sili + previdenza e mutua.

Erano allora presenti circa 200 ragazzi di età compresa tra i 6 e i 18-20 anni; vi era inoltre in collegio un gruppo di giovani ospiti tra 18 e 20 anni che lavoravano presso i laboratori di mecca­nica interni all'Istituto.

Personale: 16 educatori-trici animatori per le attività di tempo libero - la psicologa - personale amministrativo e istruttori per i laboratori / offi­cina.

Dopo un primo periodo di osservazione della realtà, mi resi conto degli enormi problemi della struttura, del personale e dei ragazzi; riassumo qui le principali carenze che ebbi modo di rile­vare:

- educatori: erano sottoposti ad orari di lavoro massacranti; molti di loro, non avendo fami­glia, vivevano stabilmente in Istituto, alcuni era­no «ex-allievi» diventati «educatori», inoltre non era offerta loro nessuna possibilità concreta di formazione né di aggiornamento; nella vita dell'Istituto veniva regolarmente sabotata ogni possibilità di scambiare esperienze professionali tra gli educatori; ogni squadra rappresentava una realtà a sé stante.

- ragazzi: violenze e aggressività erano le manifestazioni più evidenti: piccole bande di ra­gazzi più grandi commettevano prepotenze e so­prusi nei confronti dei più piccoli.

- i rapporti con le famiglie dei ragazzi oppure con gli psicologi e assistenti sociali degli enti affidanti erano scarsi e molto sporadici, il più delle volte affidati alla buona volontà e all'inizia­tiva del singolo educatore.

- i locali erano squallidi, immensi, anonimi ed infine veramente sporchi.

Il collegio era allora del tutto avulso dalla real­tà sociale del paese di Pianezza e perfino con la scuola media che accoglieva i ragazzi, i rapporti erano di rifiuto, di quasi totale chiusura.

Una situazione di questo tipo esigeva che il mio lavoro fosse rivolto essenzialmente verso gli educatori e perciò esso si basò sulle seguenti attività:

- incontri quindicinali con ogni educatore per discutere i problemi del gruppo e dei singoli ragazzi;

- riunione con il gruppo degli educatori per la discussione di problemi educativi generali e per l'impostazione delle cartelle dei ragazzi (del tutto inesistenti);

- programmazione, avvio e coordinamento di attività culturali e di tempo libero esterno ed in­terno al collegio;

- rapporti con la scuola media per l'inseri­mento scolastico dei ragazzi.

Il mio lavoro di tecnico era essenzialmente ri­volto agli educatori ed ai ragazzi al fine di impo­stare una linea pedagogica e recuperare alla vita sociale i ragazzi.

Di queste mie attività relazionavo settimanal­mente alla direzione che dimostrò via via di non condividere questa impostazione ma di volere da me, psicologa, una mediazione con una realtà che le veniva sempre più sfuggendo dal control­lo; quindi utilizzare il tecnico non per educatori e ragazzi, ma per scopi di mantenimento di ordine istituzionale.

Intanto un anno dopo il mio ingresso in colle­gio, permanendo stabile la grave situazione dell'Istituto, un gruppetto di educatori, al quale io mi aggregai, decise di intraprendere un'azione sindacale allo scopo di denunciare e risolvere:

1) le carenti condizioni educative in cui erano costretti a vivere i ragazzi;

2) le insostenibili condizioni di lavoro degli educatori;

3) la sporcizia dei locali che aveva raggiunto livelli non più sopportabili.

Fu dunque aperta una vertenza sindacale. Cir­ca un mese dopo io fui licenziata; motivo addot­to: «mancanza di fondi».

 

 

PATRIMONI DELLE IPAB

 

La corrispondenza riportata nelle pagine se­guenti comprova il tentativo fatto dall'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale per otte­nere dalla Regione Piemonte e dall'IPAB Casa Be­nefica il rispetto delle leggi vigenti in materia di patrimoni delle Istituzioni pubbliche di assisten­za e beneficenza e di autorizzazione preventiva a funzionare degli istituti di assistenza all'infanzia.

Se si generalizzava la linea, attuata per la Casa Benefica, di utilizzare i proventi della vendita dei patrimoni per coprire i passivi delle spese di gestione, si arrivava (e si può ancora arrivare og­gi) alla perdita di tutti i beni mobili ed immobili destinati all'assistenza.

È invece necessario che i patrimoni siano uti­lizzati per l'acquisto di strutture alternative (al­loggi, comunità alloggio, centri diurni per handi­cappati ultraquattordicenni gravi e gravissimi, sedi di servizi assistenziali, ecc.).

Infine l'autorizzazione preventiva a funzionare è uno strumento necessario per evitare il sorgere di istituti inidonei sul piano delle strutture o della capienza o per la loro ubicazione.

 

 

RACCOMANDATA R.R. - 29/11/1975 DELL'UNIONE PER LA LOTTA

CONTRO L'EMARGINAZIONE SOCIALE

 

- Aldo Viglione - Presidente della Regione Piemonte

- Diego Novelli - Sindaco di Torino

- Giorgio Salvetti - Presidente della Provincia di Torino

- Sindaco di Pianezza

- Presidente IPAB «Casa Benefica»

- Tesoriere IPAB «Casa Benefica»

 

Questa Unione, presa visione della delibera n. 46-4855 del 5.10.1975, pubblicata sul Bolletti­no ufficiale n. 45 del 9.11.1976, con la quale la Giunta regionale piemontese ha espresso parere favorevole alla ristrutturazione dell'IPAB «Casa Benefica» e alla convenzione con i Comuni di Torino e Pianezza e con la Provincia di Torino, osserva che la delibera stessa è in netto contra­sto con la legge 17.7.1890 n. 6972 e successive modificazioni e con il R.D. 5.2.1891 n. 99, i quali vietano che il patrimonio delle IPAB possa esse­re utilizzato per ripianare i disavanzi di eser­cizio.

Si invitano pertanto:

- la Giunta regionale a voler revocare la ci­tata delibera n. 46-4865;

- i Comuni di Torino e di Pianezza e la Provin­cia di Torino a non dare corso alla convenzione con l'IPAB «Casa Benefica», a revocare la pro­pria deliberazione del 29.7.1976.

Si fa inoltre presente alla Giunta regionale pie­montese e alla IPAB «Casa Benefica» che l'IPAB stessa, prima di attuare la nuova organizzazione educativo-assistenziale deve, ad avviso di questa Unione, essere in possesso della preventiva au­torizzazione a funzionare di cui all'art. 50 del R.D. 15.4.1926 n. 718, alla delibera della Giunta regio­nale piemontese n. 15-4099 del 27.7.1976 e all'art. 665 del codice penale. Infatti si tratta di una ri­strutturazione generale che prevede, fra l'altro, l'utilizzo di locali finora mai destinati al ricovero dei minori.

In merito a quanto sopra esposto, questa Unio­ne si riserva di assumere tutte le iniziative che si rendessero necessarie.

Infine questa Unione ritiene che la linea da perseguire a livello regionale sia lo scioglimento delle IPAB mano a mano che esse sono messe in crisi dalla creazione di servizi alternativi e dalla conseguente riduzione di ricoverati.

 

 

RISPOSTA DEL PRESIDENTE

DELLA GIUNTA REGIONALE PIEMONTESE DEL 21/12/1976

 

In relazione all'esposto 26/12/1976 della S.V., relativo al provvedimento della Giunta regionale 5/10/1976, n. 46-4865 concernente la Casa Be­nefica, ritengo opportuno precisare che, nella fat­tispecie, pure avendo utilizzato il termine «deli­bera», in realtà il provvedimento stesso si con­creta in una formulazione di parere favorevole circa la ristrutturazione dell'I.P.A.B. CASA BE­NEFICA.

È indubbio che l'Amministrazione regionale, cui ai sensi dell'art. 1 del D.P.R. 15/1/1972, n. 9, compete la vigilanza sulle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, esprima il proprio pa­rere circa la ristrutturazione dell'attività assisten­ziale dell'Istituzione in parola secondo i nuovi orientamenti di politica socio-assistenziale.

Sotto questo profilo, quindi, il provvedimento in esame non presenta il denunziato vizio di illegittimità.

In sostanza, lo si ripete, il già richiamato prov­vedimento è diretto unicamente ad esprimere un parere discrezionale nell'ambito della politica as­sistenziale di competenza - alla luce della vigen­te normativa - dell'Amministrazione regionale. La circostanza che, nelle premesse dell'atto, siano state citate - a scopo illustrativo - le procedure attraverso le quali la Pia Istituzione intende conseguire la ristrutturazione, non modi­fica lo scopo del provvedimento, il quale resta sempre la formulazione di un parere circa la ristrutturazione, alla luce di una valutazione di­screzionale delle esigenze e possibilità assisten­ziali nella Regione.

Ciò stante, la Giunta regionale, da me resa edotta della richiesta della S.V., è giunta alla conclusione di non modificare il proprio parere, formulato alla luce di una oculata valutazione tec­nica, circa l'esigenza di una ristrutturazione dell'attività dell'Ente e pertanto non ritiene di poter accogliere la richiesta di revoca del provvedi­mento in questione.

 

 

REPLICA DELL'U.L.C.E.S.

AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE PIEMONTESE DEL 2/5/1977

 

Con riferimento alla mia precedente lettera del 29.X1.76 ed alla Sua risposta del 21.X11.1976 (prot. 2584) relativa alla ristrutturazione dell'IPAB «Casa Benefica», debbo prospettare alcune obie­zioni, sia per tenere fede agli impegni assunti da questa Unione con le altre associazioni e forze impegnate per la riforma dell'assistenza, sia per ribattere ad alcune Sue affermazioni che mi pa­iono del tutto insoddisfacenti. La Sua risposta si appunta sulla definizione formale dell'atto della Giunta come «parere» e non come «delibera», ma non tocca la sostanza delle nostre obiezioni; in particolare, non nega che il parere abbia espresso un orientamento favorevole all'utilizzo di beni del patrimonio per ripianare il deficit di bilancio. In questo utilizzo sta l'illegittimità con­testata, alla quale la Giunta ha dato parere favo­revole, pur essendo al corrente della non corret­tezza dell'operazione per esserne stata avvertita non solo da questa Unione ma per la testuale af­fermazione contenuta nel preambolo della deli­bera-parere («la disponibilità residua di lire 800.000.000 potrà essere destinata al ripianamen­to del disavanzo di amministrazione...»).

L'illegittimità non sta pertanto nel fatto che sia stato emesso l'atto della Giunta - né questo era stato da me obiettato, contrariamente a quan­to il terzo capoverso della Sua risposta farebbe credere - ma nel suo contenuto, che avalla un atto non legittimo; né il ripetuto insistente ri­chiamo alla discrezionalità vale a fronteggiare l'obiezione, poiché non vi rientra la facoltà di vio­lare norme di legge.

Né Lei risponde in alcun modo sul merito del «parere», incoerente con le linee di politica assistenziale enunciate dalla Sua amministrazione, non certo a «scopo illustrativo». Ma che cosa significhi quest'ultimo inciso nella Sua risposta non è chiaro: veniva detto «a scopo illustrati­vo» qualche cosa che in realtà non si intendeva dare, o veniva enunciato un proposito reale che ora si maschera con la singolare formula perché se ne avverte l'irregolarità?

Nessuna risposta, infine, Lei ha ritenuto dare all'osservazione della mia precedente lettera sul­la necessità dell'adempimento delle prescrizioni ex art. 50 R.D. 15.4.26 n. 718 e della delibera della Giunta regionale n. 15-4099 del 27.7.76, nonché dell'art. 665 codice penale.

 

 

LETTERA DELL'U.L.C.E.S. AL PRESIDENTE ED AI COMPONENTI DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI «CASA BENEFICA» - 3/5/1977

 

Facendo seguito alla nostra lettera R.R. del 26.11.1976 inviata al Presidente e al Tesoriere dell'IPAB Casa Benefica, rimasta senza risposta, questa Unione insiste nel far presente che quan­to previsto dalla deliberazione del Consiglio di amministrazione di Casa Benefica in data 29.7.1976, e cioè che «la disponibilità residua di L. 800.000.000 potrà essere destinata al ripianamen­to del disavanzo di Amministrazione, iscritto nel bilancio 1975 per L. 138 milioni, nonché al ripia­namento dell'analogo disavanzo che dovrà iscri­versi nel bilancio 1976», è in netto contrasto con le leggi vigenti (V. in particolare art. 28 della legge 17.7.1890 n. 6972 e art. 64 del R.D. 5.2.1891 n. 99).

Ciò premesso, con la presente Vi diffidiamo a procedere al suddetto ripiano dei deficit di ser­vizio e ci riserviamo ogni azione al riguardo.

 

 

RISPOSTA DEL PRESIDENTE DELLA «CASA BENEFICA» - 17/5/1977

 

OGGETTO: Deliberazione del Consiglio di Ammi­nistrazione della Casa Benefica in data 29/7/1976 - Rif. Vs.in data 3 maggio 1977

In relazione alla Vs. di cui in oggetto, ed alle richieste in essa contenute, si informa che la stessa sarà dallo scrivente sottoposta all'esame del Consiglio di Amministrazione dell'Ente, nella prossima riunione.

Si osserva peraltro - impregiudicata restando ogni decisione in merito del Consiglio di Ammi­nistrazione - che appare da escludersi la sussi­stenza dell'asserito contrasto con le leggi vigen­ti, in quanto la deliberazione consigliare alla qua­le fa riferimento la Vs. precit. va considerata alla luce della particolare situazione nella stessa am­piamente illustrata, comportante fra l'altro la sal­vaguardia dei fini istituzionali dell'Ente, e la con­versione, nel contempo, della parte del patrimo­nio divenuta, per causa di forza maggiore, pas­siva.

Situazione, questa, che ha costituito, del resto, oggetto di congiunto e favorevole esame da parte della Regione Piemonte (deliberazione n. 46 in data 9/11/1976 della Giunta Regionale, ritualmen­te approvata dall'Organo Regionale di Controllo), nonché della Provincia e del Comune di Torino.

I relativi provvedimenti sono altresì attuati nel perseguimento di quella moderna concezione dei fini di assistenza che, se non si erra, costitui­scono anche obbiettivo di codesta Unione.

Si fa riserva, ciò premesso, di portare a Vs. conoscenza le determinazioni del Consiglio di Amministrazione dell'Ente in relazione alla Vs. precit., non appena saranno state adottate.

 

NOTA - Dopo questa lettera l'ULCES non ha più ricevuto alcuna comunicazione dalla Casa Be­nefica.

 

 

 

(1) «Casa Benefica» è una Istituzione pubblica di assi­stenza e beneficenza (IPAB).

(2) Segnaliamo che l'ex ENAOLI di Torino aveva riti­rato anni fa tutti i minori e non aveva più disposto alcun ricovero alla Benefica.

(3) Ci risulta che solo il Comune di Torino abbia due operatori espressamente incaricati della vigilanza.

(4) Gli ultimi dati della Regione Piemonte risalgono al marzo 1979.

 

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