Prospettive assistenziali, n. 54, aprile - giugno 1981
Editoriale
LA NON RIFORMA
DELL'ASSISTENZA
Da tempo abbiamo preannunciato che in Parlamento le
cose si stavano mettendo male (1). Il testo unificato
di riforma dell'assistenza, approvato dalle Commissioni Affari costituzionali
e Affari interni della Camera dei Deputati, non solo conferma
le nostre preoccupazioni, ma le aumenta.
In sostanza si è delineata
una «riforma» del tutto inaccettabile in quanto lascia irrisolti i problemi di
fondo o peggiora la situazione rispetto al DPR 24 luglio 1977 n. 616.
Innanzi tutto nel testo unificato non si è nemmeno
giunti a definire una terminologia univoca. Sono infatti
usati con sinonimi le denominazioni «Servizi sociali»; «Servizi
socio-assistenziali», «Servizi assistenziali»,
«Servizi preposti allo sviluppo sociale».
Ricordiamo solo che l'art. 17 del DPR 24 luglio 1977
n. 516 precisava che i servizi sociali comprendevano la polizia urbana e
rurale, la beneficenza pubblica, l'assistenza sanitaria e ospedaliera,
l'assistenza scolastica, i musei e biblioteche di enti
locali, il che consentirebbe di allargare il campo dell'integrazione fra i
servizi, di cui all'ultimo comma dell'art. 15 della legge 23 dicembre 1978 n.
833, alle materie sopra elencate (2).
Da sempre i cittadini non riescono a
individuare l'organo competente per l'erogazione dei servizi assistenziali.
Scopi delle lotte condotte negli anni scorsi per la soppressione della miriade
degli enti assistenziali e per la istituzione
dell'unità locale di tutti i servizi di base, erano non solo il superamento del
clientelismo e del corporativismo, ma anche la creazione di un unico riferimento
politica-amministrativo a livello locale e di servizi
alternativi al ricovero.
Il testo unificato (ultimo comma dell'art. 7) prevede
invece che le leggi regionali possono stabilire che i servizi assistenziali siano gestiti dagli stessi organi preposti ai
servizi sanitari, per cui l'organizzazione istituzionale può essere diversa da
una regione all'altra, o addirittura nell'ambito di una stessa regione.
Poiché nulla viene detto nel
caso in cui le Regioni non volessero unificare gli organi di governo per la
sanità e l'assistenza, è facile prevedere un deleterio caos istituzionale e
organizzativo.
Tutti i servizi assistenziali
sono interdipendenti. Ad esempio il tipo e l'entità dell'assistenza economica
hanno conseguenze dirette sui ricoveri in istituto, e così dicasi per tutti i
servizi.
Prevedere che, come oggi è stabilito da tutte le
leggi regionali (Umbria esclusa), che alcuni servizi siano
assicurati dalle Associazioni dei Comuni e altri dai Comuni singoli,
significa creare agli utenti ingiustificate difficoltà a capire chi è
competente ad intervenire; vuol dire soprattutto ricreare settorialismi e separatezza a tutto vantaggio di coloro che vogliono che
nulla cambi e cioè che il ricovero in istituti, soprattutto privati, resti
l'intervento più frequentemente usato. Altre osservazioni (3):
1) l'attribuzione alle Province dei compiti di cui
all'art. 8 appare ingiustificata e rende più complessa l'attuazione della
legge;
2) la formulazione delle norme concernenti
le IPAB è peggiorata rispetto al DPR 616, particolarmente per quanto
riguarda lo scioglimento delle stesse poiché sono dilatate le condizioni che
possono escludere dallo scioglimento questo o quell'ente.
Sfuggirà pertanto al previsto trasferimento ai Comuni un maggior numero di IPAB che verranno privatizzate, con conseguente incontrollata
facoltà dei privati di disporre dei relativi patrimoni, ossia di quei beni
che, per la loro destinazione istituzionale (prestazione di servizi assistenziali),
a buon diritto si debbono ritenere di interesse pubblico;
3) tenuto conto della delicatezza dei compiti svolti,
nonché dei dolorosi precedenti che hanno spesso
denunciato gravi carenze a scapito dell'utenza, si ritiene che il controllo e
la vigilanza sulle attività degli enti privati debbano essere previsti in modo
meno sfumato, anzi con norme precise e inderogabili;
4) è stato completamente omesso il problema del
personale: mancano indicazioni circa la formazione di base e permanente degli
operatori e il riconoscimento dei titoli (assistente sociale, educatore, ecc.);
5) l'inserimento di rappresentanti degli enti privati
nel Consiglio nazionale dell'assistenza non è previsto per l'analogo Consiglio
nazionale per la sanità il che, insieme ad altre
norme, dimostra il potere dato appunto agli enti privati;
6) non viene definito
quantitativamente il fondo nazionale per i servizi assistenziali;
7) nel fondo nazionale per i servizi assistenziali
sono inseriti stanziamenti relativi agli asili nido e
all'equo canone, materie le cui competenze dovrebbero essere piuttosto
attribuite rispettivamente al settore istruzione ed a quello della casa;
8) nulla viene previsto
circa i tempi di attuazione della riforma.
Prevenzione
Come da tempo sosteniamo,
l'assistenza può intervenire solo quando il bisogno si è manifestato e la vera
prevenzione si può realizzare solamente con una diversa politica nei campi
della sanità, della scuola, della casa, della cultura, ecc.
A questa diversa politica il settore assistenziale
può contribuire con dati e proposte, mentre non può, ovviamente, dare la casa a
chi ne è privo, il lavoro ai disoccupati, una pensione
sufficiente agli anziani, eliminare le barriere architettoniche dei mezzi
pubblici.
Tutti questi problemi sono stati semplicemente
ignorati dai nostri Parlamentari, per cui, così com'è
definita nel testo unificato, la prevenzione resta una astratta affermazione.
L'assistenza come spazzatura della
sanità
Il testo unificato è invece aderente alla linea
politica, perseguita quasi ovunque nel nostro e negli altri Paesi, che individua l'assistenza come il settore nel quale scaricare
tutti coloro che sono rifiutati dalla sanità: gli anziani cronici, gli
handicappati, non inseribili nel lavoro, le persone con disturbi psichiatrici,
i tossicodipendenti, gli alcoolisti, i disadattati in genere non in fase acuta.
Alla sanità non si attribuisce il compito di curare
e riabilitare finché si è malati o non autonomi a causa della mancanza di
salute, ma ad essa si attribuisce la facoltà, del
tutto discrezionale, di dichiararsi incompetente ad intervenire con la
semplice affermazione che la fase acuta è terminata.
Dunque, stando così le cose, il settore sanitario non ha
convenienza, in termini politici, economici ed operativi, a curare ed a
riabilitare. Ha invece l'interesse, anche per quanta riguarda il carico di
lavoro dei medici, degli infermieri e degli inservienti, a scaricare
nell'assistenza gli utenti più difficili.
A sua volta il settore assistenziale
è diventato ingestibile sia perché l'utenza è in costante aumento (V. anziani
cronici), sia perché il lavoro da svolgere non è a lungo sostenibile.
Si pensi, ad esempio, al personale che dall'assunzione
al pensionamento è addetto all'assistenza degli
anziani cronici, senza alcuna possibilità di ruotare in altri servizi meno
gravosi.
Di qui la nostra proposta: occorre che siano
attribuiti esclusivamente alla competenza sanitaria
(e non a quella assistenziale) gli interventi nei confronti delle persone la
cui mancanza di autonomia è dovuta ad assenza di salute.
Evidentemente ciò non significa che le prestazioni
agli anziani cronici, agli handicappati gravi, ai tossicodipendenti e agli
altri soggetti debbano essere fornite dal servizio
sanitario mediante i tradizionali metodi di intervento medico.
(1) V. l'editoriale del n. 49,
gennaio-marzo 1980, La riforma
dell'assistenza nuovamente all'esame del Parlamento.
(2) L'art. 15 della legge 23.12.1978 n.
833 recita: «La legge regionale
stabilisce altresì norme per la gestione coordinata e integrata dei servizi
dell'unità sanitaria locale con i servizi sociali esistenti sul territorio».
(3) Stralcio della nota inviata dal
Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base ai membri delle Commissioni
Affari costituzionali e Affari interni della Camera dei Deputati.
www.fondazionepromozionesociale.it