Prospettive assistenziali, n. 54, aprile - giugno 1981
Libri
AA.VV., Marginalità e devianza. Ipotesi e prospettive
nella formazione dell'operatore sociale, Edizioni Patron, Bologna, 1978,
pagg. 261, L. 7.600
La formazione sociale si pone come problema di non
facile soluzione. Molte sono le ipotesi che si fanno in quanto questa
professione è legata ai servizi che in questi ultimi anni hanno subito dei
grossi cambiamenti.
La scuola di servizio sociale dell'Istituto petroniano
studi sociali dell'Emilia Romagna di Bologna fa una
ipotesi della professione che più si avvicina alle reali possibilità di
espletamento della stessa, in quanto la colloca negli ambiti suoi propri che
sono quello della marginalità e devianza, e quello della territorialità dei
servizi.
La scuola, per convalidare questa ipotesi,
ha effettuato un tirocinio-ricerca perché aveva avvertito da tempo l'esigenza
di collegare in modo organico il momento formativo con quello operativo
sperimentale per dare all'operatore l'attitudine di cogliere i vari aspetti
della realtà a cui poi commisurare il proprio intervento e nello stesso tempo
mettere l'allievo a contatto con il territorio attraverso la rilevazione dei
problemi e dei bisogni ipotizzando fasce di intervento.
Si è ottenuto così il vantaggio di conoscere le
risorse esistenti sul territorio, il che vuol dire avere strumenti per programmare
e gestire i servizi, per incidere sulla formazione degli allievi e formulare una ipotesi di professionalità.
La definizione del ruolo dell'assistente sociale si
salda con la formazione, e questa con i servizi. Identità professionale vuol dire allora preparazione specifica da calarsi nelle
situazioni operative.
Gli autori del libro ipotizzano una professionalità
calata nella comunità territoriale e legata ai
valori, alle esperienze, agli strumenti giuridici ed operativi in essa
presenti.
Questa ipotesi supera quella dell'assistente sociale
funzionale al sistema (periodo precedente a) 1968), quella ipotizzata
negli anni scorsi dell'assistente sociale agente di cambiamento e quella di
operatore unico polivalente.
La professione prende in carico il caso che si
presenta in situazione di marginalità, ma nell'approntare l'intervento tiene
presente le cause remote e recenti coinvolgendo «cliente e comunità» in un
processo partecipativo e risolutivo.
Ne viene fuori una professionalità che è sociale non
in quanto esperto di marginalità ma in quanto
operatore di comunità e come tale capace di usare un intervento immediato
facendo riferimento concreto al territorio per un discorso anche preventivo.
Il lavoro dell'assistente sociale diventa in questa ipotesi un vero lavoro di mediazione tra persona e
comunità, tra persona e struttura di servizi nelle loro possibili
articolazioni.
Lo specifico di una tale professione si colloca in un
impegno di lettura e di interpretazione della realtà,
di adeguamento ai valori ed ai bisogni emergenti di disponibilità al lavoro di
gruppo, di capacità ad usare strumenti e metodi operativi incisivi.
Di qui la necessità che la formazione venga realizzata attraverso una esperienza di ricerca sul
campo per confrontarsi con la realtà, con gli altri operatori, con l'utenza e
per verificare continuamente il proprio operato.
Questo tipo di professionalità deve ancora sistematizzarsi, perché siamo ancora all'inizio di un
lavoro che si presenta laborioso e difficile per via anche della mancata
definizione dei compiti dei servizi ed a causa del non ancora avvenuto
riconoscimento giuridico del titoli di assistente
sociale.
IOLE MEO
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