Prospettive assistenziali, n. 54, aprile - giugno 1981
TESTO UNIFICATO PER
Art. 1
(Principi ed
obiettivi)
In attuazione degli articoli 2, 3, 38 e 117 della
Costituzione e nel quadro della sicurezza sociale, la
presente legge determina i principi fondamentali relativi agli interventi di
assistenza diretti a garantire al cittadino il pieno e libero sviluppo della
personalità e la sua partecipazione alla vita del Paese.
Tali obiettivi si realizzano con un'attività di prevenzione
e di rimozione degli ostacoli di natura personale, familiare e sociale,
mediante un complesso di servizi sociali coordinati ed integrati sul
territorio con i servizi sanitari e formativi di base e in armonia con gli
altri servizi finalizzati allo sviluppo sociale, nonché
attraverso prestazioni economiche.
È garantita a norma degli articoli 2, 3 e 38 della
Costituzione la libertà dell'iniziativa privata.
Art. 2
(Finalità)
Per rendere effettivo, con un'organica politica di
sicurezza sociale, il diritto di tutti i cittadini alla promozione, mantenimento
e recupero dello stato di benessere fisico e psichico, al pieno sviluppo della
personalità nell'ambito dei rapporti familiari e sociali, al soddisfacimento
delle esigenze essenziali di vita, l'attività del sistema dei servizi sociali e
di quelli preposti allo sviluppo sociale perseguono
le seguenti finalità:
a) prevenire e rimuovere le cause di
ordine economico-sociale e psicologico che possono provocare
situazioni di bisogno sociale o fenomeni di emarginazione negli ambienti di
vita, di studio e di lavoro;
b) rendere effettivo il diritto di tutta la popolazione,
senza distinzione di condizioni individuali o sociali, ad usufruire delle
strutture, dei servizi e delle prestazioni sociali, secondo
modalità che garantiscano la libertà e la dignità personale e assicurino
eguaglianza di trattamento, riconoscendo alle persone, per i problemi che le
coinvolgano direttamente, congrue possibilità di scelta di strutture, di
prestazioni;
c) azione di sostegno della famiglia e dei nuclei familiari
garantendo anche ai cittadini in difficoltà la permanenza nel proprio ambiente
familiare e sociale di appartenenza o provvedendo, se
necessario, al loro inserimento in famiglia o nuclei familiari liberamente
scelti o in ambienti parafamiliari o comunitari sostitutivi;
d) intervento per il reinserimento di quanti sono assistiti in strutture o istituzioni segreganti;
e) intervento di sostegno dei
soggetti colpiti da menomazioni fisiche, psichiche, sensoriali per garantire il
loro inserimento nei normali ambienti
di vita, di studio, di lavoro;
f) promozione della protezione
e della tutela giuridica dei soggetti incapaci di provvedere a se stessi e
privi di parenti o persone che di fatto vi provvedono.
Art. 3
(Destinatari)
Tutti i cittadini hanno diritto a fruire dei servizi
sociali senza distinzione di carattere giuridico, economico, sociale,
ideologico o religioso.
Ai cittadini è assicurata la libera scelta dei
servizi disponibili nel territorio.
A tal fine con legge regionale saranno disciplinate alternative finalizzate alla libera utilizzazione dei
servizi disponibili nel territorio (2).
Sono, altresì, ammessi ai suddetti servizi, gli
stranieri e gli apolidi che si trovano in territorio italiano, anche se non siano assimilati ai cittadini o non risultino appartenenti
a Stati per i quali sussiste il trattamento di reciprocità, salvo i diritti
che la presente legge conferisce con riguardo alla condizione di cittadinanza.
Può essere chiesto agli utenti e alle persone tenute
al mantenimento e alla corresponsione degli alimenti il concorso al costo di
determinate prestazioni in relazione alle loro
condizioni economiche, tenendo conto della situazione locale e della rilevanza
sociale dei servizi, secondo i criteri stabiliti con legge regionale.
In ogni caso le leggi regionali debbono
garantire agli utenti dei servizi la conservazione di una quota delle pensioni
e dei redditi che permetta loro di far fronte in modo adeguato alle esigenze
personali.
Art. 3
bis
(I servizi
socio-assistenziali)
I servizi socio-assistenziali provvedono
a:
a) azione di promozione diretta all'utilizzo da parte
dei cittadini, compresi quelli con handicaps fisico-psichico-sensoriali, dei
servizi sociali. Detta attività comprende anche la segnalazione ai competenti uffici dei bisogni assistenziali
risolvibili mediante la predisposizione di servizi sia sociali sia preposti
allo sviluppo sociale;
b) fornire ai cittadini l'informazione necessaria per
quanto concerne le disposizioni legislative, regolamentari e d'altro genere sui
servizi socioassistenziali;
c) fornire l'informazione sulle prestazioni e sui
servizi socio-assistenziali esistenti nel territorio e, occorrendo, la
consulenza per la loro fruizione;
d) assicurare inoltre le prestazioni previste dagli artt. 22 e 23 del D.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616. I servizi socio-assistenziali sono
preferibilmente (o prevalentemente) organizzati in forme territoriali e
aperte, con carattere domiciliare o di centro diurno.
Art. 4
(Prestazioni economiche) (3)
Le prestazioni di carattere economico si distinguono in ordinarie e straordinarie.
Hanno diritto alle prestazioni ordinarie:
a) sotto forma di pensione sociale, tutti i cittadini
che, per età, inabilità o per altri motivi indipendenti dalla loro volontà non
possono accedere al lavoro e sono sprovvisti dei mezzi necessari per vivere;
b) sotto forma di assegni
continuativi di assistenza, tutti i cittadini che, a causa della loro
inabilità, hanno bisogno dell'aiuto di terzi per compiere gli atti quotidiani
della vita, o di una sorveglianza personale continua e siano sprovvisti dei
mezzi necessari per far fronte a tali esigenze.
Le prestazioni economiche ordinarie e le relative
misure e modalità sono definite con leggi dello Stato.
Le prestazioni straordinarie sono dirette a coloro
che si trovano in difficoltà economiche contingenti o temporanee, e sono
erogate, anche nel caso di prestazioni a carattere continuativo in aggiunta a
quelle previste dal secondo comma del presente articolo, dai Comuni, secondo i
criteri indicati dalle leggi regionali.
Art. 5
(Competenze dello
Stato)
Sono di competenza dello Stato:
1) la funzione di indirizzo
e di coordinamento delle attività amministrative delle regioni a statuto
ordinario in materia di servizi sociali attinenti ad esigenze di carattere
unitario anche con riferimento agli obiettivi della programmazione nazionale e
agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari;
2) la fissazione dei requisiti per la determinazione
dei profili professionali degli operatori sociali; le disposizioni generali in
materia di ordinamento e durata dei corsi e la
determinazione dei requisiti necessari per l'ammissione;
3) gli interventi di prima soccorso
in caso di catastrofe o calamità naturali di particolare gravità o estensione;
4) gli interventi di prima assistenza in favore dei
connazionali profughi e rimpatriati, in conseguenza
di eventi straordinari ed eccezionali;
5) gli interventi in favore dei profughi stranieri,
limitatamente al periodo strettamente necessario alle operazioni di identificazione e di riconoscimento della qualifica di
rifugiato e per il tempo che intercorre fino al loro trasferimento in altri
paesi o al loro inserimento nel territorio nazionale, nonché gli oneri relativi
all'assistenza agli stranieri e agli apolidi;
6) gli interventi sociali prestati ad appartenenti
alle forze armate e agli altri dipendenti dello Stato, limitatamente al
funzionamento e alla gestione di circoli e mense e
comunque di attività direttamente collegate all'espletamento del servizio (4);
7) i rapporti in materia di assistenza
con organismi stranieri ed internazionali, la distribuzione tra le regioni di
prodotti destinati a finalità assistenziali in attuazione di regolamenti della
Comunità economica europea, nonché l'adempimento di accordi internazionali in
materia di assistenza;
8) le pensioni e gli assegni di
carattere continuativo disposti dalla legge in attuazione dell'art. 38, primo
comma, della Costituzione,
9) gli interventi fuori del
territorio nazionale a favore degli italiani all'estero;
10) la certificazione della qualifica di orfano, vedova, inabile e degli altri titoli di
legittimazione al godimento dei benefici previsti dalle leggi vigenti, da
esercitarsi mediante delega alle regioni.
Art. 6
(Riassetto degli
uffici statali) (5)
Fino all'attuazione della riforma
della Presidenza del Consiglio dei ministri e alla riorganizzazione
dei Ministeri, le funzioni statali di cui alla presente legge sono esercitate
dal Ministero della sanità.
Gli interventi previsti dai numeri 3), 6), 7) e 9) del
precedente art. 5 restano assegnati ai Ministeri
rispettivamente competenti.
La Direzione generale dei servizi civili del Ministero
dell'interno e le relative funzioni previste dall'art. 2, terzo comma, del
decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio
1977, n. 617, sono trasferite al Ministero della sanità.
In sede di riordinamento del Ministero della sanità ai sensi dell'art. 59 della legge 23 dicembre
1978, n. 833, si dovrà tener conto delle esigenze connesse all'attuazione dei
compiti di cui alla presente legge.
Art. 6
bis
(Consiglio nazionale
della sanità e dei servizi sociali)
L'art. 8 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, è
sostituito dal seguente:
«È istituito il Consiglio nazionale della sanità e
dei servizi sociali con funzioni di consulenza e di proposta nei confronti del
Governo per la determinazione delle linee generali della politica sanitaria e assistenziale e per l'elaborazione e l'attuazione del piano
sanitario nazionale.
Il Consiglio è sentito obbligatoriamente in ordine
ai programmi globali di prevenzione anche primaria,
alla determinazione dei livelli di prestazioni sanitarie stabiliti con le
modalità di cui al secondo comma dell'art. 3 e alla ripartizione degli
stanziamenti di cui all'art. 51, nonché alle fasi di attuazione del servizio
sanitario nazionale e alla programmazione del fabbisogno di personale sanitario
necessario alle esigenze del servizio sanitario nazionale. Il Consiglio è,
altresì, sentito obbligatoriamente in ordine ai
programmi globali di intervento in materia assistenziale, alla determinazione
dei livelli minimi dei servizi sociali che debbono essere garantiti a tutti i
cittadini, alfa determinazione dei profili professionali degli operatori
sociali, alle pensioni ed assegni di carattere continuativo di competenza
dello Stato.
Esso predispone una relazione annuale sullo stato
sanitario e sulla situazione dei servizi sociali del Paese sulla quale il
Ministro della sanità riferisce al Parlamento entro
il 31 marzo di ogni anno.
Il Consiglio sanitario nazionale, nominato con
decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro della sanità,
per la durata di un quinquennio, è presieduto dal Ministro della sanità ed è
composto:
a) da due rappresentanti per ciascuna regione e, per
quanto concerne la regione Trentino-Alto Adige, da due
rappresentanti della provincia di Trento e da due rappresentanti della
provincia di Bolzano;
b) da tre rappresentanti del
Ministero della sanità e da un rappresentante per ciascuno dei seguenti
Ministeri: lavoro e previdenza sociale; pubblica istruzione; interno; grazia e
giustizia; difesa; tesoro; bilancio e programmazione economica; agricoltura e
foreste; industria, commercio e artigianato; marina mercantile; da un
rappresentante designato dal Ministro per il coordinamento delle iniziative
per la ricerca scientifica e tecnologica;
c) dal direttore dell'Istituto superiore di sanità,
dal direttore dell'istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del
lavoro, da un rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche, da dieci
esperti in materia sanitaria designati dal CNEL, tenendo presente i criteri di
rappresentatività e competenze funzionali al servizio sanitario nazionale, e
da quindici esperti in materia assistenziale, di cui
dieci designati dal CNEL, tenendo presenti i criteri di competenza funzionale
rispetto ai servizi socio-assistenziali e cinque designati dalle associazioni
di rappresentanza delle istituzioni private di assistenza sociale (6);
d) da cinque rappresentanti dell'ANCI.
Il Consiglio elegge tra i suoi componenti
un Vice Presidente.
L'articolazione in sezioni, le modalità di funzionamento
e le funzioni di segreteria del Consiglio sono disciplinate con regolamento
emanato dal Ministro della sanità, sentito il Consiglio stesso».
Art. 7
(Compiti delle
regioni)
La potestà delle Regioni in materia di servizi
sociali e di prestazioni economiche, di cui al quarto comma del precedente
art. 4, è svolta nel rispetto delle norme
fondamentali e dei principi stabiliti dalla presente legge.
Le Regioni attuano le finalità della presente legge
mediante la programmazione degli interventi socio-assistenziali coordinati con
gli obiettivi definiti in sede di programmazione nazionale, e con gli
obiettivi generali dello sviluppo regionale, secondo le procedure previste nei
rispettivi statuti, assicurando comunque il concorso
dei comuni e delle province e tenendo conto delle indicazioni e proposte emerse
dalia consultazione delle associazioni regionali, delle formazioni sociali e
degli organismi pubblici e privati del volontariato operanti nel settore.
Le Regioni in particolare provvedono
a:
1) stabilire le norme generali per la
istituzione, l'organizzazione e la gestione dei servizi sociali,
nonché i livelli qualitativi e le forme delle prestazioni;
2) approvare il piano di sviluppo
dei servizi sociali, coordinandolo con il piano sanitario regionale;
3) determinare i criteri generali
per il concorso degli utenti e delle persone tenute al mantenimento e alla
corresponsione degli alimenti al
costo delle prestazioni secondo i principi indicati nel precedente art. 4;
4) determinare le aree territoriali più idonee per
una funzionale organizzazione dei servizi, secondo quanto stabilito al secondo e terzo comma dell'art. 25 del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616; e all'ultimo comma
dell'art. 15 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
4 bis) predisporre e finanziare piani per la formazione
e l'aggiornamento professionale del personale addetto
ai servizi sociali;
5) determinare gli indirizzi di carattere generale
per la erogazione delle prestazioni economiche
straordinarie per i cittadini che si trovino in particolari situazioni di
difficoltà personali o familiari;
6) provvedere alla ripartizione fra i comuni singoli
e associati, comprese le comunità montane, dei fondi comunque
disponibili per l'impianto e la gestione dei servizi sociali sulla base delle
priorità prospettate dagli organismi preposti alla gestione dei servizi e
definite in sede di programmazione regionale;
7) determinare le condizioni e i requisiti per
l'iscrizione delle istituzioni private nell'apposito
registro regionale nel rispetto dei principi fissati nella presente legge;
8) disciplinare le modalità e i
criteri della vigilanza sulle attività socio-assistenziali svolte nell'ambito
regionale, anche ai fini della
revoca dell'iscrizione nel registro di cui all'art. 13;
9) svolgere e promuovere una azione
di assistenza tecnica diretta alla istituzione e al miglioramento dei servizi
sociali e favorire la sperimentazione di nuovi servizi anche mediante istituzioni
specializzate pubbliche o private (7).
La legge regionale stabilisce le norme per la
gestione amministrativa dei servizi sociali svolti dai Comuni singoli o
associati, ne assicura il coordinamento e
l'integrazione con i servizi sanitari gestiti dalle unità sanitarie locali e ne
prevede il collegamento con gli altri servizi finalizzati allo sviluppo
sociale.
La stessa legge regionale può stabilire i modi e i
tempi per l'unificazione degli organi di governo e di gestione dei servizi
sociali e di quelli sanitari, modificando, in tal senso, la denominazione
delle Unità sanitarie locali in Unità socio-sanitarie locali, nonché la distinzione dei servizi sociali, secondo quanto
previsto dall'ultimo comma dell'art. 25 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (8).
Art. 8
(Compiti delle
province)
Le province concorrono alla elaborazione
del piano di individuazione degli ambiti territoriali della unità
socio-sanitaria locale di cui al successivo art. 11 e del piano regionale di
sviluppo dei servizi sociali. Approvano, nell'ambito di tale piano, il
programma provinciale di localizzazione dei presidi
socio-assistenziali ed esprimono il parere sulla rispondenza alla gestione dei
servizi stessi delle delimitazioni territoriali determinate dalla regione.
Le funzioni in materia di assistenza
attualmente svolte dalle province sono trasferite ai comuni singoli o
associati; il personale e il patrimonio delle province destinato alle funzioni
in materia di assistenza già trasferite ai comuni singoli o associati, sono
trasferiti ai comuni nei tempi e con le modalità stabilite dalla legge regionale.
Le somme stanziate nell'esercizio 1980 dalle
amministrazioni provinciali per le funzioni di cui al comma precedente sono
destinate alle Regioni per essere interamente ripartite tra i comuni, secondo
quanto previsto dal n. 6) del secondo comma del precedente art. 7.
Art. 9
(Ruolo dei comuni)
I comuni sono titolari di tutte le funzioni amministrative
concernenti l'assistenza sociale salvo quanto
diversamente disposto dalla presente legge.
I comuni singoli o associati partecipano alla elaborazione, realizzazione e controllo del programma
regionale di sviluppo dei servizi sociali e stabiliscono le modalità per
assicurare ai cittadini il diritto di partecipare alla programmazione dei
servizi stessi, anche mediante l'intervento dei rappresentanti degli utenti e
delle formazioni sociali organizzate nel territorio, ivi compresi gli
organismi rappresentativi delle associazioni e delle istituzioni di cui al
successivo articolo 14.
È affidata ai comuni singoli o associati, ai sensi
dei commi precedenti, la gestione dei beni mobili ed immobili e delle
attrezzature destinate al patrimonio dei comuni e di quello destinato dai comuni stessi a sedi di servizi sociali.
Art. 10
(Compiti dei comuni)
Salvo quanto disposto dall'ultimo comma dell'art. 7 i
comuni per realizzare le finalità della presente legge:
a) provvedono alla organizzazione
del complesso dei servizi sociali pubblici localizzati nel loro territorio
qualificando e potenziando i servizi sociali esistenti, anche attraverso la
trasformazione delle strutture già funzionanti, e istituendo nuovi servizi, e
stipulano convenzioni con le istituzioni private iscritte nel registro di cui
al successivo art. 13;
b) garantiscono il diritto dei cittadini di partecipare
alla gestione e al controllo dei servizi sociali pubblici, stabilendo anche le
modalità d'intervento degli utenti, delle famiglie e
delle formazioni sociali organizzate nel territorio;
c) erogano le prestazioni economiche straordinarie e
temporanee secondo gli indirizzi generali determinati dalla Regione.
Ai fini di cui alla lettera a) i comuni si avvalgono anche della collaborazione del volontariato e
attuano una politica di incentivi in favore delle iniziative di tipo innovatore
e sperimentale.
I corrispettivi delle convenzioni di cui alla lettera a) sono riferiti ai costi del servizio in relazione ai
livelli qualitativi del servizio stesso.
Art. 12
(Libertà
dell'assistenza privata)
In conformità all'ultimo comma dell'art. 38 della
Costituzione è garantita la libertà di costituzione e
di attività alle associazioni, fondazioni e altre istituzioni - dotate o meno
di personalità giuridica - che perseguano finalità assistenziali.
Art. 13
(Registro regionale
istituzioni private)
In ogni Regione è istituito un registro per la iscrizione delle associazioni, fondazioni e istituzioni
private anche a carattere cooperativo, dotate o meno di personalità giuridica,
che intendono essere consultate, nella fase preparatoria della programmazione
dei servizi sociali e concorrere alla stipulazione delle convenzioni di cui al
primo comma dell'articolo 10.
L'iscrizione nel registro delle istituzioni private,
fermo restando il rispettivo regime giuridico-amministrativo,
è disposta dalla Regione, sentiti i comuni singoli o
associati nei cui territori l'istituzione opera, previo accertamento dei seguenti
requisiti:
1) assenza di fini di lucro;
2) idonei livelli di prestazioni, di qualificazione del personale e di efficienza organizzativa ed operativa,
secondo gli standards dei servizi sociali fissati,
ai sensi dell'art. 7, terzo comma;
3) rispetto per i dipendenti delle norme contrattuali
in materia, fatta eccezione per i casi in cui si tratti di prestazioni
volontarie o rese in forza di convenzioni fra le istituzioni e le fondazioni
di cui al primo comma con ordini religiosi o case generalizie (9):
4) corrispondenza ai principi stabiliti dalla presente
legge.
Nel rispetto di tali requisiti i servizi gestiti dai
privati sono inclusi, a domanda, nel piano dei servizi
sociali formulato dalle Regioni con il concorso dei comuni e delle
province e convenzionati ai sensi dell'art. 10 (10).
Per le istituzioni operanti in più regioni
l'iscrizione è effettuata nel registro tenuto presso la regione in cui
l'istituzione ha sede legale, sentite le altre regioni interessate.
Art. 14
(Volontariato)
È riconosciuta la funzione di utilità
sociale delle associazioni e delle altre istituzioni di volontariato dotate o
non di personalità giuridica, liberamente costituite, fondate in prevalenza su
prestazioni volontarie e personali dei soci e che concorrano al conseguimento
dei fini dell'assistenza sociale.
Nell'ambito della programmazione e della legislazione
regionale i comuni singoli o associati possono stipulare con gli organismi di
cui al primo comma, convenzioni per la loro utilizzazione nell'ambito delle
strutture pubbliche o in ambiti esterni e possono prevedere incentivi
finalizzati all'espletamento di attività promozionali
e di servizi innovativi e sperimentali.
Tra le associazioni di volontariato
di cui al primo comma sono ricomprese anche le istituzioni
a carattere associativo, di cui all'art. 45 della legge 23 dicembre 1978, n.
833, che assumano personalità giuridica privata ai sensi dell'art. 18 della
presente legge (11).
Art. 16
(IPAB soppresse)
Le istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza che operano nell'ambito regionale sono soppresse entro il 30
giugno 1980 salvo quanto disposto dagli articoli successivi.
La legge regionale stabilisce le modalità per il
trasferimento delle funzioni dei beni e del personale
delle IPAB che operano nell'ambito regionale ai comuni singoli o associati,
sulla base dei principi stabiliti dai successivi commi.
Le funzioni vengono
trasferite al comune o ai comuni singoli o associati alla cui popolazione erano
destinate le prestazioni dell'istituzione soppressa.
Il patrimonio mobiliare e immobiliare delle
istituzioni, con il relativo arredamento e attrezzature, è trasferito secondo
le modalità ed i criteri stabiliti dalla legge regionale, ai comuni cui spetta
di esercitare le rispettive funzioni secondo le disposizioni del comma
precedente.
I comuni singoli o associati subentrano dal momento del trasferimento, nelle situazioni patrimoniali attive e
passive, e nei rapporti pendenti a qualsiasi titolo, inerenti a beni e loro
pertinenze.
I trasferimenti ai comuni dei beni delle istituzioni
avvengono in esenzione da qualsiasi imposta o tassa di registrazione.
In deroga alle disposizioni previste dalla legge 17
luglio 1890, n. 6972, e della legge comunale e provinciale i comuni sono
autorizzati ad effettuare alienazioni patrimoniali
fino alla concorrenza delle passività accertate alla data del trasferimento
nell'ambito di ogni singola dotazione patrimoniale.
Il personale delle IPAB, di cui ai commi precedenti,
in servizio alla data di entrata in vigore della legge
21 ottobre 1978, n. 641, di conversione del decreto-legge 18 agosto 1978, n.
481, è trasferito ai rispettivi comuni contestualmente al passaggio delle
funzioni nel rispetto della posizione economica e giuridica conseguite presso
l'Ente di provenienza.
I comuni destinatari delle funzioni trasferite, effettuano la ricognizione degli scopi delle IPAB soppresse,
ne assicurano la continuazione dell'attività con gli
adeguamenti necessari per meglio rispondere alle esigenze della comunità locale
assicurando, per quanto possibile, il rispetto dei fini originari, in quanto
compatibili con gli indirizzi del programma regionale (12).
Art. 17
(Trasferimento dei beni
delle IPAB)
Salvo quanto disposto dai
successivo terzo comma, tutti gli immobili trasferiti ai comuni a norma
della presente legge, degli artt. 113 e 117 del
decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, della legge di
conversione 21 ottobre 1978, n. 641, del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481,
della legge 23 dicembre 1975, n. 698, già adibiti a centri assistenziali
degli enti e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza soppresse,
comprese quelle già amministrate dagli Enti comunali di assistenza, debbono
essere destinati a sede di servizi sociali.
In via transitoria e comunque
fintanto che non sarà realizzato un equilibrato sviluppo dei servizi sociali
in tutto il territorio nazionale, i comuni cui sono trasferiti immobili di cui
al comma precedente destinati ad utenti di più comuni, provvedono a
garantire, attraverso l'associazione con i comuni limitrofi o con convenzioni
con altri comuni la continuità delle prestazioni ai cittadini interessati.
I proventi netti derivanti dall'amministrazione e dalla eventuale trasformazione patrimoniale dei beni
acquisiti per trasferimento dai comuni e dalle regioni in forza delle
disposizioni di legge di cui al precedente comma, debbono essere portati ad
incremento dei fondi di bilancio iscritti per lo svolgimento di attività
socio-assistenziali.
La gestione finanziaria delle attività di assistenza e di tutti i beni trasferiti ai comuni concernenti
le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, gli enti comunali di
assistenza e gli enti nazionali di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, viene contabilizzata separatamente.
Art. 18
Le IPAB operanti nell'ambito regionale sono soppresse
entro il 30 giugno 1980, salvo quanto previsto dai successivi commi.
Sono escluse dal trasferimento ai comuni le IPAB
comprese in una delle seguenti categorie:
1) che si tratti di istituzione
avente struttura associativa. Tale struttura sussiste allorché ricorrono
congiuntamente le seguenti condizioni:
a) che la costituzione dell'ente sia avvenuta per
iniziativa volontaria dei soci o promotori privati;
b) che l'amministrazione ed il governo della istituzione siano, per disposizioni statutarie, determinati
dai soci, nel senso che gli stessi eleggano almeno la metà dei componenti
l'organo collegiale deliberante;
c) che l'attività dell'ente si esplichi
prevalentemente, a norma di statuto, sulla base di prestazioni volontarie e
personali dei soci e con mezzi derivanti da atti di liberalità o da contributi
dei soci. Le prestazioni volontarie e personali dei soci non possono consistere
in mere erogazioni pecuniarie;
d) che il patrimonio risulti
prevalentemente formato da beni derivanti da atti di liberalità o da apporti
dei soci;
2) che si tratti di istituzione
promossa ed amministrata da privati, ed operante prevalentemente con mezzi di
provenienza privata. Tale circostanza sussiste allorché concorrono congiuntamente
i seguenti elementi:
a) che l'atto costitutivo o la tavola di fondazione
dell'istituzione siano stati posti in essere da
privati;
b) che almeno la metà dei componenti
l'organo collegiale deliberante debba essere, sempre per disposizione
statutaria, designata da privati e che, in tal casa, il presidente non sia per
statuto scelto tra i componenti di designazione pubblica;
c) che il patrimonio risulti
quasi esclusivamente costituito da beni provenienti da atti di liberalità privata
o dalla trasformazione dei beni stessi, e che il funzionamento sia avvenuto,
nell'ultimo quinquennio, antecedente al 31 dicembre 1978, in prevalenza con
contributi, redditi, rendite e altri mezzi patrimoniali o finanziari di provenienza
privata, e che comunque l'istituzione non abbia beneficiato di finanziamenti
pubblici a qualsiasi titolo in misura superiore al 10% delle entrate
complessive dell'ente nel quinquennio, né abbia percepito rette a carico di
pubbliche amministrazioni in misura superiore alla metà delle entrate
complessive dell'ente nel quinquennio;
3) che si tratti di istituzione
di ispirazione religiosa. Tale circostanza sussiste quando
ricorrono congiuntamente i seguenti elementi:
a) che l'attività istituzionale attualmente
svolta persegua indirizzi e finalità religiosi;
b) che risulti collegata ad
una confessione religiosa mediante la designazione negli organi collegiali
deliberanti, in forza di disposizioni statutarie, di ministri del culto o di
appartenenti a istituti religiosi o di rappresentanti di autorità religiose,
e mediante la collaborazione di personale religioso come modo qualificante di
gestione del servizio.
Sono in ogni caso soppresse:
a) le IPAB il cui organo collegiale deliberante sia
composto, a norma di statuto, in maggioranza da membri designati dai comuni,
province, regioni o altri enti pubblici, salvo che il presidente non sia, per
disposizione statutaria, una autorità religiosa o un
suo rappresentante. Sono altresì esclusi i seminari e le case di riposo per
religiosi, le cappelle e le istituzioni di culto;
b) le IPAB già concentrate o amministrate dagli E.C.A.;
c) le IPAB che non esercitano attività previste dallo
statuto o da altre attività assistenziali. Sono
altresì escluse dal trasferimento ai comuni le IPAB che svolgono
prevalentemente attività di istruzione ivi compresa
quella pre-scolare. Non rientrano nella disposizione di cui al comma precedente le IPAB l'attività delle quali consiste
nella gestione di convitti, istituti di ricovero o orfanotrofi anche se
all'interno si svolgono attività scolastiche, ovvero le IPAB che svolgono
attività di istruzione professionale, per le quali valgono, in quanto
applicabili, le altre disposizioni del presente articolo.
I commi quinto e sesto dell'art. 25 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 616/1977 sono soppressi con effetto dal 1° gennaio 1979.
Il comma settimo del citato art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 è sostituito dal
seguente:
«La legge regionale disciplina i modi e le forme di attribuzioni in proprietà o in uso ai comuni singoli o
associati e a comunità montane dei beni trasferiti alle regioni a norma dei
successivi articoli 113 e 115, nonché il trasferimento dei beni delle IPAB
soppresse, ai sensi del presente decreto, e disciplina, altresì, l'utilizzo
dei beni e del personale da parte degli enti gestori, in relazione alla
riorganizzazione ed alla programmazione dei servizi disposte in attuazione del
presente articolo».
Entro novanta giorni dalla data di entrata
in vigore del presente decreto, il legale rappresentante o altro componente
dell'organo collegiale deliberante delle IPAB interessate alla esclusione del
trasferimento, presenta alle regioni e ai comuni interessati, domanda per
l'applicazione del presente decreto, fornendo gli elementi utili ai fini della
esclusione.
Entro i successivi trenta giorni i comuni interessati
fanno pervenire le proprie osservazioni alla regione.
Entro i successivi sessanta giorni, le regioni, anche
in assenza delle comunicazioni dei comuni di cui al precedente comma,
comunicano alla Presidenza del consiglio dei Ministri, che provvede
immediatamente a trasmetterle alla commissione parlamentare di cui al comma
successivo, le proposte di esclusione dal
trasferimento o di soppressione con riferimento alle domande presentate.
Entro il 31 marzo 1980 una commissione parlamentare, formata da dieci deputati e dieci senatori nominati
dai Presidenti della Camera e del Senato, sulla base delle designazioni dei
gruppi parlamentari, trasmette alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri il parere sulle proposte delle regioni.
Decorso tale termine, il Presidente del Consiglio
dei Ministri, con proprio decreto, provvede in conformità del parere della
commissione parlamentare, prescindendo da esso ove
non sia pervenuto nel termine suindicato.
Le IPAB così escluse dal trasferimento ai comuni,
continuano a sussistere come enti morali assumendo la personalità giuridica di
diritto privato e rientrando nella relativa disciplina, ad eccezione di
quelle cui al comma quarto che conservano la loro
natura pubblica.
Ove non sia stata presentata la domanda di esclusione di cui al precedente ottavo comma, entro il
termine ivi prescritto, le IPAB sono soppresse e trasferite ai comuni, ai sensi
del primo comma del presente articolo.
Il trasferimento ai comuni dei beni, delle funzioni
e del personale per le IPAB soppresse decorre dalla data di emanazione
del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che accerta il difetto
delle condizioni previste per l'inquadramento delle IPAB in una delle
categorie di cui al secondo comma del presente articolo, ovvero dalla scadenza
del termine entro il quale deve essere presentata la domanda di esclusione
dalla soppressione ove la domanda medesima non sia stata presentata.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con proprio
decreto, sentita la regione interessata e su parere della commissione di cui
all'articolo precedente, dichiara quali delle IPAB comprese negli elenchi di
cui al sesto e settimo comma dell'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica
24 luglio 1977, n. 616, svolgono prevalentemente attività di
istruzione ai sensi dei commi quarto e quinto del precedente articolo
(13).
Con proprio decreto, sempre sentita la regione interessata e su parere della suddetta commissione
parlamentare, conferma altresì gli elenchi di cui sopra per la parte relativa
alle IPAB non svolgenti attività prevalentemente di istruzione, salvo per
quelle IPAB nei cui confronti risulti la non inquadrabilità
nelle categorie elencate ai numeri 1), 2), e 3) del secondo comma del precedente
articolo.
Ai fini della esclusione dal
trasferimento alle regioni delle IPAB interregionali di cui alla annotazione
apposta alla tabella B allegata al decreto del Presidente della Repubblica 24
luglio 1977, n. 616, si applicano i criteri di cui al presente decreto.
Art. 19
I divieti disciplinati dal primo comma dell'art. 3
del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, convertito, con modificazioni, nella
legge 21 ottobre 1978, n. 641, hanno applicazione per tutte le IPAB comprese
quelle incluse nell'elenco di cui al sesto comma
dell'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.
616, sino alla data di emanazione del decreto di cui al comma dodicesimo del
precedente art. 18.
Art. 20
Presso il Ministero del tesoro è istituito un Fondo
nazionale per i servizi sociali costituito:
a) dal fondo per gli asili nido
istituiti con legge 6 dicembre 1971, n. 1044;
b) dal fondo speciale di cui
all'art. 10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698 (ONMI);
c) dal fondo sociale di cui
all'art. 75 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (equo canone);
d) dai fondi previsti dall'art.
1-duodecies della legge 21 ottobre 1978, n. 641 (ENAOLI, ONPI, ANMIL);
e) dai proventi netti di cui ai
terzo comma dell'art. 117 del decreto del Presidente della Repubblica
24 luglio 1977, n. 616 (beni in liquidazione degli enti nazionali, sedi
centrali);
f) dalle quote degli utili di gestione degli istituti
di credito devolute in base ai rispettivi statuti, a finalità assistenziali;
g) da una somma aggiuntiva pari a
lire 200 miliardi per il triennio 1980-1982 iscritto nello stato di previsione
del Ministero del tesoro in
ragione di lire 10 miliardi nell'anno 1979, di lire 95 miliardi nell'anno 1980
e di lire 95 miliardi nell'anno 1982.
Le somme stanziate a norma del precedente comma vengono ripartite, sentita la Commissione interregionale di
cui alla legge 19 maggio 1970, n. 281 con delibera del Comitato
interministeriale per la programmazione economica (CIPE) tra tutte le regioni,
su proposta del Ministero della sanità, sentito il Consiglio nazionale della
sanità e dei servizi sociali.
Le somme stanziate a norma del precedente comma vengono ripartite tra tutte le Regioni comprese quelle a
statuto speciale tenuto conto delle indicazioni contenute nei piani regionali e
sulla base di indici e di standards individuati del
consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali, distintamente definiti
per la spesa corrente e per la spesa in conto capitale. Tali indici e standards devono tendere a garantire livelli di prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale eliminando
progressivamente le differenze strutturali e di prestazioni tra le regioni.
Art. 21
(Norme
transitorie)
Le regioni adeguano la propria legislazione agli
obiettivi e ai principi stabiliti dalla presente legge entro un anno dalla sua
entrata in vigore.
Fino al riordino della legislazione regionale le
somme di cui alle lettere a), b), c) e d) del primo comma del precedente
articolo continuano ad essere destinate agli scopi previsti dalle
rispettive leggi e mantengono la suddivisione per regione sulla base
dei criteri stabiliti dalle medesime leggi.
Fino al riordino della legislazione regionale le
somme di cui alle lettere e), f) e g) del primo comma del precedente articolo
sono interamente destinate agli scopi di cui al numero 2) del terzo comma del
precedente articolo.
Trascorso un anno dalla entrata
in vigore della presente legge, una quota del 20% del fondo di cui all'art. 19
è riservata alle regioni che abbiano ottemperato al disposto del primo comma.
La ripartizione avviene sulla base
di programmi presentati dalle singole regioni tenendo conto di
garantire:
1) la gestione dei servizi esistenti;
2) lo sviluppo dei servizi sociali territoriali,
specie di quelli destinati ai minori, agli anziani e agli inabili, in
particolare per le regioni del mezzogiorno, con riferimento alle esigenze di
riequilibrio;
3) le erogazioni economiche
straordinarie di cui all'ultimo comma dell'art. 4 della presente legge.
Alle iniziative di cui al numero 2) del precedente comma deve essere destinato non meno del 30%
del complesso del fondo di tale quota. Non meno del 40% delle somme stanziate
per le spese in conto capitale, deve essere destinato ai territori di cui
all'art. 1 del D.P.R. 30 giugno 1967, n. 1525 (14).
Art. 22
I Comitati provinciali di assistenza
e beneficienza pubblica sono soppressi e le residue
funzioni sono attribuite ai comuni singoli o associati nei modi e nelle forme
stabilite dalle leggi regionali.
[I consigli di aiuto sociale di cui agli articoli 74 e
seguenti della legge 26 luglio 1975, n. 354 sono soppressi. Le funzioni, i beni
e il personale sono trasferiti ai comuni singoli o associati nei modi e nelle
forme stabilite dalle leggi regionali]. Sono abrogate
le norme previste dall'art. 154 del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1971, n. 773, sono altresì
abrogate le norme di cui all'art. 15 del decreto del 23 marzo 1945, n. 173
(15).
Art. 23
(Regioni a statuto
speciale)
Le norme fondamentali della presente legge, in quanto
legge di riforma economico-sociale della Repubblica,
si estendono alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento
e Bolzano.
Art. 24
(Abrogazione di norme
incompatibili)
Sono abrogati:
a) la legge 17 luglio 1890, n. 6972 e successive
modificazioni e integrazioni e relativi regolamenti di esecuzione;
b) gli articoli 91, lettera h), e
144, lettera g), del testo unico delle leggi comunali e provinciali approvate
con regio decreto 3 marzo 1934,
n. 383;
c) la legge 3 giugno 1937, n. 847;
d) il regio decreto-legge 14 aprile 1944, n. 125;
e) ogni altra norma che risulti
incompatibile ed in contrasto con le disposizioni contenute nella presente
legge.
(1) Testo unificato delle proposte di
legge concernenti la legge quadro sull'assistenza approvata dal Comitato ristretto
e attualmente all'esame delle Commissioni Affari Costituzionali e Affari
interni della Camera dei Deputati.
Il testo unificato non comprende gli
art. 11 e 15.
(2) Con riserva del gruppo P.C.I.
(3) Il Comitato ristretto presenterà in
Commissione un nuovo testo delle lettere a) e b) con l'aggiunta di una lettera
c).
(4) Con riserva del Governo.
(5) Con riserva del Governo.
(6) Con riserva del P.C.I. e del P.R.
(7) Con riserva del P.C.I.
(8) Con riserva del P.R.
(9) Con riserva del P.C.I.,
P.S.I., P.R.
(10) Soppresso con riserva della D.C.
(11) Questo comma, in sede di
coordinamento, è da spostare all'art. 18.
(12) Con riserva del P.C.I.
(13) Con riserva di tutti i gruppi.
(14) Con riserva del P.C.I.
(15) Con riserva del gruppo D.C.
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