Prospettive assistenziali, n. 55, luglio - settembre 1981
DOCUMENTO DELLA SANTA
SEDE PER L'ANNO INTERNAZIONALE DELLE PERSONE HANDICAPPATE
In occasione
dell'Anno internazionale delle persone handicappate,
proclamato per il 1981 dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, la Santa Sede
ha diffuso il 4 marzo 1981 il seguente documento.
Fin dal primo momento, la Santa Sede ha accolto con
favore l'iniziativa delle Nazioni Unite di proclamare il 1981 «Anno Internazionale
delle persone handicappate». Se, infatti, per il loro numero - si calcola che
superino i 400 milioni - ma soprattutto per la loro particolare condizione
umana e sociale, tali soggetti meritano il fattivo interessamento della
comunità mondiale, non può mancare, in questa nobile
impresa, la sollecitudine solerte e vigile della Chiesa, che, per sua natura,
vocazione e missione, ha particolarmente a cuore le sorti dei fratelli più
deboli e provati.
Per questo, essa ha seguito con grande attenzione
quanto si è venuto finora attuando a favore degli handicappati sul piano
legislativo, sia nazionale che internazionale: degne
di rilievo, a questo riguardo sono la Dichiarazione dei diritti degli
handicappati da parte dell'ONU e la Dichiarazione concernente i diritti delle
persone mentalmente ritardate - come pure le acquisizioni e le prospettive
della ricerca scientifica e sociale, le proposte innovatrici e le opere di
vario genere che si stanno sviluppando nel settore. Tali iniziative
manifestano una rinnovata presa di coscienza del dovere di solidarietà in
questo specifico campo dell'umana sofferenza, tenendo inoltre presente che nei
Paesi del Terzo Mondo la sorte dei soggetti handicappati è ancor più grave, e
richiede maggiore attenzione e più sollecita considerazione.
La Chiesa si associa pienamente alle iniziative e ai
lodevoli sforzi posti in atto per migliorare la situazione delle persone
handicappate e intende apportarvi il proprio specifico contributo.
Essa lo fa, anzitutto, per fedeltà all'esempio e
all'insegnamento del suo Fondatore. Gesù Cristo,
infatti, ha riservato una cura particolare e prioritaria ai sofferenti, in
tutta la vasta gamma dell'umano dolore, avvolgendoli del suo amore
misericordioso durante il suo ministero, e manifestando in essi
la potenza salvifica della redenzione che abbraccia l'uomo nella sua
singolarità e totalità. Gli emarginati, gli svantaggiati, i poveri, i sofferenti,
i malati, sono stati i destinatari privilegiati dell'annuncio, in parole ed
opere, della Buona Novella del Regno di Dio che
irrompe nella storia dell'umanità.
La comunità dei discepoli di Cristo, seguendo il suo
esempio, ha fatto fiorire, lungo i secoli, opere di straordinaria generosità,
che testimoniano non solo la fede e la speranza di Dio, ma
anche una fede ed un amore incrollabili nella dignità dell'uomo, nel valore
irripetibile di ogni singola vita umana e nel destino trascendente di chi é
chiamato all'esistenza.
Nella visione di fede e nella concezione dell'uomo
che loro è propria, i cristiani sanno che anche nell'essere handicappato
riluce, misteriosamente, l'immagine e la somiglianza che Dio stesso ha-voluto
imprimere nella vita dei suoi figli; e ricordando che lo stesso Cristo ha
voluto misticamente identificarsi nel prossimo sofferente, ritenendo come
fatto a se stesso tutto ciò che fosse compiuto a favore dei più piccoli tra i
suoi fratelli (cf. Mt 25,
31-46), si sentono sollecitati a servire in Lui coloro
che la prova fisica ha colpito e menomato, e non intendono ritirarsi di fronte
a nulla di ciò che debba essere compiuto, sia pure con sacrificio personale,
per alleviarne la condizione di inferiorità. Come non pensare in questo
momento, con viva riconoscenza, a tutte le comunità e associazioni, a tutti i religiosi e le religiose, a tutti i volontari del
laicato che si prodigano nel servizio delle persone handicappate, attestando la
perenne vitalità di quell'amore che non conosce
barriere.
È in questo spirito che la Santa Sede, mentre esprime
ai Responsabili del bene comune, alle Organizzazioni internazionali e a tutti coloro che si dedicano al servizio degli handicappati il proprio
compiacimento ed incoraggiamento per le iniziative intraprese, ritiene utile
richiamare brevemente alcuni principi, che possano essere di guida
nell'approccio di tali persone, e suggerire altresì qualche linea operativa.
Principi fondamentali
1. Il primo principio, che dev'essere
affermato con chiarezza e vigore, è che la persona handicappata (sia essa tale
per infermità congenita, a seguito di malattie croniche, ad infortuni, come
anche per debilità mentale o infermità sensoriali,
quale che sia l'entità di tali lesioni), è
un soggetto pienamente umano, con corrispondenti diritti innati, sacri e
inviolabili. Tale affermazione poggia sul fermo riconoscimento che l'essere
umano possiede una propria dignità unica ed un proprio autonomo valore fin dal suo
concepimento e in ogni stadio del suo sviluppo, qualunque siano
le sue condizioni fisiche. Questo principio, che scaturisce
dalla retta coscienza universale, dev'essere assunto
come il fondamento incrollabile della legislazione e della vita sociale.
A ben riflettere, anzi, si potrebbe dire che la
persona dell'handicappato, con le limitazioni e la sofferenza che porta
iscritte nel suo corpo e nelle sue facoltà, pone in maggiore rilievo il mistero
dell'essere umano, con tutta la sua dignità e grandezza. Dinanzi alla persona
handicappata, siamo introdotti alle frontiere segrete dell'umana esistenza e a
questo mistero siamo chiamati ad accostarci con rispetto e con amore.
2. Poiché la persona. portatrice di «handicaps» è un
soggetto con tutti i suoi diritti, essa deve essere facilitata a partecipare. alla vita della società
in tutte le dimensioni e a tutti i livelli, che siano accessibili alle sue possibilità.
Il riconoscimento di questi diritti ed il dovere della solidarietà
umana costituiscono un impegno ed un compito da realizzare, creando
condizioni e strutture psicologiche, sociali, familiari, educative e
legislative idonee per l'accoglienza e lo sviluppo integrale della persona
handicappata.
La Dichiarazione sui Diritti delle
Persone Handicappate proclama, infatti, al n. 3, che «disabled
persons have the right to respect
for their human dignity.
Disabled
persons, whatever the origin, nature and seriousness of their handicaps and
disabilities, have the same fundamental rights as their fellow-citizens of the
same age, which implies first and foremost the right to enjoy a decent life, as
normal and full as possible».
3. La qualità
di una società e di una civiltà si misura dal rispetto che essa manifesta verso
i più deboli dei suoi membri. Una società tecnocraticamente
perfetta, dove siano ammessi solo membri pienamente
funzionali e dove chi non rientri in questo modello o sia inabile a svolgere un
suo ruolo, venga emarginato, recluso o anche peggio, eliminato, sarebbe da
considerare come radicalmente indegna dell'uomo, anche se risultasse
vantaggiosa. Essa sarebbe infatti pervertita da una
specie di discriminazione non meno condannabile di quella razziale, la discriminazione dei forti e dei «sani»
contro i deboli ed i malati. Bisogna affermare con ogni chiarezza che la
persona handicappata è uno di noi, partecipe della nostra stessa umanità.
Riconoscendo e promovendo la sua dignità ed i suoi
diritti, noi riconosciamo e promoviamo la nostra stessa dignità ed i nostri
stessi diritti.
4. L'orientamento fondamentale nell'approccio ai
problemi concernenti la partecipazione delle persone handicappate alla vita
sociale, dev'essere ispirato dai principi di integrazione,
normalizzazione e personalizzazione. Il principio dell'integrazione
si oppone alla tendenza all'isolamento, alla segregazione e alla marginalizzazione della persona handicappata, ma va anche
al di là di un atteggiamento di mera tolleranza nei suoi riguardi. Esso
comporta l'impegno di rendere la persona handicappata un soggetto a pieno
titolo, secondo le sue possibilità, sia nell'ambita della vita familiare, che
in quello della scuoia, del lavoro e, più in generale,
nella comunità sociale, politica religiosa.
Da questo principio deriva, poi, come naturale
conseguenza quello della normalizzazione,
che significa e implica lo sforzo teso alla riabilitazione completa delle
persone handicappate con tutti i mezzi e le tecniche oggi a disposizione e, ove
ciò non risulti possibile, alla realizzazione di un quadro di vita e di attività che si avvicini, il più possibile, a quello
normale.
Il principio della personalizzazione, infine, mette in
luce che nelle cure di vario genere, come pure nei diversi rapporti educativi e
sociali intesi ad eliminare gli handicaps, si deve
sempre considerare, proteggere e promuovere anzitutto la dignità, il
benessere e lo sviluppo integrale della persona handicappata, in tutte le sue
dimensioni e facoltà fisiche, morali, e spirituali. Tale principio significa ed implica, inoltre, il
superamento di certi ambienti caratterizzati dal collettivismo e
dell'anonimato, nei quali la persona handicappata è talvolta relegata a vivere.
Linee operative
1. Non si può non auspicare che a tali enunciati -
come a quelli della citata Dichiarazione - sia dato
pieno riconoscimento nella comunità internazionale e nazionale, evitando
interpretazioni riduttive, eccezioni arbitrarie, se non addirittura
applicazioni contrarie all'etica, che finiscano per vanificare il senso e la
portata.
Gli sviluppi della scienza e della medicina hanno
permesso, ai nostri giorni, di scoprire nel feto alcuni
piccoli difetti che possono dare origine a future malformazioni e deficienze.
L'impossibilità in cui si trova per il momento la medicina a porvi rimedio, ha
condotto alcuni a proporre ed anche a praticare la soppressione del feto.
Questo comportamento nasce da un atteggiamento di pseudoumanesimo, che compromette l'ordine etico dei valori
oggettivi e non può non essere rigettato dalle coscienze rette. Esso manifesta un modo di agire che, ove fosse applicato in un'età
diversa, sarebbe considerato gravemente anti-umano. Inoltre, la
negligenza deliberata di assistenza o qualsiasi atto
che porti alla soppressione del neonato handicappato rappresentano attentati
non solo all'etica medica, ma anche al diritto fondamentale e inalienabile alla
vita. Non si può disporre a piacimento della vita umana, arrogandosi sopra di essa un potere arbitrario. La medicina perde il suo titolo
di nobiltà quando, invece di attaccare la malattia,
attacca la vita; infatti la prevenzione dev'essere
contro la malattia, non contro la vita. E non si potrà
mai affermare che si vuol recare sollievo ad una famiglia, sopprimendo uno dei
suoi membri. Il rispetto, la dedizione, il tempo ed i mezzi richiesti dalla
cura delle persone handicappate, anche di quelle gravemente affette nelle loro
facoltà mentali, è il prezzo che una società deve generosamente versare per
rimanere realmente umana.
2. Dalla chiara affermazione di questo punto deriva
come conseguenza il dovere di intraprendere più
estese e approfondite ricerche per debellare le cause degli «handicaps». Molto, certamente, è stato fatto negli ultimi
anni in questo campo, ma resta da fare ancora di più.
Agli uomini di scienza spetta il nobilissimo compito
di porre la loro competenza e i loro studi al servizio
del miglioramento della qualità e della difesa della vita umana. Le tendenze
attuali nel campo della genetica, della fetologia,
della perinatologia, della
biochimica e della neurologia, per menzionare solo alcune discipline,
permettono di nutrire la speranza di sensibili progressi. Uno sforzo
unificato delle ricerche non mancherà, come è
auspicabile, di approdare a risultati incoraggianti in un futuro non lontano.
Queste iniziative di ricerca fondamentale e di applicazione delle conoscenze acquisite meritano
pertanto un più deciso impulso ed un più concreto sostegno. La Santa Sede
auspica che le Istituzioni Internazionali, i Pubblici Poteri delle singole
nazioni, gli Organismi di ricerca, le Organizzazioni non governative e
Fondazioni private vogliano sempre più stimolare la ricerca e destinarvi i fondi necessari.
3. L'azione prioritaria di prevenzione degli «handicaps» dovrebbe far riflettere anche sul preoccupante
fenomeno di persone che, in numero elevato, subiscono «stress» e «chocs» che turbano la loro vita psichica e interiore.
Prevenire questi handicaps e promuovere la salute
dello spirito, significa e implica uno sforzo concorde e creativo per favorire
un'educazione integrale, un ambiente, rapporti umani e strumenti di comunicazione
in cui la persona non sia mutilata nelle sue più
profonde esigenze ed aspirazioni - in primo luogo quelle morali e spirituali -
e non subisca violenze che possano finire per compromettere il suo equilibrio
ed il suo dinamismo interiore. Un'ecologia spirituale s'impone al pari di
un'ecologia naturale.
4. Quando lo «handicap», nonostante l'applicazione
responsabile e rigorosa di tutte le tecniche e le cure oggi disponibili, si
rileva irrimediabile e irreversibile, si dovranno ricercare e attuare tutte le altre possibilità di crescita umana e di
integrazione sociale che restano aperte per chi ne sia affetto. Oltre al
diritto alle cure mediche appropriate, la Dichiarazione delle Nazioni Unite
enumera altri diritti che hanno come obiettivo l'integrazione o la
reintegrazione più completa possibile nella società. Tali diritti hanno una ripercussione
molto ampia su un insieme di servizi esistenti o da organizzare, tra i quali
possono essere menzionati l'organizzazione di un adeguato
sistema educativo, la formazione professionale responsabile, i servizi di «counselling», un appropriato posto di lavoro.
5. Vi è un punto che pare meritevole di particolare
attenzione. La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti
delle persone handicappate, afferma che «Disabled persons have the right to live with their
families or with foster parents» (n. 9).
L'effettiva realizzazione di questo diritto risulta estremamente
importante. In effetti, è nel focolare domestico, circondata dagli
affetti familiari, che la persona handicappata trova l'ambiente più
naturale e confacente al suo sviluppo. Tenendo conto di questa configurazione
primordiale della famiglia per lo sviluppo e l'integrazione della persona
handicappata nella società, i responsabili delle strutture medico-sociali e ortopedagogiche dovrebbero progettare la propria strategia
a partire dalla famiglia e facendo di questa la
principale forza dinamica nel processo di cura e di integrazione sociale.
6. In tale ottica, occorrerà tener presente l'importanza
decisiva che riveste l'aiuto da offrire nel momento in cui i genitori fanno la
dolorosa scoperta che un loro figlio è handicappato. Il trauma che ne deriva
può essere di natura così profonda e determinare una crisi talmente forte che scuota tutto un sistema di valori. La mancanza di una
precoce assistenza e di un adeguato sostegno in questa fase può avere
conseguenze nefaste tanto per i genitori che per la persona handicappata. Non
ci si dovrà pertanto accontentare del solo esame diagnostico, lasciando poi i
genitori abbandonati a se stessi. L'isolamento ed il rifiuto della società
potrebbero condurli a non accettare o, Dio non voglia,
a rifiutare la prole handicappata. Occorre, dunque, che le famiglie siano
circondate da profonda comprensione e simpatia da parte della comunità e
ricevano dalle associazioni e dai pubblici poteri una assistenza
adeguata fin dall'inizio della scoperta dell'«handicap» in un loro membro.
La Santa Sede, consapevole dell'eroica forza d'animo
da esse richieste, non può non dare un contributo di
apprezzamento ed esprimere profonda riconoscenza a quelle famiglie che,
generosamente e coraggiosamente, hanno accettato di prendere cura e persino di
adottare bambini handicappati. La testimonianza che esse rendono alla
dignità, al valore e alla sacralità della persona umana
merita d'essere apertamente riconosciuta e sostenuta da tutta la comunità
umana.
7. Quando circostanze particolari o esigenze
speciali, che hanno per fine la riabilitazione della persona handicappata,
esigono il soggiorno temporaneo o anche permanente di questa al di fuori del
focolare domestico, le case di accoglienza e le
istituzioni che si sostituiscono alla famiglia dovrebbero, nella loro
concezione e nel loro funzionamento, avvicinarsi, per quanto possibile, al
modello familiare, evitando la segregazione e l'anonimato. Occorrerà, dunque,
fare in modo che durante il soggiorno in questi centri i
legami delle persone handicappate con la famiglia e con gli amici siano
coltivati con frequenza e spontaneità. La cura amorosa, la dedizione, oltre
che la competenza professionale, di genitori, familiari ed
educatori, hanno ottenuto, secondo molteplici testimonianze, risultati di
insospettata efficacia per lo sviluppo umano e professionale delle persone
handicappate. L'esperienza ha dimostrato - e questo sembra un punto importante
di riflessione - che in un ambiente umano e familiare favorevole, pieno di
rispetto profondo e di sincero affetto, le persone handicappate possono
sviluppare in modo sorprendente le loro qualità umane, morali e spirituali fino
a divenire, a loro volta, donatrici di pace e persino di gioia.
8. La vita affettiva delle persone handicappate dovrà
ricevere particolare attenzione. Quando, soprattutto, per causa del loro
«handicap» fossero impossibilitate a contrarre matrimonio, è importante che
non solo siano convenientemente protette dalla promiscuità e dallo
sfruttamento, ma possano anche trovare una comunità piena di calore umano, in
cui il loro bisogno di amicizia e di amore sia
rispettato e soddisfatto in conformità alla loro inalienabile dignità morale.
9. Il bambino ed il giovane handicappato hanno
evidentemente il diritto all'istruzione. Questa sarà loro assicurata, per
quanto possibile, per mezzo di una scolarità normale, oppure tramite scuole
specializzate secondo la natura degli «handicaps».
Laddove si richieda una scolarizzazione a domicilio, è
auspicabile che le competenti Autorità forniscano i mezzi necessari alle
famiglie. Dovrà ugualmente essere reso possibile e facilitato
l'accesso all'insegnamento superiore ed una opportuna assistenza
post-scolastica.
10. Un momento particolarmente delicato nella vita
della persona handicappata è il passaggio dalla scuola all'inserimento nella
società o nella vita professionale. In questa fase essa ha bisogno della
particolare comprensione e incoraggiamento delle diverse istanze
della comunità. Spetta ai pubblici poteri garantire e promuovere con efficaci
misure il diritto delle persone handicappate alla preparazione professionale e
al lavoro, in modo che possano essere inserite in un'attività
professionale per la quale sono idonee. Una grande attenzione
dovrà essere rivolta alle condizioni di lavoro, come l'assegnazione di posti
in funzione degli «handicaps», giusti salari e
possibilità di promozione. È assai raccomandabile una previa
informazione ai datori di lavoro circa l'impiego, le condizioni e la
psicologia delle persone handicappate. Queste, in effetti, incontrano svariati
ostacoli nel settore professionale, quali, ad esempio, il senso di inferiorità riguardo al proprio aspetto o all'eventuale
rendimento, la preoccupazione di incorrere in incidenti di lavoro ecc.
11. Evidentemente la persona handicappata possiede
tutti i diritti civili e politici, che competono agli altri cittadini e dev'essere, in linea di massima, abilitata al loro
esercizio. Certe forme di handicaps,
tuttavia - si pensi alla categoria numericamente importante dei portatori di handicaps mentali - possono costituire un ostacolo all'esercizio
responsabile di tali diritti. Anche in questi casi si dovrà agire non in
forma arbitraria o applicando misure repressive, ma in base a
rigorosi e obiettivi criteri etico-giuridici.
12. L'handicappato, peraltro, dovrà essere sollecitato
a non ridursi ad essere soltanto un soggetto di diritti, abituato a fruire
delle cure e della solidarietà altrui, in atteggiamento di mera passività.
Egli non è solamente colui al quale si dà, ma deve essere aiutato a divenire
anche colui che dà, e nella misura di tutte le
possibilità proprie. Un momento importante e decisivo nella formazione sarà raggiunto quando egli avrà preso consapevolezza della sua
dignità e dei suoi valori e si sarà reso conto che ci si attende qualcosa da
lui e che anch'egli può e deve contribuire ai progresso e al bene della sua
famiglia e della comunità. Deve avere di se stesso una idea
realistica, questo è certo, ma anche positiva; facendosi riconoscere come
persona in grado di avere delle responsabilità, capace di volere e di collaborare.
13. Numerose persone, associazioni ed istituzioni si
dedicano oggi per professione, spesso per autentica vocazione umanitaria e
religiosa all'assistenza
degli handicappati. In non pochi casi questi ultimi hanno mostrato di preferire
un personale ed educatori «volontari», perché avvertono
in essi un senso particolare di gratuità e di solidarietà. Questa osservazione
mette in luce come competenza tecnico-professionale, se è senz'altro
necessaria e se deve anzi essere in tutti i modi coltivata ed
arricchita, da sola tuttavia non sia sufficiente. Occorre unire all'alta competenza
una ricca sensibilità umana. Coloro che lodevolmente si dedicano al servizio delle persone handicappate devono conoscere con intelligenza
scientifica gli handicaps, ma devono, in pari tempo,
comprendere col cuore la persona portatrice di handicaps.
Essi devono imparare a divenire sensibili ai segni propri di espressione
e di comunicazione delle persone handicappate, devono conquistare l'arte di
porre il gesto esatto e di dire la parola conveniente, devono saper vedere con
serenità eventuali reazioni o forme emotive e imparare a dialogare con i
genitori e i familiari delle persone handicappate. Questa competenza non
diverrà pienamente umana se non è interiormente sostenuta da disposizioni
morali e spirituali appropriate, fatte di attenzione,
sensibilità, rispetto particolare per tutto ciò che nell'essere umano è fonte
di debolezza e di dipendenza. La cura e l'assistenza delle persone handicappate
diviene allora anche per i genitori, educatori e
personale di servizio, una scuola: una scuola impegnativa, nobile ed elevante
di autentica umanità.
14. È molto importante e persino necessario che i
servizi professionali ricevano da parte dei pubblici poteri un appoggio morale
e materiale in vista di un'organizzazione la più adeguata possibile e di un
funzionamento efficace degli interventi specializzati. Molte nazioni hanno già
o stanno dandosi una legislazione esemplare che definisce
e protegge lo statuto legale della persona handicappata. Là dove essa ancora
non esiste, è compito dei governi provvedere alla effettiva
garanzia e alla promozione dei diritti delle persone handicappate. Sarebbe
vantaggiosa, a questo fine, se le famiglie e le organizzazioni volontarie
fossero associate alla elaborazione delle norme
giuridiche e sociali in materia.
15. Anche la migliore legislazione tuttavia rischia
di non incidere sul contesto sociale o di non portare
tutti i suoi frutti, se non è recepita dalla coscienza personale dei cittadini
e dalla coscienza collettiva della comunità.
Le persone handicappate, le loro famiglie e i loro
parenti costituiscono una parte della grande famiglia
umana. Per quanto grande, purtroppo, possa essere il
loro numero, esse formano un gruppo minoritario all'interno della comunità. Già
per questo solo fatto esiste il pericolo che non godano
sufficientemente dell'interesse generale. Si aggiunge a ciò la reazione, spesso
spontanea, di una comunità che rigetta e reprime psicologicamente ciò che non
s'inquadra nelle consuetudini. L'uomo non desidera essere confrontato con
forme di esistenza che riflettono visibilmente gli
aspetti negativi della vita. È così che si origina il fenomeno della emarginazione e della discriminazione come una sorta
di meccanismo di difesa e di rigetto. Tuttavia dal momento
che l'uomo e la società sono veramente umani quando entrano in un
processo cosciente e voluto di accettazione anche della debolezza, di solidarietà
e di partecipazione anche alle sofferenze del prossimo, si deve reagire con
l'educazione alla detta tendenza.
La celebrazione dell'Anno Internazionale delle
Persone handicappate offre pertanto opportunità propizia per un ripensamento
più accurato e globale della situazione, dei problemi e delle esigenze di
milioni di esseri che compongono la famigli umana,
particolarmente nel Terzo Mondo. È importante che questa occasione
non sia lasciata passare invano. Con l'apporto delle scienze e col contributo
di tutte le istanze della società, essa deve condurre
ad una migliore comprensione della persona handicappata, della sua dignità e
dei suoi diritti, e, soprattutto, essa deve favorire l'affermarsi di un amore
sincero e fattivo per ogni uomo nella sua unicità e concretezza.
16. I cristiani hanno una missione insostituibile da
svolgere su questo punto.
Ricordando le responsabilità che loro incombono come testimoni di Cristo, essi devono far propri
i sentimenti del Salvatore verso i sofferenti, e stimolare nel mondo
l'atteggiamento e l'esempio della carità, affinché l'interesse per i fratelli
meno dotati non venga mai meno. Il Concilio Vaticano II ha individuato in tale
presenza caritativa il nucleo essenziale dell'apostolato dei laici, ricordando
che Cristo ha fatto proprio il precetto della carità verso il prossimo «e lo
ha arricchito di un nuovo significato avendo voluto identificare se stesso
con i fratelli come oggetto della carità... Egli infatti,
assumendo la natura umana, con una certa solidarietà soprannaturale ha legato
a sé come sua famiglia tutto il genere umano, ed ha stabilito che la carità
fosse il distintivo dei suoi discepoli con le parole: "Da questo
conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli
altri" (Gv 13,35). La Santa Chiesa, come fin
dalle sue prime origini, unendo insieme la "agapé"
con la Cena Eucaristica, si manifestava tutta unita nel vincolo della carità
attorno a Cristo, così in ogni tempo, si riconosce da
questo contrassegno della carità, e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica
le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile. Perciò la
misericordia verso i poveri e gli infermi e le cosiddette opere caritative e di
mutuo aiuto, destinate ad alleviare ogni umano bisogno,
sono tenute dalla Chiesa in particolare onore» (Apostolicam actuositatem, 8).
In questo «Anno Internazionale delle Persone
handicappate» i cristiani vorranno, pertanto, essere a fianco a fianco con i
fratelli e le sorelle di tutte le altre organizzazioni per promuovere,
sostenere, incrementare iniziative atte ad alleviare la situazione dei
sofferenti e ad inserirli armoniosamente nel contesto della
normale vita civile, nei limiti del possibile; daranno il proprio contributo
di uomini e di mezzi, ricordando specialmente quelle benemerite istituzioni
che, nel nome e per la carità di Cristo, con l'esempio meravigliosa di
persone totalmente consacrate al Signore, si rivolgono a titolo speciale
all'educazione, alla preparazione professionale, all'assistenza post-scolare
dei giovani handicappati, o alla cura generosa dei casi più dolorosi; le
parrocchie e le comunità giovanili di varia denominazione vorranno dedicare
particolare cura alle famiglie ove nasce e matura una di queste creature segnate
dal dolore, e, al tempo stesso, sapranno studiare, continuare ad applicare, e,
se del caso, rivedere metodi adeguati di catechesi per gli handicappati, e
seguire la partecipazione e l'inserimento di questi nelle attività culturali e
nelle manifestazioni religiose, così da rendere tali soggetti - che hanno
preciso titolo ad una appropriata formazione spirituale e morale - membri di
pieno diritto delle singole comunità cristiane.
17. Il Santo Padre, che, all'alba di quest'anno, celebrando la Giornata della Pace, ha ricordato
pubblicamente nella Basilica Vaticana le iniziative
dell'«Anno Internazionale delle Persone handicappate», invocando particolari
premure per la soluzione dei loro gravi problemi, rinnova il Suo invito a
prendersi a cuore la sorte di questi fratelli. Egli ricorda di nuovo quanto ha
detto allora: «Se soltanto una minima parte del
"budget" per la corsa agli armamenti fosse devoluto per questo
obiettivo, si potrebbero conseguire importanti successi e alleviare la sorte di
numerose persone sofferenti» (1 Gennaio 1981). Sua Santità incoraggia le varie
iniziative, che saranno intraprese a livello internazionale, come quelle che
si vorranno prendere in altre sedi, spronando soprattutto i figli della Chiesa
Cattolica a dare l'esempio della generosità totale. E, nell'affidare alla
materna protezione della Vergine Santissima, come ha fatto in quel giorno,
tutti i cari handicappati del mondo, ripete con viva speranza l'auspicio che,
«sotto lo sguardo materno di Maria, si moltiplichino
le esperienze di solidarietà umana e cristiana, in una rinnovata fraternità che
unisca i deboli ed i forti nel comune cammino della divina
vocazione della persona umana» (ib.).
www.fondazionepromozionesociale.it