Prospettive assistenziali, n. 55, luglio - settembre 1981
Il
3 luglio 1981 il PCI ha tenuto una importante riunione
organizzativa.
Pubblichiamo
la relazione introduttiva di cui apprezziamo la corretta impostazione.
I problemi degli handicappati - lo
abbiamo detto più volte - non investono soltanto il settore della sanità o
dell'assistenza, ma riguardano tutti gli aspetti della vita (scuola, lavoro,
casa, trasporti, tempo libero, sport, cultura, sessualità, rapporti
interpersonali, ecc.) e vanno affrontati culturalmente, oltre che tecnicamente
e politicamente, in modo diverso dal passato.
Noi comunisti abbiamo contribuito in
modo determinante a modificare, non solo nelle leggi ma anche nella prassi, la
vecchia cultura della segregazione e dell'emarginazione sostituendola con la
nuova cultura dell'integrazione degli handicappati a tutti i livelli della
società.
Il principio ispiratore
dell'inserimento ha guidato la stessa elaborazione legislativa di quest'ultimo decennio - soprattutto quella regionale ed in
particolare quella delle regioni rosse. Si è passati, infatti, almeno come
linea di tendenza, da una legislazione settoriale, sia pure unificata e più
avanzata rispetto al passato in cui si facevano tante leggi quante erano le categorie
di «sventura», all'inserimento nelle varie leggi per
tutti i cittadini di articoli riguardanti i bisogni specifici degli
handicappati.
Si tratta, ora, di verificare quanto
di questa elaborazione si sia tradotta nella pratica
quotidiana dei nostri compagni amministratori o eletti nelle amministrazioni
locali, quali siano state le difficoltà incontrate per applicarla e, soprattutto,
quanto di questa nuova cultura dell'inserimento sia divenuta patrimonio culturale di tutte le istanze di partito.
Per molto tempo, infatti, la
soluzione dei problemi degli handicappati è stata
affidata soltanto ai compagni cosiddetti «esperti», o ai compagni delle
associazioni di invalidi o a quelli impegnati nei settori dell'assistenza o
della sanità.
È necessario, invece, uscire dal chiuso
degli «addetti ai lavori», coinvolgere in modo più sistematico, e non solo
occasionalmente, anche i compagni impegnati negli altri settori di lavoro del
partito, costituendo eventualmente gruppi permanenti di lavoro e di
coordinamento nei quali, ciascuno per la sua parte di competenza e di esperienza, possa contribuire a risolvere, nell'ambito
delle soluzioni che di volta in volta vengono proposte per tutti i cittadini,
anche i problemi particolari degli handicappati.
Per questo motivo abbiamo convocato
qui oggi compagni impegnati ai vari livelli (partito, parlamento, regioni, enti
locali, servizi, associazioni, sindacati) nei diversi settori di attività: assistenza, sanità, scuola, formazione e
lavoro, ecc.
La nostra riunione dovrebbe essere
concretamente operativa: dovrebbe fare il punto della situazione, permettere
uno scambio di opinioni e di esperienze e,
soprattutto, mettere a fuoco i problemi irrisolti e alcuni nodi da sciogliere,
anche all'interno del nostro partito, per poi poter riprendere la lotta su
tutti i fronti con più chiarezza e incisività, in modo più coordinato che nel
passato e in aderenza alla linea di rinnovamento politico-culturale nei
confronti degli handicappati di cui noi siamo portatori.
Prima di dare la parola ai compagni perché
riferiscano sulle esperienze in atto nel paese e sulle questioni ancora
aperte, ci sembra utile ripercorrere sinteticamente e a grandi linee il cammino
di quest'ultimo decennio durante il quale si è verificato un po' in tutto il mondo e particolarmente
in Italia quel grande moto di rinnovamento che ha fatto della lotta
all'emarginazione in generale il suo punto focale e che vede, tra l'altro,
questo anno dedicato dall'ONU all'handicappato e il prossimo all'anziano.
Nel nostro paese, come già detto, il
partito comunista è stato parte importante in questa battaglia ideale e
culturale ed ha indicato nella via delle riforme la soluzione dei problemi
degli emarginati affermando che le risposte ai loro bisogni
debbono essere trovate nell'ambito delle soluzioni per tutti i cittadini,
superando strutture e interventi speciali e separati, con interventi che
tengano conto delle loro particolari e specifiche esigenze.
Se in questa direzione qualcosa di
concreto si è mosso in questo ultimo decennio ciò, non
a caso, si è verificato con la nascita delle Regioni le quali, anche in assenza
delle attese riforme e sia pure con tutti i limiti dovuti al mancato trasferimento
delle competenze e dei finanziamenti, hanno anticipato le riforme stesse con
leggi regionali che hanno consentito agli enti locali più attivi di
sperimentare nuovi modelli e servizi più rispondenti ai nuovi bisogni. Ma è soprattutto dopo l'approvazione del DPR 616 che le
Regioni e gli enti locali hanno potuto cominciare a riorganizzare e coordinare
i servizi.
Tuttavia, ad eccezione della riforma sanitaria, le
altre riforme previste dal DPR 616 non sono state
fatte; per citarne solo alcune: quelle delle autonomie e della finanza locale,
quella del pubblico impiego (che permetterebbe la mobilità del personale),
quella dell'assistenza.
La stessa riforma sanitaria non ha
ancora il suo Piano sanitario approvato. (Per inciso,
nell'ultima stesura dell'ex Ministro Aniasi erano previsti,
fra l'altro, interventi prioritari per gli handicappati). In questo quadro,
anche i recenti decreti governativi in materia sanitaria non hanno aiutato a
risolvere la situazione.
Di fatto, essi non facilitano la riqualificazione
della spesa sanitaria in direzione dello sviluppo dei servizi territoriali e di interventi innovativi diretti a favorire la deistituzionalizzazione.
Tutto il tema della prevenzione e della riabilitazione,
che più da vicino ci interessa, rischia una seria
battuta d'arresto. Ma più in generale ci troviamo in una fase assai delicata,
in cui il nuovo è stato avviato ma il vecchio ancora
resiste. (Ci troviamo, cioè - ci si passi
l'espressione - in mezzo al guado e dobbiamo moltiplicare i nostri sforzi per
percorrerlo tutto e non permettere che la corrente del riflusso riporti
indietro tutto il vasto movimento delle riforme e della battaglia contro
l'emarginazione).
Col decentramento sono stati avviati i primi processi
di riorganizzazione dei servizi e di riequilibrio
territoriale dei servizi stessi. Contemporaneamente sono cresciute le aspettative della popolazione, che si manifestano ogni
giorno di più con un'incredibile crescita dei movimenti associativi di base;
ma questo positivo processo rischia di arrestarsi perché gli enti locali si
trovano di fronte a serie difficoltà operative anche, ma non solo, per le
ragioni di cui sopra e a causa delle mancate riforme.
Va marcato il ritardo nell'approvazione della riforma
dell'assistenza che non consente agli enti locali più attivi di utilizzare tutte le risorse, non ultime quelle relative
alle IPAB. Ma, oltre il settore socio-sanitario, va marcato il ritardo
nell'approvazione di altre importanti leggi di riforma
che interessano da vicino anche i problemi degli handicappati, ad esempio:
quelle della scuola, dell'apprendistato e del collocamento.
Va denunciato con forza il ritardo, in alcune zone
del nostro paese e in particolare in quelle del sud, nell'attuazione delle
leggi finora conquistate (dai consultori e asili nido alle USL) e il pericolo
che il divario e lo squilibrio fra queste due Italie rappresenta. Qui, particolari iniziative politiche
devono essere assunte dai nostri compagni nei confronti delle amministrazioni
DC su una linea di coerenze che, tra l'altro, ha aggregato forze nuove attorno
alle nostre proposte.
Ma soprattutto - ripetiamo - va messo in evidenza il
pericolo che questa situazione di stallo può rappresentare per un ritorno
indietro sia nel giustificare la privatizzazione dei servizi che nella lotta
all'emarginazione. Due soli esempi, emblematici di
questa situazione: lo stato di applicazione della legge 180 - che ha rappresentato
una svolta storica nel campo della psichiatria e nel modo di affrontare i
problemi dei malati mentali - e quello dell'inserimento scolastico degli
handicappati che, dalle prime sperimentazioni della fine degli anni 60,
tradottesi nella legge 118 per gli invalidi civili del 1971, ha visto una sua
generalizzazione in tutta Italia, specie dopo l'approvazione della legge 517.
In questi due settori il nostro paese è considerato
all'avanguardia in tutto il mondo, sia per la legislazione avanzata che si è dato che per le esperienze in atto. (Da molti paesi, infatti, e da parte di importanti organismi
internazionali si è guardato con estremo interesse all'Italia, si sono fatti
studi e ricerche, si sono inviati esperti a verificare sul campo le nostre
esperienze e realizzazioni).
Ebbene, oggi, per quanto riguarda la legge 180,
vediamo che, di fronte alle obiettive difficoltà in cui si dibattono gli enti
locali e le USL nel riorganizzare i servizi e nell'avviare concrete soluzioni
alternative al ricovero, e, di fronte anche a dimissioni dei malati mentali
non accompagnate da servizi di sostegno al paziente e alle famiglie, nascono
in varie città associazioni di familiari che vengono
strumentalizzate da coloro che sono sempre stati nemici della riforma
psichiatrica e che, per questo tramite, tentano di tornare indietro e di
richiedere la revisione della 180.
Per quanto riguarda l'inserimento scolastico degli
handicappati, il pericolo di riflusso è più subdolo ma non meno grave perché
almeno a parole, nessuno si dice apertamente contrario all'inserimento - specie
in quest'anno internazionale dedicato a loro - ma si fanno sottili distinzioni per gli handicappati
gravi per i quali, di fronte alle difficoltà reali che si incontrano per un
loro inserimento (che non sia solo presenza fisica nella scuola), invece di
cercare di risolvere all'interno della scuola stessa, si ripropongono di fatto
le scuole speciali.
Se questo, a grandi linee, è il quadro che ci
troviamo attualmente di fronte, dobbiamo essere
consapevoli della necessità di riprendere con rinnovato slancio e vigore la
battaglia per le riforme, che ancora attendono di essere varate, e per
l'applicazione in tutto il paese delle leggi già conquistate, sapendo legare a
noi in questa lotta í movimenti associativi.
Contemporaneamente, dobbiamo batterci contro il
riflusso non tanto con dispute ideologiche, che rischiano di creare falsi
problemi di contrapposizione fra interventi tecnici e socializzazione, ma
qualificando maggiormente e dando la giusta collocazione
agli interventi tecnici, assicurando contemporaneamente i necessari
collegamenti fra l'intervento sanitario e gli interventi negli altri settori
della vita sociale.
Una particolare attenzione dobbiamo dedicarla ai
problemi reali e complessi che si pongono quando ci si
trova in presenza di handicaps gravissimi o di handicaps multipli. Queste difficoltà obiettive non devono
rappresentare un alibi per tornare alle scuole speciali o alle istituzioni totali.
È stato dimostrato in alcuni paesi che tali difficoltà possono essere risolte, sempre nell'ottica dell'inserimento, basta che si
abbia un minimo di fantasia e di elasticità nell'organizzare i servizi
alternativi alle istituzioni speciali.
Senza andare tanto lontano, sappiamo che, malgrado tutte le difficoltà prima elencate, in molte
amministrazioni locali, dove i nostri compagni più preparati e più attivi si
sono impegnati in questo campo, si è riuscito a dare risposte giuste e nuove
anche ai problemi più difficili.
È necessario che tutte queste esperienze positive siano conosciute di più all'interno del partito,
ma soprattutto fuori. Per questo abbiamo chiesto ai compagni impegnati nelle
Regioni o nelle amministrazioni locali di riferire qui oggi sulle esperienze in
atto nel paese e sulle questioni ancora aperte.
Pensiamo di utilizzare questo ed altro materiale per
la pubblicazione di un numero unico da distribuire sia alle federazioni che durante il prossimo Festival nazionale dell'Unità, che
si terrà a Torino a settembre, in occasione del quale vorremmo anche
organizzare, con il vostro contributo, un convegno pubblico che faccia il
punto sui problemi degli handicappati.
Poco conosciute sono anche le iniziative del partito
nei due rami del Parlamento e bisogna, anch'esse,
farle conoscere di più. Per questa riunione i compagni parlamentari, impegnati
nelle commissioni (sanità, scuola, lavoro e assistenza) hanno preparato note
informative alle quali rimandiamo per un ulteriore
approfondimento delle varie questioni. Esse riguardano i dibattiti in corso in
Parlamento sulla riforma del collocamento obbligatorio, sui provvedimenti nel
settore sanitario e della scuola, sulla riforma dell'assistenza, sulle
prestazioni economiche e indennità di accompagnamento,
sul finanziamento dello Stato alle associazioni o su altre proposte riguardanti
gli handicappati (barriere architettoniche, alloggi, servizio di aiuto
personale, ecc.).
Ci rendiamo conto che una sola giornata di lavoro é insufficiente. Avremmo voluta
organizzare un seminario di 2-3 giorni, ma per una serie di motivi, non è
stato possibile.
La giornata di oggi dovrebbe
concentrarsi nel mettere a fuoco le iniziative da prendere sul piano politico
e del coordinamento. Su un piano più strettamente tecnico della qualità e
dell'organizzazione dei servizi, dovremo darci un programma di lavoro che consenta momenti successivi di approfondimento per aree
omogenee di problemi, col coinvolgimento più allargato dei compagni interessati
(amministratori, operatori, rappresentanti di associazioni, ecc.).
Infatti, nei singoli settori è necessario quanto prima derimere una serie di
questioni sulle quali troppo spesso ci si arena e sulle quali è necessario un
approfondimento e un chiarimento anche fra i compagni.
Ci
limiteremo ad indicarne alcune, come esempio, nei vari settori.
Nel settore
della sanità, una prima serie di
questioni riguarda i contenuti e il concetto stesso
di riabilitazione, in cui l'intervento sanitario è solo una parte che non deve
essere sottovalutata ma nemmeno enfatizzata. (In
questo quadro è necessario una messa a punto sulla questione controversa delle
varie «tecniche» riabilitative e del controllo scientifico dell'efficacia di
tali tecniche).
- L'organizzazione e la collocazione
dei servizi di riabilitazione all'interno delle USL. (Il
dibattito in corso verte sulla questione se debba esservi un servizio unico, a
carattere dipartimentale, con personale polivalente che si occupi di tutte le
fasce d'età, oppure più servizi divisi per fasce d'età).
- L'individuazione di chi deve dirigere i servizi di
riabilitazione (il fisiatra? il
neuropsichiatra infantile?) e di quale personale deve
operarvi, con quale formazione.
- L'adeguamento ai livelli tecnologici di altri paesi nel settore degli ausili tecnici per consentire
agli handicappati il massimo di autonomia funzionale possibile. (Questo problema è legato, sia alla ricerca scientifica, che
alla preparazione e al tipo di figure professionali da inserire nei servizi di
riabilitazione. In altri paesi chi addestra gli handicappati all'uso, alla
scelta e alla stessa invenzione di semplici ausili tecnici per facilitare le
attività della vita quotidiana è il terapista «occupazionale», figura
professionale che nel nostro paese è stata ritenuta
superata e non necessaria).
Un'altra
serie di questioni riguarda:
- Il rapporto pubblico-privato. (Ad
esempio, come garantire nello schema tipo di convenzione, previsto dall'art. 26
della riforma sanitaria, che gli enti convenzionati si adeguino alla
programmazione e al controllo delle USL?).
- Il problema degli accertamenti sanitari per
stabilire il grado di invalidità che dà diritto a
fruire delle provvidenze previste dalle varie leggi: prestazioni protesiche e riabilitative, collocamento, pensioni,
indennità d'accompagnamento, ecc.
Le
questioni aperte in questa delicata materia riguardano:
- l'organizzazione, composizione e funzionamento
delle Commissioni di accertamento e dei servizi
medico-legali delle USL;
-
la necessità di accelerare i tempi di attesa per le
visite;
- l'individuazione di validi criteri di accertamento. In questo quadro, come passare da un sistema
di percentualizzazione, basato su una presunta
«capacità generica» al lavoro, ad un sistema che valorizzi e individui le capacità
specifiche residue dell'handicappato, anche in presenza di gravi minorazioni
che possono essere compensate, sia attraverso la qualificazione e la
tecnologia, che attraverso un servizio di aiuto
personali? (Le recenti tabelle Aniasi
non vanno purtroppo in questa direzione e bisogna battersi per modificarle).
Un'ultima importante questione riguarda l'integrazione
dei servizi sanitari e sociali e, più in generale, il coordinamento fra gli
interventi sanitari e quelli che riguardano i servizi sociali, la scuola, il
lavoro, la casa, i trasporti, le barriere architettoniche, ecc.
Nel settore
della scuola, abbiamo già messo in evidenza il pericolo di un riflusso nel processo di
inserimento e di un ritorno alle scuole speciali come risposta alle difficoltà
che si incontrano nell'inserire gli handicappati gravi nella scuola.
Desideriamo qui ricordare che il
nostro partito, fin dal 1975, nel suo progetto di legge
sull'inserimento scolastico degli handicappati (proposta Lodi n. 3966 del
23.7.1975) aveva previsto un articolo specifico in cui si teneva conto dei problemi
dei ragazzi gravi.
Per essi si proponeva,
all'interno delle scuole normali, la eventuale predisposizione di strutture e
apparecchiature e la dotazione di personale adeguato. Si prevedeva, inoltre,
l'organizzazione di programmi di attività educative e
formative, tese a realizzare la massima autonomia di tali ragazzi e a
garantire, comunque, la loro socializzazione con attività scolastiche e
parascolastiche comuni. Si prevedeva, infine, una stretta collaborazione fra
gli organi della scuola e i servizi territoriali al fine di una valutazione
periodica dei progressi compiuti dai ragazzi e della possibilità di un loro
completo inserimento nei corsi regolari.
A quell'epoca, questa
nostra proposta per i gravi fu considerata arretrata da alcuni settori dei
movimenti di base e anche da nostri compagni.
L'esperienza di questi anni ci conferma che i
problemi degli handicappati veramente gravi non possono essere cancellati con
semplici dichiarazioni di principio, né possono essere lasciati insoluti,
altrimenti si crea un facile alibi al riflusso.
In questa legislatura abbiamo, quindi, ripresentato
la nostra proposta (progetto Allegra n. 1046 del 27.11.1979) ritenendo
realisticamente che sia comunque preferibile un
inserimento - sia pure graduale, ma dinamico - all'interno della scuola di
tutti, piuttosto che l'esclusione degli handicappati gravi dalla scuola stessa
o la riproposizione delle scuole speciali
Altre
questioni che riguardano la scuola sono:
-
il difficile rapporto scuola-territorio;
-
l'uso e il ruolo degli insegnanti di sostegno previsti dalla legge 517;
-
il problema della preparazione degli insegnanti;
- i compiti e la riqualificazione
dei bidelli al fine di assicurare un aiuto personale agli handicappati non
autonomi;
- il problema delle promozioni e
delle bocciature e la relativa controversia se dare agli handicappati gravi il
diploma o un attestato di frequenza
al termine della scuola dell'obbligo;
- la necessità di una maggiore
attenzione ai problemi degli handicappati che hanno l'attitudine e la capacità
di proseguire gli studi superiori.
(Ad esempio con la dotazione di ausili e sussidi
didattici, con una maggiore vigilanza perché si tenga conto della eliminazione
delle barriere architettoniche nella costruzione di nuove scuole, università,
case dello studente, ecc.).
Nel settore del lavoro, fra le varie questioni aperte, ne sottolineiamo
alcune:
- la necessità di uscire dal l'assistenzialismo, di
contrastare l'aprioristica presunta incapacità lavorativa degli handicappati e
di porre l'accento non sull'invalidità ma sulla persona e sulle sue capacità
specifiche (ossia, non su ciò che manca ma su ciò che
resta e che deve essere valorizzato al massimo);
- la necessità di legare al collocamento un più
corretto orientamento professionale al fine di far
combaciare le attitudini e le capacità residue dell'handicappato al tipo di
lavoro o di preparazione professionale prescelti;
- la relatività del concetto di abilità
lavorativa, che varia nel tempo e nei diversi contesti politici, economici e
sociali. Quindi, anche in questo caso, l'urgenza di rivedere i criteri di accertamento dell'invalidità ai fini del collocamento e
della concessione dell'indennità di accompagnamento, intesa come incentivo
all'inserimento lavorativo degli handicappati non autonomi, ma con residue
capacità lavorative, che altrimenti resterebbero esclusi dal mondo del lavoro;
- la necessità di un maggiore coinvolgimento dei
sindacati e, più in generale, di una maggiore consapevolezza che gli
handicappati fanno parte, a pieno diritto, delle forze del lavoro
anche se ne costituiscono la fascia più debole, tanto debole da non
essere nemmeno riconosciuta come componente del mercato del lavoro;
- l'urgenza di pervenire ad un punto di accordo e di mediazione accettabili fra le contrastanti
richieste delle varie associazioni di invalidi e dei movimenti di base degli
handicappati in merito alla revisione della legge sul collocamento obbligatorio
(e in merito alla questione controversa del lavoro protetto).
Nel settore dell'assistenza e dei
servizi sociali, le questioni da sottolineare sono:
- la necessità di contrastare la politica di monetizzazione dei bisogni, qualificando maggiormente i
servizi e tutti quegli interventi che facilitano l'inserimento sociale,
definendo meglio modalità di organizzazione, orari,
ecc.;
- l'urgenza di modificare la legge 18 sull'indennità
di accompagnamento che doveva servire a favorire la deistituzionalizzazione e l'inserimento. Essa attualmente corre due rischi:
1) che si commettano abusi, facilitati dalle maglie
larghe degli accertamenti sanitari, concedendola a tutti coloro
che sono stati riconosciuti inabili totali, anche se autonomi e anche se ricoverati
in istituto;
2) che il non tener conto delle
capacità lavorative residue spinga molti handicappati gravi, che prima
rifiutavano l'inabilità totale, a chiedere l'aggravamento e a rifugiarsi
nell'area dell'assistenza (proprio al contrario di quanto si cerca di fare in
altri paesi);
- la necessità di risolvere con
urgenza i problemi degli handicappati gravissimi per i quali, dopo
l'inserimento nella scuola dell'obbligo, non è ipotizzabile, allo stato
attuale, un loro inserimento in attività lavorative. Per essi è necessario
garantire un'adeguata assistenza economica e servizi sociali che assicurino
comunque una loro partecipazione alla vita della comunità e un sostegno alle
famiglie;
- un'ultima questione dibattuta riguarda il ruolo del
volontariato e il finanziamento dello Stato alle associazioni.
Per concludere, la riunione
di oggi vede presenti, fra gli altri, i rappresentanti delle associazioni e
dei movimenti di base degli handicappati, e delle loro famiglie.
Troppo poca attenzione il partito ha dedicato
all'associazionismo; se fossimo stati più presenti nelle varie associazioni,
certe politiche clientelari e settoriali avrebbero avuto più difficoltà a
passare.
Forse, si sarebbero vinti, anche, certi dubbi e certe
resistenze nei confronti della linea dell'integrazione che ancora sussistono in
alcuni compagni (come testimonia l'articolo sui problemi dei sordi, uscito
sull'Unità del 13 aprile scorso, al quale è seguito,
sulla pagina delle lettere all'Unità, un appassionato dibattito sull'inserimento).
Un piano di lavoro deve essere definito, a livello nazionale, e a livello di federazioni, per un
collegamento costante con tutte le associazioni e un coinvolgimento dei
compagni che dedicano il loro tempo libero nei vari movimenti associativi.
Ciò, al fine di evitare che ognuno vada per la propria strada, moltiplicando
gli sforzi senza produrre quella necessaria unità di
movimento che coinvolga anche le organizzazioni sindacali e che - sulla base
delle energie in campo - è possibile.
Questa è, tra l'altro, una condizione senza la quale
non si riesce a contrastare il riflusso dei disegni contro riformatori, né a
portare avanti la battaglia per la nuova cultura dell'integrazione.
In questo quadro, va salutata positivamente
l'inclusione di rappresentanti delle associazioni di handicappati nella
consulta nazionale del partito sui problemi dell'associazionismo culturale e
di massa, di recente istituzione, nella quale - e questo è il fatto più positivo - è stato riconosciuto che le associazioni che
rappresentano gruppi «minoritari» (handicappati, tossicodipendenti, ecc.), pur
esprimendo esigenze specifiche, richiedono mutamenti sociali, culturali e di costume
dell'intera società.
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