Prospettive assistenziali, n. 55, luglio - settembre 1981

 

 

Editoriale

 

MARCE INDIETRO

 

 In questi ultimi mesi si devono purtroppo re­gistrare iniziative molto negative che segnano arretramenti anche rilevanti rispetto a posizioni già ritenute definitivamente acquisite.

 

Sentenze della Corte costituzionale sulle IPAB

Con una discutibile sentenza, la Corte costi­tuzionale in data 17 luglio 1981 ha dichiarato illegittimo il trasferimento delle IPAB infraregio­nali ai Comuni singoli e associati stabilito dal­l'art. 25 del DPR 24 luglio 1977 n. 616 (1).

Si tratta di un colpo grosso.

Sul piano politico la sentenza ridà fiato alla concezione segregante dell'assistenza (ricovero in istituto); sotto il profilo economico centinaia di miliardi di patrimoni continueranno ad essere gestiti in modo privatistico.

 

Sentenza del 6 luglio 9972

Sul problema dell'assistenza, la posizione del­la Corte costituzionale è sempre molto arretrata. Basti ricordare la sentenza n. 139 del 6 luglio 1972 (2) in cui la Corte costituzionale aveva ope­rato una triplice distinzione fra:

a) assistenza privata, che non rientrerebbe né nella beneficenza, né nell'assistenza sociale;

b) beneficenza pubblica (unica materia ritenuta di competenza delle Regioni), che sarebbe «ca­ratterizzata essenzialmente (...) dalla discrezio­nalità delle prestazioni in denaro o servizi». Inol­tre sarebbe «determinante in essa la considera­zione della concreta situazione del singolo indi­viduo, la valutazione della personalità e delle condizioni di vita dell'assisti bile, in relazione, pe­raltro, alle disponibilità materiali dell'ente od organo erogante»;

c) assistenza sociale, che sarebbe orientata «nel senso di eliminare o ridurre entro limiti ri­gorosi, ancorandola all'accertamento di dati og­gettivi, la discrezionalità degli organi od enti erogatori, così da rendere progressivamente con­creto quel diritto all'assistenza sociale, che il primo comma dell'art. 38 Cost. vuole sia attri­buito ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprov­visto dei mezzi necessari per vivere».

Inoltre sarebbe preminente nell'assistenza so­ciale «la tipicizzazione legislativa di determina­te categorie di assistibili, per modo che le pre­stazioni rispettivamente previste abbiano a spet­tare a chiunque vi rientri, e per il sol fatto di rientrarvi. E rispettivamente, anche le prestazio­ni (sarebbero), a loro volta, uniformemente sta­bilite alla stregua di valutazioni medie, configu­randosi - tendenzialmente - come sostitutive od integrative di un reddito da lavoro mancante od insufficiente».

Premesso che è indiscutibilmente valida la di­stinzione fra l'assistenza privata e quella pubbli­ca, incomprensibile è invece la separazione fra beneficenza pubblica e assistenza sociale, tanto più per il fatto che la Corte costituzionale è ri­masta ferma alla beneficenza intesa come mera prestazione discrezionale di erogazione, si badi bene, in relazione «alle disponibilità materiali dell'ente od organo erogatore».

L'assistenza, a sua volta, dovrebbe assumere a fondamento la categorizzazione degli assistiti.

 

Sentenza del 17 luglio 1981

Il principio fondamentale emerso negli ultimi trent'anni sulla territorializzazione degli inter­venti non è ancora oggi riconosciuto o è rifiutato dalla Corte costituzionale.

Ne deriva pertanto la seguente affermazione, contenuta nella sentenza della Corte costituzio­nale del 17 luglio 1981: «Non si intende in base a quale presunzione le funzioni delle IPAB infra­regionali siano state, senza alcuna distinzione, considerate (n.d.r. dal DPR 616) d'interesse esclu­sivamente locale (nella fattispecie, comunale), quando è fin troppo noto che in numerosi casi la loro funzione è ultracomunale».

Dunque poiché alcune IPAB ricoverano perso­ne provenienti da qualsiasi zona, questo incivile principio viene preso a pretesto per salvare que­sti decrepiti enti.

D'altra parte la Corte costituzionale ha igno­rato che, mentre le funzioni delle IPAB erano as­segnate ai Comuni, la gestione doveva essere svolta a livello di Unità locale, in base al 2°, 3° e 4° comma dell'art. 25 del DPR 616.

Ora che il trasferimento delle IPAB ai Comuni è stato dichiarato illegittimo i rischi sono molto gravi. In primo luogo le potenti organizzazioni delle IPAB cercheranno in tutti i modi di ottenere una compiacente riforma dell'assistenza, una riforma cioè che lasci le cose come stanno o peg­gio che preveda il trasferimento ai Comuni delle IPAB economicamente passive e la privatizzazio­ne di quelle finanziariamente attive. In tal modo non sarà possibile utilizzare il personale ed i patrimoni delle IPAB per la creazione di servizi alternativi.

In secondo luogo avranno maggiore spazio le Regioni e i Comuni che non vogliono i servizi alternativi e continuano a ritenere che gli istituti di ricovero per minori, per anziani e per handi­cappati siano una soluzione adeguata.

Per evitare che al danno provocato dalla sen­tenza della Corte costituzionale si uniscano an­che le beffe, è urgente che siano messe in atto iniziative affinché le Regioni emanino subito pre­cise norme legislative di salvaguardia, dirette ad impedire che le IPAB alienino i beni immobili e mobili (opere d'arte comprese), gonfino i loro ap­parati burocratici e riducano i livelli di assisten­za, spesso già gravemente scadenti.

Inoltre è necessario che siano esercitate pres­sioni sui partiti e sugli Enti locali di sinistra affin­ché riesamino le loro posizioni in modo che la legge di riforma dell'assistenza in materia di IPAB non segni un arretramento rispetto al DPR 616. Occorrerà soprattutto evitare la privatizzazione delle suddette istituzioni.

Vi è anche da tener presente che le IPAB pos­sono essere estinte ai sensi della legge del 1890 e che questa procedura può essere applicata quando gli enti suddetti, come spesso avviene, non sono in grado di svolgere le funzioni statu­tarie con i propri mezzi. Inoltre occorre che gli Enti locali cessino di versare contributi alle IPAB senza interessarsi di come sono trattati gli as­sistiti.

 

Miliardi ad enti vari

Il Senato e la Camera dei Deputati, con voto unanime, hanno stanziato oltre 16 miliardi a vari enti.

La legge 27 aprile 1981 n. 190 «Contributi a carico dello Stato a favore di associazioni pri­vate per il sostegno delle loro attività di promo­zione sociale» prevede infatti i seguenti versa­menti per il 1980:

Associazione nazionale mutilati ed invalidi civili   350.000.000

Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra  1.100.000.000

Associazione nazionale tra mutilati ed invalidi di guerra  1.200.000.000

Associazione nazionale tra mutilati ed invalidi del lavoro      300.000.000

Associazione nazionale vittime civili di guerra  700.000.000

Unione italiana ciechi  800.000.000

Ente nazionale protezione ed assistenza sordomuti  900.000.000

Unione nazionale mutilati per servizio  400.000.000

Ente nazionale protezione animali  120.000.000

Associazione nazionale combattenti e reduci  150.000.000

Gruppo delle medaglie d'oro al valor militare  20.000.000

Istituto del nastro azzurro  50.000.000

Associazione nazionale partigiani d'Italia  450.000.000

Federazione italiana volontari della libertà  300.000.000

Federazione italiana delle associazioni partigiane  100.000.000

Associazione nazionale ex internati  50.000.000

Associazione nazionale tra le famiglie italiane dei martiri caduti per la libertà della Patria 100.000.000

Associazione nazionale reduci della prigionia  30.000.000

Associazione nazionale deportati politici in campi nazisti  30.000.000

Associazione nazionale combattenti volontari antifascisti in Spagna  30.000.000

Associazione nazionale reduci garibaldini  10.000.000

Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti 50.000.000

Associazione nazionale famiglie di fanciulli subnormali  300.000.000

Associazione bambini Down  520.000.000

Centro piccoli mongoloidi  100.000.000

Uguali importi sono previsti per il 1981.

Va subito detto che non si comprende in base a quale criterio alcune associazioni abbiano ot­tenuto il contributo e altre siano state escluse. Forse un criterio è stato adottato: quello delle associazioni con «padrini».

Da notare che accanto ad associazioni che han­no una lunga storia, anche se non semplice, ve ne sono altre che «sono conosciute da pochi ed hanno una dimensione cittadina» (3).

Va aggiunto che le sovvenzioni più consistenti sono state erogate alle organizzazioni che hanno sempre operato a favore dell'emarginazione e della segregazione degli handicappati.

La caratterizzazione clientelare delle erogazio­ni è dimostrata anche dal fatto che non è previ­sto alcun controllo sulla destinazione dei fondi.

Le associazioni sono solo tenute a trasmettere una volta all'anno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri un rendiconto e una relazione sull'attività svolta.

Inoltre con la legge 27 aprile 1981 n. 161 so­no stati concessi 4 miliardi e 823 milioni all'En­te nazionale di lavoro per i ciechi, ente che avreb­be dovuto essere soppresso da tempo.

 

Altre iniziative negative

Da tempo i giornali cosiddetti di informazio­ne conducono una intensa campagna contro la legge 180 del 1978 che ha soppresso i manicomi.

Ovviamente non attaccano le Amministrazioni regionali e locali che non hanno provveduto alla creazione di servizi alternativi (équipes di Unità locale, comunità alloggio, ecc.), poiché i ritardi maggiori, quando non si tratta di vero e proprio boicottaggio, sono proprio dovuti alle forze poli­tiche sostenute dai giornali stessi.

Attaccano la legge 180 affermando spesso il falso: il ritornello è che in base alle norme del 1978 i parenti sarebbero costretti ad assistere a casa loro i familiari con disturbi psichiatrici, an­che gravi.

Su iniziativa di alcuni genitori di tossicodipen­denti nelle scorse settimane è stata costituita la LENAD, Lega nazionale antidroga, che propugna addirittura come mezzo curativo il ricovero coat­to dei tossicodipendenti.

La stampa ne ha dato ampio risvolto e stupisce che l'Unità abbia sostenuto le posizioni della LENAD (4).

L'aumento delle bocciature nella scuola dell'obbligo, la riduzione indifferenziata della spesa pubblica (e non l'eliminazione degli sprechi), le carenze di intervento delle Regioni e dei Comu­ni (5), i tentativi di ridare potere alle Province, sono altri elementi di preoccupazione.

 

Che cosa fare

Come avevamo già accennato nell'editoriale del n. 51 riteniamo che, stante l'attuale situazione, sia urgente l'assunzione di iniziative concrete per la difesa dei diritti della fascia più debole della popolazione (anziani cronici, handicappati psichi­ci, minori ricoverati in istituti).

Queste iniziative dovrebbero essere soprattut­to di denuncia pubblica, anche penale occorren­do, di casi personali.

L'azione di denuncia, per essere efficace, deve essere collegata a proposte concrete di inter­vento.

Mostre, volantini, articoli sui giornali, interven­ti presso la radio e la televisione sono strumenti da tempo sperimentati con successo.

Agendo in questo modo è possibile non solo dare un aiuto concreto alle persone più indifese, ma anche proporre uno sbocco operativo a colo­ro (singoli o gruppi) che intendono fare qualche cosa nel settore della lotta alla segregazione e all'emarginazione.

In questo numero riferiamo sui risultati posi­tivi di una iniziativa di questo genere. Si veda il Notiziario dell'Associazione famiglie adottive e affidatarie e il programma del Comune di Torino per la deistituzionalizzazione dei minori di età inferiore ai sei anni.

 

 

 

(1) Ricordiamo che la Regione Lombardia ha presentato alla Corte costituzionale le proprie deduzioni fuori termi­ne; la sua costituzione è stata pertanto considerata inam­missibile!

(2) V. l'editoriale del n. 19 di Prospettive assistenziali «Istituzioni civili e religiose contro una nuova assistenza».

(3) V. Orizzonti aperti, n. 1/2, gennaio-aprile 1981.

(4) Si veda in particolare l'articolo «E non è violenta la terapia permissiva» (L'Unità del 10 agosto 1981) in cui l'autore, Saverio Vertone, investe di insulti anche pesanti tutti coloro che non condividono le posizioni della LENAD.

(5) V. l'editoriale del n. 51 di Prospettive assistenziali.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it