Prospettive assistenziali, n. 55, luglio - settembre 1981

 

 

ORGANIZZAZIONE INTEGRATA DEI SERVIZI ASSISTENZIALI E SANITARI (1)

 

 

Premessa

Il gruppo di studio permanente su «Autono­mie locali e servizi sociali» ha affrontato nei suoi ultimi seminari, che si tengono con periodi­cità semestrale, in particolare le problematiche connesse alla riforma sanitaria e al relativo pro­cesso di attuazione.

Il 6, 7 e 8 maggio 1981 sono stati presi in con­siderazione i problemi organizzativi che il rior­dino dei servizi previsto dalla riforma comporta e l'integrazione dei servizi assistenziali con quel­li sanitari.

Dall'analisi svolta nei tre giorni di lavoro è sca­turito il documento allegato col quale si tenta di fornire un contributo di orientamento soprattutto agli amministratori delle Unità sanitarie locali sui quali gravano in questo momento compiti ve­ramente difficili.

 

Questione istituzionale

Nel momento in cui, su gran parte del territo­rio nazionale, ultimato il processo costitutivo, gli amministratori locali affrontano per la prima vol­ta il problema dell'impianto programmatico ed organizzativo delle Unità locali, permangono irri­solte a vari livelli questioni di rilevanza essen­ziale.

 

Piano sanitario nazionale. La mancanza del P.S.N. priva le Regioni e le autonomie locali di precisi punti di riferimento finanziario e di indi­rizzo degli interventi. Inoltre le proposte gover­native attualmente in discussione al Senato, con­tengono orientamenti in netto contrasto con lo spirito e la lettera della legge di riforma sanita­ria n. 833/78. Valga l'esempio della reintroduzio­ne della possibilità generalizzata di ricorso in forma indiretta alle prestazioni delle strutture private non convenzionate.

 

Norme di delega ex art. 12 e 63 del D.P.R. 761/79. La mancata emanazione da parte del Go­verno delle norme sulle procedure di concorso e sulle attribuzioni del personale non medico gene­rano una situazione nella quale le Regioni rischia­no di non garantire il turn-over del personale e diviene sempre più difficile mantenere gli attuali livelli dei servizi.

 

Legge quadro dell'assistenza sociale. La man­cata approvazione della legge quadro sulla assistenza sociale rende più difficile il processo di integrazione e di programmazione unitaria dell'intervento socio-sanitario.

Si deve peraltro sottolineare che il disegno di legge unificato oggi all'esame del Parlamento non corrisponde alle necessità di rinnovamento complessivo espresse dal movimento democrati­co ed autonomistico, già recepite in gran parte dal D.P.R. 616/77. In questo quadro è da valutare positivamente e da sostenere l'orientamento cri­tico recentemente espresso dalle Regioni.

Altre gravi questioni sono quelle emergenti dall'attuazione assai discutibile della convenzio­ne unica dei medici di base e dalla stipula del primo accordo unico del personale del comparto sanitario. Tali questioni, che coinvolgono in più ampi conflitti l'intera società, rischiano ora di aggravarsi di fronte al contraddittorio atteggia­mento governativo ed alla ipotesi da esso avanza­ta di un blocco totale della contrattazione nel pubblico impiego.

In questo quadro non sempre l'atteggiamento delle organizzazioni sindacali è apparso adeguato e all'altezza dei problemi suscitati dalla riforma. In particolare si deve sottolineare la necessità di offrire validi contributi, circa i problemi della professionalità e delle responsabilità ad essa connesse, nonché a quelli della mobilità.

Alle inadempienze di livello nazionale si som­mano quelle di talune Regioni che alle varie scadenze fissate dalla legge di riforma si sono pre­sentate con gravi ritardi o con scelte politiche di rinvio. Questa differenziazione pesa su tutto il processo riformatore dislocando le Regioni su di un fronte frastagliato che le rende complessi­vamente più deboli.

Comunque si deve rilevare che anche l'opera­to delle Regioni più puntuali nel rispetto dei tem­pi fissati dalla riforma non è esente da ritardi ed errori. A questo proposito, mentre è da segnalare in particolare che una parte delle Regioni ha ap­provato leggi regionali per lo scioglimento delle IPAB, neppure va dimenticato il non sempre coe­rente svolgimento della linea di unificazione del­le competenze in un unico governo, nonché l'in­sufficienza delle scelte operate in materia di di­stretti e partecipazioni.

Con riferimento a quanto sopra le Regioni de­vono oggi assumere gli atti necessari per ade­guare le zonizzazioni alle esigenze di integrazio­ne e partecipazione, sia per quanto riguarda la ridefinizione dei confini delle Comunità monta­ne, sia per quanto riguarda la realizzazione delle più larghe gestioni polifunzionali, cogliendo nella riorganizzazione dei servizi socio-sanitari l'occa­sione per realizzare un altro gradino della rifor­ma generale delle autonomie locali.

La situazione descritta, che presenta eviden­temente numerosi elementi di precarietà e di controriforma, non annulla il valore della riforma sia sotto il profilo della salute dei cittadini, sia sotto il profilo dell'assetto complessivo dello Stato.

Tale situazione quindi non deve costituire mo­tivo di disimpegno per tutte quelle forze che unitariamente le riforme hanno imposto, ma richie­de invece uno sforzo crescente degli amministra­tori locali sia per quanto riguarda il tempo im­pegnato, sia per quanto riguarda la capacità di misurarsi sui problemi di attuazione che anche a livello locale la riforma impone.

Lo sforzo rinnovato che si richiede deve indi­rizzarsi particolarmente nella direzione di favo­rire comunque il processo di aggregazione delle competenze e di integrazione dei servizi, atti­vando iniziative tese a rilanciare tutte quelle for­me di partecipazione che costituiscono il fonda­mento di un sistema socio-sanitario rinnovato. Una attenzione particolare va rivolta alla neces­sità di coinvolgere nel processo gli operatori del settore, non dimenticando il peso politico-cultu­rale del loro ruolo attuale ed il contributo rifor­matore espresso dai gruppi più avanzati di essi.

Una occasione importante per respingere il ten­tativo di ridurre l'Unità sanitaria locale ad un nuovo corpo separata è data oggi dalla stesura degli statuti delle Associazioni dei Comuni.

Infatti in tale quadro dovranno emergere tutti gli elementi in grado di garantire che:

- l'assemblea possa svolgere una funzione essenziale ed autonoma nell'indirizzo e nel con­trollo della gestione. A tale scopo in primo luogo necessita che l'assemblea sia dotata di propri or­gani diversi dal comitato di gestione e dal presi­dente di esso, sia articolandosi in commissioni per materia - al fine di compiere l'istruttoria degli atti di sua competenza - sia nominando un proprio presidente;

- i Comuni, attraverso adeguate procedure (quali invio degli atti, assemblee dei sindaci, ecc.) non siano esautorati dallo svolgersi di un processo di cui invece devono essere protago­nisti.

 

Questione metodologica-organizzativa

Nel quadro dell'assetto istituzionale riformato, aspetti nevralgici caratterizzanti concretamente una sostanziale riforma appaiono essere, al mo­mento attuale, sul piano metodologico i seguenti tre: gli uffici di direzione, i distretti di base e i progetti-obiettivo.

Infatti il modo con cui ciascuno di questi aspet­ti organizzativi sarà affrontato potrà essere espressione di due diversi e contrapposti approc­ci: il primo sostanzialmente basato sulla riprodu­zione del vecchio assetto e dei vecchi metodi e mentalità (procedure macchinose, centralismo, settorialismo, inefficienza, spreco, corruzione, pa­ternalismo, indifferenza verso i bisogni della gen­te, uso strumentale dei servizi a fini personali, ecc.); il secondo che tende a stabilire condizio­ni di adattamento reale dei servizi ai bisogni, di efficacia e funzionalità degli interventi, della loro integrazione, di coinvolgimento concreta delle forze sociali nelle scelte di impostazione, di destinazione delle risorse e verifica dell'andamento dei servizi.

 

Uffici di direzione

Scelte significative, a tal riguardo, sono legate alla composizione e al funzionamento dell'ufficio di direzione.

Relativamente alla composizione appare ne­cessaria la presenza in esso sia della compo­nente più direttamente legata alle problematiche e ai servizi sociali sia dei coordinatori dei singoli distretti di base in cui si articola l'USL.

Quest'ultimo tipo di presenza è evidentemente un fatto politicamente rilevante che va affermato superando le interpretazioni restrittive dell'attua­le legislazione.

Circa il funzionamento occorrerà concretizza­re modalità di gestione collegiale (contrapponen­dosi alla tendenza ad una conduzione personali­stica, separata e dirigistica che finisce col con­siderare ogni singolo servizio autarchico).

I tre coordinatori (sanitario, amministrativo e sociale) hanno perciò il ruolo di:

- assicurare una reale, intelligente ed effica­ce integrazione dei servizi, superando le prece­denti strozzature e contrapposizioni;

- garantire il costante adeguamento degli in­terventi ai programmi adottati;

- realizzare il collegamento funzionale tra le attività operative (ai vari livelli) e le attività di informazione, di studio, di programmazione e di formazione permanente;

- assicurare il collegamento con gli organi politici e, in particolare, con il comitato di ge­stione.

Ovviamente anche per i tre coordinatori vale il principio della collegialità che viene in primo luogo richiesta dall'esercizio dei compiti su in­dicati e che dovrà comportare uno sforzo per su­perare l'ottica del settore di provenienza delle varie professionalità.

Il coordinatore sanitario sarà così portato ad acquisire sensibilità al contenimento delle spe­se e degli sprechi nonché alla necessità di rispo­ste non medicalizzate a determinati problemi; il coordinatore amministrativo, oltre al compito di snellire e rinnovare le procedure - anche ai fini dell'efficacia e della possibilità di verifica - con­tribuirà direttamente all'organizzazione razionale dei servizi, eliminando le strozzature burocrati­che; il coordinatore sociale non dovrà porsi in posizione subalterna e marginale, ma attivare le dimensioni socializzate, contribuendo a ridur­re le tendenze alla sanitarizzazione e all'assi­stenzialismo. (Non tutte le leggi regionali pre­vedono il coordinatore sociale: l'occasione per la sua istituzione può essere data dalle leggi re­gionali di riordino delle funzioni assistenziali).

Proprio per cercare in ogni modo di evitare di riprodurre i vecchi schemi l'ufficio di direzione dovrà disporre immediatamente di un apposito gruppo di lavoro per la ricerca e per la programmazione (distrettualizzazione, riorganizzazione dei presidi, aggregazioni nelle équipe).

 

Distretti di base

Sono strumenti essenziali per garantire l'ade­guamento degli interventi (e le loro modalità) ai bisogni, l'integrazione tra gli interventi (in par­ticolare tra quelli sociali e sanitari), il loro inse­rimento nel contesto socio-economico e culturale e il coinvolgimento diretto delle forze sociali e dei cittadini disponibili.

L'organizzazione integrata delle attività distret­tuali è la traccia fondamentale per organizzare il complesso dell'Unità locale e in particolare per riorganizzare le attività dei presidi specialistici.

Il distretto è quindi catalizzatore delle esigen­ze e delle risorse locali, modello per l'organizza­zione dipartimentale degli interventi, interlocu­tore attivo dei livelli centrali dell'Unità locale nelle scelte di programmazione nel sistema in­formativo, nelle verifiche. È sede privilegiata per la saldatura del momento terapeutico e di quello preventivo e riabilitativo sia attraverso gli inter­venti di tipo individuale che di tipo collettivo.

L'attività distrettuale va organizzata come un tutto unitario, da subito anche a partire da mezzi minimi, e costituisce il nucleo attorno a cui ag­gregare gradualmente interventi e risorse.

Gli operatori di distretto, costituendo un tutto organico, operano in modo collegiale con il me­todo di équipe, sono funzionalmente guidati da un coordinatore (necessariamente a tempo pie­no) che fa parte, come già accennato, dell'ufficio di direzione. Egli deve essere espressione, più che di una singola capacità professionale, della disponibilità al lavoro di gruppo e della capacità di sintetizzare le complesse componenti presen­ti sul territorio.

Proprio per la configurazione dell'équipe di­strettuale come strumento importante e alterna­tivo al vecchio tipo di servizio e per il peso cen­trale che assume nell'USL (in un certo senso di rilievo analogo a quello di servizi centravi come l'ospedale), è necessario che il coordinatore ab­bia responsabilità precise anche rispetto agli or­gani centrali dell'USL e pertanto deve essere nominato dal comitato di gestione. Tutto ciò an­che perché i diversi operatori del distretto possa­no rispondere della loro attività nell'ambito dei programmi di lavoro del distretto e non con una dipendenza settoriale e verticale dai responsabi­li dei diversi servizi centrali.

Va richiamata inoltre l'attenzione degli ammi­nistratori dell'USL e dei Comuni sulla necessità di avviare subito la consultazione con la cittadi­nanza sui problemi concreti, attuali e destinati a pesare a lungo sulla politica locale quali la de­limitazione dei distretti, le sedi per i centri so­cio-sanitari di distretto, la rilevazione dei bisogni più urgenti e la scelta degli interventi più oppor­tuni, la composizione delle prime équipes terri­toriali, le modalità di erogazione delle prestazio­ni, il calcolo del fabbisogno di operatori per av­viare il processo di costruzione della pianta or­ganica.

È importante infatti che l'amministratore non si senta schiacciato personalmente dalla com­plessità dei problemi e delle difficoltà, ma senta che si tratta di una responsabilità collettiva e sappia utilizzare gli strumenti offerti dalla parte­cipazione anche per sostenere l'attività del co­mitato e per trovare le più opportune soluzioni ai problemi più difficili e contrastati.

A tali fini risultano utili pubbliche assemblee, un'informazione ampia, un impegno costante de­gli amministratori, dei consiglieri comunali e degli operatori.

Per quanto attiene ai medici convenzionati, sia per valorizzare l'aspetto pubblico della loro fun­zione, sia per attuare quanto previsto dalla con­venzione unica, è molto importante che gli amministratori facciano in modo che essi collabo­rino all'attuazione delle attività programmate dal distretto (mappa dei rischi, progetti-obiettivo, educazione sanitaria, servizi informativi ed epi­demiologici, riduzione delle spese inutili da far­maci e da esami ecc.).

Per quanto riguarda i servizi socio-assistenzia­li risulta necessaria la loro unificazione nell'am­bito del distretto, eliminando ogni divisione tra dipendenze funzionali diverse (Comuni, Circo­scrizioni, Comunità montane, ecc.).

La ristrutturazione, il potenziamento e la pro­grammazione dei servizi socio-assistenziali nel senso su indicato (tenendo anche presente quan­to espresso a proposito dal coordinatore socia­le) appare essenziale per riequilibrare i rapporti tra sociale e sanitario sia in linea generale sia in particolare (negli interventi che comportano entrambe le componenti come ad esempio, la malattia mentale o l'handicap) e per mettere in condizione l'USL di rispondere ai bisogni di ca­rattere nettamente socio-culturale (ad es.: pro­blemi di emarginazione, richieste dei tribunali per i minorenni, ecc.).

 

Progetti-obiettivo nella pianificazione locale

A differenza della tendenza a considerare i progetti-obiettivo come aree di intervento stati­che (riproducendo in qualche modo il modello dei servizi settoriali o per fasce di età), nell'USL essi vanno concepiti come piani unitari di inter­vento chiaramente finalizzati al conseguimento di obiettivi concreti (es.: riduzione dell'istituziona­lizzazione, della mortalità infantile, ecc.) perse­guibili con l'individuazione di risorse e meto­dologie precise e verificabili nei loro risultati in un arco di tempo definito.

I progetti-obiettivo non si aggiungono alle at­tività preesistenti, ma costituiscono una modali­tà diversa di organizzare l'uso di risorse e degli operatori intorno ai principi essenziali della ri­forma (prevenzione, integrazione, partecipa­zione).

I progetti si adeguano alle esigenze e -alle prio­rità locali ed hanno un carattere temporaneo (o perché il bisogno cessa, o perché viene ridimen­sionato per effetto dello stesso progetto perché le modalità messe a punto diventano acquisizio­ni della normale attività).

 

Questioni gestionali

La gestione delle USL rischia di riprodurre al­cune caratteristiche del sistema assistenziale tradizionale.

Incide in particolare per il suo peso e il ruolo dei funzionari da essa provenienti la tradizione ospedaliera e mutualistica che tende a configu­rare l'USL come azienda municipalizzata, piutto­sto che come Ente locale democratico secondo le scelte della riforma.

Si registrano infatti diffuse tendenze:

- alla burocratizzazione intesa come rinuncia ad una dimensione politico-programmatoria vol­ta alla trasformazione del sistema dei servizi, per la semplice gestione dell'esistente;

- al verticismo, inteso come accentramento delle decisioni con una corrispondente deresponsabilizzazione degli altri livelli operativi e am­ministrativi;

- al settorialismo, inteso come riproduzioni di ambiti di potere e di attività rigidamente separa­ti (a partire dalla permanente divisione tra sani­tario e sociale) che impediscono l'approccio glo­bale ai problemi e l'impostazione unitaria degli interventi.

Gli stessi comitati di gestione esauriscono gran parte della loro attività nell'ordinaria ammi­nistrazione, non riuscendo ad assumere il ruolo loro specifico di indirizzo politico e di controllo di coerenza fra i singoli atti e le scelte di pro­spettiva.

È scelta politica qualificante assumere la pro­grammazione come metodo di governo, diretta­mente finalizzata a indirizzare la gestione.

Si deve infatti uscire da una visione del piano come libro dei sogni che poi finisce nei cassetti, per configurarlo come strumento che si costrui­sce progressivamente e continuamente si ade­gua in ordine agli stimoli che la realtà ed espe­rienza forniscono e che, senza rinunciare a scelte qualificanti in ordine al merito dei problemi, sa tradurla in indicazioni concrete che prevedano quindi obiettivi intermedi, tempi, risorse, stru­menti di verifica.

Tale metodologia programmatoria consente di valorizzare il dibattito politico e la partecipazio­ne sociale, che concorrono così alla definizione degli obiettivi e alla funzione di valutazione e controllo affinché vengano costantemente ali­mentati da conoscenze adeguate. Anche a tale fine è urgente l'avvio nelle USL di un sistema informativo alimentato dall'attività quotidiana sia dei servizi operativi che di quelli amministrativi; senza tutto affidare a sofisticate e costose tec­nologie informatiche, si deve poter così disporre di continuo, ed ai diversi livelli, delle informazio­ni necessarie da un lato per la formulazione dei programmi, dall'altro per valutare l'efficienza dei servizi, i loro costi e la loro efficacia.

Malgrado le difficoltà della fase di avvio delle USL è necessario che esse procedano subito alla predisposizione del piano socio-sanitario sia pur con tutti i limiti conoscitivi e metodologici che la situazione non consente di superare, ma co­munque impegnate a definire le scelte strategi­che che debbono guidare la realizzazione della riforma sul territorio considerato, quantificando le risorse disponibili e individuando quanto è su­bito realizzabile.

In questa prospettiva è indispensabile eviden­ziare l'intreccio tra la costruzione del piano e alcuni atti (bilancio, pianta organica, distrettua­lizzazione, delibere di rilievo), che soprattutto in questa prima fase anticipano indirizzi e scelte che condizioneranno la stessa formulazione del piano e che costituiscono così dei primi atti programmatici.

In questa logica il bilancio rappresenta il mo­mento di realizzazione concreta delle scelte, quantificando e finalizzando le risorse. È un fatto non certo tecnico, ma politico, che va quindi pre­parato con momenti di coinvolgimento dei Comu­ni, delle forze sociali, degli operatori, e rappre­senta anche un momento fondamentale di con­trollo sulla attuazione del piano.

In una logica di piano anche la pianta organica va vista come fatto progressivo, dinamico, funzionale, evitando pericolose rigidità nell'uso del­le risorse umane.

Essa va quindi specificata via via che si ven­gono ad attuare i servizi e gli interventi e an­drebbe rivista ogni volta che si procede a revisio­ni delle scelte effettuate.

Bisogna riconoscere che il DPR 761 propone indirizzi e vincoli contrastanti con la logica della riforma, esaspera logiche corporative e di gerar­chizzazione e rende difficile la valutazione dei ruoli di responsabilità del personale proveniente dalle esperienze che in questi anni hanno in cer­to modo anticipato la riforma e avviato esperien­ze innovative e riduce le possibilità fra diffe­renti livelli.

Per la sua rilevanza politica anche la defini­zione della pianta organica va effettuata con un serio dibattito che corresponsabilizzi gli opera­tori e le organizzazioni sindacali, troppo spesso chiuse in logiche rivendicative non sufficiente­mente attente alle esigenze di riqualificazione dei servizi.

Momento importante nella predisposizione del piano è l'organizzazione dei servizi di base sul territorio, che si realizza con la definizione dei distretti di base. Tale scelta va quindi effettuata coinvolgendo Enti locali, forze sociali, operatori di base, in una attenta analisi della distribuzione della popolazione, dei rapporti esistenti fra i di­versi nuclei, dei problemi di accessibilità, della omogeneità dei bisogni e della loro localizza­zione dei servizi.

La pianta organica, così affrontata, diviene un importante momento di ricognizione della situazione sul territorio.

La logica qui proposta porta a sottolineare co­me ogni singolo atto amministrativo vada inse­rito in una prospettiva di insieme. Per quanto possibile bisogna quindi evitare un indebito pro­liferare di delibere che finirebbero per congestio­nare gli organi di gestione rendendo ad essi più difficile qualificare le loro scelte e dare esito coe­rente sul terreno dell'organizzazione e del fun­zionamento dei servizi ad un processo politico e partecipazione volto a realizzare la riforma.

In tal senso va sottolineato che la delibera è l'unico atto amministrativo su cui si può eserci­tare un controllo di merito anche da parte di sog­getti esterni alle USL, quali i Comuni, le forze politiche e sociali, altri soggetti interessati dell'atto deliberativo.

 

Formazione degli operatori

Gli interventi di formazione professionale as­sumono un'importanza primaria per procedere al riordino dei servizi.

La situazione attuale, mentre gli organi di go­verno della riforma hanno cominciato a funzio­nare in quasi tutte le Regioni, registra il perma­nere di una incomprensione del rilievo che tale questione riveste a tutti i livelli istituzionali: quello nazionale, quello regionale e quello delle unità locali dei servizi.

Il quadro attuale si presenta con queste carat­teristiche.

 

Livello nazionale

Tutti gli adempimenti previsti dalla legge 833/78 (in particolare la legge quadro sulle figure previste dall'art. 6) in ordine alla formazione professionale sono stati finora elusi anche per­ché a tale livello i problemi vanno oltre le com­petenze di settore e coinvolgono direttamente quello della scuola a cui sono strettamente in­trecciate.

Appare oggi non facile una ridefinizione dei curricola formativi degli operatori dei settori assistenziale e sanitario indipendentemente dalla riforma della scuola media superiore.

Era però possibile, com'è previsto dalla leg­ge 833, la definizione delle figure professionali sulla base della individuazione delle funzioni presenti nei servizi in modo da fornire anche un contributo alla riforma della scuola media supe­riore presentando le esigenze del settore in or­dine ai contenuti se non ai curricola formativi.

Vanno anzi registrati dei segnali di tipo nega­tivo, che possiamo definire senz'altro controriformatori, quale un progetto di legge quadro sulla formazione degli operatori sanitari, infermieristi­ci e tecnici, predisposto dalla direzione gene­rale ospedali del Ministero della sanità e inviato alle Regioni in cui si devono sottolineare i se­guenti due punti, a nostro avviso, particolarmen­te gravi:

1 - la prefigurazione di un canale formativo completamente separato dal sistema educativo nazionale. Val la pena di ricordare che questa è la situazione attuale e che nessun altro paese tra quelli industriali (ma anche diversi paesi dell'America latina) ha il sistema di formazione pro­fessionale degli operatori sanitari staccato dal sistema educativo nazionale;

2 - vengono complessivamente individuate cir­ca 40 figure professionali a fronte di una elabo­razione culturale largamente maggioritaria che raccomanda, sulla base delle funzioni individuate nei servizi la riduzione delle circa 20 figure pro­fessionali attualmente regolamentate. Mentre quindi lo spirito e la lettera della riforma porta­no ad una contrazione, oltre che alla ridefinizione, del numero di figure professionali, l'organo cui la legge 833 attribuisce la funzione principale di sovrintendere e promuovere l'applicazione della riforma propone il raddoppio senza alcuna logica connessa con le funzioni di servizio, ma chiara­mente con interessi corporativi e clientelari.

Permane inoltre un'assenza completa di pro­poste, fatta eccezione per alcune leggine di ispi­razione corporativa e tendenti al riconoscimento di questa o quella figura professionale, per quan­to riguarda gli operatori socio-assistenziali.

Occorre quindi che vengano messe in atto tut­te le pressioni da parte delle Regioni e delle USL perché venga definita una proposta di figure professionali del settore (sanità e assistenza) da individuare sulla base delle funzioni presenti nei servizi. Per quanto riguarda i curricola formativi si deve prevedere, per quanto possibile, la loro integrazione nel sistema educativo nazionale e il convenzionamento con i servizi assistenziali e sanitari per quanto attiene i tirocini.

L'unico elemento positivo che va segnalato è un primo tentativo di definizione dei fondi desti­nati alla formazione professionale ed il loro in­cremento. Va detto però che non si accompagna nessuna indicazione di criteri anche generali su­gli interventi da attuare per cui dipenderà dalla sensibilità di Regioni e unità locali l'uso che verrà fatto di queste ulteriori risorse.

 

Livello regionale

Nelle leggi di organizzazione dei servizi dell'Unità locale non è previsto, salvo rare eccezio­ni, quello per la formazione del personale. Tale assenza è dovuta in generale a due motivazioni radicalmente opposte:

1 - non si coglie l'importanza di questo set­tore e lo si attribuisce come funzione aggregata in generale al servizio del personale;

2 - si sostiene, correttamente in teoria, che tale funzione è di importanza basilare e appartie­ne a tutti i servizi per cui si configura come una funzione di staff e viene attribuita collegialmente all'ufficio di direzione. In entrambi i casi pare che, come dimostra l'esperienza di questo primo periodo di funzionamento delle Unità locali, si arrivi al risultato della totale assenza di program­mi e di interventi di formazione professionale fatta eccezione per l'attività delle scuole annes­se in genere ai presidi ospedalieri.

L'esperienza di questa prima fase della rifor­ma fa emergere la necessità che il livello regio­nale assuma un ruolo propositivo fornendo al li­vello locale indicazioni operative. In particolare va rilevata la parziale insufficienza delle Regioni nel dirigere il processo di applicazione della riforma in ordine ai contenuti, insufficienza che per quanto attiene la formazione professionale assume una accentuazione maggiore.

Quanto non è stato fatto con le leggi di orga­nizzazione può essere però recuperato nelle leggi di piano che tutte le Regioni devono predisporre. In questi piani devono essere inseriti programmi in ordine agli interventi di formazione professio­nale indicando chiaramente:

- fabbisogni complessivi relativi alla forma­zione di base;

- linee di indirizzo per la riqualificazione e l'aggiornamento;

- strutture di riferimento; - risorse finanziarie.

La peculiarità del settore richiede in questo momento l'esercizio di un ruolo forte da parte della Regione la quale non può esaurire il suo intervento in termini di procedure amministrati­ve, ma essere propositiva anche in ordine all'ela­borazione di programmi.

Appare indispensabile soprattutto l'operato del­la Regione per disciplinare l'utilizzo delle risorse formative che sono generalmente scarse e qua­litativamente non adeguate.

 

Livello locale

Al primo posto delle proposte operative fatte dal gruppo nel suo precedente seminario vi era­no iniziative di formazione rivolte agli ammini­stratori.

Tali corsi hanno lo scopo in particolare di far acquisire agli amministratori della USL elementi di conoscenza per poter correttamente indirizza­re la loro opera per la trasformazione dei ser­vizi.

L'esperienza conferma questa esigenza, perché il processo di riforma si sta configurando come un assemblaggio a volte senza una precisa lo­gica in cui gli amministratori, ai quali tra l'altro non è attribuita in generale una congrua disponi­bilità di tempo per assolvere la propria funzio­ne, sono costretti di norma a ratificare con le deliberazioni decisioni già assunte dagli organi tecnici.

Si riconferma quindi l'esigenza di tali iniziative perché gli organi di governo della riforma possa­no veramente assolvere al loro ruolo di governo per la trasformazione dell'esistente.

Due altri interventi appaiono urgenti ed indi­spensabili:

1 - attività di aggiornamento per tutti i respon­sabili dei servizi;

2 - attività di aggiornamento per tutti gli opera­tori da destinare al distretto.

Relativamente al punto 1, la legge 833 e le leggi di organizzazione regionali attribuiscono all'ufficio di direzione un compito di conduzione collegiale dei servizi.

La prassi dimostra che tali operatori, tutti pro­venienti da servizi settoriali, non hanno alcuna esperienza di tale modalità di lavoro e tendono a svolgere la loro funzione come espressione di servizi separati settorialmente, svolgendo nell'uf­ficio di direzione soprattutto un ruolo di media­zione delle tensioni e interessi tra i vari settori.

L'intervento formativo ha lo scopo di indurre significativi cambiamenti culturali e professiona­li in questi operatori i quali, di norma, dirigono concretamente i servizi sulla base di atteggia­menti e procedure in perfetta linea di continuità con i servizi di provenienza.

Relativamente al punto 2, l'organizzazione del distretto dovrebbe essere il primo impegno dell'azione degli organi di governo e degli uffici di direzione delle USL.

Si constata che la costituzione del distretto è assunta in questa fase solo in termini di defini­zione burocratica di ambiti territoriali e non di modalità organizzative dei servizi. È quindi neces­sario che vi sia una immediata inversione di ten­denza e la organizzazione del distretto divenga il momento centrale dell'azione di governo delle Unità locali.

Il distretto che non ha modelli pregressi di riferimento, richiede che operatori e servizi che prima agivano in forma totalmente separata sia­no aggregati per assolvere funzioni all'interno di programmi di lavoro che richiedono coordina­mento e integrazione.

Si rende necessario integrare l'azione di co­struzione del distretto con interventi di forma­zione professionale, i cui contenuti sono costituiti proprio dai problemi che tale opera pone.

 

 

(1) Il gruppo di lavoro, promosso dal Comitato regionale piemontese della Lega per le autonomie e i poteri locali, era composto da: Carlo Trevisan, via Cristallina 15, Roma; Paola Berardi, Ufficio programmazione sanitaria, Assessora­to sanità, Comune di Torino; Luciano Carrino, via dei Mar­tiri 30, Napoli; Giovanni Chiellini, Regione Toscana, Dipar­timento sicurezza sociale, via Di Novoli 26, Firenze; Celso Coppola, via Golametto 2, Roma; Pino Corrarrello, Asses­sorato istruzione, Regione Piemonte; Tommaso Cravero, Sindaco di Settimo Torinese; Emanuele Ranci Ortigosa, I.R.S., via XX Settembre 24, Milano; Francesco Santanera, Prospettive assistenziali, via Artisti 34, Torino; Antonio Zito, via Svevo 27, Mogliano Veneto; Laura Pellegrini, Mini­stero Sanità, viale Industria 20, Roma; Flavio Fiorino, via Nomentana 316, Roma.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it