Prospettive assistenziali, n. 56, ottobre - dicembre 1981
L'ASSISTENZA SOCIALE
NELLA REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA (1)
Con 10 marchi non c'è proprio da far baldoria: 23
grammi di farina non bastano per fare una torta, 8 grammi di carne non
permettono di fare un arrosto, un quinto di litro di latte e qualcosa meno di
un uovo non danno un dolce.
Due milioni e 200 mila cittadini della Repubblica
Federale devono invece cavarsela con queste quantità quando vogliono
festeggiare l'onomastico o l'anniversario di matrimonio, Pasqua o il
compleanno: queste quantità sono infatti quelle che lo
Stato concede come diaria a coloro che ricevono il sussidio sociale (Sozialhilfe). Le
autorità hanno stabilito ufficialmente le razioni da concedere ad un cittadino
su trenta: troppo poco per vivere, troppo per morire.
Chi è povero, nella Repubblica Federale, ha il
diritto di ricevere dallo Stato 300 marchi di sussidio al
mese. Oppure alla settimana: 10 grammi di semolino
(alternativamente 40 grammi di riso), 35 grammi di yogurt, sei fogli di carta
da lettere, un ottavo di biglietto del cinema, un quarto del fazzoletto del
tipo più economico. Alla lista si aggiunge poi un trentaseiesimo di biancheria
intima al mese; per i bambini 2.41 marchi per i
giocattoli ed una mezza tavoletta di cioccolata. Gli esperti parlano di una «denutrizione
prescritta».
Responsabile di questo cosiddetto «cestino assistenziale»,
che contiene tutto ciò che le autorità ritengono
necessario per la vita dell'assistito, è un'associazione che sa organizzare
bene le proprie feste: in occasione del primo centenario dell'Associazione
tedesca per l'assistenza pubblica e privata (Deutscher Verein für öffentliche
und private Fürsorge) la fila delle vetture
ufficiali è stata quasi interminabile. Polizia e Bundesgrenzschutz hanno avuto molto da fare per garantire la sicurezza degli invitati alla festa. Davanti ad un pubblico in abito da
cerimonia si è parlato di «100 anni di opera sociale
condotta, in parte, in condizioni estremamente difficili» (signora Antje Huber, Ministro federale
per la famiglia e la gioventù). Ovviamente non si è sottolineato
però che le difficoltà riguardavano principalmente coloro che hanno avuto
bisogno di questa «opera sociale», e non tanto coloro che avevano da condurla.
Il Presidente federale Karl
Carstens ha parlato nella Paulskirche di Francoforte, la
Chiesa nella quale più di 130 anni fa si effettuò un
primo tentativo di fondare uno Stato tedesco democratico: «Secondo le nostre
concezioni democratiche un elemento essenziale della
democrazia è costituito anche dalla giustizia e dalla sicurezza sociale del
cittadino. I grandi progressi compiuti in questo settore sono
dovuti non da ultimo anche a coloro che si sono dedicati con successo
alla problematica sociale. L'Associazione tedesca per la assistenza
pubblica e privata ha sempre favorito la realizzazione concreta di queste
attività assistenziali, intervenendo a sua volta con la propria attività».
Ed è un fatto. Senza il lavoro della Verein la situazione degli «outsiders»
della nostra Società, dei senzatetto e degli stranieri, dei poveri e dei
minorati, dei vecchi e dei malati sarebbe, con ogni probabilità, anche
peggiore. Questa influente organizzazione preposta all'amministrazione della
povertà, nella quale sono raccolti tutti coloro che
hanno qualcosa a che vedere con i problemi sociali - autorità federali, Länder, comuni,
enti assistenziali, istituti privati, opere religiose come la Caritas e la Innere Mission (Missione
interna) - è infatti in grado potenzialmente di presentare l'assistenza non
come espressione di pietà ma come impegno di solidarietà sociale.
Il tutto ha avuto inizio nel 1880, con la convinzione
che non fosse sufficiente «dare ai bisognosi le
necessarie quantità di alimenti, indumenti e asilo. L'assistenza ai poveri
deve partire dalla prevenzione di tali condizioni d'indigenza, ed operare, nei
casi in cui si manifestino, in modo da cancellarne il
più rapidamente possibile le conseguenze, ripristinando l'autonomia economica
del singolo».
Questa norma costitutiva della Associazione
per la beneficenza e per la cura dell'indigenza, che solo nel 1919 ha ricevuto
il suo nome attuale, era assai più di un'asserzione verbale, era un programma:
e cioè di sostituire la beneficenza con interventi di carattere sociale. Ciò
significava però la necessità di raccogliere le disperse tendenze
riformistiche della beneficenza privata e dell'assistenza pubblica, sviluppando
ad un tempo criteri più giusti e più adeguati ed ottenendo - in primo luogo -
la tutela legislativa dell'attività assistenziale.
La Deutscher Verein non ha creato solo la piattaforma necessaria
per lo scambio di esperienze fra gli enti che operano
nel settore sociale: ha sviluppato anche progetti di legge (ad esempio il Bundessozialhilfegesetz,
legge federale sull'assistenza sociale), ha preso posizione in merito a leggi
esistenti e ne ha chiesto - e spesso ottenuto - il miglioramento.
L'Associazione ha creato frequentemente anche commissioni
specializzate, con il compito di esaminare speciali problemi - riguardanti ad
esempio determinati gruppi emarginati della società - e di sviluppare modelli
di soluzione. Al costante monito dell'Associazione si deve anche il regolare
aggiornamento della base per il calcolo dei sussidi di assistenza
sociale, introdotti la prima volta nel 1955, ed il fatto che la divergenza fra
il sussidio massimo ed il minimo sia scesa del 33,3% (del 1955) al 6% attuale.
Nonostante tutte le critiche - più che giustificate
- rivolte al modesto livello dei sussidi sociali, non
si può ignorare il fatto che il sussidio è aumentato dal 1955 al 1980 del 562%,
con una evoluzione parallela a quella dei salari (aumentati nello stesso
periodo di tempo del 577%) e degli stipendi (473%). Basandosi sugli «ideali
umanistici di un Pestalozzi, di un Wichern, di un Bodelschwingh e di
un Kettler» la Deutscher Verein ha contribuito a fare della
Repubblica Federale uno degli Stati che possono vantare una delle migliori
reti assistenziali del mondo. E
già si parla della «culla sociale», nella quale si può poltrire con
tranquillità. Quest'immagine non è però veritiera:
con 300 marchi di sussidio al mese, infatti, non c'è
molto da dormire tranquilli. La difficile situazione finanziaria delle casse
dello Stato ha determinato un ripensamento del rapporto fra i compiti
dell'assistenza e i mezzi che le vengono messi a
disposizione. L'ex Ministro federale del lavoro e
dell'assistenza sociale, Walter Arendt,
oggi deputato socialdemocratico, afferma: «Nei decenni scorsi abbiamo
ottenuto, nel miglioramento delle strutture sociali, un numero di successi mai
avuti in precedenza. Preoccupante è però la constatazione del fatto che il
valore attribuito alla responsabilità sociale è in ribasso». La conclusione che
ne trae Arendt è: «Un cambiamento dei punti di vista
è più importante di un cambiamento degli articoli di
legge».
Una società che non parla di poveri ma di «persone
socialmente deboli», che non conosce storpi ma solo
handicappati, che non vede pazzi ma solo malati psichici, una società che non
ha vecchi ma solo seniores corre il
rischio di dimenticarsi, a furia di problemi terminologici, la realtà della
situazione: ciò che assume, a parole, un suono migliore, può essere dimenticato
tanto più facilmente.
Pur con tutte le leggi sociali introdotte nella
Repubblica Federale non sono solo i problemi dei 2,2 milioni di
assistiti indigenti a non essere risolti. E
non si tratta neanche esclusivamente dei problemi dei minorati, dei pensionati,
degli stranieri, delle famiglie troppo numerose, dei malati di mente. Quando
il Governo federale approva uno stanziamento di 500 milioni di marchi per il
miglioramento dell'assistenza psichiatrica nella Repubblica Federale, e quando
il Bundestat
(Camera dei Länder)
blocca tali fondi, si diffonde e «un certo senso di amarezza»,
come afferma il Ministro Huber.
Ma è proprio qui che risiede il problema: non si
tratta solo di discutere quale sia il programma sociale migliore o di
pretendere un miglioramento delle condizioni di vita degli indigenti; si tratta di imporre politicamente ciò che si è scoperto
essere necessario. Resta dubbio che la Deutscher Verein sia ora, e sia sempre stata l'organismo migliore
cui rivolgersi a tal fine: e resterà dubbio almeno fino a
quando la lobby dei poveri sarà costituita da coloro che hanno da
distribuire il denaro.
Quando i funzionari dei comuni e degli enti assistenziali
statali debbono predisporre, come membri della Deutscher Verein,
modelli per una miglior forma di assistenza sociale, e contemporaneamente si
trovano, come funzionari dell'Amministrazione statale, a dover approvare i fondi
da dedicare a tali miglioramenti, emergono le difficoltà che i programmi di
riforma devono superare: nell'Associazione il cuore ha il suo «battito
sociale», ma una volta tornato in municipio si raffredda in fretta e resta
vittima dei limiti imposti dal bilancio.
La conservazione del principio dell'autonomia degli
enti assistenziali privati - come le Chiese o l'Opera
di Beneficenza per i lavoratori (Arbeiterwohlfahrt) - deve quindi restare una delle principali
condizioni da rispettare, per evitare una ulteriore burocraticizzazione
dell'assistenza sociale. Se ci si aspetta che lo Stato provveda
a tutto, si perde il senso di responsabilità e la disposizione
all'aiuto personale, ha dichiarato il Presidente della Repubblica Federale,
prof. Carstens.
Se i sussidi sociali venissero
valutati principalmente o addirittura esclusivamente sotto l'aspetto
finanziario, la maggioranza delle richieste che la Deutscher Verein ha elaborato in occasione della
sua 69ª Assemblea sarebbe destinata a restare irrealizzata:
- la promozione della
famiglia, attuata con un «sussidio per l'educazione» e con vacanze per
genitori;
- un aumento del sussidio per la
protezione contro l'aumento del costo della vita, secondo la legge federale
sull'assistenza sociale, introducendo
un supplemento per i bambini;
- un riesame del contenuto del cosiddetto «cestino assistenziale», chiedendo anche l'opinione dei destinatari
e stabilendo nuove quantità, corrispondenti a esigenze reali e giustificate;
- nel contesto dell'integrazione
dei cittadini stranieri, non limitarsi ad operare sulla seconda o sulla terza
generazione ma combattere subito «la discriminazione esistente sul posto di
lavoro, l'isolamento ed il distacco dall'ambiente culturale originale,
particolarmente dalla grande famiglia tradizionale»;
- non limitarsi a valutare la necessità di cure delle
persone anziane in base a criteri esclusivamente
medici, ma far intervenire personale specializzato nell'assistenza a questo
tipo di persone, che misuri il livello di necessità anche in base ad esigenze psicosociali ed alle terapie di riabilitazione;
- ed infine, di utilizzare
efficacemente i 500 milioni di marchi destinati dal Governo federale
all'assistenza psichiatrica.
Questo elenco di richieste dimostra che nella nostra
società, una delle più ricche del mondo, nessuno deve temere di morire di fame,
ma che ci sono numerosi concittadini che hanno bisogno di aiuto
e di un aiuto che non è solo strettamente materiale.
In proposito Holger Börner, Presidente del Land Assia,
ha osservato che «proprio con il nostro crescente benessere ci si accorge che
la garanzia puramente materiale della vita non è sufficiente a risolvere tutti
i problemi umani».
Oltre a provvedere ai bisogni
materiali si deve cercare di creare rapporti sociali che rendano possibile
l'inserimento nella società a chi ne ha bisogno. Lo «stupido del villaggio» di epoche
passate, per quanto esposto alla discriminazione verbale da parte
dell'ambiente, si è trovato spesso inserito in una rete di rapporti sociali
che manifestavano più umanità di quanto non ne rifletta oggi l'isolamento
clinico dei malati psichici. «Ogni istante - rileva ancora Börner
- ci dimostra che l'uomo non vive di solo pane». L'opera di assistenza
sociale deve quindi essere molto di più della semplice raccolta e distribuzione
di generi di prima necessità, per quanto anche questo aspetto materiale resti
tuttora essenziale. Fino a quando il «cestino assistenziale»
conterrà solo il dentifricio necessario a pulire i denti una sola volta al
giorno, fino a quando gli indigenti dovranno arrangiarsi con 26 marchi e 73
centesimi al mese per riscaldamento e luce, e fino a quando «per la visita di
un ospite» saranno concessi 300 grammi di caffè e tre bottiglie di birra al
mese, sarà necessario occuparsi anche dell'aspetto materiale. Nessuno. è però in grado di dire dove trovare i fondi necessari.
L'obiettivo fissato 100 anni fa, di «evitare l'insorgere
di una situazione di indigenza» non si è ancora
tradotto completamente in pratica, come non si è realizzata neanche la speranza
di poter «ripristinare l'autonomia economica del singolo nei casi in cui
l'indigenza si sia presentata». L’assistenza è restata quindi, sino ad oggi,
una forma di beneficenza per gli indigenti, nonostante tutti i ricami
terminologici.
Modelli circa le misure da adottare per evitare che
un gruppo scivoli in una posizione di «fuori gioco» sociale, ne sono stati
elaborati molti ma nessuno è riuscito a far presa e
quella che si compie oggi è ancora una forma di beneficenza.
Un'Associazione vecchia di 100 anni ha assolto i
compiti che si era prefissa, nei limiti delle sue capacità. Il fatto che il
giudizio sul suo operato non sia del tutto positivo
non dipende neanche dalla lievitazione burocratica intervenuta nel frattempo.
Il motivo dipende, più probabilmente, dal fatto che i criteri di definizione di
chi va considerato «indigente» variano con il
cambiare della situazione sociale e che chi oggi si definisce «povero» veniva
considerato, ieri, quasi benestante. Anche oggi
continua a valere la frase di Ferdinand Lasalle: «Tutte le sofferenze e le privazioni umane come
tutte le soddisfazioni, e quindi tutte le situazioni in cui può
trovarsi l'uomo, si misurano solo in base al confronto con le situazioni in
cui si trovano, nello stesso momento, altri uomini».
(Da Tribuna
Tedesca, 1980, n. 192).
(1) Ringraziamo la rivista «Previdenza
sociale» che ci ha gentilmente concesso di riprodurre l'articolo.
www.fondazionepromozionesociale.it