Prospettive assistenziali, n. 56, ottobre - dicembre 1981
Libri
AA.VV., L'adozione del minore, La Nuova Italia
Scientifica, Roma, 1981, pagg. 139, L. 6.000.
Questo libro può essere definito un infortunio
editoriale. La perla è costituita dalla tabella 4 (pag. 28) in cui è indicato
in 3486 il numero dei minori ricoverati nel 1974 nei vari istituti del nostro
paese, mentre essi erano, secondo i dati dell'ISTAT, 126.528.
Lo stesso madornale errore è stato fatto per i dati relativi al periodo 1967-1973.
Gli Autori non solo non sono stati capaci di leggere le semplici
statistiche dell'ISTAT (i dati sono riportati negli Annuari statistici
dell'assistenza e della previdenza), ma hanno dimostrato di non avere nemmeno
una conoscenza approssimativa della situazione generale esistente nel campo
dell'istituzionalizzazione dei minori.
Ma non
c'è solo questa perla.
Nelle prime righe del libro (pag. 13) si afferma che «nella società primitiva non esisteva il problema
di come provvedere all'infanzia abbandonata», poiché «i bambini illegittimi, quelli che rimanevano privi della famiglia
naturale e dei quali la famiglia d'origine non poteva più, per varie ragioni, prendersi cura, trovavano un altro ambiente
naturale (la tribù, il parentado, il vicinato, ecc.)».
Nella stessa pagina però si dice poi anche il
contrario: «Presso i popoli primitivi, i
bambini senza famiglia, se erano deboli ed il loro sostentamento difficile, venivano abbandonati e lasciati morire».
Non è esatta l'affermazione di pag. 19 secondo cui «il diritto canonico tuttora vigente vieta
l'accesso al sacerdozio e allo stato religioso» agli illegittimi. Ci risulta invece che i concepiti fuori dal matrimonio
debbano ottenere (il che è veramente assurdo) una speciale dispensa.
Nemmeno una parola viene
detta sulle centinaia e centinaia di iniziative dell'ANFAA e di numerose altre
associazioni (convegni, congressi, dibattiti, denunce, inchieste televisive,
ecc.) che hanno portato il legislatore ad approvare la legge sull'adozione
speciale. Leggendo il libro (V. in particolare a pag. 25) si ha l'impressione che
la legge 5 giugno 1967 n. 431 sia piovuta dal cielo.
La non conoscenza del problema porta gli Autori ad
affermare (pag. 26) che l'adozione speciale è riservata ai minori di anni 8, mentre essa è possibile per tutti i fanciulli
che, al momento della segnalazione di cui all'art. 314/4 del codice civile,
avevano un'età inferiore agli anni otto. Pertanto ci sono minori adottabili di
10-12 anni e anche oltre, tenuto anche conto che lo stato di adottabilità
comunque permane, per tre anni, anche dopo l'ottavo anno dalla data in cui sia
divenuto definitivo il provvedimento che lo pronuncia (art. 314/17 c.c.).
Inesatto è anche quanto è scritto sempre a pag. 26 e cioè che: «dato per
scontato che l'adozione legittimante è sicuramente la scelta più conveniente,
si può ricorrere agli altri strumenti giuridici solo quando non sia in alcun
modo possibile risolvere il caso, senza grave danno per il minore».
Purtroppo vi sono ancora Tribunali per i minorenni e Corti di
Appello che la pensano diversamente.
Pur costituendo un problema di difficile soluzione,
vi sono state adozioni di bambini con gravi handicaps:
ciechi, focomelici, insufficienti mentali, ecc., per
cui è priva di fondamento l'affermazione di pag. 29 secondo cui i minori
handicappati «per la loro menomazione, continueranno ad essere comunque
rifiutati».
Vi sono anche problemi importanti che peraltro sono
del tutto ignorati dagli Autori come, ad esempio, quello dell'informazione del
bambino della sua situazione di figlio adottivo.
Numerosi altri errori di sostanza sono contenuti in
questa pubblicazione, ma quelli ricordati già da soli bastano a far concludere che libri come questo sarebbe meglio (molto
meglio) che non venissero stampati.
GIORGIO PALLAVICINI
RENZO CELESTI, MARCELLO CANALE, SERGIO BISTARINI, Il maltrattamento dei bambini - Aspetti medico-legali e sociali,
Edizioni Istituto italiano di medicina sociale, Roma, 1978, pagg. 70, L. 5.000.
Tema di scottante attualità, dopo le note vicende
che hanno riempito i giornali di analisi circa la situazione
dei bambini adottati dall'estera (1), trova in questo volume il punto di vista
di chi è chiamato ad esprimere il parere tecnico, la «perizia» su fatti che
abbiano coinvolto dei minori.
Gli Autori partono dalla considerazione che «il maltrattamento dei bambini ad opera dei genitori è tuttora una realtà vergognosa» e
questo comportamento «rappresenta uno
degli aspetti più repellenti di quella immaturità e di quel disadattamento
sociale di cui spesso sono portatori individui apparentemente normali».
Si riferiscono pertanto alla cosiddetta «sindrome
del bambino maltrattato»: espressione usata per la prima volta nel 1961 dal pediatra
statunitense Kempe («battered
child syndrome») per dare
sostanza nosografica ad un complesso di dati clinici
già da tempo descritti, ma fino ad allora non da tutti
gli studiosi bene interpretati nel loro reale significato.
Gli Autori lamentano la relativa carenza
di contributi al riguardo nella letteratura specialistica medico-legale,
soprattutto in Italia, mentre sottolineano lo sforzo prodotto da molti
studiosi nell'approfondire gli aspetti clinici. «Sotto il profilo statistico, il
maltrattamento a carico dei minori rappresenta ancor oggi un problema di assai
difficile valutazione, nonostante sia stato affrontato da numerosi autori e
sia stato oggetto di convegni e riunioni scientifiche».
Il testo si divide fondamentalmente in tre parti.
La prima, attraverso l'analisi di alcuni
casi di diretta osservazione degli Autori, conduce alla descrizione
particolareggiata. (con il linguaggio medico-legale
dedotto dalle perizie effettuate ed una documentazione fotografica
impressionante) dei danni subiti da bambini sottoposti a maltrattamenti (in
due casi su tre le ferite hanno portato al loro decesso).
Nella seconda, sulla base di
tali descrizioni, gli Autori evidenziano le problematiche di carattere
medico-legale:
- «la
difficoltà di un esatto inquadramento penale del maltrattamento derivante da
una disposizione di legge non ben definita, che lascia ampi margini alla interpretazione personale del singolo magistrato»;
- la necessità di equiparare, in quanto entrambi
dannosi, l'aggressione fisica a quella psichica e il considerare sia il comportamento
positivo (commissivo) sia
negativo (od omissivo). «È chiaro infatti che si può maltrattare un minore non solo col fare
qualcosa, ma tanto più col non fare quello che si sarebbe dovuto fare per
rispondere alle sue esigenze»;
- la difficoltà di stabilire se la condotta criminosa
genericamente indicata dal legislatore con la parola «maltrattamenti» si debba
individuare in un episodio singolo o non piuttosto in uno «status»
continuativo del soggetto agente nei confronti della vittima.
Nella terza parte si accenna, ma in modo troppo superficiale e generale (a confronto con le analisi sugli
altri aspetti), ai problemi di carattere sociale e di prevenzione. Si avanza l'ipotesi che «molto
spesso il bambino assuma il ruolo di strumento e di esasperazione e
moltiplicazione dei conflitti familiari (...) Si crea così un circolo vizioso di
conflitti, insofferenze ed aggressività in seno alla famiglia di cui il
maltrattamento del minore finisce per diventare l'espressione fenomenologica più frequente, in quanto il bambino è il
bersaglio elettivo di tale aggressività».
CLAUDIO CAFFERENA
MARIO LIZZA, La
fatica di essere sani, Edizioni SEUSI, Roma, 1981, pagg. 224, L. 5.000.
L'ospedale, ignoto (o rimosso?) nella Grecia classica
che rincorreva con Apollo e Dioniso, il mito della bellezza, messo in piedi per
gli schiavi (i vernaculi) malati, e non per i padroni
nell'antica Roma, si affaccia tristemente nell'era cristiana come luogo di
carità più che di cura: il malato è un assistito, una repellente o contagiosa
«cosa» da nascondere agli altri, un essere a mezzo tra l'umano e il ferino che
espia una «colpa» (la malattia non è forse un tentativo di opporsi alla volontà
di Dio?).
Rinascimento, riforma protestante; nasce la medicina
moderna, si forma un'embrionale tecnologia medica, ma gli ospedali - da
ecclesiastici divenuti pubblici - rimangono un luogo di parcheggio per i
malati poveri: il malato non ha diritti, ma può - bontà loro - divenire con la
medicina sperimentale il materiale di studio, un cadavere vivente sul quale
si fanno ipotesi che alla sua morte con l'autopsia
vengono controllate.
L'istituzione ospedaliera dei nostri giorni è un
centro di potere «separato» (uno dei tanti corpi separati...) dalla società,
luogo di esclusi (i malati), fabbrica per chi vi
lavora.
Come fabbrica che insegue, con logica aziendale, più
l'efficienza che l'utilità dell'impresa, ha «la divisione del lavoro, la
gerarchia, la separazione tra un soggetto e l'altro, l'ammalato, ridotto a oggetto», la reificazione insomma e l'alienazione, quelle
brutte parole inventate da Marx e che dicono come l'operaio non vada mai in
paradiso: i rischi, infine, che disumanizzano la
fabbrica ospedale, da dolce sacco amniotico ridotto ad una sentina di pericoli
e che spesso restituiscono la salute mutata nel suo rovescio.
Una «mappa dei rischi» nell'ambiente ospedaliero la
ricostruisce, da attento cartografo, Mario Lizza medico presso l'U.L.S. di Pescara, nel libro «La fatica di
essere sani», di cui è appena uscita la seconda edizione e con
ampliamenti e aggiornamenti su grossi temi come i gas anestetici, l'epatite
virale, le infezioni ospedaliere, ecc.
Guidato dall'idea, scaturita dalla pratica sanitaria,
che «non c'è umanizzazione dell'ospedale
senza umanizzazione delle condizioni di lavoro e di vita del personale che vi
lavora», il Lizza, attraverso uno stile piano e
accessibile, nei limiti che la materia gli impone, illustra le molteplici
insidie dell'ospedale.
In una prima parte la ricerca individua, pur nella
notevole varietà di mestieri e funzioni del settore, due grandi categorie di
lavoratori: il personale cosiddetto di cura, o di assistenza
diretta, e quello non curante (amministrativo, addetto a servizi tecnici e
generali, ecc.), esposto a tipi e forme di nocività più tradizionali (rumore,
microclima, vernici, ecc.) e in misura minore agli stessi rischi del
personale di cura.
La patologia dell'ambiente ospedaliero, che coinvolge
i lavoratori e gli utenti dell'ospedale, viene
trattata in una serie di capitoli per categorie di agenti nocivi: chimici
(farmaci, disinfettanti, detersivi, gas anestetici, ecc.); fisici (radiazioni
ionizzanti, ultrasuoni, ecc.); agenti biologico-infettivi
(epatite virale; infezioni ospedaliere, ecc.); infortunio professionale; fatica
fisica e nervosa.
Tra i molteplici argomenti affrontati, qui ne segnaliamo alcuni che ci sembrano più rilevanti. Nel
capitolo sulla patologia da anestetici volatili nelle sale operatorie,
colpiscono alcuni dati: l'incidenza dell'aborto, per es., che nelle infermiere addette al servizio anestetico è
uguale al 29,7 per cento contro l'8,8 per cento di un gruppo controllo di
infermiere generiche addette alle corsie; nelle anestesiste laureate, più
vicine alle sorgenti degli anestetici volatili, l'incidenza dell'aborto è del
37,8 per cento contro il 10,3 per cento delle laureate in attività nel resto dell'ospedale.
Così come molto frequenti sono i disturbi della funzionalità epatica e quelli
di tipo nervoso come perdita della memoria, cefalea,
ecc. Estremamente interessante, in questo capitolo, è l'elaborazione di un
questionario che indaga la salute riproduttiva - sessualità e gravidanza -
della lavoratrice ospedaliera, e che nel 1978 venne inviato a circa 800
ospedali italiani scelti tra quelli regionali, provinciali e specializzati. Le
risposte delle 4476 donne che hanno preso parte all'inchiesta
confermano i dati della letteratura internazionale sull'incidenza di aborti,
sterilità e malformazioni fetali nelle donne esposte a gas anestetici.
Nel capitolo sulla patologia da agenti biologici emerge il dato che in Italia si verificano circa 85.000 casi
all'anno di infezioni cosiddette ospedaliere, di cui il 30% arriva a morte
(27.000 morti l’anno!): sono, queste, le infezioni contratte da pazienti
durante la degenza. Tenendo presente che il dato sottostima le infezioni
contratte e diffuse, dal personale sanitario, è evidente la gravità di questo
fenomeno, di questa contraddizione tipica
dell'ospedale moderno.
Queste ed altre patologie scorrono nel libro,
arricchite di tantissimi dati, dapprima quali frammenti
di lettura, poi via via diventano nella mente
connessioni con episodi, ricordi di esperienze vissute, configurazioni di
realtà crude.
Completano il libro - utile non solo agli addetti ai lavori nei servizi sanitari, ma agli
utenti, come manuale di difesa, e agli amministratori e sindacalisti - un indice
analitico elementare e una bibliografia suddivisa per argomenti, ricca di voci
e di autori. Accanto a riviste «ufficiali» sono
giustamente presi in considerazione materiali contro informativi, riviste autogestite, articoli, prodotti da singoli ricercatori e da
gruppi di base che negli ultimi anni hanno non poco contribuito ad accrescere e
a diffondere nuove conoscenze.
REGIONE
EMILIA-ROMAGNA - I.R.E.S.S.,
Assistente sociale: quale futuro? Dalla
crisi del ruolo tradizionale all'inserimento nella
nuova organizzazione dei servizi. Prima parte. L'indagine conoscitiva. La situazione in Emilia-Romagna, Patron, Bologna, 1980, pagg. 261, L. 4.000.
La pubblicazione contiene le prime risultanze
di una indagine, promossa dall'Assessorato alla formazione professionale della
Regione Emilia-Romagna e condotta dall'Istituto
regionale emiliano-romagnolo per il servizio sociale
(I.R.E.S.S.), avente per oggetto il problema
dell'identità professionale dell'assistente sociale nell'attuale fase di
riorganizzazione dei servizi e di attuazione della riforma sanitaria.
Benché in questo primo volume si rilevi una
particolare attenzione alla realtà emiliano-romagnola,
ampio spazio è senz'altro indirizzato a offrire uno
strumento di lavoro a tutti gli assistenti sociali ed a quanti, pur estranei a
tale professione, ne riconoscono la centralità nella complessa e difforme
realtà assistenziale del nostro paese.
Per questo motivo gli elementi conoscitivi e gli
spunti di riflessione proposti volutamente non si organizzano a privilegiare alcuna chiave di lettura, né a selezionare
alcun «dover essere», ma tendono ad orientare a un percorso di approfondimento
il più possibile aperto a tutti i termini problematici, riferimenti concettuali
e reali, condizioni pratiche, che intervengono sull'agire specifico
dell'assistente sociale. L'analisi degli sviluppi della professione
dall'immediato dopoguerra a oggi é quindi volta a far
emergere il costante rapporto con quanto parallelamente è andato modificandosi
sul piano della politica assistenziale e dell'assetto organizzativo dei
servizi. Contemporaneamente, a evitare ogni
riduzione, sono esaminate criticamente le prospettive che oggi caratterizzano
il nodo della riprogettazione del «lavoro sociale»,
evidenziandone però la molteplicità: il ruolo dell'assistente sociale, spesso
con valenze diverse, compare infatti rapportato a varie dimensioni e la
riflessione che lo riguarda appartiene a livelli di discorso più ampi e comprensivi.
La definizione della professionalità
dell'assistente sociale non è quindi compito che possa essere risolto
solo all'interno del «mondo del servizio sociale», ma non è d'altra parte possibile
ricondurla a «soluzioni» che non tengono in giusto conto il processo di
maturazione che la professione ha attraversato particolarmente nel periodo
successivo al '68. Questo è certamente un terreno sul quale occorre fermarsi e
lavorare, accettandone la duplicità: l'articolarsi
cioè sia sul versante istituzionale, che su quello della soggettività degli operatori.
Perciò, accanto al saggio introduttivo, che enuncia
ed esemplifica l'ipotesi di lavoro ora descritta, l'iter di ricerca prosegue
nella medesima scelta metodologica con un quadro sintetico della legislazione
nazionale e regionale riguardante, seppur indirettamente, la figura dell'assistente sociale; una bibliografia ragionata e commentata
che riprende i punti più significativi già trattati nella precedente analisi
storica, e approfondisce l'ambito specifico della formazione; le appendici che
concludono il volume e che sono dedicate agli orientamenti ed alla situazione
formativa del lavoro sociale in Europa.
Il capitolo nel quale è
raccolta la prima parte (conoscitiva) dell'indagine empirica offre un quadro
occupazionale di tutti gli assistenti sociali nei servizi pubblici decentrati
della regione EmiliaRomagna, e la loro distribuzione
per settore d'intervento. Sulla base di tale n
censimento a complessivo, nella seconda fase della ricerca, già preannunciata
in questo primo volume ed ora in corso, si andranno a verificare, ponendoli a
confronto con l'esperienza e la realtà operativa, gli spunti ora raccolti e
sviluppati.
In relazione a tale «banco di prova» reale, già delineato in questa
prima pubblicazione nelle sue caratteristiche «oggettive» essenziali, si potranno
trarre le indicazioni propositive finali, la soggettività degli operatori, le
loro esperienze e aspettative, e dall'altro la «soggettività dei servizi», gli
orientamenti, le scelte, i progetti di riorganizzazione che faranno seguito
all'avvio delle Unità sanitarie locali.
SALVATORE
LAGATI, Bibliografia italiana sui sordo-ciechi
pluriminorati, 1981, pag. 45, Servizio di
consulenza, Via Druso 7, int. 17, Trento.
Il fascicolo raccoglie tutta la bibliografia italiana
(198 voci) riguardante i sordo-ciechi pluriminorati: apparecchiature specialistiche, educazione
fisica, pedagogia, metodologia, assistenza, ecc.
Vi sono articoli scritti dagli stessi sordo-ciechi e
altri da specialisti.
Dopo ogni voce bibliografica viene
indicato il modo per ottenerla. Quasi tutte le pubblicazioni possono essere
richieste al servizio di consulenza di Trento.
Precede la bibliografia un articolo scritto da Sabina
Santilla, essa stessa sorda e cieca da quando era
bambina, in occasione del primo centenario della nascita di Helen Keller.
Segnaliamo le altre pubblicazioni del Servizio di
consulenza:
- L'educazione dei sordo-ciechi
negli Stati Uniti d'America, giugno 1979, pag. 60;
- Servizi riabilitativi esistenti in Italia per i sordo-ciechi pluriminorati,
gennaio 80, pag. 34;
- L'educazione dei sordo-ciechi,
agosto 1981, pag. 43;
- Il caso per corrispondenza per
genitori di bambini sordo-ciechi, pag. 400, che viene inviato a lezioni
mensili ai genitori che lo richiedono.
Tutte le pubblicazioni del Servizio di consulenza di
Trento sono gratuite per i genitori.
(1) V. Prospettive assistenziali, n. 55, pag. 59 e segg.
www.fondazionepromozionesociale.it