Prospettive assistenziali, n. 56, ottobre - dicembre 1981
Notizie
PROPOSTE
DEL MOLCES PER UN REALE INSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI
HANDICAPPATI
Pubblichiamo la lettera inviata dal Movimento operativo contro
l'emarginazione sociale (MOLCES), Via Drapperie 6, Bologna, ai Presidenti della
Camera e del Senato, alle Commissioni Lavoro del
Parlamento, ai Gruppi parlamentari della Camera e del Senato, al Ministro del
lavoro, alle Segreterie nazionali dei partiti dell'arco costituzionale ed alle
Organizzazioni sindacali.
Le proposte
avanzate dal MOLCES sono molto giuste e meriterebbero quindi di essere accolte
e sostenute da tutti coloro che vogliono veramente
operare per un effettivo inserimento lavorativo e sociale degli handicappati.
Nel momento in cui sono all'esame del Parlamento la
legge di riforma del collocamento al lavoro e numerose proposte di legge di
varia iniziativa, miranti ad innovare la normativa concernente l'occupazione
dei cosiddetti «invalidi», riteniamo nostro dovere
portare a conoscenza del Parlamento stesso, degli organismi politici e delle
organizzazioni sindacali il nostro punto di vista in merito ed offrire anche
il nostro contributo, modesto forse, ma certamente convinto e meditato.
Una analisi approfondita della legislazione sull'invalidistica risulterebbe troppo lunga e ci allontanerebbe
dal discorso che ora ci preme e che è quello del collocamento al lavoro dei
cittadini portatori di handicaps. Ci limitiamo,
perciò, ad osservare che tale legislazione ha obbedito finora esclusivamente ad una logica assistenziale, quale che sia stato
l'intervento e quindi anche quello occupazionale. Non si è dato il lavoro ai
cosiddetti «invalidi» in base ad un loro sacrosanto diritto, ma solo per
«benevola concessione», paternalisticamente, come
dimostra la percentualizzazione delle assunzioni. Una
normativa, quella attuale, che ha leso la dignità dei
cittadini obbligatoriamente assunti, e che ha dato adito all'abusivismo e al
clientelismo, ad ingiustizie e a contraddizioni, a contrasti e ad incomprensioni
e, infine, a reazioni negative da parte dei datori di lavoro. Del resto, se,
come si legge nei dizionari della lingua italiana,
«invalido» significa «inabile al lavoro per infermità, vecchiaia o
mutilazione», si poteva forse considerare la «persona invalida» un «soggetto
produttivo»?
Certamente
no. Ed ecco, allora, che interviene la legge e
costringe il datore di lavoro ad assumere una certa percentuale di «invalidi»
e ad accontentarsi di quel poco che «quei poveretti» possono rendere, creando
tante situazioni di disagio, senza neppure risolvere
il problema. L'errore che è stato commesso, e che forse ha fatto comodo agli
stessi interessati, è quello di aver fatto d'ogni erba un fascio, considerando,
cioè, tutti «invalidi», quale che fosse la
mutilazione, o l'handicap, se si preferisce, mentre le cose stanno ben
diversamente. Infatti, a parte casi di estrema gravità
(un tetraplegico con insufficienza mentale, ad
esempio), chiunque sia portatore di menomazioni ha la possibilità di svolgere
in pieno una o più attività: non ha poi nessuna importanza che alcune gli
siano completamente negate. L'esempio più clamoroso è costituito dai privi
della vista che, considerati a invalidi al cento per
cento », rendono poi proprio «al cento per cento» nelle più svariate attività:
li troviamo impegnati come insegnanti di molteplici discipline nelle scuole di
ogni ordine e grado, compresa l'Università, come operai nelle fabbriche, come
avvocati e come giudici nei tribunali, come massofisioterapisti
negli ospedali, come centralinisti telefonici, come programmatori elettronici,
come stenodattilografi, e si potrebbe continuare ancora. È dunque evidente che
il problema consiste nell'individuare per ogni persona portatrice di handicaps le attività nelle quali il suo rendimento non
sia inferiore a quello degli altri, provvedendo, quando occorra, a tutto ciò
che può eliminare eventuali difficoltà: sussidi particolari, adattamento delle
macchine e dell'ambiente lavorativo in generale.
Dalle considerazioni svolte sin qui, sia pure in
forma necessariamente scarna e sintetica, appare
chiaro che l'assunzione al lavoro dei cittadini portatori di handicaps discende da un diritto soggettivo assolutamente
della medesima natura di quello di tutti gli altri cittadini. Gli uni e gli
altri, perciò, debbono accedere al posto di lavoro
attraverso le medesime norme ed i medesimi criteri, senza alcuna
discriminazione che sarebbe appunto del tutto ingiustificata. Per la
realizzazione di questa parità di diritti e di
doveri, noi riteniamo:
1) che si debba studiare una legge di riforma
generale del collocamento al lavoro chiara e precisa in base alla quale
A) le assunzioni debbano essere effettuate
esclusivamente attraverso i competenti uffici di collocamento;
B) le graduatorie debbano riportare la qualifica
degli aspiranti lavoratori ed essere compilate in base a
punteggi che tengano conto
a) dello stato civile dell’aspirante lavoratore;
b) dell'età;
c) del carico familiare;
d) del reddito annuo personale;
e) del reddito annuo familiare;
2) che, contestualmente alla riforma del collocamento
al lavoro, occorra provvedere alla riforma delle
cosiddette «pensioni di invalidità», sostituendole con un equo indennizzo per
risarcimento danni;
3) che le particolari esigenze derivanti da gravi
minorazioni (para e tetraplegie, cecità assoluta,
ecc.), a causa delle quali le persone che ne sono colpite si trovano costrette
a ricorrere all'aiuto di terzi (lettura, accompagnamento, ecc.), debbano essere
colmate da idonei servizi sociali o, in mancanza e solo sino alla loro
istituzione, da adeguate indennità;
4) che i medesimi benefici di cui al precedente punto
3 debbano essere estesi anche ai minori portatori di gravi handicaps;
5) che il trattamento pensionistico debba essere
riservato esclusivamente a coloro le cui condizioni fisiche o psichiche siano
di tale gravità da non consentire l'accesso assolutamente a nessun tipo di attività lavorativa e che siano, pertanto,
effettivamente «invalidi»;
6) che il lavoratore, il quale, per infortunio o per
malattia, rimanga menomato, continui a svolgere la medesima attività, ove
possibile, naturalmente presso la medesima azienda, ovvero
gli vengano affidate mansioni alle quali egli possa dedicarsi senza
pregiudizio.
Ci rendiamo conto che la nostra proposta, innovando
completamente una materia di così vasto interesse, incontrerà le più tenaci
resistenze da parte di tutti coloro che nel sistema
vigente radicano il proprio potere, ma la fiducia che riponiamo negli
organismi in indirizzo ci fa sperare che si vorrà imboccare la strada suggerita,
l'unica in grado di risolvere radicalmente un problema così arduo e di tanta
importanza.
Esperienze di formazione - lavoro di handicappati
Procede da alcuni anni, nell'ambito delle attività finalizzate alla integrazione sociale e
lavorativa di soggetti portatori di handicaps fisici
e psichici, la formazione professionale in azienda.
Tali sperimentazioni sono state avviate soprattutto
presso enti locali del Mandamento; le più recenti riguardano l'Ospedale civile
di Monfalcone e il Comune di Staranzano. Di particolare interesse l'esperienza realizzata con l'Ansaldo,
portata a termine con una regolare assunzione. L'iter formativo
tradizionale è quello della frequenza a corsi professionali di vario tipo
realizzati a cura della Regione, in base alla normativa abbastanza recente che
è la legge quadro nazionale del dicembre 1978 n. 845 e quella regionale del
maggio '78 n. 42. Entrambe prevedono che venga
facilitata la frequenza di soggetti portatori di handicaps
ai vari corsi; entrambe prevedono ancora le organizzazioni di corsi speciali.
I tirocini sul posto di lavoro si richiamano ad un
nuovo concetto formativo che è in qualche misura riportato
nella legge 845 (art. 7) dove si parla di strutturazione modulare dei corsi, di
adozione di sistemi di alternanza tra esperienze formative ed esperienze di
lavoro. L'art. 15 parla inoltre della possibilità per gli enti gestori di corsi di stipulare convenzioni con le imprese per
l'effettuazione di periodi di tirocinio pratico e di esperienze su particolari
impianti o macchinari e in specifici processi di produzione.
Tali esperienze, che hanno interessato prevalentemente
portatori di handicaps motori, mantengono tutta la
loro validità anche per soggetti portatori di handicaps
psichici, come tramite efficace per la acquisizione
di capacità generiche, già collegate con il mondo del lavoro e anche di una
professionalità specifica attraverso meccanismi di imitazione, di
identificazione e con un insegnamento diretto e più immediato.
Pare interessante riferire qui di un incontro che si
è svolto l'11 giugno 1981 presso il Poliambulatorio di Staranzano,
presenti un gruppo di «tirocinanti», il Segretario della Federazione
provinciale unitaria CGIL-CISL-UIL, Pini e alcuni operatori del Consorzio
provinciale di assistenza e riabilitazione di Gorizia.
Sono emersi molto chiaramente in tale occasione, dalla esperienza comunicata da questi ragazzi, i punti
chiave relativi ai tirocini effettuati o in corso:
- fare il tirocinante è una testimonianza di rifiuto
di un ruolo assistenziale, evitando il ripiegamento
su interventi pensionistici alternativi al lavoro (vedi errata impostazione
della legge 18 sull'assegno di accompagnamento, che risulta incompatibile con
la condizione lavorativa);
- esprimere in concreto la volontà
di avere un posto di lavoro, acquistando il più possibile una professionalità;
- anche l'handicappato intende collocarsi nell'ambito
del problema più generale della disoccupazione giovanile e della
attuale grave crisi economica, scegliendo però di lottare piuttosto che
rinunciare al posto di lavoro;
- la disponibilità di fornire queste opportunità
formative da parte di alcune amministrazioni locali è
un fatto politico molto importante. Ci troviamo però
davanti ad una grave contraddizione, non sempre imputabile a queste stesse amministrazioni;
spetta ancora all'amministrazione farsi portatore di queste istanze presso gli
organi preposti per la individuazione del posto di lavoro. Solo in due
situazioni su nove si é avuto, dopo un periodo
determinato di tirocinio, l'assunzione, ed in un solo caso questo si è verificato
nell'ambito della pubblica amministrazione;
- non è di secondario rilievo il fatto che si
fornisca un incentivo finanziario ai giovani interessati a questo tipo di esperienza; questo aspetto però non è regolamentato e
non si verifica per tutti: esso avrebbe il significato di un concreto
riconoscimento del lavoro svolto, motivandolo maggiormente anche nella
direzione di una autonomia economica.
Vogliamo fare qui un accenno ad un tirocinio guidato,
dove viene garantita la presenza di un operatore che
si sta conducendo presso l'Ospedale civile di Monfalcone.
Tale tirocinio risponde ad esigenze che vanno al di là del
problema addestrativo in senso stretto. Esso
significa opportunità di maturazione personale, di un contatto più concreto
con il reale, di confronto con il mondo del lavoro, di conoscenza e approccio
più diretto con i diritti-doveri propri dello status di lavoratore.
Per superare limiti e contraddizioni in cui si
muovono queste esperienze, vi è una forte aspettativa
sulla nuova legge regionale che sarà prossimamente portata in aula consiliare
e che tratterà specificamente di interventi atti a favorire l'integrazione
sociale e l'inserimento lavorativo di soggetti portatori di handicaps.
Tale legge prevede interventi di supporto tecnico ed economico nei confronti
di singole realtà produttive, in ordine all'obiettivo
della formazione professionale e dell'inserimento lavorativo.
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