Prospettive assistenziali, n. 56, ottobre - dicembre 1981
RIFLESSIONI SU UN
SERVIZIO DI AFFIDAMENTO FAMILIARE
MARINA DEL BUONO, ELVIRA GALLO
Questa relazione vuole essere la testimonianza di alcuni anni di lavoro nel campo degli affidamenti.
In questo periodo di tempo alcuni problemi che ci
sembravano insormontabili si sono risolti ed altri se ne sono creati.
Nell'esporre le nostre considerazioni abbiamo dovuto
essere forzatamente schematiche, ognuno degli argomenti trattati meriterebbe infatti una esposizione a parte, altri sono
stati addirittura tralasciati.
Ci auguriamo però che questo scritto stimoli chi lo legge a venirci a trovare, un confronto con altri
operatori sui dubbi e sulle soluzioni che si hanno ci sembra desiderabile
fondamentale.
L'affidamento familiare
L'affidamento familiare è una realtà a Chieri da circa tre anni. Al gennaio 1978 risale infatti la delibera istitutiva del servizio, nata
attraverso il confronto con i gruppi di base che del problema si occupavano già
da tempo.
A questo proposito non sarà mai abbastanza
sottolineata l'importanza di non procedere ad affidamenti improvvisati,
estemporanei, nati da situazioni forse molto
difficili che portano l'operatore ad agire emotivamente.
Una regolamentazione del servizio, intesa e come
delibera istitutiva e come sistema di regola, che gli
operatori si danno oltre a costituire una indispensabile garanzia per la
famiglia affidataria, realizza ciò che nella
psicoterapia è dato dal contratto: la strutturazione cioè, di un preciso setting operativo, che permetta infine di realizzare dei
momenti di verifica dell'efficacia del lavoro svolto.
In assenza di una precisa deliberazione ci sembra
insomma importante che né gli operatori, né le famiglie si rendano disponibili
a pericolosi esperimenti.
In questo periodo di tempo il nostro servizio ha un
certo numero di affidamenti educativi di pronto
soccorso; rispetto a questi ultimi ci sembra di poter dire che costituiscano
una buona strada per stimolare la gente a ricreare quei momenti di solidarietà
sociale così difficili da riscontrare ormai sul territorio.
Creare infatti, oltre
all'ormai classico gruppo delle famiglie affidatarie, di cui ci occuperemo più
avanti, un gruppo più vasto di persone disponibili in modo meno continuativo,
ma non per questo meno rilevante, è un modo per muoversi sulla strada della
partecipazione, un modo per riappropriarsi di quelle responsabilità che non
vanno sempre delegate ai servizi, ma vissute, con l'aiuto di questi, in prima
persona.
Diciamo questo, che può sembrare scontato, per sottolineare come sia importante che l'operatore non
privilegi solo gli affidamenti a lungo termine concentrandovi tutte le proprie
forze, ma sappia trovare gli opportuni spazi e momenti organizzativi anche per
gli affidamenti brevi.
Coinvolgere l'insegnante, il pediatra, la puericultrice
ad occuparsi di un bambino che conosce e che è momentaneamente in difficoltà, e
non lasciarli soli a riflettere sull'esperienza fatta, vuoi dire non solo
prevenire il rischio dell'istituzionalizzazione ma anche quello di altre, e
più raffinate, forme di delega e sottrarre inoltre questo tipo di servizio
alla casualità.
La famiglia affidataria
Rispetto agli affidamenti educativi il nostro
servizio può contare al momento attuale su 10 famiglie
affidatarie reperite in gran parte tre anni fa nel momento della discussione
della delibera istitutiva del servizio, a cui si sono aggiunti altri nuclei
familiari contattati e indirizzati da chi aveva già un'esperienza in corso.
Il reperimento di nuovi volontari avviene quindi,
sulla base della nostra esperienza più per «contagio», più per merito di chi
testimonia ciò che sta vivendo che per merito delle iniziative di pubblicizzazione del servizio.
In tre anni dalle assemblee e dalle campagne
attraverso la radio ed i giornali locali non è emersa neanche una nuova
famiglia.
Le assemblee si sono invece rivelate utili come
momento di ripensamento delle famiglie e degli operatori insieme, sul lavoro
svolto in precedenza.
Il dover preparare gli interventi ha messo tutti di
fronte, nel momento della forzata riflessione, alla strada percorsa, alla
crescita effettuata, prospettiva che si perde inevitabilmente nei regolari incontri
quindicinali tra l'équipe e le famiglie.
Se il ruolo dei tecnici è secondario nel momento del
reperimento di nuovi volontari, diventa invece essenziale nella selezione e
nella formazione di questi.
Rispetto alla selezione, che viene da noi effettuata
attraverso una serie di colloqui e se necessario di visite domiciliari, abbiamo
imparato in questi anni a prestare una particolare attenzione alla presenza, negli
aspiranti, di eventuali «ferite narcisistiche»: gli
affidatari hanno infatti davanti un compito difficile, che prevede la
possibilità di forti attacchi da parte del bambino o della sua famiglia di
origine, se non si ha una radicata buona immagine di sé questo scoglio non
viene superato.
Ciò che vogliamo dire è che si è un buon affidatario, come un buon
genitore naturale, quando, non solo ci si occupa del bambino, ma si è narcisisticamente gratificati del fatto di occuparsene.
Allora non importano le motivazioni, sociali o non,
che si danno all'inizio a giustificazione della scelta che si sta facendo, ciò
che conta, è che esista la disponibilità ad accorgersi, nel corso
dell'esperienza, che l'affidamento lo si fa soprattutto
per sé e a non sentirsi in colpa per questo.
In questa logica la selezione continua inevitabilmente
nel gruppo di discussione in cui la funzione del tecnico è duplice: da una
parte deve aiutare l'affidatario ad identificarsi nel
bambino o nella famiglia di origine per decifrarne i
comportamenti o comprenderne i bisogni, dall'altra deve portare l'affidatario stesso a riconoscere ed accettare i propri
desideri.
Il gruppo è allora il luogo dove si affina la propria
capacità di osservare e dove si conquista la spontaneità.
Che ci si stia muovendo su
questa strada, ci sembra testimoniato dallo spostamento dall'iniziale
richiesta di soluzioni che vedeva l'équipe e gli affidatari «di fronte», all'interesse
a capire, che vede équipe ed affidatari insieme.
Un'altra importante funzione che il gruppo si è
assunto nel corso della sua maturazione é quella di abbinare un certo bambino
con una certa famiglia.
L'équipe illustra il caso, spiegando da che situazione
proviene il bambino, qual è la sua storia, quali i
possibili problemi suoi o della sua famiglia ai quali si dovrà far fronte;
dalla discussione comune emerge chi si sente adatto a prendersi cura del
bambino.
La nostra esperienza ci ha dimostrato che, quando é
stato possibile seguire questa prassi, l'affidamento ha dato problemi meno
dilaceranti alla famiglia, nel momento di difficoltà che sempre si presenta
dopo un certo tempo dall'inizio, difficoltà che si manifesta come una vera e
propria «crisi di rigetto», dalla cui soluzione dipende in gran parte il futuro
dell'affidamento.
Il bambino in affidamento
I bambini attualmente in
affidamento sono tredici, sette di questi sono stati tolti da vari istituti,
per gli altri l'allontanamento si è reso necessario per disgregazione e gravi
carenze educative delle famiglie di origine, tali da non poter essere risolte
con altri tipi di interventi alternativi.
Abbiamo cercato di limitare al massimo il ricorso al
Tribunale per i minorenni che pure si è reso necessario per cinque casi; ci
sembra comunque importante sottolineare in questa
sede come spesso questo ente si ponga, a causa di una arretrata legislazione a
protezione dei bambini, inevitabilmente dalla parte dell'adulto, a difesa dei
legami di sangue, spesso con la demagogica giustificazione di voler evitare il
rischio che le classi sociali subalterne siano espropriate dei propri figli
oltre che del resto.
Una contraddizione si apre: se da una parte il
Tribunale invita gli operatori del territorio a gestirsi in proprio gli
affidamenti, non li considera però idonei ad esprimere giudizi sulla capacità di
una famiglia ad allevare un bambino, quando, in caso di conflitto è chiamato ad
intervenire.
L'età dei nostri bambini varia da
un minimo di tre anni ad un massimo di sedici. Abbiamo riscontrato a questo proposito come nel
caso di bambini piccoli i problemi degli affidatari si
strutturano principalmente in relazione alla famiglia di origine, mentre nel
caso di adolescenti è il rapporto con lo stesso ragazzo a presentare le
maggiori difficoltà.
Indipendentemente dall'età, comunque,
l'affidato deve elaborare l'allontanamento dal proprio nucleo che non può non
essere vissuto come un fallimento della propria funzione di figlio.
In questa fase, che ha una durata variabile da caso a
caso, le difese si strutturano sempre come fughe
nell'idealizzazione di ciò che vi era prima, famiglia d'origine o situazione di
vita più in generale; contemporaneamente si manifestano forti richieste di
affiliazione-rassicurazione, mascherate quasi sempre da pesanti attacchi, che vanno
capite ed accolte.
Si può affermare che in ogni affidamento ben riuscito
il ragazzo attraversa sempre, dopo una fase iniziale indifferenziata, un
periodo di forte regressione strutturato come sopra descritto, se supera il quale è in grado di riemergere ad un «sano» rapporto con gli
affidatari.
L'affidamento in questo senso, è nella sua fase
iniziale, assimilabile ad una vera e propria psicoterapia concentrata: se i componenti della famiglia sono in grado di condurre se
stessi ed il ragazzo attraverso questo processo ne usciranno a loro volta
diversi e profondamente arricchiti.
Come testimoniato dai nostri affidatari, questa
esperienza modifica anche il rapporto con i propri figli rivalorizzando
la relazione con loro.
Dal punto di vista dei bambini, questi anni di lavoro
ci hanno insegnato che l'affidamento è per loro sempre positivo.
Perfino negli unici due casi considerati, da noi come
équipe, fallimentari in quanto si sono conclusi con un cambiamento di
famiglia, i ragazzi hanno dimostrato di aver interiorizzato più gli aspetti positivi, comunque rilevabili, che non quelli di « scacco »,
cosa che ha reso certamente più facile il successivo nuovo inserimento.
Se possiamo dare un consiglio
ci sembra che i rischi più grossi si corrano ad effettuare affidamenti alla
cieca, senza conoscere bene il bambino e la sua situazione. L'unico caso in
cui non abbiamo rispettato questa regola, concernente
un bambino di un'altra regione «caricatoci» dal Tribunale, ci sta dando grossi
problemi ed è difficile intravederne la soluzione.
Conclusioni
Volendo fare un bilancio del nostro lavoro ci sembra
che l'esperienza sia positiva per l'équipe, per le
famiglie e certamente per i bambini. Ciò nonostante è indispensabile rilevare
come l'affidamento non debba essere considerato fine
a se stesso, ma vada visto in un contesto più ampio che è quello della tutela materno-infantile. Gli operatori dovranno a nostro giudizio
potenziare altre soluzioni alternative, indirizzando i politici a farsi
carico della creazione di spazi e momenti di integrazione
della famiglia, che si affianchino a questa nell'opera di inserire i bambini
nel loro contesto sociale, aiutandoli ad imparare ad usare in modo creativo
tutte le possibilità che il territorio offre loro.
Dovranno inoltre indirizzarsi sempre più verso un lavoro di prevenzione, cercando di rendere sempre più
efficaci gli interventi dei consultori familiari e pediatrici, dei nidi, delle
scuole materne. L'obiettivo sarà allora non l'aumento ad
oltranza degli affidamenti, ma la sua diminuzione, che testimonierà
dell'efficacia del lavoro svolto a monte.
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