Prospettive assistenziali, n. 56, ottobre - dicembre 1981
SCAMBIO DI ESPERIENZE
SULL'ADOZIONE E SULL'AFFIDAMENTO (1)
KATIA
Sulla nostra esperienza c'è poco da dire. La bambina
che abbiamo adottato si è inserita naturalmente in famiglia e si è integrata
con gli altri ragazzi. Non c'è stata alcuna
differenza. Non ci sono stati motivi di preoccupazione per
quanto riguarda l'aspetto, la somaticità. Da
questo lato non ci sono stati problemi.
La bambina quando è arrivata dalla Corea
aveva 8 mesi e il suo inserimento è stato facilitato dalla presenza di altri
bambini piccoli. Nessun problema anche dal lato salute.
Inizialmente, quando in famiglia si parlava della
Corea, la bambina appariva contrariata, pensando forse di
essere diversa dagli altri fratelli. Piano, piano,
senza nessuna forzatura da parte nostra questo problema l'ha ora superato.
Se ne parla tranquillamente. In lei non c'è
contrarietà, né attaccamento al paese di origine.
FRANCESCO
Abbiamo sottoscritto un abbonamento a un giornalino della Corea, pensando potesse essere utile.
La bambina legge talvolta qualche articolo. Ma è sostanzialmente disinteressata e indifferente. Anche le trasmissioni televisive sull'argomento non la
interessano. È indifferente anche alle notizie sulla sua origine (dove è nata,
il nome che originariamente le era stato attribuito
ecc.).
Per quanto riguarda la sua posizione di figlia
adottiva, rispetto agli altri fratelli, lo percepisce normalmente. Da
principio, verso i 4 anni, le dava un po' noia che Katia
non l'avesse portata nella propria
pancia. Ma ora ha superato il problema. Successivamente è nato un altro fratello e questo non l'ha
minimamente disturbata e non ha mostrato alcuna gelosia.
Il problema della informazione
dell'adozione è stato affrontato fin dall'inizio. Le è stato detto
che lei era avvantaggiata, rispetto agli altri, perché aveva avuto due mamme.
La spiegazione è avvenuta piano piano, fino da piccola.
La bambina ha ora 8 anni.
KATIA
La bambina è contenta. Qualche volta
le piace fare l'esibizionista. Si vanta di essere
coreana, di essere nata a Seul, di avere due mamme. Da parte degli altri
fratelli nessun problema: non la considerano una sorella adottiva, ma una sorella e basta. Quando qualche estraneo ha preteso di fare una distinzione, i ragazzi si sono risentiti. I
nostri sono ragazzi molto aperti. L'hanno dimostrato quando
abbiamo avuto qualche altro bambino in affidamento temporaneo. Sono
pronti ad accogliere tutti.
LUCIA
Quando Sara è arrivata aveva
5 anni. Avevamo un grosso punto interrogativo perché non si sapeva
niente del suo vissuto precedente. Di fronte alle sue reazioni provavamo
inizialmente una certa paura. L'inserimento della bambina è stato
però ottimo sotto tutti i punti di vista (affettivo, familiare, compresa
la cerchia dei parenti). I parenti l'hanno accettata senza alcun pregiudizio
o, perlomeno, non ne hanno dimostrati.
Nell'ambiente scolastico si è inserita poco dopo
l'arrivo dall'India. La bambina è arrivata il 26 agosto e a metà dicembre frequentava già la scuola materna. Dietro consiglio del
pediatra si pensava di aspettare più a lungo prima di immetterla
in un ambiente collettivo, perché non avesse ad avvertire una mancanza di
sicurezza. La bambina ha avuto invece un inserimento ottimale: è stata molto
serena. L'anno successivo si è iscritta alla prima elementare. Nell'ambito
della scuola è stata accettata molto bene.
Per quanto riguarda la sfera sociale esterna, noi,
dopo l'arrivo, l'abbiamo portata fuori di casa subito (a passeggio, feste di
compleanno, visite a piccoli amici ecc.).
La nostra sembra un'esperienza simile a quella di
Francesco e Katia, con la sola differenza che la
bambina è arrivata a 5 anni. Non sappiamo se la serenità che Sara dimostra è
dipesa dal carattere della bambina o da un passato che, per quanto traumatico,
non lo sia stato al punto da lasciare troppe tracce, o se è dipeso anche da come è stata accettata, cioè se questa carica affettiva e di
disponibilità da parte nostra possa avere influito, più o meno positivamente,
su di lei.
Noi viviamo in un posto che (anche
se nominato in tutto il mondo) rimane in definitiva molto provinciale e
molto chiuso. Anche questo poteva creare difficoltà
all'inserimento. Tutto sommato queste grosse difficoltà non ci sono state. La
bambina ha ora 8 anni e mezzo, frequenta la terza elementare (e il doposcuola,
di sua libera scelta).
Per quanto riguarda il paese di origine
non asseconda molto i nostri discorsi sull'argomento. Quando vede persone di
colore alla televisione, si limita a dire che ballano
bene. Se qualcuno dice che è negra precisa subito di
essere indiana.
Non le abbiamo mai fatto domande di
alcun genere. Se lei ha parlato l'abbiamo
ascoltata, non abbiamo mai calcato su certi particolari. Di recente, a scuola,
le hanno assegnato un compito sulla famiglia. Lei ha
raccontato una storia che, in parte, coincide con ciò che sappiamo. Ha scritto
che un giorno è andata a una festa di compleanno con i
genitori e il fratello e che poi i genitori l'hanno abbandonata portandosi via
il fratello. Allora è stata per un certo tempo in istituto (e ci risulta che, effettivamente, è stata un anno in istituto da
quando fu trovata) e poi conclude l'argomento dicendo che attualmente vive,
con la sua famiglia, in Italia. Inizialmente abbiamo avuto due grossi problemi
(poi dimostratisi inesistenti). Primo, come superare uno
stato di sottoalimentazione; secondo, la lingua.
Per l'alimentazione abbiamo osservato scrupolosamente
certe regole e tutto si è felicemente risolto.
Nonostante la bambina al suo arrivo non sapesse una sola parola di italiano, ci siamo capiti subito. Dopo tre mesi si
esprimeva già ed era in grado di capire.
Altro punto da affrontare era la religione (farla
battezzare, non farla battezzare). Abbiamo deciso di
non affrontare subito il problema per non turbarla. Non sapevamo se e come
aveva vissuto nei 5 anni precedenti il problema religioso. La bambina ha
vissuto le prime esperienze religiose con il Natale e il Presepe. Ha praticato
sporadicamente la Chiesa (noi non siamo molto praticanti). Da noi ha sempre
sentito parlare del Vangelo come pratica vissuta. Successivamente
abbiamo avuto un colloquio in casa con il parroco (quasi quasi
ha insegnato qualcosa lei a quest'uomo, che era molto
imbarazzato e non sapeva come affrontare l'argomento).
Prima del battesimo è andata come uditrice al
catechismo. L'anno scorso, durante la veglia pasquale, è stata battezzata, fra
l'altro, insieme a una bambina che era nata da pochi
giorni. E così ha ricevuto il battesimo, molto serenamente,
molto tranquillamente. Ora sta frequentando il corso preparatorio per la
prima comunione.
Un'osservazione della bambina che all'epoca mi ha
molto colpito è relativa alla resurrezione di Cristo («Allora
Gesù è nato due volte»).
NANCY
Nalini è arrivata che aveva 22 mesi. Il
nostro figlio più grande aveva due anni e mezzo e io ero incinta di 6
mesi per la terza.
Quindi l'unico problema che abbiamo avuto è stato quello di
avere tre bambini, con il più grande di soli due anni e mezzo.
Altro problema è che Nalini
è la seconda e non la più piccola, né la più grande. lo
penso che in una famiglia di tre bambini il secondo abbia sempre maggiori
problemi e non abbia niente di suo. Penso che sia un problema comune a tutti i
secondogeniti.
Nondimeno l'inserimento della bambina è avvenuto bene. Lei si
è adattata prima di me. I problemi più grossi sono stati di comportamento,
dovuti alla sua permanenza in istituto e che non ha mai del tutto persi.
Noi aspettavamo una bambina piccola di 22 mesi e ci
avevano avvertiti che sarebbe arrivata ritardata.
Invece è arrivata molto vispa, parlava già bene, si
difendeva, era completamente autosufficiente, faceva tutto da sola, aveva un
bel caratterino, faceva quel che le pareva (e lo fa ancora). Ora si controlla
di più, è entrata abbastanza nell'ambito delle convenzioni sociali, comunque non ha cambiato la personalità con cui è arrivata
(che naturalmente è anche un suo diritto e, per lei, come individuo è un bene).
Però è molto egoista, autosufficiente, testarda. Crea
quindi problemi di convivenza per questo. Gli altri
due sono diversi.
Nel tentativo di darle qualcosa di tutto suo, essendo
la seconda, abbiamo tentato di inserirla in un coro
per bambini, assecondando la sua tendenza musicale. Però, non è stata
un'esperienza del tutto positiva perché nella
situazione familiare attuale (penso io alla casa, senza aiuti esterni), quando
la porto al canto devo portarmi dietro anche gli altri due. Quindi
lei si sente quasi esclusa; non le pare di avere una cosa in più perché quando
va al canto io sto da sola con gli altri due. Siamo quindi ancora alla ricerca
di darle qualcosa di suo.
Posso dire che la bambina è
arrivata con molte paure, di cui non sappiamo l'origine. È terrorizzata dagli
animali. Abbiamo un cane. Quando è arrivata abbiamo
dovuto tenerlo fuori di casa per tre settimane. Ora, dopo oltre tre anni, si tollerano, però, anche due giorni fa (la bambina ha ora
5 anni) ha visto un gattino piccolissimo che le ha tagliato la strada, anche
non troppo vicino, e si è messa ad urlare istericamente. Quindi
ha queste paure, insicurezze, gelosie per i fratelli, ma in definitiva mi
sembra tutto nella normalità; naturalmente sto evidenziando soltanto i
problemi.
La bambina, come quella di Francesco e di Katia, non si sente diversa dai fratelli, anche se si vanta
spesso di avere due madri e due padri e di essere
indiana. Minaccia anche di tornare in India se non stiamo buoni! Fra di loro i bambini sono fratelli normali. Ciascuno è
geloso degli altri due, in misura normale.
Per quanto riguarda l'aspetto burocratico vorrei
dire questo: l'adozione doveva concludersi il 10
dicembre, mentre ancora siamo lontani dall'atto finale. La cosa ci scoccia un
pochino perché volevamo fare un viaggio, che non
possiamo fare finché la bambina non ha il passaporto italiano. Due settimane
fa ci hanno detto che ci vorranno ancora due mesi.
Sono cose un po' assurde. Debbono aspettare un mese
prima di mandare tutto allo stato civile e all'anagrafe.
All'inizio abbiamo avuto con la bambina alcuni
problemi di salute. Ha dei batteri intestinali, che non vanno via fino alla
pubertà; comunque non le danno noia, né c'è gran
pericolo di contagio. La bambina cresce molto bene,
quindi aspetteremo.
FRANCO
Fino a un mese fa avrei
detto quello che hanno detto gli altri. Che non ci sono
problemi. Forse siamo sempre vissuti nell'ottimismo.
C'è stato però un fatto nuovo. Un mese fa, mentre ero in bagno, mi sembrò sentir piangere (i ragazzi erano già a letto). Si
trattava di Kenny. L'Anna si mise a sondarlo e venne
fuori che piangeva perché pensava alla sua mamma in India. Kenny
è un ragazzo molto chiuso, introverso, parla poco, le cose che dice sono tutte
pesate, bilanciate. In un primo tempo pensai che il momento
di sconforto fosse da mettere in relazione con problemi scolastici o con il
particolare stato adolescenziale (ha 12 anni) . Alti e bassi, niente che va
bene, passaggi dalla grande gioia alla grande
disperazione. Anch'io, alla sua età, mi ricordo di aver cercato pretesti per
sentirmi infelice. Kenny
forse - pensavo - ha preso spunto di lì per farci sopra un pianto che non aveva
quell'origine. E ancora
cerco di pensare a questa spiegazione. Lui non c'è più
tornato sopra. Però, come noi si tende a
proiettare i problemi nostri sul bambino (il battesimo della Sara, Antonio che mi chiede cosa comprare al bambino che
arriva dall'India ecc.) non vorrei che fosse anche il contrario, dove noi
vediamo tutto rosa potrebbe non essere così. Non so ancora cosa pensare: non ho
approfondito la cosa.
Quanto a Kenny, egli soffre
di gelosia, anche a scuola, con i compagni.
Dell'origine dei ragazzi non sappiamo nulla. Kenny aveva 26 mesi, la Jenny 18
mesi. Quello che non ci torna tanto, ma è comune a tutti, è questo rifiuto del
paese di origine, dell'India. Tanto
più che io in India ci vado. E quello ci sputa
sopra. Due anni fa Kenny preferì la bicicletta al
viaggio in India. Il suo sogno è vivere nel Mugello e fare il pescatore. Il
mare nel Mugello non c'è, ma il pescatore è
un'attività silenziosa, lenta, ritmica e lui ama queste cose.
La Jenny ha tutt'altro carattere. Però bisognerà vedere a 13-16 anni, quando nascono i primi amoruzzi. Ciascuno di noi a 15-16 anni ha ricevuto
il «no» della ragazzina o del ragazzino e si è sentito frustrato e ha cercato
le ragioni del rifiuto (se i capelli non erano giusti, se il modo di vestire
era sbagliato). Non vorrei, ma può darsi benissimo, che Jenny, Kenny o Sara attribuiscano il «no» a
una ragione di razza, che magari non esiste, ma che può divenire un pretesto.
D'altra parte che si può fare? Bisogna prenderne atto e cercare di intervenire.
Kenny è quello che ci dà più problemi e soddisfazioni.
Jenny, apparentemente è più «farfallina», più vanitosa. Si trucca, ha una
grande considerazione di sé, è molto ottimista. Ci si
domanda se è una figliola senza problemi o se copre i problemi meglio degli altri.
Lega con tutti, entra in gruppo, porta amiche a
dormire a casa e viceversa.
La Mina ha alti e bassi. La Pierina
(il nostro primo «affidamento») rientrando recentemente in casa, le ha creato
dei problemi. Per decidere se far rientrare la Pierina
ci sono state tre riunioni, fra il sabato e la domenica. Solenni promesse che
se la Pierina avesse creato problemi ai ragazzi (a
Mina in particolare) non si sarebbe ripresa. Siccome tutte le vogliono bene, la decisione fu unanime. Le cose vanno meno
male di quello che si pensava. La Mina è però molto gelosa
della Pierina e viceversa.
Il discorso di fondo è,
secondo me, questo: noi siamo combattuti tra il cercare problemi che forse non
ci sono e il non creare problemi dove non sono. Io sono per lasciar correre.
Tutti noi abbiamo avuto i nostri problemi, le nostre crisi, anche i ragazzi ne avranno e si arrangeranno anche un po' da sé, se no il
fatto di essere figli adottivi diventa una forma di emarginazione in maniera
diversa. Un'eccessiva attenzione può diventare una forma di emarginazione.
NANCY
Vorrei aggiungere una cosa sul pregiudizio, qui in
Italia. È un pregiudizio all'incontrario. Almeno nella
nostra esperienza, la bambina approfitta del fatto di essere
diversa; anzi lei è tutta a suo agio quando non c'è presente un bambino «diverso».
Ad esempio, quando veniamo a Borgo e ci sono tutti i bambini di Franco, allora
lei si trova meno bene, perché non ha la possibilità di approfittare del fatto
di essere diversa per ottenere di più, sia
nell'attenzione che in dolci ecc..
Il problema viene anche dall'esterno. Questi bambini sono portati a sentirsi diversi, nonostante tu cerchi di
combattere in casa questa sensazione. Noi siamo quasi costretti a trattarla
peggio di tutti e tre i figli, in casa, proprio cercando di bilanciare un
pochino. Perché fuori è un dramma come la bambina
riesce ad arruffianarsi con tutti! E
in casa questo non è di certo accettato, siccome i bambini sono tre.
MARIO
Io dovrei dire una cosa contraria a quello che ha
detto la Nancy, perché Cecilia si vergogna di essere coreana, non lo vuole sentir dire. E poi si sente diversa e umiliata. Per quanto noi abbiamo
fatto di tutto perché non soffra di questo complesso di inferiorità
(per lei è un complesso di inferiorità sentirsi coreana). Vorrebbe essere come
gli altri. Si sente diversa, perché glielo dicono (glielo dicono per
complimento e glielo dicono bene; a volte a scuola è stata anche offesa
involontariamente da qualche bambino che è arrivato a dire
che era negra o cinese) e lei di questo si vergogna.
Noi ci siamo sforzati di farle fare delle amicizie con altri bambini, senza apparire, cercando
di farlo nel modo più naturale possibile; abbiamo cercato, nell'ambiente in
cui si abita e, anche fuori, nella scuola, di organizzare degli incontri;
l'abbiamo mandata alla scuola di ballo perché diventi sempre più spigliata. Ma
ogni volta che ritarda questi incontri, per motivi di salute
e per altro, il successivo incontro per lei è un sacrificio, un disturbo
notevole perché si vergogna a ripresentare la faccia.
La bambina ha ora 8 anni. Quando
è arrivata aveva tre anni e otto mesi. Aveva diversi problemi. Prima di tutto
non parlava. Siamo stati anche da uno psicologo. Sembra che questi problemi siano dovuti a uno spavento. Una cosa più intuita che
saputa. Non parlava neppure coreano. Le abbiamo fatto fare un corso con un
ortofonista e ora parla discretamente, anche se qualche piccolo difetto ce l'ha ancora. Le uniche persone che vede sempre
volentieri, anche se a distanza di tempo, sono i cugini. Anche
se non li vede per dei mesi, quando li incontra di nuovo li vede sempre
volentieri.
A scuola è bravissima. È molto intelligente. Ha
facilità nella matematica, nello scrivere, nel comporre. È un dono di natura.
Non glielo abbiamo dato noi.
Per quanto riguarda l'informazione della sua
condizione di figlia adottiva, l'abbiamo affrontata e risolta abbastanza bene.
Lei è felice e lo esprime in tutti i modi. È contenta di averci per genitori.
Sembra quasi una bambina adulta. Ci fa quasi impressione. Una bambina di 8 anni
che ci ripete molto spesso che è contenta di avere dei genitori, quando prima
non aveva una famiglia, sa di adulto. Sono espressioni
che in un bambino fanno impressione. Gli altri bambini non dicono queste cose.
Tutto il problema della bambina invece è avere una famiglia e tutta la sua
felicità è imperniata su questo possesso: i genitori. È una cosa che fa
effetto, anche se proviene da un bambino il più sensibile. È anche un po'
preoccupante. Siamo andati, io e Marcella, anche da
uno psicologo. La bambina deve avere avuto un'esperienza dolorosa. Queste
esperienze devono esserle rimaste a livello inconscio.
FRANCO
Sono contrarissimo agli psicologi. Quello che vedrei con preoccupazione
è il fatto che la bambina sia contenta e mostri gioia
di avere i genitori. Io ho sperimentato (e per ora ho ancora da cambiare idea)
che un bambino è felice quando riesce a dire al babbo
o alla mamma: «Accidenti a te, ma chi te l'ha fatto fare
di pigliarmi? Perché non mi hai lasciato in India o in Corea?».
Nessun bambino si dice felice di avere i genitori.
Una gioia manifesta di avere i genitori è una cosa che non è naturale.
Quando Kenny va bene a scuola io sono preoccupato. Veramente. C'è qualcosa sotto.
MARIO
Io sono d'accordo con te. Mi preoccupo e voglio che la bambina sia indipendente, che non si
preoccupi per i genitori, che non abbia per essi questo attaccamento eccessivo.
Vorrei fosse un po' più spigliata. Sono arrivato a concludere che ciò dipende dal carattere.
FRANCESCO
Non accetto completamente il discorso di Franco. Se
un ragazzo è felice di stare a casa e va bene a scuola
è segno che, in fondo, non ha grossi problemi.
MARIO
Io e Marcella abbiamo pensato che la bambina ripeta un po' quello che sente dire da noi. Capisce la nostra
felicità e ripete queste espressioni.
FABRIZIO
Sta succedendo anche a me quello che tu dici, da quando, con Paolo, si è affrontato l'argomento della sua
filiazione adottiva. Ne abbiamo parlato subito, ma
ora che è in grado di capire di più, abbiamo anche insistito (Una mamma non
poteva tenerti... allora noi ti abbiamo scelto »). Ogni tanto allora lui dice:
«Sono proprio contento che siate stati voi a
scegliermi...».
FRANCO
Lo fa anche la Pierina.
All'evidente scopo di gratificarmi. Ora che è di nuovo con noi le piace anche la nuova scuola. Prima odiava la scuola.
Sono forme forzate di gratificazione. Si comporta
così perché ha dei problemi.
MARIO
Io e Marcella ci siamo detti: «Cecilia deve aver
paura di rimanere sola...».
MARCELLA
A questa conclusione siamo giunti ripensando alle
notizie che erano in nostro possesso. Quando arrivò
(aveva 3 anni e 8 mesi) era stata appena dimessa da un ospedale coreano, nel
quale ebbe una degenza di circa un mese. Cecilia era partita da Pusan per recarsi a Seul, dove doveva prendere l'aereo per
l'Italia. Invece fu trattenuta in quest'ultima
città, perché malata, e ricoverata in ospedale, venendosi a trovare in tal
modo tra persone sconosciute.
Di questo avvenimento, in
seguito, ce ne ha parlato in modo confuso, raccontandoci di essere rimasta sola
in una stanza e di aver cercato i bambini, certamente con i quali viveva, senza
riuscire a trovarli. Mi pare facilmente immaginabile quale sia
stata la disperazione che ha provato.
Questa esperienza, come sicuramente
molte altre a noi sconosciute, ha senz'altro inciso sul carattere di nostra
figlia, sia per il timore della solitudine: non sentirsi fra amici; sia per la
paura non fisica delle malattie: nuovo ricovero in ospedale che equivale al
distacco dalla famiglia. Essa
rifiuta infatti di sentirsi male giungendo ad
impedire, come primo impulso, che le venga toccata la fronte per sentire se ha
la febbre.
MARIO
In casa la bambina non solo fa quello che vuole, fa
la prepotente, dà ordini. Quindi
sa che è casa sua. Ora fa delle domande. Vuol sapere perché è stata nella
pancia di quell'altra donna e perché non l'ha tenuta
con sé (mia moglie non l'ha mai chiamata l'altra «mamma»). Marcella risponde
che non avrà potuto tenerla o che forse sarà morta.
Noi non lo sappiamo. Questa donna non si può né
condannare, né assolvere. Probabilmente era più disgraziata che da condannare.
Alla bambina, più che altro, interessa sapere perché non è nata dalla pancia
della mamma.
ANGIOLINO
Anche Chicco ha paura di rimanere solo. Lo fa capire.
Fintanto che non ha la sicurezza al cento per cento
penso non sia tranquillo. Il suo nervosismo di questi giorni è
dovuto all'allontanamento della mamma (attualmente in ospedale). Il
bambino avverte la differenza. Oggi, quando vado a
lavorare, si preoccupa. Quando c'è anche la mamma è
invece tranquillo.
MARIO
Cecilia ha visto mio fratello dopo due mesi dal suo
arrivo in Italia. Inizialmente non voleva vedere nessuno in casa. Aveva paura
la riportassero via. Anche oggi, lei senza di noi non
va in nessun posto. Siccome so che cosa si prova ad essere
timidi, non voglio imporre a mia figlia delle cose che le portano
sofferenza. Sono convinto che maturerà. Man mano che è cresciuta è sempre
migliorata.
FABRIZIO
Noi non abbiamo avuto problemi con Paolo. Venuto in
famiglia che aveva 20 giorni, era appena nato. Il rapporto iniziò
come affidamento familiare. C'eravamo, Margherita ed io, orientati
verso l'affidamento, avendo già tre figli biologici. Naturalmente quando questo
ragazzino appena nato entrò in casa (almeno da parte mia), lo sentimmo
immediatamente come figlio.
Nonostante questo, dopo un paio di mesi, conoscendo
anche i genitori di origine che a quel tempo
visitavano il bambino presso la sede dell'ONMI (si trattava di gente piuttosto
disgraziata), decidemmo che non avevamo alcun interesse a perfezionare un
rapporto adottivo, cioè a legalizzare la posizione del bambino in seno alla
famiglia.
Andammo allora in Tribunale per dire al giudice X
che non ci interessava in prospettiva l'adozione e
che il rapporto poteva continuare come affidamento. In Tribunale, viceversa, il
giudice disse che i genitori avevano praticamente rinunciato
al bambino. Da allora abbiamo avuto (e forse l'abbiamo
ancora oggi) il problema se sia stata una soluzione giusta nei confronti di questa
famiglia il privarla di un figlio. Abbiamo cioè avuto
un senso di rimorso nei confronti di queste persone. Tanto è vero che, a un certo punto, sapendo che esisteva un fratello di Paolo
in istituto, alla Madonnina del Grappa, decidemmo di contattarlo, nonostante
che nel frattempo l'affidamento preadottivo si fosse
perfezionato. Andammo in questo istituto, conoscemmo
questo ragazzo che allora aveva 18 anni e gli chiedemmo se avesse interesse ad
avere rapporti con il fratello. Questo ragazzo, per due anni circa ha frequentato la nostra casa (veniva il sabato); probabilmente
veniva più per se stesso (era sempre vissuto in istituto e quindi non
aveva mai avuto un rapporto familiare vero e proprio). Improvvisamente ha
cessato di venire; quando, successivamente, la
Madonnina del Grappa gli ha trovato un'abitazione.
Il nostro, quindi, è un rapporto di
adozione che ha avuto origine da un affidamento. Noi sappiamo
qual è la famiglia di origine di Paolo e a volte ci siamo posti il problema se
non fosse il caso (nonostante il bambino sia ormai legalmente nostro figlio)
di riallacciare i rapporti con la famiglia di origine. Queste persone non si
sono più fatte vive, perché sono persone estremamente
sprovvedute, sempre vissute in una miseria cronica, in un piccolo paese, lui
sempre disoccupato, lei molto malata.
Quando il fratello frequentava la nostra casa si cercava di sondarlo anche da questo punto di vista. Però anche il fratello non aveva rapporti continuativi con
la famiglia. I genitori avevano messo al mondo 5 figli e poi li avevano sparsi
negli istituti.
Quello che ci disturba è che si tratta di una
famiglia di sprovveduti. In altri casi, quando il genitore di
origine è una persona violenta o aggressiva, il Tribunale ha una considerazione
diversa. Qui, in un certo senso, credo ci sia stata
prevaricazione; il Tribunale ha costretto i genitori a rinunciare al bambino,
li ha obbligati, ed essi non si sono neanche opposti. Forse non avevano neanche
i mezzi per farlo.
MARGHERITA
Quando andammo in Tribunale dal giudice X per dirgli che non ci interessava l'adozione e che saremmo stati
disposti a continuare l'affidamento, il giudice ci disse che, prima o poi, i
genitori avrebbero rinunciato a Paolo. Pensammo: «Se
non interessa a lui, perché dovrebbe interessare a noi?». In seguito ci
richiamò e ci disse che avevano rinunciato.
I genitori avevano già visitato il bambino due o tre
volte, presso l'ONMI. La madre, diabetica, aveva il terrore che le rendessi il
bambino. Non era in grado di provvedere a un bambino
piccolo. L'assistente sociale cercava di convincerla a darlo in adozione. La
donna era contraria («...con l'adozione non si vedono più...»). Sapere che una
volta ogni tanto poteva vedere il bambino le bastava. Anche un'altra sorella di Paolo è stata poi data in
adozione.
Poco dopo questi incontri ci chiamano in Tribunale
per dirci che i genitori avevano acconsentito
all'adozione. Cademmo dalle nuvole. Venti giorni prima i genitori avevano detto che erano contrari. «Che si preoccupa?
Meglio così...», disse il giudice.
I genitori, dopo aver firmato per l'adozione,
chiesero all'assistente sociale di vedere di nuovo il
bambino. È evidente che non avevano capito nulla. Noi
andammo all'ONMI per farglielo vedere, nonostante la rinuncia. Poi la madre,
che era in cura all'istituto di igiene mentale, fu convinta
dalle assistenti sociali a rinunziare alle visite («...è meglio per il
bambino...») . Fu in questo periodo che andammo a
ricercare il fratello. Venendo lui, che andava a casa ogni tanto, ci sentivamo
abbastanza a posto con la coscienza. Una volta il fratello ci chiese una
fotografia da portare ai genitori (fra l'altro non l'avevamo e quindi non
l'hanno mai avuta).
Forse il fratello era un alibi. Lo facevamo per noi,
per mettere a posto la nostra coscienza. Ora che anche il fratello ha smesso di
venire ci si è riproposto il problema. Se sia giusto o
no interrompere i rapporti con la famiglia di origine.
Il bambino sa che è adottivo. D'altra parte, riportarlo ora, dopo 6 anni, a
visitare i genitori potrebbe essere uno shock. Con il
fratello sarebbe diverso. Il bambino sa chi è e lo ricorda. Anche
se non si è mai posto il problema di questa seconda fratellanza rispetto ai
nostri altri figli. Se tornasse lo
riaccetterebbe facilmente. Ma riportarlo dai
genitori? È un bene o un male?
FRANCO
Ho l'impressione che quello che stiamo
seguendo non sia il modo giusto per scambiarsi delle esperienze. Si finisce
per non dirci nulla. Si vola a pelo d'acqua.
FABRIZIO
Forse un modo per entrare nel vivo sarebbe quello di
chiedere a Francesco o a Nancy perché
hanno fatto la scelta dell'adozione. La motivazione è
abbastanza semplice nelle coppie senza figli, è abbastanza comprensibile.
Invece per una coppia che ha già dei figli?
KATIA
Quattro figli erano già abbastanza. Ma a forza di sentire parlare di questi ragazzi senza famiglia
ci siamo decisi per l'adozione C'era rimasta poi la voglia della femmina. È
stata anche una motivazione un po' egoistica. Le due cose abbinate
insieme.
FRANCESCO
Non da parte mia.
KATIA
A poco a poco, anche parlando con i ragazzi, è
maturata l'idea di adottare una bambina. Intendiamoci bene, se c'era
disponibile una bambina. Se ci avessero mandato un maschio
sarebbe stato lo stesso.
FRANCESCO
Per me i motivi sono un po' più complessi. Avere 4
bambini sani, normali e sapere tutti i giorni (viviamo in un paese e siamo in
contatto con l'assistente sociale) dell'esistenza di ragazzi non normali, che hanno necessità di una famiglia. Il senso
di dover far qualcosa, anche come fede religiosa, per il prossimo, inteso come
fratello.
La soluzione di prendere un altro bambino è un po'
una vigliaccheria; non è fare gran ché, prendere un
bambino piccolo e sano; non è quello che si dovrebbe fare. Però scarica un po’;
ci si illude di avere fatto qualcosa. In realtà,
quando si pensa bene bene,
non è vero. Sono un po' vigliacco, perché non affronto il problema. Se uno certe cose non le sente, non si crea certi problemi.
Personalmente li avverto. Ma, ripeto, è stata quasi
una soluzione da vigliacchi, perché prendere un bambino piccolo e sano è una
soluzione piuttosto facile per scaricare la coscienza. Per dire: «Ho fatto
qualcosa». Questo, spesso, mi fa star peggio che
meglio. Specialmente quando qualcuno ti dice: «Ma che opera buona che hai fatto!».
Noi dalla Serena abbiamo più ricevuto che dato.
Parlando in questi giorni con l'assistente sociale siamo venuti
a conoscenza di decine di casi di ragazzi da dare in affidamento; fra
cui quello di una bambina di due anni, mongoloide (è stata prima agli
«Innocenti», poi hanno fatto pressioni sulla madre perché la riprendesse; la donna ha avuto un altro bambino e non vuole più
tenerla).
Siamo venuti via sconvolti. In uno stato pietoso. La
società è piena di questi fatti. Sono problemi grossissimi che non abbiamo il coraggio di affrontare. Altro che i problemi dei
bambini adottati! Abbiamo paura di interrogare noi stessi. Capitano dei momenti
di crisi fortissima. Quando uno mi viene a dire che
ho fatto un'opera buona ad adottare la bambina, mi va il sangue al cervello.
MARGHERITA
Parlando tempo fa con la Silvia è
venuto fuori questo discorso. Lei non viene più all'ANFAA perché non ci crede
più. Anche lei sosteneva che prendere un figliolo e
tenerselo, anche se ha qualche problema, è una soluzione comoda; ci mette a
posto un po' la coscienza e basta.
Le avevo segnalato dei casi di affidamento.
Mi ha risposto che non se la sente più di cercare le famiglie. Lo faceva, come
servizio, quando anche lei personalmente faceva degli affidamenti. Allora era
credibile. È inutile andare a proporre affidamenti a famiglie che sono al di fuori del problema, quando noi, per un motivo o
per un altro (che non sono mai motivi validi) non lo facciamo. Anch'io non me la sento più. Se di fronte a
un caso di affidamento mi creo degli alibi per non farlo, come posso proporlo
ad altra gente?
FRANCO
Questa affermazione da parte tua mi meraviglia.
Sono, le tue, motivazioni di tipo pseudomoralistico.
È come se dicessi: «Ci sono migliaia di bambini che non mangiano la carne e
allora il pezzo di lesso lo butto via». Forse che tu
pensi che una persona, fra noi, che si dedicasse a
tempo pieno per cercare famiglie affidatarie o ad altre attività sociali, senza
mai adottare o affidare un bambino, non sarebbe una persona degna di parlare?
MARGHERITA
Forse è una crisi mia. Mi sento in colpa. So che
potrei affidare un altro ragazzo e non lo fo. Sono
sicura che se mi capitasse di rimanere incinta e di
avere un altro figliolo non mi creerei nessun problema e allora perché non ne
prendo un altro?
FRANCO
Tutti noi siamo delle persone che hanno fatto delle
scelte non piene. Alcuni sono andati a prendere i bambini in India, mentre
c'erano altri bambini più vicini, che probabilmente avevano più bisogno di loro.
Qui vicino a noi. A tre passi. E non l'abbiamo fatto.
Abbiamo fatto delle scelte parziali. Tutto quello
che faremo nella vita sarà parziale. Solo il Cristo è
stato totale. Ha dato la vita. Io ancora non ci sono a
quel punto lì. Ci arriverò, spero.
Il tuo è un discorso un po' moralistico.
MARGHERITA
Per anni, a scuola, ho parlato di affidamento
e di adozione. Sono stati i miei cavalli di battaglia. E
ai ragazzi interessava. Spesso, quando proponevo un bambino in affidamento, mi
chiedevano: «Perché signora lei non lo prende?».
Spiegavo i miei motivi. Mi dicevano: «Ha ragione a non prenderlo». Invece non avevo ragione.
Perché, allora, devo mettere in crisi altre persone? Non
mi sembra giusto. Bisogna che mi metta in crisi anch'io.
FABRIZIO
È un po' il discorso di Roberto, che si è staccato
dall'ANFAA. «Questi bischeri», dice, «scrivono un
libro-bianco, raccolgono dati statistici. Ma
il problema vero è questo: c'è un figliolo che ha bisogno, chi se lo prende in
casa?». E lui i ragazzi li prende.
NANCY
Io credo che avere delle idee egoistiche a volte è
anche necessario. Quando doveva arrivare la seconda
ed ero incinta della terza abbiamo avvertito il CIAI. Ci hanno detto: «Pensateci bene, perché la situazione sarà abbastanza grave».
Noi non ci abbiamo pensato due volte e abbiamo detto
di sì. Però dopo ci siamo trovati in difficoltà. In
tre mesi ci arrivano insieme due bambini piccolissimi. A questi si aggiungano i
problemi del primo figlio, fino allora abituato ad essere figlio
unico. È stata una decisione di cui sono felice e non vorrei aver fatto
diversamente (anche perché la nostra seconda figlia ci dà molte soddisfazioni
e gioia; non solo problemi!). Ma è stato duro e
abbiamo imparato molte cose su noi stessi (del resto è un bene) e sui nostri
limiti umani.
Penso che in futuro ci cimenteremo di nuovo con
l'affidamento, però mi sono resa conto che in questo momento sarebbe superiore
alle nostre forze. Non posso passare tante notti senza dormire, non avere uno
spazio mio. Se no crollo; non solo io, ma crolla anche
l'affidamento familiare. Penso quindi che tutti noi, anche se inventiamo
delle scuse, non valide, finché non siamo pronti a riprendere questo passo è
meglio non farlo. Bisogna anche riconoscere i nostri limiti fisici e psichici.
FRANCO
Conosco una coppia alla quale
è morta una bambina. Si tratta di persone non superficiali, che pensano
moltissimo, con notevoli capacità educative. A un
certo punto, dopo un anno, si son detti: «Noi
possiamo, o rimpiazzare la Katia prendendo un altro
bambino, oppure dedicarci ad altre attività». Lui è
entrato nel distretto scolastico ed è l'unico di 40 membri che ci si dedica a
tempo pieno e si impegna anche nella scuola popolare.
Lei si è dedicata all'impegno catechistico. Si tratta di gente che non prende
figlioli e che dice: «Il mio tempo lo dedico non a una
bambina sola, che entra in casa, ma a tutti i bambini». Per me è una scelta
valida.
(1) Dall'incontro dei soci della
Sezione fiorentina dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie
(Salaiole di Borgo San Lorenzo 17 febbraio 1980).
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