Prospettive assistenziali, n. 56, ottobre - dicembre 1981

 

 

Specchio nero

 

 

EMARGINARE GLI HANDICAPPATI PER UNA «NUOVA SOCIETA’»

 

Chi ha lavorato, lottato per l'inserimento sco­lastico, lavorativo e sociale degli handicappati rischia di fare una brutta fine.

Lucia Roselli, autrice dell'articolo «L'handicap fisico e quello ideologico» apparso su «Nuova Società» del 26.9.1981, minaccia queste persone, rilevando che nel convegno dei Sindaci del mon­do, svoltosi a Torino nell'aprile scorso, sono emerse due posizioni: quella dei Paesi stranieri dove gli interventi per gli handicappati sono at­tuati nell'ambito di scuole speciali, e quella degli italiani i quali ritengono che la socializzazione, e in particolare l'inserimento nelle strutture e nei servizi di tutti, sono le condizioni essenziali per una riabilitazione effettiva.

L'Autrice, dopo aver sostenuto che la recente sentenza della Corte di Cassazione è positiva, ironizza sul fatto che «siamo solo noi, nel nostro Paese, ad avere inventato il secondo dei due suddetti tipi di filosofia».

A questo punto la Roselli passa apertamente alle minacce scrivendo: «Qualcuno, molti anni fa, cercava di insegnarci che "noi siamo all'avan­guardia, che l'Italia è faro di luce, maestra di civiltà delle genti". Quel qualcuno è stato fuci­lato e poi appeso a testa all'ingiù in Piazzale Lo­reto a Milano nella primavera del 45».

Dopo le minacce, la derisione: «Evidentemen­te il gusto per le trombonate retoriche prive di fondamento non era solo fascista, ma era ed è prettamente italiano».

In conclusione chi opera per l'inserimento sco­lastico è un fascista, che dovrebbe essere liqui­dato con la fucilazione e poi appeso pubblica­mente a testa all'ingiù.

L'esterofilia conduce la Roselli a fare esempi allucinanti. «In Inghilterra non c'è alcuna "filoso­fia" di Stato sugli inserimenti. Ci sono istituti e scuole speciali per bambini con ogni tipo di handicap, ma ogni famiglia è libera di decidere se mandare un proprio bambino in una di queste strutture speciali o inserirlo in una scuola nor­male. Se ritiene che il proprio figlio non sia un diverso, ma uguale agli altri, che vada in scuola normale. Ma a questo punto sono la famiglia e il bambino», ecco l'assurda conclusione «che devono dimostrare l'uguaglianza, e non chiedere poi trattamenti speciali, insegnanti di appoggio, legislazioni più o meno favorevoli agli inseri­menti».

Nell'articolo «A carico dello Stato ma quasi tutto privato» «Nuova società» del 10.10.81), la Roselli appoggia la posizione espressa dall'As­sessore alla previdenza sociale di Leningrado se­condo cui «la famiglia è libera di scegliere per il bambino una scuola speciale diurna oppure un istituto».

Dunque per i bambini handicappati c'è una sola alternativa, quella di cadere dalla padella nella brace.

L'inserimento lavorativo in Unione Sovietica viene spiegato a fondo. I tecnici dividono gli handicappati in quattro livelli: lievi di qualsiasi tipo che possono «accedere a diverse situazioni lavorative» (quali siano non viene detto); con gravi handicaps di tipo fisico o con gravi cardiopatie i quali «a discrezione dell'équipe medica» sono indirizzati «ad un lavoro in un contesto normale oppure in un lavoro da eseguire a domicilio»; gli handicappati psichici di media gravità, i cie­chi, i cardiopatici più lievi sono inseriti in «repar­ti speciali all'interno di aziende normali»; per gli handicappati psichici medio-gravi e gli handicap­pati fisici gravi ci sono i «laboratori protetti».

Qui non c'è più il sano individualismo inglese, ma la tecnocrazia collettivistica sovietica. Gli handicappati sono però sempre discriminati e ciò va benissimo per Nuova Società, rivista finanzia­ta dal PCI.

 

 

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