Prospettive assistenziali, n. 57, gennaio - marzo 1982

 

 

PROGETTO PARLAMENTARE DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA

 

 

Pubblichiamo gli articoli del testo unificato di riforma dell'assistenza approvati alla data del 1° marzo 1982 dalle Commissioni riunite Affari costituzionali e Affari interni della Camera dei Depu­tati, e quelli non ancora esaminati.

 

 

Art. 1 (Principi ed obiettivi)

In attuazione delle norme costituzionali e nel quadro della sicurezza sociale, la presente legge determina i principi fondamentali relativi agli in­terventi di assistenza diretti a garantire al citta­dino il pieno e libero sviluppo della personalità e la sua partecipazione alla vita del Paese.

Tali obiettivi si realizzano con un'attività di prevenzione e di rimozione degli ostacoli di na­tura personale, familiare e sociale, mediante un complesso di servizi sociali coordinati ed inte­grati sul territorio con i servizi sanitari e forma­tivi di base e in armonia con gli altri servizi fina­lizzati allo sviluppo sociale, nonché attraverso prestazioni economiche.

A norma dell'articolo 38 della Costituzione l'as­sistenza privata è libera.

 

Art. 2 (Finalità)

Per rendere effettivo, con un'organica politica di sicurezza sociale, il diritto di tutti i cittadini alla promozione, mantenimento e recupero dello stato di benessere fisico e psichico, al pieno svi­luppo della personalità nell'ambito dei rapporti familiari e sociali, al soddisfacimento delle esi­genze essenziali di vita, l'attività del sistema dei servizi sociali e di quelli preposti allo sviluppo sociale perseguono le seguenti finalità:

a) prevenire e rimuovere le cause di ordine eco­nomico-sociale e psicologico che possono provo­care situazioni di bisogno sociale o fenomeni di emarginazione negli ambienti di vita, di studio e di lavoro;

b) rendere effettivo il diritto di tutta la popo­lazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali, ad usufruire delle strutture, dei servizi e delle prestazioni sociali, secondo modalità che garantiscano la libertà e la dignità personale e assicurino eguaglianza di trattamento, ricono­scendo alle persone, per i problemi che le coin­volgano direttamente, congrue possibilità di scel­ta di strutture, di servizi, di prestazioni;

c) agire a sostegno della famiglia e dei nuclei familiari garantendo anche ai cittadini in difficol­tà la permanenza nel proprio ambiente familiare e sociale di appartenenza o provvedendo, se ne­cessaria, al loro inserimento in famiglia o nuclei familiari liberamente scelti o in ambienti para­familiari o comunitari sostitutivi;

d) intervenire per il reinserimento di quanti sono assistiti in strutture o istituzioni segre­ganti;

e) intervenire a sostegno dei soggetti colpiti da menomazioni fisiche, psichiche, sensoriali per garantire il loro inserimento nei normali ambien­ti di vita, di studio, di lavoro;

f) promuovere la protezione e la tutela giuridi­ca dei soggetti incapaci di provvedere a se stes­si e privi di parenti o persone che di fatto vi provvedono.

 

Art. 3 (Destinatari)

Tutti i cittadini hanno diritto a fruire dei servi­zi sociali senza distinzione di carattere giuridico, economico, sociale, ideologico o religioso.

Ai cittadini è assicurata la libera scelta dei ser­vizi disponibili nel territorio.

Sono, altresì, ammessi ai suddetti servizi, gli stranieri e gli apolidi che si trovano in territorio italiano, anche se non siano assimilati ai citta­dini o non risultino appartenenti a Stati per i qua­li sussiste il trattamento di reciprocità, salvo i diritti che la presente legge conferisce con ri­guardo alla condizione di cittadinanza.

Può essere chiesto agli utenti e alle persone tenute al mantenimento e alla corresponsione degli alimenti il concorso al costo di determinate prestazioni in relazione alle loro condizioni eco­nomiche, tenendo conto della situazione locale e della rilevanza sociale dei servizi, secondo i criteri stabiliti con legge regionale.

In ogni caso le leggi regionali debbono garan­tire agli utenti dei servizi la conservazione di una quota delle pensioni e dei redditi che permetta loro di far fronte in modo adeguato alle esigenze personali.

 

Art. 3-bis

I servizi socio-assistenziali provvedono altre­sì a:

a) promuovere direttamente l'utilizzo dei ser­vizi da parte dei cittadini, compresi quelli con handicaps fisico-psichico-sensoriali. Detta attivi­tà comprende anche la segnalazione ai competenti uffici dei bisogni assistenziali risolvibili me­diante la predisposizione di servizi sia sociali sia preposti allo sviluppo sociale;

b) fornire ai cittadini l'informazione necessaria per quanto concerne le disposizioni legislative, regolamentari e d'altro genere sui servizi socio­assistenziali;

c) fornire l'informazione sulle prestazioni e sui servizi socio-assistenziali esistenti nel terri­torio e, occorrendo, la consulenza per la loro fruizione.

I servizi socio-assistenziali devono assicurare comunque le prestazioni previste dagli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616.

I servizi socio-assistenziali sono prevalente­mente organizzati in forme aperte con carattere domiciliare o di centri diurni che sono adeguata­mente distribuiti nel territorio.

 

Art. 4 (Prestazioni economiche)

Le prestazioni di carattere economico si distin­guono in ordinarie e straordinarie.

Hanno diritto alle prestazioni ordinarie:

a) sotto forma di pensione sociale o di assegni di inabilità, tutti i cittadini che, per età o inabilità, indipendentemente dalla loro volontà, non posso­no accedere al lavoro e sono sprovvisti dei mezzi necessari per vivere;

b) sotto forma di assegni continuativi tutti i cittadini che, a causa della loro grave invalidità, incontrano, nel compiere gli atti quotidiani della vita, difficoltà tali da aver bisogno dell'aiuto di terzi o di una sorveglianza personale continua.

Le prestazioni economiche ordinarie e le re­lative misure e modalità sono definite con leggi dello Stato.

Le prestazioni straordinarie sono dirette a co­loro che si trovano in difficoltà economiche con­tingenti o temporanee e sono erogate, anche nel caso di prestazioni a carattere continuativo, dai comuni, secondo i criteri indicati dalle leggi re­gionali.

 

Art. 5 (Compiti dello Stato)

Sono di competenza dello Stato:

1) la funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività amministrative delle regioni a sta­tuto ordinario in materia di servizi sociali attinen­ti ad esigenze di carattere unitario anche con ri­ferimento agli obiettivi della programmazione na­zionale e agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari;

2) la fissazione dei requisiti per la determina­zione dei profili professionali degli operatori so­ciali; le disposizioni generali in materia di ordi­namento e durata dei corsi e la determinazione dei requisiti necessari per l'ammissione;

3) gli interventi di primo soccorso in caso di catastrofe o calamità naturali di particolare gra­vità o estensione e gli interventi straordinari di prima necessità richiesti da altri eventi eccezio­nali ed urgenti che trascendono l'ambito regionale o per i quali l'ente locale non possa provvedere ovvero resisi necessari per assolvere un dovere sul piano di solidarietà nazionale;

4) gli interventi di prima assistenza in favore dei connazionali profughi e rimpatriati, in conse­guenza di eventi straordinari ed eccezionali;

5) gli interventi in favore dei profughi stranie­ri, limitatamente al periodo strettamente neces­sario alle operazioni di identificazione e di rico­noscimento della qualifica di rifugiato e per il tempo che intercorre fino al loro trasferimento in altri paesi o al loro inserimento nel territorio nazionale, nonché gli oneri relativi all'assistenza agli stranieri e agli apolidi fino alla concessione del permesso di soggiorno;

6) interventi socio-assistenziali prestati ad ap­partenenti alle Forze armate dello Stato, dell'Ar­ma dei carabinieri, alle altre forze armate di po­lizia dello Stato ed al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e ai loro familiari, da enti e organizza­zioni appositamente istituiti;

7) i rapporti in materia di assistenza con orga­nismi stranieri ed internazionali, la distribuzione tra le regioni di prodotti destinati a finalità assi­stenziali in attuazione di regolamenti della Comu­nità economica europea, nonché l'adempimento di accordi internazionali in materia di assistenza;

8) le pensioni e gli assegni di carattere conti­nuativo disposti dalla legge in attuazione dell'ar­ticolo 38, primo comma, della Costituzione;

9) gli interventi fuori del territorio nazionale a favore degli italiani all'estero;

10) la certificazione della qualifica di orfano, vedova, inabile e degli altri titoli di legittimazio­ne al godimento dei benefici previsti dalle leggi vigenti, da esercitarsi mediante delega alle re­gioni.

 

Art. 6 (Riassetto degli uffici statali)

Fino all'attuazione della riforma della Presi­denza del Consiglio dei ministri e alla riorganiz­zazione dei Ministeri, le funzioni statali di cui alla presente legge sono esercitate dal Ministero della sanità.

Gli interventi previsti dai numeri 3), 6), 7) e 9) del precedente articolo 5 restano assegnati ai Ministeri rispettivamente competenti.

La Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell'interno e le relative funzioni pre­viste dall'articolo 2, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 617, sono trasferite al Ministero della sanità.

In sede di riordinamento del Ministero della sanità ai sensi dell'articolo 59 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, si dovrà tener conto delle esigenze connesse all'attuazione dei compiti di cui alla presente legge.

 

Art. 6-bis (Consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali)

L'articolo 8 della legge 23 dicembre 1978, nu­mero 833, è sostituito dal seguente:

«È istituito il Consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali con funzioni di consulenza e di proposta nei confronti del Governo per la de­terminazione delle linee generali della politica sa­nitaria e assistenziale e per l'elaborazione e l'at­tuazione del piano sanitario nazionale.

Il Consiglio é sentito obbligatoriamente in or­dine ai programmi globali di prevenzione anche primaria, alla determinazione dei livelli di pre­stazioni sanitarie stabiliti con le modalità di cui al secondo comma dell'articolo 3 e alla ripartizio­ne degli stanziamenti di cui all'articolo 51, nonché alle fasi di attuazione del servizio sanitario na­zionale e alla programmazione del fabbisogno di personale sanitario necessario alle esigenze del servizio sanitario nazionale. Il Consiglio è, altresì, sentito obbligatoriamente in ordine ai programmi globali di intervento in materia assistenziale, alla determinazione dei livelli minimi dei servizi so­ciali che debbono essere garantiti a tutti i citta­dini, alla determinazione dei profili professionali degli operatori sociali, alle pensioni ed assegni di carattere continuativo di competenza dello Stato.

Esso predispone una relazione annuale sullo stato sanitario e sulla situazione dei servizi so­ciali del paese sulla quale il ministro della sanità riferisce al Parlamento entro il 31 marzo di ogni anno.

Il Consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali, nominato con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del ministro della sanità, per la durata di un quinquennio, è presieduto dal ministro della sanità ed è composto:

a) da due rappresentanti per ciascuna regione e, per quanto concerne la regione Trentino-Alto Adige, da due rappresentanti della provincia di Trento e da due rappresentanti della provincia di Bolzano;

b) da tre rappresentanti del Ministero della sa­nità e da un rappresentante per ciascuno dei se­guenti Ministeri: lavoro e previdenza sociale; pubblica istruzione; interno; grazia e giustizia; difesa; tesoro; bilancio e programmazione econo­mica; agricoltura e foreste; industria, commercio

e artigianato; marina mercantile; da un rappre­sentante designato dal ministro per il coordina­mento delle iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica;

c) dal direttore dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, da un rap­presentante del Consiglio nazionale delle ricer­che, da dieci esperti in materia sanitaria designa­ti dal CNEL, tenendo presente i criteri di rappre­sentatività e competenze funzionali al servizio sanitario nazionale, e da quindici esperti in mate­ria assistenziale, di cui dieci designati dal CNEL tenendo presenti i criteri di competenza funzio­nale rispetto ai servizi socio-assistenziali e cin­que designati dalle associazioni di rappresentan­za delle istituzioni private di assistenza sociale;

d) da cinque rappresentanti dell'ANCI.

Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un vice presidente.

L'articolazione in sezioni, le modalità di fun­zionamento e le funzioni di segreteria del Con­siglio sono disciplinate con regolamento emana­to dal Ministro della sanità, sentito il Consiglio stesso».

 

Art. 7 (Compiti delle regioni)

La potestà delle Regioni in materia di servizi sociali e di prestazioni economiche, di cui al 4° comma del precedente articolo 4, è svolta nel ri­spetto delle norme fondamentali e dei principi stabiliti dalla presente legge.

Le Regioni attuano le finalità della presente legge mediante la programmazione degli interven­ti socio-assistenziali coordinati con gli obiettivi definiti in sede di programmazione nazionale, e con gli obiettivi generali dello sviluppo regio­nale, secondo le procedure previste nei rispettivi statuti, assicurando comunque il concorso dei comuni e delle province e tenendo conto delle indicazioni e proposte emerse dalla consultazio­ne delle associazioni regionali, delle formazioni sociali e degli organismi pubblici e privati e del volontariato operanti nel settore.

Le Regioni in particolare provvedono a:

1) stabilire le norme generali per la istituzione, l'organizzazione e la gestione dei servizi sociali pubblici, nonché i livelli qualitativi e le forme del­le prestazioni;

2) approvare il piano di sviluppo dei servizi so­ciali, coordinandolo con il piano sanitario regio­nale;

3) determinare i criteri generali per il concorso degli utenti e delle persone tenute al manteni­mento e alla corresponsione degli alimenti al co­sto delle prestazioni secondo i principi indicati nel precedente articolo 4;

4) determinare le aree territoriali più idonee per una funzionale organizzazione dei servizi, se­condo quanto stabilito al secondo e terzo comma dell'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616; e all'ultimo comma dell'articolo 15 della legge 23 dicembre 1978, n. 833;

4-bis) predisporre e finanziare piani per la for­mazione e l'aggiornamento professionale del per­sonale addetto ai servizi sociali;

5) determinare gli indirizzi di carattere gene­rale per la erogazione delle prestazioni economi­che straordinarie per i cittadini che si trovino in particolari situazioni di difficoltà personali o fa­miliari;

6) provvedere alla ripartizione fra i comuni sin­goli e associati, comprese le comunità montane, dei fondi comunque disponibili per l'impianto e la gestione dei servizi sociali sulla base delle prio­rità prospettate dagli organismi preposti alla ge­stione dei servizi e definite in sede di program­mazione regionale;

7) determinare le condizioni e i requisiti per l'iscrizione delle istituzioni private nell'apposito registro regionale nel rispetto dei principi fissati nella presente legge;

8) disciplinare le modalità e i criteri della vi­gilanza sulle attività socio-assistenziali svolte nell'ambito regionale, anche ai fini della revoca dell'iscrizione nel registro di cui all'art. 12;

9) svolgere e promuovere una azione di assi­stenza tecnica diretta alla istituzione e al mi­glioramento dei servizi sociali e favorire la spe­rimentazione di nuovi servizi anche mediante isti­tuzioni specializzate pubbliche o private.

La legge regionale stabilisce le norme per la gestione amministrativa dei servizi sociali svolti dai Comuni singoli o associati, ne assicura il co­ordinamento e l'integrazione con i servizi sani­tari gestiti dalle unità sanitarie locali e ne preve­de il collegamento con gli altri servizi finalizzati allo sviluppo sociale.

La legge regionale stabilisce i modi e i tempi per l'unificazione, negli ambiti territoriali di cui all'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, degli organi di governo e di amministrazione dei servizi sociali e di quelli sanitari da attuarsi in ogni caso entro i! 31 dicembre 1981. Le Unità sanitarie locali assu­mono la denominazione di unità socio-sanitarie locali. La legge regionale stabilisce i compiti e le funzioni attribuite alle unità socio-sanitarie lo­cali e quelle, attinenti ai servizi di base, che ver­ranno esercitate dai singoli comuni o da organi­smi di decentramento comunale, ove istituito. La legge regionale assicura comunque l'autonomia tecnico-funzionale dei servizi sociali, nonché la distinzione contabile della gestione dei servizi so­ciali, secondo quanto previsto dall'ultimo comma dell'articolo 25 del predetto decreto del Presi­dente della Repubblica n. 616.

L'unificazione degli organi di governo e di ge­stione dei servizi sociali e di quelli sanitari deve realizzarsi entro due anni dall'approvazione della presente legge.

 

Art. 8 (Compiti delle Province)

Le Province concorrono alla elaborazione del piano regionale di sviluppo dei servizi sociali. Approvano, nell'ambito di tale piano, il pro­gramma provinciale di localizzazione dei presidi socio-assistenziali ed esprimono il parere sul­la rispondenza alla gestione dei servizi stessi delle delimitazioni territoriali determinate dalla regione.

Le funzioni in materia di assistenza e servizi sociali svolte dalle province sono trasferite ai comuni; il personale e il patrimonio delle pro­vince destinato alle funzioni predette sono tra­sferiti ai comuni nei tempi e con le modalità sta­bilite dalla legge regionale.

Le somme stanziate nell'esercizio 1982 dalle amministrazioni provinciali per le funzioni di cui al comma precedente sono destinate alle Regioni per essere interamente ripartite tra i comuni, secondo quanto previsto dal punto 6) del terzo comma del precedente art. 7.

 

Art. 9 (Ruolo e compiti dei comuni)

I comuni singoli o associati:

a) partecipano alla elaborazione, realizzazione e controllo del programma regionale di sviluppo dei servizi sociali e stabiliscono le modalità per assicurare ai cittadini il diritto di partecipare alla programmazione dei servizi stessi, anche median­te l'intervento dei rappresentanti degli utenti e delle formazioni sociali organizzate nel territo­rio, ivi compresi gli organismi rappresentativi delle associazioni e delle istituzioni di cui al suc­cessivo articolo;

b) provvedono all'organizzazione del comples­so dei servizi sociali pubblici localizzati nel loro territorio qualificando e potenziando i servizi so­ciali esistenti, anche attraverso la trasformazio­ne delle strutture già funzionanti e l'istituzione di nuovi servizi;

c) stipulano convenzioni con le istituzioni pri­vate iscritte nel registro di cui al successivo ar­ticolo 12;

d) garantiscono il diritto dei cittadini di parte­cipare alla gestione ed al controllo dei servizi sociali pubblici stabilendo anche le modalità di intervento degli utenti, delle famiglie e delle for­mazioni sociali organizzate nel territorio;

e) erogano le prestazioni economiche straordi­narie e temporanee secondo gli indirizzi generali determinati dalla regione;

f) è affidata ai comuni singoli o associati, ai sensi dei commi precedenti, la gestione dei beni mobili ed immobili e delle attrezzature destinate al patrimonio dei comuni e di quella destinato dai comuni stessi a sedi di servizi sociali;

g) i corrispettivi delle convenzioni di cui alla lettera a) sono riferiti ai costi del servizio in rela­zione ai livelli qualitativi del servizio stesso.

Ai fini di cui alla lettera b) i comuni si avval­gono anche della collaborazione del volontariato e favoriscono le iniziative di tipo innovatore e sperimentale.

I comuni esercitano le funzioni amministrative in materia di assistenza direttamente o attra­verso le unità socio-sanitarie locali, ovvero, per quanto attiene alla gestione dei servizi di base, attraverso gli organismi di decentramento comu­nale, ove istituiti.

 

Art. 10 (non esiste)

 

Art. 11 (Libertà dell'assistenza privata)

In conformità all'ultimo comma dell'articolo 38 della Costituzione è garantita la libertà di costi­tuzione e di attività alle associazioni, fondazioni e altre istituzioni - dotate o meno di personalità giuridica - che perseguano finalità assistenziali.

 

Art. 12 (Registro regionale istituzioni private)

In ogni Regione è istituito un registro per la iscrizione delle associazioni, fondazioni e istitu­zioni private anche a carattere cooperativo, do­tate o meno di personalità giuridica, che inten­dono essere consultate, nella fase preparatoria della programmazione dei servizi sociali e con­correre alla stipulazione delle convenzioni di cui al primo comma dell'articolo 9.

L'iscrizione nel registro delle istituzioni priva­te, fermo restando il rispettivo regime giuridico­amministrativo, è disposta dalla Regione, sentiti i comuni singoli o associati nei cui territori l'isti­tuzione opera, previo accertamento dei seguenti requisiti:

1) assenza di fini di lucro;

2) idonei livelli di prestazioni, di qualificazio­ne del personale e di efficienza organizzativa ed operativa, secondo gli standards dei servizi so­ciali fissati, ai sensi dell'articolo 7, terzo com­ma, n. 1;

3) rispetto per i dipendenti delle norme con­trattuali in materia, fatta eccezione per i casi in cui si tratti di prestazioni volontarie o rese in

forza di convenzioni fra le associazioni, istituzioni e le fondazioni di cui al primo comma con ordini religiosi o case generalizie;

4) corrispondenza ai principi stabiliti dalla pre­sente legge e dalla legge regionale.

Nel rispetto di tali requisiti i servizi gestiti dai privati sono inclusi, a domanda, nel piano dei ser­vizi sociali formulato dalle Regioni, compatibil­mente con le previsioni del piano stesso, con il concorso dei comuni e delle province e conven­zionati ai sensi dell'articolo 9.

Per le istituzioni operanti in più regioni l'iscri­zione è effettuata nel registro tenuto presso la regione in cui l'istituzione ha sede legale, sentite le altre regioni interessate.

 

Art. 13 (Volontariato)

È riconosciuta la funzione di utilità sociale del­le associazioni e delle altre istituzioni di volonta­riato dotate o non di personalità giuridica, libera­mente costituite, fondate in prevalenza su pre­stazioni volontarie e personali dei soci e che con­corrano al conseguimento dei fini dell'assistenza sociale.

Nell'ambito della programmazione e della le­gislazione regionale, i comuni singoli o associati possono stipulare con gli organismi di cui al pri­mo comma convenzioni per la loro utilizzazione nell'ambito delle strutture pubbliche o in ambiti esterni e possono prevedere incentivi finalizzati all'espletamento di attività promozionali e di servizi innovativi e sperimentali.

 

Art. 14 (a) - (IPAB soppresse)

Le istituzioni pubbliche di assistenza e bene­ficenza che operano nell'ambito regionale sono soppresse entro il 30 giugno 1980 salvo quanto disposto dagli articoli successivi.

La legge regionale stabilisce le modalità per il trasferimento delle funzioni, dei beni e del perso­nale delle IPAB che operano nell'ambito regionale ai comuni singoli o associati, sulla base dei prin­cipi stabiliti dai successivi commi.

Le funzioni vengono trasferite al comune o ai comuni singoli o associati alla cui popolazione erano destinate le prestazioni dell'istituzione sop­pressa.

Il patrimonio mobiliare e immobiliare delle istituzioni, con il relativo arredamento e attrez­zature, é trasferito secondo le modalità ed i cri­teri stabiliti dalla legge regionale, ai comuni cui spetta di esercitare le rispettive funzioni secondo le disposizioni del comma precedente.

I comuni singoli o associati subentrano, dal mo­mento del trasferimento, nelle situazioni patri­moniali attive e passive, e nei rapporti pendenti a qualsiasi titolo, inerenti a beni e loro perti­nenze.

I trasferimenti ai comuni dei beni delle istitu­zioni avvengono in esenzione da qualsiasi impo­sta o tassa di registrazione.

In deroga alle disposizioni previste dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e della legge comunale e provinciale, i comuni sono autorizzati ad effettua­re alienazioni patrimoniali fino alla concorrenza delle passività accertate alla data del trasferi­mento nell'ambito di ogni singola dotazione pa­trimoniale.

Il personale delle IPAB, di cui ai commi pre­cedenti, in servizio alla data di entrata in vigore della legge 21 ottobre 1978, n. 641, di conversio­ne del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, è trasferito ai rispettivi comuni contestualmente al passaggio delle funzioni nel rispetto della posi­zione economica e giuridica conseguita presso l'Ente di provenienza.

I comuni destinatari delle funzioni trasferite, effettuano la ricognizione degli scopi delle IPAB soppresse, ne assicurano la continuazione dell'attività con gli adeguamenti necessari per me­glio rispondere alle esigenze della comunità lo­cale assicurando, per quanto possibile, il rispet­to dei fini originari, in quanto compatibili con gli indirizzi del programma regionale.

 

Art. 15 (a) (Trasferimento dei beni delle IPAB)

Salvo quanto disposto dal successivo terzo comma, tutti gli immobili trasferiti ai comuni a norma della presente legge, degli artt. 113 e 117 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, della legge di conversione 21 ottobre 1978, n. 641, del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, della legge 23 dicembre 1975, n. 698, già adibiti a centri assistenziali degli enti e delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza soppresse, comprese quelle già amministrate da­gli Enti comunali di assistenza, debbono essere destinati a sede di servizi sociali.

In via transitoria e comunque fintanto che non sarà realizzato un equilibrato sviluppo dei servi­zi sociali in tutto il territorio nazionale, i comuni cui sono trasferiti immobili di cui al comma pre­cedente destinati ad utenti di più comuni, prov­vedono a garantire, attraverso l'associazione con i comuni limitrofi o con convenzioni con altri co­muni la continuità delle prestazioni ai cittadini interessati.

I proventi netti derivanti dall'amministrazione e dalla eventuale trasformazione patrimoniale dei beni acquisiti per trasferimento dai comuni e dalle regioni in forza delle disposizioni di legge di cui al precedente comma, debbono essere por­tati ad incremento dei fondi di bilancio iscritti per lo svolgimento di attività socio-assistenziali.

La gestione finanziaria delle attività di assisten­za e di tutti i beni trasferiti ai comuni concer­nenti le istituzioni pubbliche di assistenza e be­neficenza, gli enti comunali di assistenza e gli enti nazionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, viene contabilizzata separatamente.

 

Art. 16

Le istituzioni pubbliche che operano in ambito regionale nel campo dell'assistenza e beneficenza sono soppresse entro il 31 dicembre 1982 salvo quanto disposto dagli articoli seguenti.

Sono escluse dal trasferimento ai comuni le IPAB comprese in una delle seguenti categorie:

1) che si tratti di istituzione avente struttura associativa, caratterizzata dall'avvenuta costitu­zione dell'ente per iniziativa volontaria dei soci o promotori privati e da una composizione dell'or­gano collegiale deliberante dell'ente stesso che, per disposizione statutaria, sia costituito per al­meno la metà da componenti eletti dai soci.

Sono escluse dal trasferimento ai comuni le istituzioni a carattere associativo, di cui all'arti­colo 45 della legge 23 dicembre 1978, n. 833;

2) che si tratti di istituzione promossa ed am­ministrata da privati, ed operante prevalentemen­te con mezzi di provenienza privata. Tale circo­stanza sussiste allorché concorrono congiunta­mente i seguenti elementi:

a) che l'atto costitutivo o la tavola di fonda­zione dell'istituzione siano stati posti in essere da privati;

b) che almeno la metà dei componenti l'organo collegiale deliberante debba essere, sempre per disposizione statutaria, designata da privati;

c) che il patrimonio risulti prevalentemente co­stituito da beni provenienti da atti di liberalità privata o dalla trasformazione dei beni stessi, e che il funzionamento sia avvenuto, nell'ultimo quinquennio antecedente al 31 dicembre 1978, in prevalenza con contributi, redditi, rendite e altri mezzi patrimoniali o finanziari di provenienza pri­vata, e che comunque la istituzione non abbia beneficiato di finanziamenti pubblici a qualsiasi titolo in misura superiore ad un terzo delle en­trate complessive dell'ente nel quinquennio, fatti salvi i finanziamenti pubblici relativi alla conser­vazione di beni artistici e culturali;

3) che si tratti di istituzione di ispirazione reli­giosa. Tale circostanza sussiste quando ricorrono congiuntamente i seguenti elementi:

a) che l'attività istituzionale attualmente svol­ta si ispiri a finalità religiose;

b) che risulti collegata ad una confessione reli­giosa mediante la designazione negli organi col­legiali deliberanti, in forza di disposizioni statu­tarie, di ministri del culto o di appartenenti a istituti religiosi o di rappresentanti o designati di autorità religiose o mediante la collaborazione di personale appartenente ad istituzioni religiose come modo qualificante di gestione del servizio.

 

 

Parti non ancora esaminate dalle Commissioni riunite Affari costituzionali e Affari interni.

 

Art. 16 (seguito) Sono in ogni caso soppresse:

a) le IPAB il cui organo collegiale deliberante sia composto, a norma di statuto, in maggioranza da membri designati dai comuni, province, regio­ni o altri enti pubblici, salvo che il presidente non sia, per disposizione statutaria, una autorità reli­giosa o un suo rappresentante. Sono altresì esclu­si i seminari e le case di riposo per religiosi, le cappelle e le istituzioni di culto;

b) le IPAB già concentrate o amministrate dagli E.C.A.;

c) le IPAB che non esercitano attività previste dello statuto o altre attività assistenziali.

Sono altresì escluse dal trasferimento ai co­muni le IPAB che svolgono prevalentemente atti­vità di istruzione ivi compresa quella pre-scolare.

Non rientrano nella disposizione di cui al com­ma precedente le IPAB l'attività delle quali con­siste nella gestione di convitti, istituti di ricovero 0 orfanotrofi anche se all'interno si svolgono atti­vità scolastiche, ovvero le IPAB che svolgono attività di istruzione professionale, per le quali valgono, in quanto applicabili, le altre disposizioni del presente articolo.

I commi quinto e sesto dell'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 sono soppressi con effetto dal 1° gennaio 1979.

Il comma settimo del citato art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977 è so­stituito dal seguente:

«La legge regionale disciplina i modi e le for­me di attribuzione in proprietà o in uso ai comuni singoli o associati e a comunità montane dei beni trasferiti alle regioni a norma dei successivi arti­coli 113 e 115, nonché il trasferimento dei beni delle IPAB soppresse, ai sensi del presente de­creto, e disciplina, altresì, l'utilizzo dei beni e del personale da parte degli enti gestori, in relazione alla riorganizzazione ed alla programmazione dei servizi disposte in attuazione del presente arti­colo».

Entro novanta giorni dalla data di entrata in vi­gore del presente decreto, il legale rappresentan­te o altro componente dell'organo collegiale deli­berante delle IPAB interessate alla esclusione dal trasferimento, presenta alle regioni e ai comuni interessati, domanda per l'applicazione del pre­sente decreto, fornendo gli elementi utili ai fini della esclusione.

Entro i successivi trenta giorni i comuni inte­ressati fanno pervenire le proprie osservazioni alla regione.

Entro í successivi sessanta giorni, le regioni, anche in assenza delle comunicazioni dei comuni di cui al precedente comma, comunicano alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che provve­de immediatamente a trasmetterle alla commis­sione parlamentare di cui al comma successivo, le proposte di esclusione dal trasferimento o di soppressione con riferimento alle domande pre­sentate.

Entro il 31 marzo 1980 una commissione parla­mentare, formata da dieci deputati e dieci sena­tori nominati dai Presidenti della Camera e del Senato, sulla base delle designazioni dei grup­pi parlamentari, trasmette alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il parere sulle proposte del­le regioni.

Decorso tale termine, il Presidente del Consi­glio dei Ministri, con proprio decreto, provvede in conformità del parere della commissione parla­mentare, prescindendo da esso ove non sia per­venuto nel termine suindicato.

Le IPAB così escluse dal trasferimento ai co­muni, continuano a sussistere come enti morali assumendo la personalità giuridica di diritto pri­vato e rientrano nella relativa disciplina, ad ec­cezione di quelle di cui al comma quarto che con­servano la loro natura pubblica.

Ove non sia stata presentata la domanda di esclusione di cui al precedente ottavo comma, entro il termine ivi prescritto, le IPAB sono sop­presse e trasferite ai comuni, ai sensi del primo comma del presente articolo.

Il trasferimento ai comuni dei beni, delle fun­zioni e del personale per le IPAB soppresse de­corre dalla data di emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che accerta il difetto delle condizioni previste per l'inquadra­mento delle IPAB in una delle categorie di cui al secondo comma del presente articolo, ovvero dal­la scadenza del termine entro il quale deve esse­re presentata la domanda di esclusione dalla sop­pressione ove la domanda medesima non sia sta­ta presentata.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con proprio decreto, sentita la regione interessata e su parere della commissione di cui all'articolo precedente, dichiara quali delle IPAB comprese negli elenchi di cui al sesto e settimo comma dell'art. 25 del decreto del Presidente della Re­pubblica 24 luglio 1977, n. 616, svolgono preva­lentemente attività di istruzione ai sensi dei com­mi quarto e quinto del precedente articolo.

Con proprio decreto, sempre sentita la regione interessata e su parere della suddetta commis­sione parlamentare, conferma altresì gli elenchi di cui sopra per la parte relativa alle IPAB non svolgenti attività prevalentemente di istruzione, salvo per quelle IPAB nei cui confronti risulti la non inquadrabilità nelle categorie elencate ai nu­meri 1), 2) e 3) del secondo comma del preceden­te articolo.

Ai fini della esclusione dal trasferimento alle regioni delle IPAB interregionali di cui alla anno­tazione apposta alla tabella B allegata al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, si applicano i criteri di cui al presente de­creto.

 

Art. 17

I divieti disciplinati dal primo comma dell'art. 3 del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, conver­tito, con modificazioni, nella legge 21 ottobre 1978, n. 641, hanno applicazione per tutte le IPAB comprese quelle incluse nell'elenco di cui al se­sto comma dell'art. 25 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, sino alla data di emanazione del decreto di cui al comma dodicesimo del precedente art. 16.

 

Art. 18

Presso il Ministero del tesoro è istituito un Fondo nazionale per i servizi sociali costituito:

a) dal fondo per gli asili nido istituiti con leg­ge 6 dicembre 1971, n. 1044;

b) dal fondo speciale di cui all'art. 10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698 (ONMI);

c) dal fondo sociale di cui all'art. 75 della leg­ge 27 luglio 1978, n. 392 (equo canone);

d) dai fondi previsti dall'art. 1-duodecies della legge 21 ottobre 1978, n. 641 (ENAOLI, ONPI, ANMIL):

e) dai proventi netti di cui al terzo comma dell'art. 117 del decreto del Presidente della Repub­blica 24 luglio 1977, n. 616 (beni in liquidazione degli enti nazionali, sedi centrali);

f) dalle quote degli utili di gestione degli isti­tuti di credito devolute in base ai rispettivi sta­tuti, a finalità assistenziali;

g) da una somma aggiuntiva pari a lire 200 mi­liardi per il triennio 1980-1982 iscritto nello stato di previsione del Ministero del tesoro in ragione di lire 10 miliardi nell'anno 1979, di lire 95 mi­liardi nell'anno 1980 e di lire 95 miliardi nell'an­no 1982.

Le somme stanziate a norma del precedente comma vengono ripartite, sentita la Commissione interregionale di cui alla legge 19 maggio 1970, n. 281 con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) tra tut­te le regioni, su proposta del Ministero della sa­nità, sentito il Consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali.

Le somme stanziate a norma del precedente comma vengono ripartite tra tutte le Regioni com­prese quelle a statuto speciale tenuto conto delle indicazioni contenute nei piani regionali e sulla base di indici e di standards individuati del consi­glio nazionale della sanità e dei servizi sociali, distintamente definiti per la spesa corrente e per la spesa in conto capitale. Tali indici e standards devono tendere a garantire livelli di prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale eliminando progressivamente le differenze strutturali e di prestazioni tra le regioni.

 

Art. 19 (Norme transitorie)

Le regioni adeguano la propria legislazione agli obiettivi e ai principi stabiliti dalla presente leg­ge entro un anno dalla sua entrata in vigore.

Fino al riordino della legislazione regionale le somme di cui alle lettere a), b), c) e d) del primo comma del precedente articolo continuano ad es­sere destinate agli scopi previsti dalle rispettive leggi e mantengono la suddivisione per regione sulla base dei criteri stabiliti dalle medesime leggi.

Fino al riordino della legislazione regionale le somme di cui alle lettere e), f) e g) del primo comma del precedente articolo sono interamente destinate agli scopi di cui al numero 2) del terzo comma del precedente articolo.

Trascorso un anno dalla entrata in vigore della presente legge, una quota del 20% del fondo di cui all'art. 18 è riservata alle regioni che abbiano ottemperato al disposto del primo comma.

La ripartizione avviene sulla base di programmi presentati dalle singole regioni tenendo conto di garantire:

1) la gestione dei servizi esistenti;

2) lo sviluppo dei servizi sociali territoriali, specie di quelli destinati ai minori, agli anziani e agli inabili, in particolare per le regioni del mez­zogiorno, con riferimento alle esigenze di riequi­librio;

3) le erogazioni economiche straordinarie di cui all'ultimo comma dell'art. 4 della presente legge.

Alle iniziative di cui al numero 2) del preceden­te comma deve essere destinato non meno del 30% del complesso del fondo di tale quota. Non meno del 40% delle somme stanziate per le spe­se in conto capitale, deve essere destinato ai territori di cui all'art. 1 del D.P.R. 30 giugno 1975, n. 1525.

 

Art. 20

I Comitati provinciali di assistenza e benefi­cenza pubblica sono soppressi e le residue fun­zioni sono attribuite ai comuni singoli o associati nei modi e nelle forme stabilite dalle leggi regio­nali.

[I consigli di aiuto sociale di cui agli articoli 74 e seguenti della legge 26 luglio 1975, n. 354 sono soppressi. Le funzioni, i beni e il personale sono trasferiti ai comuni singoli o associati nei modi e nelle forme stabilite dalle leggi regionali]. So­no abrogate le norme previste dall'art. 154 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza ap­provato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, sono altresì abrogate le norme di cui all'art. 15 del decreto del 23 marzo 1945, n. 173.

 

Art. 21 (Regioni a statuto speciale)

Le norme fondamentali della presente legge, in quanto legge di riforma economico-sociale della Repubblica, si estendono alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano.

 

Art. 22 (Abrogazione di norme incompatibili)

Sono abrogati:

a) la legge 17 luglio 1890, n. 6972 e successive modificazioni e integrazioni e relativi regolamenti di esecuzione;

b) gli articoli 91, lettera h), e 144, lettera g), del testo unico delle leggi comunali e provinciali approvati con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383;

c) la legge 3 giugno 1937, n. 847;

d) il regio decreto-legge 14 aprile 1944, n. 125;

e) ogni altra norma che risulti incompatibile ed in contrasto con le disposizioni contenute nella presente legge.

 

 

 

(a) Articolo non esaminato dalle Commissioni riunite Affari costituzionali e Affari interni.

 

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