Prospettive assistenziali, n. 57, gennaio - marzo 1982

 

 

Editoriale

 

RIFORMA DELL'ASSISTENZA E PRIVATIZZAZIONE DELLE IPAB

 

 

Nel mese di febbraio, la discussione del testo di riforma dell'assistenza è giunta, in seno alle Commissioni riunite Affari interni e Affari costi­tuzionali della Camera dei Deputati, al punto no­dale delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB).

Si tratta, com'è noto, di oltre 9.000 enti pubbli­ci che, in base alla legge 17 luglio 1890 n. 6972, hanno lo scopo di «prestare assistenza ai pove­ri» e di «procurarne l'educazione, l'istruzione, l'avviamento a qualche professione, arte o me­stiere, od in qualsiasi altro modo il miglioramen­to morale ed economico».

Le IPAB gestiscono istituti di ricovero per bam­bini, fanciulli, handicappati e anziani. La loro pre­senza è rilevante; esse coprono infatti oltre il 40 per cento dell'intero settore dell'istituzionalizza­zione.

Nel 1976 (ultimi dati disponibili dell'ISTAT), la situazione era la seguente:

 

a) Numero e posti letto degli istituti

Istituti privati          n.    2.487              posti letto              163.264

IPAB                     »     1.710                     »                    142.824

Altri enti pubblici    »       645                     »                      51.036

 

b) Assistiti                        

Istituti privati          » 126.741     giornate di presenza    39.842.912

IPAB                     » 114.782              »                      38.856.526

Altri enti pubblici    » 38.902                »                      13.059.798

 

c) Personale                       

Istituti privati          »   42.915     di cui religioso                   21.385

IPAB                     »   35.499              »                              8.103

Altri enti pubblici    »   13.664              »                              2.131

 

 

Con una serie di emendamenti presentati nelle sedute del 4 e dell'11 febbraio 1982, la DC, con l'appoggio del PSDI, ha ottenuto che quasi tutte le IPAB, invece di essere trasferite ai Comuni sin­goli o associati, siano privatizzate, patrimoni e personale compresi (1).

Hanno votato contro PCI, PDUP, PSI, Partito ra­dicale e Sinistra indipendente. Erano assenti PLI e PRI. Per protesta l'On. Bassanini, relatore della Commissione Affari costituzionali, ha dato le di­missioni dall'incarico.

Se la riforma dell'assistenza sarà approvata nel testo attuale, i privati, senza sborsare una lira, diventeranno padroni dei patrimoni, spesso imponenti, delle IPAB: terreni, fabbricati, casci­ne, cinema, ristoranti, titoli di Stato, opere d'arte. Si costituirà, così, un vero e proprio monopolio privato sui ricoveri. Infatti, le attuali organizza­zioni private e le ex IPAB arriveranno a gestire 1'86 per cento degli istituti, dei posti letto relativi, degli assistiti e del personale addetto.

Il nostro paese è attanagliato da una grave crisi economica. Niente di meglio per risolverla, secondo la DC e il PSDI, che regalare i patrimoni pubblici (2).

Non esistono censimenti sui beni delle IPAB (l'ultimo risale al secolo scorso!); ma, con larga approssimazione, si può ritenere che la priva­tizzazione riguardi almeno 20 mila miliardi di beni (3).

Prima conseguenza della privatizzazione delle IPAB sarà il passaggio del personale dal settore pubblico - con tutte le maggiori garanzie che ciò comporta per il servizio (4) - al settore privato.

I privati gestori dell'emarginazione non sono certo favorevoli alla deistituzionalizzazione: non vogliono rinunciare ai clienti, al potere ed al de­naro.

È evidente, poi, che il personale degli istituti privati non lotterà mai per il superamento di que­ste strutture: ciò significherebbe la perdita del posto di lavoro, nel momento in cui l'ente pubbli­co costituisse i servizi alternativi al ricovero (5).

Ne deriva che la privatizzazione delle IPAB comporta anche il rafforzamento della coalizione - già oggi quasi ovunque esistente - fra i pro­prietari, i dirigenti degli istituti ed il personale relativo, per mantenere in vita e, se possibile, svi­luppare le strutture di segregazione.

Altra conseguenza della privatizzazione delle IPAB sarà la pratica impossibilità da parte dei Comuni singoli o associati di avviare i servizi alternativi e di potenziare quelli esistenti.

Infatti, a causa della mancanza di altre soluzio­ni, i Comuni dovranno continuare a versare le rette agli istituti gestiti dalle ex IPAB.

Gli enti locali dovrebbero cioè spendere una cifra per i ricoveri e un'altra somma, praticamen­te uguale, per i servizi alternativi da istituire o da incrementare: un raddoppio della spesa certa­mente incompatibile, sia oggi che in futuro. Inol­tre, non essendo di loro proprietà, i Comuni non potranno nemmeno riconvertire le strutture esi­stenti (6).

Per istituire i servizi alternativi, i Comuni do­vrebbero non solo stanziare le somme necessarie per le spese di gestione, ma prevedere anche i fondi per i nuovi investimenti e per l'assunzione del personale necessario.

In concreto, la privatizzazione delle IPAB si­gnifica conservare la pratica del ricovero in isti­tuto quale «soluzione» per la fascia più debole della popolazione.

Se si realizzasse la «soluzione» sostenuta dal­la DC e dal PSDI, per moltissimi anni sarebbero chiusi gli spazi politici ed operativi per una di­versa assistenza e per la prevenzione del bi­sogno.

Ricordiamo, a questo riguardo, che con il tra­sferimento delle IPAB ai Comuni singoli o asso­ciati e la riconversione dei relativi patrimoni, po­trebbero da un lato essere istituiti numerosi ser­vizi alternativi (ad esempio comunità alloggio, centri diurni post-scuola dell'obbligo per handi­cappati psichici gravissimi non inseribili nel la­voro e bisognosi di assistenza continua), e d'altro lato essere anche previste strutture di prevenzio­ne del bisogno: scuole materne, dell'obbligo e superiori, centri di formazione professionale aper­ti anche agli handicappati, case di abitazione con destinazione di parte degli alloggi a persone e nuclei familiari che altrimenti sarebbero costretti a ricorrere all'assistenza, altri servizi di interesse sociale.

La privatizzazione delle IPAB solleva inoltre seri dubbi di costituzionalità sia perché lo Stato regala beni suoi senza richiedere alcun indenniz­zo, sia per il mancato rispetto della volontà di coloro che hanno istituito IPAB dopo il 1890 o hanno versato alle stesse contributi dopo tale data. Al riguardo nessun dubbio c'è sul fatto che essi abbiano voluto riferirsi ad un ente pubblico.

 

Altre osservazioni (7)

 

Numerose e preoccupanti sono le altre carenze presenti nel testo di riforma dell'assistenza:

1) restano indeterminati gli organi di governo preposti alla gestione dei servizi. Essi possono essere, nella stessa Unità locale, l'Associazione dei Comuni, i Comuni singoli e - addirittura - gli organi di decentramento dei Comuni facenti parte dell'Associazione;

2) alle Province sono attribuiti compiti che pos­sono causare lungaggini e conflitti: concorso alla elaborazione del piano regionale e approvazione della localizzazione dei servizi;

3) allo Stato resta il compito di erogare, trami­te organizzazioni ed enti appositi, le prestazioni assistenziali agli appartenenti alle Forze armate, all'Arma dei carabinieri, alla Polizia, ai Vigili del fuoco e ai loro familiari;

4) spazi troppo ampi sono riservati all'assisten­za privata. Ad esempio, è previsto che i servizi privati esistenti, se rispondenti a determinati re­quisiti, devono obbligatoriamente essere inclusi nel piano dei servizi sociali. Ne deriva che, essen­do note le linee di piano molto prima della loro approvazione, i privati possono sempre precedere gli Enti locali nell'istituzione dei servizi e preten­dere poi la stipula delle relative convenzioni. Inoltre, nel Consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali sono riservati ben cinque posti a persone designate dalle «associazioni di rappre­sentanza delle istituzioni private di assistenza»;

5) del tutto generica è la definizione del volon­tariato. Infatti, è previsto che rientrino nel volon­tariato - e possono quindi essere finanziate dagli Enti pubblici - tutte le organizzazioni «fondate in prevalenza su prestazioni volontarie e perso­nali dei soci»;

6) non viene preso in considerazione l'apporto del volontariato svolto da singoli cittadini o da nuclei familiari;

7) nulla di concreto è previsto in merito al per­sonale sia per quanto riguarda la sua collocazio­ne lavorativa, sia in merito alla formazione di base e permanente e al riconoscimento dei titoli (assistente sociale, educatore, ecc.);

8) gli stanziamenti per spese di investimento e di gestione, aggiuntivi rispetto a quelli attuali, sono ridicoli. Si tratta infatti di 200 miliardi com­plessivi per il primo triennio di applicazione della riforma e cioè in media poco più di tre miliardi all'anno per ciascuna regione;

9) viene esplicitamente previsto che le Regio­ni possano non rispettare il termine di un anno, stabilito per adeguare la loro legislazione agli obiettivi ed ai principi della riforma;

10) è ribadita la natura assistenziale degli asili nido.

 

Appello

 

La riforma dell'assistenza, nel testo attuale, è destinata a peggiorare la già gravissima situa­zione del settore (8).

Le forze politiche laiche devono respingere ogni prevaricazione.

Le Regioni, i Comuni, le Associazioni dei Co­muni, le Comunità montane, le Province, i Sin­dacati, le Associazioni, i movimenti di base, le

persone di buona volontà intervengano con la massima urgenza a difesa dei più deboli informan­do la popolazione e premendo sul Parlamento.

La riforma dell'assistenza non deve essere uno strumento per danneggiare gli assistiti e per fa­vorire i privati gestori dell'emarginazione.

Ai Comuni singoli o associati devono essere trasferite le funzioni, il personale, le strutture, le attrezzature delle IPAB, in modo che essi pos­sano istituire i servizi non emarginanti, la cui carenza o insufficienza incide profondamente sul­la vita di coloro che non hanno la possibilità di vivere autonomamente.

 

 

(1) È previsto che le IPAB diventino enti morali con personalità giuridica di diritto privato. Gli enti morali non sono soggetti ad alcun controllo. Solo le vendite dei beni devono essere preventivamente autorizzate. Agli enti mo­rali è concesso, a differenza di quanto prevede la legge 17 luglio 1890 n. 6972 sulle IPAB, che gli introiti derivanti dal realizzo dei patrimoni possano essere utilizzati per le spese di gestione. Pertanto vi è da prevedere che in pochi anni, se le IPAB saranno privatizzate, molti patrimoni an­dranno dispersi.

(2) In occasione del dibattito sulla conversione in legge del decreto-legge 22 dicembre 1981 n. 786 recante dispo­sizioni sulla finanza locale, l'On. Marisa Galli ha chiesto al Ministro Andreatta (il quale si è ben guardato dal ri­spondere), se non riteneva contraddittorio che mentre «si sottraggono ai Comuni le risorse necessarie» non vengono ad essi trasferiti i patrimoni per «decine di migliaia di mi­liardi» che la legge n. 382 del 1975 «intendeva viceversa loro attribuire».

(3) L'on. Marisa Galli, nella seduta del 17 febbraio 1982 ha valutato in 30-45 mila miliardi il patrimonio complessivo delle IPAB.

(4) I casi di maltrattamenti si sono verificati quasi esclu­sivamente in istituti gestiti da privati. V.B. Guidetti Serra e F. Santanera, Il paese dei Celestini, Einaudi, Torino, 1973.

(5) L'esperienza dimostra che rarissimi sono gli enti privati che hanno chiuso gli istituti di ricovero e aperto servizi alternativi.

(6) È prevedibile che una situazione di monopolio dell'assistenza privata incrementi le richieste rivolte agli Enti locali di pagamento delle spese relative alla manutenzione straordinaria e al riadattamento delle strutture di ricovero private, come avviene oggi in molte regioni.

(7) Queste osservazioni ricalcano in gran parte quelle fatte sul testo approvato dal Comitato ristretto. Cfr. l'edi­toriale del n. 54 di Prospettive assistenziali.

(8) A titolo di esempio, segnaliamo che le attuali dispo­sizioni di legge consentono l'estinzione delle IPAB che non hanno propri mezzi economici per il raggiungimento dei fini statutari. Ad esempio, su iniziativa del Comune di Torino è stata recentemente dichiarata estinta l'IPAB «Isti­tuto di riposo per la vecchiaia» con il trasferimento al Comune di Torino dei compiti di assistenza (attualmente sono oltre 600 gli anziani ricoverati) e del patrimonio il cui valore è di oltre 100 miliardi di lire.

 

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