Prospettive assistenziali, n. 57, gennaio - marzo 1982
RILIEVI SULLA SENTENZA
DELLA CORTE COSTITUZIONALE RELATIVA ALLE IPAB
GIORGIO BATTISTACCI
Nel n. 55 di Prospettive assistenziali avevamo pubblicato il testo integrale della
sentenza della Corte costituzionale sulle IPAB e, nell'editoriale dello stesso
numero, un breve commento.
Ritorniamo
ora sull'importantissimo argomento con una esauriente
nota di Giorgio Battistacci, magistrato della Corte
di Cassazione.
Come è noto, la Corte costituzionale, con sentenza 17-30
luglio 1981, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 25, V°
comma del DPR 24.7.1977, n. 616 di attuazione della
delega di cui all'art. 1 legge 22.7.1975, n. 382 recante norme sul
completamento dell'ordinamento regionale e sulla organizzazione
della pubblica amministrazione. L'art. 25 dispone che tutte le funzioni amministrative
relative all'organizzazione e alla erogazione dei
servizi di assistenza e beneficenza sono attribuite ai Comuni singoli o
associati. Il V° comma dell'art. 25, dichiarato costituzionalmente
illegittimo, è quello, in particolare, che dispone che nel
quadro della completa attribuzione ai Comuni delle funzioni suindicate «le funzioni,
il personale ed i beni delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
operanti nell'ambito regionale (IPAB) sono trasferite ai Comuni singoli o
associati e con le modalità delle disposizioni contenute nella legge sulla
riforma dell'assistenza pubblica (non ancora emanata) e, comunque, a far tempo
dal 1° gennaio 1979». La Corte ha dichiarato di conseguenza l'illegittimità
costituzionale anche di altri commi dello stesso art.
25 recanti norme relative alle modalità dei trasferimenti suindicati.
La Corte è pervenuta alla sua decisione sulla base
delle seguenti considerazioni:
1) l'art. 1 della legge di delega 22.7.1975, n. 382
non menziona mai le istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza infraregionali come istituzioni le cui
funzioni, personale e beni, sono da trasferire ai Comuni;
2) l'art. 25 del DPR n. 616 del 1977, anziché
completare la disciplina di trasferimento alle Regioni
già iniziata - per quanto attiene la materia della assistenza e beneficenza
pubblica con il DPR 15.1.1972, n. 9 - la modificava radicalmente in quanto
attribuiva ai Comuni le funzioni delle IPAB soppresse, il che avrebbe richiesto
da parte del legislatore delegante una indicazione
precisa del thema transferendum;
3) dai lavori preparatori e dagli atti parlamentari relativi alla approvazione della legge di delega n. 382 del
1975 non emergeva la volontà del legislatore di addivenire alla soppressione
delle IPAB, mentre in tutti i progetti, presentati e ancora pendenti davanti
al Parlamento, di riforma della assistenza si muoveva dalla premessa che le IPAB,
quanto alla loro sopravvivenza, non erano comprese nell'ambito dei poteri
conferiti dalla legge n. 382 al legislatore delegato: dovevasi quindi
concludere che il Parlamento durante tutto l'iter della legge di delegazione
non aveva inteso abbinare alla delega. per il
trasferimento di funzioni una delega per la riforma, sia pure parziale, del
regime delle IPAB infraregionali anticipando così la
legge generale di riforma della assistenza. Tra l'altro ciò avrebbe richiesto
di prendere in esame il superamento del regime contenuto nella legge 17.7.198C,
n. 6972, mentre non avrebbe potuto ignorarsi lo spessore
storico delle istituzioni prese in considerazione da tale legge né si
sarebbe potuto non tener conto di una serie di norme costituzionali, in
particolare l'art. 38, ultimo comma della Costituzione, con riferimento al
tema del pluralismo delle istituzioni;
4) non poteva essere ignorato che dopo la emanazione del DPR 616 del 1977 si erano avute diverse
iniziative legislative statali e regionali riguardanti le IPAB contenenti la
esclusione di alcune categorie di queste dal trasferimento ai Comuni.
In sostanza la Corte ha ritenuto che il legislatore
delegato avesse compiuto un eccesso della delega emanando le disposizioni
dichiarate illegittime costituzionalmente.
A parte le conseguenze di carattere pratico e
politico della sentenza suindicata, che possono
rimettere in discussione tutto il sistema assistenziale,
la decisione della Corte, mentre trova sicuramente un suo fondamento nel fatto
che nella legge di delega n. 382 non vengono menzionate espressamente le IPAB
come istituzioni, le cui funzioni, personali e beni sono da trasferire ai
Comuni, sembra però non tenere adeguato conto del senso complessivo della legge
delega. Questa insiste all'art. 1, I° comma, lett. a)
e III° comma, n. 1 perché il trasferimento delle funzioni amministrative
nonché degli uffici e del personale inerenti alle materie indicate nell'art.
117 Costituzione - tra le quali è appunto la beneficenza pubblica - abbia
luogo per settori organici e che pure
per settori organici siano
identificate le materie da trasferire con i decreti delegati e non in base
alle competenze dei Ministeri, degli organi periferici dello Stato e delle
altre istituzioni pubbliche (evidentemente tutte, quindi senza escludere quelle
locali). Questo non poteva non significare che tutte le funzioni amministrative
attinenti alla beneficenza dovessero essere trasferite, salvo quelle che
espressamente fossero state riservate allo Stato, mentre lasciare in vita le
IPAB aveva l'effetto che una parte di dette funzioni rimanessero
attribuite a queste e quindi non fossero trasferite.
Né può ignorarsi che il disegno complessivo che era
emerso in sede di accordi politici era quello della unificazione delle funzioni assistenziali
(ciò risulta evidente anche dai progetti di legge presentati in materia di
riordino della assistenza e di emanazione di una legge quadro sull'assistenza)
e della imputazione di tali funzioni
in modo unitario e complessivo ai Comuni singoli o associati. Del resto anche
la cosiddetta Commissione Giannini prevedeva la
soppressione degli enti pubblici infraregionali sia pure da parte delle Regioni e nell'osservanza delle
norme statali vigenti in attesa che le Regioni ne avessero emanate delle
nuove, qualora il passaggio delle relative funzioni ai Comuni fosse stato
necessario od opportuno per assicurare l'esercizio di dette funzioni in modo
integrato con le altre funzioni già attribuite ai Comuni (vedasi la proposizione
normativa XXIII, primo comma). Ciò sta a significare
che nel decreto delegato non era da escludere una previsione di soppressione
delle IPAB e che la normativa regionale in merito poteva superare quella
prevista dalla legge 17.7.1980 n. 6972, che per la sentenza della Corte sembra
ancora determinante in materia e non facilmente
superabile.
D'altra parte va sottolineato
che l'art. 1 comma primo lett. e) della legge n. 382 prevede l'attribuzione
alle Province, ai Comuni e alle Comunità montane delle funzioni amministrative
di interesse esclusivamente locale nelle materie indicate dall'art. 117 Cost., nonché l'attribuzione ai predetti enti locali di
altre funzioni di interesse locale che valgano a rendere possibile l'esercizio
organico delle funzioni amministrative a norma della legislazione vigente.
Ora le «funzioni amministrative» da attribuire non
potevano non intendersi comprensive sia delle funzioni svolte dallo Stato che
di quelle svolte da enti pubblici forniti di personalità giuridica autonoma,
mentre le istituzioni di pubblica beneficenza infraregionali
trasferite dal DPR n. 616 ai Comuni sono proprio
quelle che svolgono - contrariamente all'avviso della Corte - quelle funzioni
di interesse locale cui fa riferimento l'art. 1, comma primo, lett. e) sopracitato: infatti, se anche le loro funzioni in alcuni
casi possono essere ultracomunali, non va ignorato che il trasferimento viene
operato al Comune non solo singolo ma anche associato e che il termine «locale»
non si identifica con «comunale».
Né può escludersi che l'indicazione degli enti
nazionali «maggiori» in rapporto alle Regioni
contenuta nella lett. b), comma primo, art. 1 citato comportasse l'indicazione
sia pure implicita degli enti «minori» in rapporto ai Comuni per una
implicazione logica e per un logico parallelismo: infatti, se anche sussistono
differenze in alcuni casi tra i primi e i secondi, entrambi presentano il
carattere comune della pubblicità.
Conferma una tale interpretazione l'espressione adoperata dal legislatore nella lett. e) del primo comma
dell'art. 1 della legge n. 382 e cioè «attribuzione», a differenza della
espressione «trasferimenti» usata nelle precedenti lettere a) e b). Infatti non è contestabile, diversamente da quanto ritiene
la Corte, che il termine «attribuzione» abbia una maggiore ampiezza del
termine «trasferimenti» e proprio anche perché è quello contenuto nell'art. 118
della Costituzione il che lo pone in perfetta sintonia con il disegno costituzionale.
Né può dirsi che il «trasferimento» ha una priorità
logica nei riguardi della «attribuzione» perché invece il secondo termine comprende
ed assorbe il primo pienamente.
Infine va ancora una volta dato rilievo, al fine di
esaminare alcune argomentazioni della Corte che possono essere suscettibili di
una valutazione del tutto contraria a quella datane nella sentenza in esame, a
quanto si dispone nel n. 1, terzo comma dell'art. 1 della legge n. 382. In esso si dice che «l'identificazione
delle materie dovrà essere realizzata per settori organici non in base alle
competenze dei Ministeri, degli organi periferici dello Stato e delle altre
istituzioni pubbliche, ma in base a criteri oggettivi desumibili dal pieno
significato che essi hanno e dalla più stretta connessione esistente tra
funzioni affini, strumentali e complementari per modo che il trasferimento
dovrà risultare completo ed essere finalizzato ad assicurare una disciplina ed
una gestione sistematica e programmata delle attribuzioni costituzionalmente
spettanti alle Regioni per il territorio e il corpo sociale».
Si dà infatti prevalenza al
criterio oggettivo che, proprio perché i trasferimenti dovevano avere luogo
per settori organici, non può che avere maggiore rilievo rispetto a quello
soggettivo, cioè ai tipi di enti da considerare, del resto non sempre di facile
identificazione, come la esperienza successiva di attuazione del DPR 616 ha
dimostrato. Inoltre, se si parla di «attribuzioni
costituzionalmente spettanti alle Regioni per il territorio e il corpo sociale»,
non può ignorarsi che, nel disegno istituzionale che
si è andato via via attuando, le attribuzioni
regionali di cui all'art. 117 Cost. sono state esercitate dalle Regioni
direttamente sul piano legislativo e programmatorio
e dalle Province e, più spesso, dai Comuni sul piano amministrativo e
gestionale e che il richiamo al territorio e al corpo sociale non può non
valere anche per i Comuni, i quali sono pure enti dotati di un territorio e
istituzionalmente espressivi di un corpo sociale. Ed ancora il richiamo alle «funzioni affini, strumentali e
complementari» conferma il contenuto della lett. e), primo comma, art. 1
nel senso di non escludere l'attribuzione alle Province, ai Comuni e alle
Comunità montane di tutte le funzioni di interesse
locale in modo completo per renderne possibile un esercizio organico ed
unitario.
Da ultimo non può darsi alcun rilievo, contrariamente
all'avviso della Corte, alle vicende successive alla emanazione
del DPR 616 in ordine alla soppressione delle IPAB per cui si sono
avute
in proposito diverse proposte di legge statali e leggi regionali. Infatti è a tutti noto come il DPR 616 prevedesse all'art.
25 un sistema normativo per addivenire alla identificazione delle IPAB da
sopprimere, con esclusione di quelle che svolgevano in modo precipuo attività
inerenti la sfera educativo religiosa. È pure a tutti noto come insorsero difficoltà interpretative di tali norme nonché
resistenza in sede politica per identificare le IPAB da sopprimere con
tendenza a ridurne il più possibile il numero. Ora le proposte legislative, nonché le leggi regionali richiamate dalla Corte, sono solo
tentativi rivolti a risolvere i conflitti interpretativi e politici sopraricordati; nessuna di esse muove dalla premessa che le
IPAB non dovessero essere soppresse e che questa soppressione non fosse ormai
un fatto legislativamente incontroverso, rimanendo la
discussione solo in ordine alla entità del fenomeno, cioè al numero e alla
categoria di IPAB da sopprimere.
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