Prospettive assistenziali, n. 57
bis, gennaio - marzo 1982
INTERVENTI
ELENA MARINUCCI - Responsabile Nazionale della Sezione Femminile
del PSI
Non sono fra quanti, parlando del nostro paese,
parlano del «caso Italia» in senso dispregiativo: anzi credo che noi viviamo più o meno tutte le contraddizioni di cui soffrono le
società occidentali cosiddette sviluppate, cosiddette del benessere.
In qualche caso però con qualche
particolarità in più. A proposito dell'adozione internazionale, ad esempio, noi
ci occupiamo oggi di bambini che a volte con forme e modi in cui si raffigurano
veri e propri casi di «tratta», vengono importati in
Italia e adottati.
A questo problema, dovremmo essere particolarmente
sensibili, perché negli anni '50, mentre tanti, troppi lavoratori italiani venivano incoraggiati dai Governi del tempo a lasciare il
paese e ad andare a lavorare all'estero, emigravano - o meglio venivano
esportati, anche allora in modi e forme al limite dell'illegalità - anche
migliaia di bambini italiani, dati in adozione a famiglie benestanti
d'oltreoceano. Ora, assistiamo al fenomeno inverso. Siamo diventati paese
d'immigrazione: dal nord Africa o comunque da paesi
in cui sono meno garantiti, vengono in Italia numerosi lavoratori per essere
adibiti ai lavori più ingrati, ai lavori stagionali. Contemporaneamente siamo diventati paese importatore di bambini, dall'Oriente,
dall'Africa, dal Sud-America. Dal Sud-America, importiamo plasma e bambini,
magari presi alle loro famiglie con l'inganno o la violenza. Dovremmo, dicevo, per questa nostra duplice esperienza,
essere particolarmente impegnati a dare una soluzione, la più corretta
possibile, a questo problema dell'adozione internazionale.
Ed invece: il 24.7.67, a Strasburgo, fu approvata
una Convenzione che mirava a dare una soluzione la
più omogenea possibile al problema dell'adozione, proprio per tentare di
evitare fenomeni di spoliazione o di tratta a danno di genitori.
Uno dei punti fondamentali di questa Convenzione -
l'art. 5 che è nella parte vincolante - è quello in cui espressamente si
conviene che l'adozione non può essere pronunciata senza il consenso dei
genitori, salvo casi e situazioni eccezionali. Ebbene
l'Italia firmò la Convenzione il giorno stesso che era stata approvata. Poteva
non firmarla, ma la firmò. E
pochi giorni dono il Parlamento italiano approvò una legge, la L. 431, che per la prima volta introduceva nel nostro ordinamento
giuridico un istituto, così detto adozione speciale, che consente l'adozione senza o contro la volontà dei genitori
naturali.
«Caso italiano»! Durante la Conferenza
che si è svolta nel luglio dell'80 a Copenhagen, per
il «Secondo decennio delle Nazioni Unite per la donna», c'è stata la
cerimonia della firma della «Convenzione contro tutte
le discriminazioni nei confronti delle donne» votata nel gennaio precedente
dall'Assemblea dell'ONU. L'Inghilterra non l'ha firmata. Alla domanda rivolta a uno dei loro delegati la risposta è stata: «Noi troviamo
questa Convenzione molto buona, ma la firmeremo quando saremo in condizione di
applicarla. Non facciamo come voi italiani che le Convenzioni le firmate e
magari anche le ratificate, ma poi non le applicate!».
Risposta sprezzante ma non calunniosa.
Dopo l'entrata in vigore della I. 431, sull'adozione speciale,
infatti, è iniziato un colto dibattito fra i giuristi per decidere se
l'adozione speciale, fosse o non compatibile con la Convenzione di Strasburgo.
Alcuni, allo scopo di sostenere la coerenza della
nostra legge con la convenzione sono arrivati a sostenere che «nella prassi,
l'adozione speciale, si pronuncia sempre
sulla base di un consenso dei genitori»!
E questo non è vero. Nella gran parte dei casi, è vero
il contrario, e i casi di Belluno e di Bologna che sono alla ribalta della
cronaca in questi giorni lo testimoniano. E a causa
della interpretazione forzata ed estensiva di questa
legge si sono visti genitori lottare disperatamente - e poiché privi di mezzi e
di cultura spesso soccombere - per evitare di perdere i propri figli.
Vidi tempo fa, in televisione, un film che ebbe
qualche anno fa, grande successo: «SugarlandExpress».
È la storia di due genitori che corrono su questo treno, traversando gli Stati
Uniti, dall'Atlantico al Pacifico, disperatamente, incontrando difficoltà di ogni genere per cercare di riprendersi il figlio che è
stato dato ad un'altra famiglia, figlio che non avevano voluto abbandonare ma
che era stato loro sottratto dall'autorità, mentre la madre era gravemente
malata in ospedale, e il padre era in prigione per una infrazione di poco
conto. Quel film affannoso e coinvolgente mi sembrò la metafora della penosa
odissea a cui molte famiglie italiane sono state costrette a causa di una interpretazione, a volte spericolata, della legge
sull'adozione speciale. Per la quale - come molto più correttamente è stato
detto - la Convenzione di Strasburgo è quanto meno «un
abito un po' stretto». Abito, che quel tipo di interpretazione
estensiva, molte volte ha strappato.
E non è ancora tutto.
Fra la firma e la ratifica della Convenzione sono passati 7 anni.
In questi anni la legge sull'adozione speciale che
all'inizio aveva incontrato difficoltà anche di tipo
culturale, è andata progressivamente insediandosi ed è andato progressivamente
aumentando il numero delle persone interessate all'adozione, istituto - è
stato detto - «in espansione». Il che non può che
essere apprezzabile, quando si tratti di dare un focolare ai bambini che non lo
hanno mai avuto o non lo hanno più, per toglierli da quegli Istituti dove
sarebbero condannati a restare perché privi
di una famiglia.
Come voleva la L. 431,
della quale è doveroso dire, che nello spirito, non viola la Convenzione di Strasburgo proprio perché è diretta a dare una famiglia
a quei bambini alla cui adozione í genitori, abbandonandoli, hanno dato un
tacito consenso.
Ma l'espansione della domanda di adozione
che tra l'altro ha coinciso con la diminuzione delle nascite, delle nascite
illegittime, con il cambiamento dei costumi, con il diffondersi della conoscenza
della contraccezione e del benessere, ha dato luogo a una situazione di grande
tensione. E ha dato, origine e copertura, ad un'interpretazione di questa normativa, così estensiva, che di fatto oggi -
a mio parere - questo tipo di applicazione della L.
431, la colloca, nella sua interezza,
come una eccezione all'art. 5 della Convenzione di Strasburgo.
Con questo tipo di applicazione,
si sono tolti i bambini a genitori che avevano chiesto o accettato di
ricoverarli negli appositi Istituti per l'infanzia, dove erano legittimati a
credere, di averli così messi al riparo delle ristrettezze che essi stavano
attraversando, nell'attesa di riprenderli, quando le avessero superate.
Si sono tolti bambini a madri o padri che avevano la
colpa di essere rimasti vedovi e/o senza mezzi.
Dunque, dopo averla firmata, abbiamo anche ratificato
la Convenzione di Strasburgo, e tuttavia, è andata avanti questa interpretazione e questa
applicazione dell'Adozione speciale. Non salo, per di più, allo scopo di
apprestare strumenti più rapidi e meno garantisti di quanto non sia l'attuale
normativa, sono state presentate numerose proposte di
legge, miranti a consentire, addirittura, l'adozione prenatale.
Occorre ricordare infatti
che, prima ancora che il Movimento per la Vita raccogliesse su una proposta di
iniziativa popolare le 800.000 firme, proposte analoghe erano state già
presentate da parlamentari democristiani (il 7.12.1976 prima firmataria Cassanmagnago, e il 4.2.77 primo firmatario Bartolomei).
Qualcuno lamenta la lentezza con cui il Comitato
ristretto presso il Senato, sta affrontando questo spinoso problema.
Ma si dimentica o forse non si conosce che il Comitato
sta svolgendo un lavoro complesso e difficile perché le proposte di legge che
sta tentando di unificare non vanno nella stessa direzione.
C'è una proposta della DC, che in assoluto spregio
della Convenzione di Strasburgo, mira a legalizzare tutta una serie di espedienti escogitati in questi anni da certi Tribunali
per i minorenni, espedienti che tendono a diminuire la possibilità per i
genitori di frapporre ostacoli giuridici alla pronuncia delle dichiarazioni di
adottabilità e di adozione speciale. I sostenitori
di questa proposta affermano infatti, che genitori e
parenti frappongono ostacoli, per falso orgoglio e non per un vero sentimento
di affetto nei confronti dei loro figli e nipoti!
C'è invece la proposta del
PSI che va nella direzione diametralmente opposta: pur nella consapevolezza
che occorre snellire le procedure, ed evitare la «negoziazione privata» dei
bambini, la proposta che fu presentata nel settembre del '79 da Maria Magnani Noja, mira
soprattutto a garantire al bambino il diritto a crescere e a vivere nel
proprio focolare con i propri genitori, mediante una serie di misure di
sostegno alle famiglie in situazione di malessere, secondo quelli che sono i
principi a cui si ispira la Costituzione Repubblicana e secondo il principio
accolto dalla Comunità internazionale, per il quale occorre fare di tutto prima
di ricorrere alla soluzione del «piazzamento del bambino all'esterno del proprio
nucleo familiare». Per il quale cioè l'adozione nazionale
e internazionale, sono l'extrema ratio, l'ultima soluzione, quella a
cui si deve ricorrere quando le altre sono fallite.
C'è poi la proposta del PCI che risente del momento
politico in cui è stata presentata che era quello del compromesso storico e
dell'unità nazionale. Questa proposta, in parte aderisce alla scelta
democristiana di fornire ai Tribunali maggiori possibilità per pronunciare
rapidamente l'adozione speciale, da un'altra propone di mantenere gli altri
istituti, quali l'adozione ordinaria, l'affiliazione ecc. Propone anche e
giustamente la creazione di mezzi di aiuto e
assistenza alle famiglie in temporanea difficoltà.
C'è infine una proposta di legge ministeriale, giustamente
rispettosa della Convenzione di Strasburgo.
Il Comitato deve dunque redigere un nuovo testo, per
raggiungere un punto di equilibrio fra due esigenze
fondamentali: quella di abbreviare i tempi, oggi troppo lunghi, dell'attesa,
per coloro i quali vogliono adottare e quella di evitare di pregiudicare i
diritti del bambino e dei suoi genitori e parenti. Ma nessuna nuova legge per
quanto buona potrà mai essere utile, se nel contempo
non rivediamo, tutti insieme, una «cultura» che in questi anni ha manifestato
tutto il suo manicheismo.
Voi stessi - so che sto parlando a
una platea di operatori sociali - siete convinti, siete stati educati nel
convincimento, che «l'interesse del minore» consiste nell'andare a vivere in
una casa serena, ed essere allevati da una famiglia modello. Ma
in nome di questa famiglia modello, di questo modello di famiglia, si
commettono ingiustizie, si procurano sofferenze. Si procurano sofferenze in
più, a chi già ne sopporta tante a causa delle disuguaglianze, che ancora
esistono, delle carenze che continuiamo a denunciare,
e che ancora persistono.
Non si può andare avanti a «presumere» la
colpevolezza e l'incuria nei genitori che si trovano in situazioni disagiate!
Occorre, io credo, un atteggiamento mentale, neutrale, un giudizio
sereno privo di pregiudizi. Uno sforzo di comprensione, starei per dire più
cristiano.
E occorre incentivare, nelle
persone che hanno volontà di occuparsi dei minori privi delle cure e
dell'affetto dei genitori naturali, la propensione a dare a questi bambini
cure e affetto, prendendoli presso di sé senza per questo volerli fare propri,
senza volerli «per sempre».
Facendo loro conservare il rapporto
con i genitori naturali: come si è sempre fatto nel passato nelle famiglie
più estese. Sostituendosi alle
famiglie estese ora che l'urbanizzazione e l'industrializzazione
hanno privato i nuovi nuclei familiari dell'aiuto spontaneo e generoso dei
parenti e della comunità. Una forma nuova per una vecchia buona consuetudine.
Per la quale non occorre inventare o introdurre una
nuova norma, perché «l'affidamento familiare» esiste già nel nostro
ordinamento giuridico: si tratta di usarlo senza svisarlo come
è invece spesso avvenuto. Si tratta di rivitalizzarlo,
rivitalizzando una cultura di solidarietà umana e sociale,
contro la cultura del «possesso» e delle «proprietà» di beni e persone.
GIORGIO BATTISTACCI - Consigliere
di Cassazione
Non vorrei ripetere molte delle cose che sono state
dette, per cui cercherò di limitare al massimo il mio
intervento. Però le sollecitazioni di questo dibattito sono parecchie per cui mi pare opportuno fare alcune considerazioni di
carattere generale, anche in relazione all'intervento che mi ha preceduto.
Vorrei cominciare da una considerazione che mi è capitato di fare anche in altre occasioni, anzi proprio in
questa sala, forse non più di un anno fa. Se è vero che la Commissione
Giustizia del Senato ha operato bene, perché ha anche interpellato molti operatori
sociali, operatori del diritto, forze sociali, io ho da tempo una certa paura
che la riforma dell'adozione speciale, che tarda a
venire, possa rimettere in discussione alcuni punti fondamentali che, secondo
me, erano alla base della legge del '67.
Già fin dall'inizio, quando vidi nutriti progetti di
riforma presentati da diversi Partiti politici mi impressionai
un po' perché, pur riconoscendo che la legge 431 necessitava di alcuni
aggiornamenti e di alcune riforme, mi pareva che fossero necessarie solo poche
riforme, pochi aggiornamenti e non bisognasse in alcun modo sconvolgere, come
facevano alcuni progetti, la legge 431. Indubbiamente la Commissione Giustizia
del Senato ha abbandonato alcune proposte sconvolgenti che si ritrovavano in
certi progetti nel testo iniziale e, a mio avviso, ha fatto in questo senso un
buon lavoro del quale bisogna darle atto.
Mi pare però che il prolungarsi dell'iter legislativo,
possa nascondere il pericolo di rimettere in
discussione alcuni punti fondamentali della legge 431, come sopra accennavo.
Oggi forse non c'è più il pericolo di riproporre le problematiche legate al cosiddetto diritto del
sangue, però mi pare che in modo più sottile, facendo leva su elementi giusti
e fondati, come il pericolo che vengano tolti dei bambini a famiglie
emarginate e che quindi l'adozione speciale venga utilizzata in termini di
ulteriore emarginazione e colpevolizzazione di certe
famiglie che molto spesso nessuna colpa hanno o hanno colpe molto relative in
ordine all'abbandono dei figli, riemerga il discorso della proprietà dei figli,
da parte dei genitori, di gestione dei propri figli in termini privatistici. Per questo da un lato assistiamo ad un calo
delle pronunce di adozione dovuto sicuramente al calo
delle nascite, ma dovuto forse anche ad un tornare indietro rispetto a una
spinta che era stata portata avanti dalla legge 431, e dall'altro assistiamo ad
una inerzia o a una certa inefficienza da parte dei Servizi, non tanto per
responsabilità degli operatori sociali, quanto degli amministratori locali per
offrire alternative alle famiglie di origine in difficoltà.
Mi pare che dobbiamo tenere conto di questa
situazione e che non dobbiamo, lo ripeto ancora, colpevolizzare certe famiglie,
emarginarle ulteriormente, però non possiamo assolutamente abbandonare quelli
che sono i punti fondamentali della legge 431.
Mi spiego meglio: sono d'accordo che l'adozione non può che essere la soluzione estrema, e quindi
dobbiamo fare tutto il possibile (mi pare che la Senatrice Giglia Tedesco
l'abbia sottolineato in maniera evidente) per il ricupero delle famiglie
d'origine, però non possiamo dimenticare che, in certi casi, sia pur limitati,
non si debba aver paura di dichiarare lo stato di adottabilità di un minore,
perché solo così potremo evitargli l'inizio di una carriera di emarginazione,
che spesso lo fa ritornare davanti al Tribunale per i minorenni quando sarà
adolescente, quando sarà giovane, in condizioni ben più pericolose, cioè quelle
di minore disadattato o di minore delinquente.
Quindi a mio avviso, ci si deve muovere, come del
resto tutti hanno sottolineato, nella linea del
recupero della famiglia di origine, ma senza aver paura di dichiarare certi
stati di adottabilità quando si rende necessario.
Mi pare che in questi ultimi tempi da parte dei
Tribunali per i minorenni sia prevalsa invece una certa paura e non vorrei che questo orientamento prevalesse e influisse in ordine al
ritardo di approvazione della riforma della legge sull'adozione speciale.
A tale riguardo vorrei dire, per riprendere un
discorso che faceva l'avvocato Marinucci, che è vero
che la Convenzione di Strasburgo fa riferimento al consenso dei genitori del
minore per la pronuncia di adozione, però mi pare che
aggiunga che si può prescindere da questo consenso quando i genitori siano
stati privati della loro potestà, quando cioè la loro condotta era pregiudizievole
nei confronti del minore in quanto essi hanno violato i loro doveri o abusato
dei loro poteri genitoriali. Allora mi pare che la
violazione più potente dei loro doveri si manifesti proprio
quando esiste uno stato di abbandono per cui mi pare più che
giustificato che il legislatore italiano preveda di poter prescindere dal
consenso dei genitori quando venga accertato giudizialmente,
attraverso le necessarie indagini, che esiste una situazione di abbandono.
Vorrei poi ancora una volta sottolineare
che per muoversi sul piano del recupero della famiglia di origine è necessario
che a fianco della legge sull'adozione speciale sia attuata veramente, non
solo in termini legislativi ma in termini operativi, da parte degli enti
locali e dei loro servizi, una nuova politica socio-assistenziale che realizzi
un sostegno alle famiglie di origine o forme alternative di aiuto, di appoggio
al minore. Si pone qui allora il problema degli
affidamenti familiari.
La legge sull'adozione speciale in definitiva non può
essere vista che in collegamento con la Riforma dell'Assistenza, ma anche con
una logica diversa degli interventi dei servizi e degli Enti Locali, che già è possibile realizzare in forza del DPR 616/77 e in forza di
varie leggi regionali.
Questo mi pareva necessario ricordare da un punto di
vista generale.
Vorrei poi fare alcune annotazioni di carattere
particolare. Già il collega Moro ha sottolineato come
era necessario arrivare a delle modifiche della legge sull'adozione speciale
perché si erano manifestate alcune carenze della legge stessa.
Vorrei ricordarne e sottolinearne
alcune perché mi paiono molto importanti.
Anzitutto mi pare che dovremmo rimeditare
sul concetto di abbandono, non perché ogni abbandono
possa portare alla pronuncia dello stato di adottabilità, però dobbiamo essere
sempre più consapevoli, come dimostra pure l'esperienza di questi ultimi anni,
che l'abbandono non lo troviamo solamente presso certe famiglie emarginate,
ma lo possiamo rilevare tutte le volte in cui non si realizza un rapporto
vitale tra genitori e figli tale da provocare gravi conseguenze per lo sviluppo
psico-fisico del minore.
Ora in tutti questi casi è difficile, molto spesso,
identificare in concreto lo stato di abbandono, però
dovremmo fare uno sforzo, e questo è uno sforzo che possono fare soprattutto i
servizi del territorio, la scuola, gli asili-nido, per cercare di individuare
tutte le situazioni di rischio onde potere intervenire tempestivamente, lo
ripeto, non necessariamente con l'adozione, ma per cercare in qualche modo di
riparare a queste situazioni di rischio, perché molte volte nascondono forme di
abbandono più subdole che vengono poi ad esplodere e portano a crisi della
personalità giovanile con conseguenze irreparabili per i minori.
In merito poi alle indagini da fare, sia in ordine all'abbandono e sia in ordine alla idoneità delle coppie
adottive e alla possibilità di instaurare un rapporto valido tra minore e
famiglia adottiva, sottolinerei in modo particolare -
e mi pare che in questo senso già la commissione senatoriale si sia mossa -
come questo tipo di indagini debba essere necessariamente demandato ai servizi
del territorio, sia perché ho paura delle indagini svolte direttamente in sede
di Tribunale per i minorenni, sia perché i servizi territoriali possono conoscere
meglio la situazione del minore ed essere poi in grado di seguire il minore,
sia se resti in famiglia, sia se venga affidato ad altri.
Il coinvolgimento dei servizi locali permette anche
di affrontare il problema delle prescrizioni. Il discorso relativo
alle prescrizioni da impartire ai genitori e ai parenti del minore,
come previsto nella legge 431, rimane, mi pare, il più delle volte un fatto
puramente declamatorio e può ulteriormente colpevolizzare i genitori se è visto
solo come una serie di ordini dati a genitori e parenti: le prescrizioni
richiedono che, a fianco delle indicazioni date a genitori e parenti, si
verifichi una mobilitazione di tutti i servizi, di tutte le risorse
territoriali proprio perché la famiglia sia in concreto sollecitata, aiutata a
superare certe situazioni e a riprendere il suo ruolo. Allora se le
prescrizioni non verranno osservate, malgrado l'aiuto
che è stato dato, potremo dichiarare con tranquilla coscienza lo stato di abbandono.
Mi pare anche importante collegare la normativa
sull'adozione speciale con tutta la normativa relativa alla protezione del
minore e cioè alle disposizioni di legge contenute nel
codice civile come gli artt. 330 e 333 c.c., norme che anzi vanno modificate
nel senso di apportare una efficace tutela al minore al di là dei casi di condotta
pregiudizievoli dei genitori.
Un altro punto da sottolineare
su di una linea già seguita dalla commissione senatoriale, è quello, se non
della abolizione, della riduzione al minimo, al di là del punto a cui è giunta
la commissione, dello spazio dell'adozione ordinaria. Vorrei ancora sottolineare due cose: cioè che occorre provvedere ad
evitare riconoscimenti fasulli rivolti ad aggirare la normativa sull'adozione
speciale e trovare una soluzione per i casi in cui la legge impedisce ai minori
di sedici anni di riconoscere il figlio.
Mi pare che la strada scelta in merito dalla
Commissione Senatoriale sia una strada giusta. Concludo
questa parte ripetendo ancora una volta che il progetto approntato dal gruppo
ristretto della Commissione Giustizia del Senato è, in gran parte, positivo e
che se mai c'è da rendere più rapido l'iter legislativo per giungere ad una conclusione
dello stesso e per evitare quei pericoli di riflusso ai quali ho fatto cenno
all'inizio.
Non vorrei dir nulla in merito all'affidamento
familiare che mi pare sia un istituto da privilegiare e che forse era possibile attuare anche senza riforme legislative,
perché i servizi possono già oggi attuare affidamenti familiari, mentre i
giudici, attraverso norme tipo l'art. 333 c.c.,
possono già disporli. Forse c'era bisogno di una normativa legislativa per
regolarizzare il problema dei diritti e dei doveri degli affidatari e dei
rapporti tra affidatari e famiglie d'origine.
Anche in questo settore mi pare che le scelte della
commissione siano da condividere perché, in via normale, la regolamentazione di
tali rapporti è lasciata ai servizi e solo in caso di conflitto
di diritti é previsto l'intervento del Tribunale per i minorenni.
Vorrei fare un cenno a quello che, secondo me, è il
tema più delicato del nostro incontro e della nuova legge, per il quale occorre
con urgenza stabilire una normativa, magari dopo ulteriori
approfondimenti, e cioè l'adozione internazionale.
Non sono contrario alle adozioni internazionali anche
perché ormai è un fatto con cui dobbiamo fare i conti non
solo in Italia, ma in tutti i paesi dell'occidente.
Però vorrei cominciare a sottolineare
come ci si debba muovere con cautela nei confronti dell'adozione
internazionale, perché io penso con un certo timore a quando l'adozione
internazionale diventerà un fenomeno di massa, quando cioè anche nel nostro
paese potremo avere un grosso numero di minori stranieri adottati. Si potrebbero
allora creare dei gravi problemi anche di razzismo: infatti, anche se il
nostro paese non ha mai sofferto di razzismo, è possibile ritenere che ciò sia
avvenuto perché non ha avuto mai occasione di porsi tale problema.
Di qui un richiamo alla cautela per le Commissioni
Giustizia del Senato e della Camera, ma anche un invito al Governo e al
Ministero degli Esteri perché inizino a preoccuparsi dei fenomeno, sia per
prevedere quali potrebbero essere gli effetti futuri di esso
e sia anche per stabilire rapporti precisi e finalizzati allo scopo, con i Paesi
dai quali provengono minori adottati.
Infatti, a parte che alcuni Paesi mancano di una
legislazione in materia adottiva, occorre evitare che vengano
tolti ingiustamente bambini alle loro famiglie di provenienza, come ci
preoccupiamo che non vengano tolti alle loro famiglie nel nostro Paese.
Ma se poco si può fare se non
attraverso accordi internazionali per evitare questi furti, diciamo così, di
bambini a famiglie emarginate di Paesi del Terzo Mondo, molto, secondo me, dobbiamo
e possiamo fare per evitare che questi bambini incappino in famiglie non idonee. Purtroppo questo avviene molto spesso. E qui non posso altro che risottolineare
alcune cose che sono state dette dal Prof. Franchi.
Mi pare innanzitutto che debba evitarsi il ricorso
all'istituto della delibazione e che sia necessario qualificare quei
provvedimenti che, diciamo così, arrivano dal Terzo Mondo, che vanno da
pronunce di adozione vera e propria ad affidamenti, a tutele, emessi da Autorità
le più diverse e per i quali non può utilizzarsi la delibazione per una serie
di motivi, quali quelli che ha sottolineato Franchi questa mattina, ma anche
perché molto spesso non si tratta di provvedimenti definitivi. Inoltre la delibazione
non potrebbe che rifarsi alla procedura prevista per l'adozione ordinaria, ma
non certo a quella dell'adozione speciale che richiede tutta una serie di accertamenti e deve passare per varie fasi.
Quindi è necessario accertare la natura dell'atto
che proviene da un altro paese e quindi identificare se quest'atto
sia una forma di affidamento tale da consentire tutti
quegli accertamenti successivi all'affidamento preadottivo
previsti dalla nostra legislazione, anche con possibilità di togliere il
bambino alla famiglia che l'ha ricevuto dal paese estero per affidarlo ad
un'altra famiglia ritenuta più idonea dai servizi prima e dal Tribunale poi.
Questo discorso va approfondito, ma mi pare sia uno dei punti nodali per
attuare l'adozione internazionale in maniera
rispettosa dei diritti e degli interessi del bambino. L'altro punto, sul quale
non mi soffermo, è quello della necessità di un effettivo controllo
sull'ingresso dei minori in Italia attraverso varie forme, che in parte sono
indicate nei progetti di legge di iniziativa parlamentare
ma che è indubbiamente uno dei punti nodali della riforma per cui sono
richiesti l'intervento e la mobilitazione anche degli organi del Ministero
degli Esteri e del Ministero degli Interni, i quali non possono più disinteressarsi
di questo problema.
Infine ultima considerazione: quando si parla
dell'accertamento dell'idoneità della coppia, su cui insiste anche il progetto
governativo che mi pare per molti aspetti molto pericoloso,
in modo particolare nel contenuto dell'art. 1, perché non farebbe altro che
lasciare le cose come stanno oggi, ritengo sia importante prevedere l'accertamento
non quando la coppia, come avviene oggi, ha già affidato il bambino o ha già la
sicurezza di avere per sé il bambino.
Ho sentito molte volte ripetere dagli operatori
sociali come si siano spesso trovati in grave difficoltà ad accertare in questi
casi l'idoneità della coppia perché sottoposti a pressioni psicologiche e non
in grado di esprimere un parere obiettivo.
Concludendo dunque mi pare che vi siano alcuni nodi che vanno
approfonditi: quello dell'accertamento della natura dell'atto dell'autorità
straniera, quello del controllo effettivo e reale sugli ingressi dei minori in
Italia, quello dell'accertamento della idoneità da farsi preventivamente e
non sotto la pressione della coppia, che ha già presso di sé il bambino
affidato.
Due ultime considerazioni rapidissime.
È stato ricordato come sia
necessario ricondurre a una certa unità o almeno ad una certa organicità le
competenze dei magistrati in materia minorile. Mi pare che tutta una serie di eventi di questi ultimi tempi, che sono stati anche riportati
dalla stampa, sollecitino questo.
Vorrei ricordare che una Commissione ha lavorato per
oltre un anno presso il Ministero di Grazia e Giustizia per la riforma della
legge minorile, ed essa ha tentato di trovare una soluzione
unitaria in ordine alle competenze in materia minorile. Purtroppo questi lavori
della Commissione giacciono da oltre un anno nel cassetto del Ministro e non
si è più parlato della riforma della legge minorile.
Ora, se da una parte la legge di riforma
dell'adozione richiede anche la riforma dell'assistenza, mi pare che
ugualmente richieda una riforma di tutta la legislazione minorile, proprio per
inserire l'adozione nel quadro unitario di una effettiva
tutela del diritto del minore.
Infine, proprio perché si attui in maniera corretta
ed effettiva la normativa sull'adozione speciale nonché
tutta l'opera per la tutela del minore, occorre uno stretto collegamento, un
atteggiamento di fiducia e di reale collaborazione personale tra giudici, da
una parte, e servizi ed enti locali, dall'altra. Troppo spesso sia gli uni che gli altri si lasciano tentare da un certo delirio di
onnipotenza. Se continueremo a confliggere su questi
piani, chi ne pagherà le spese sarà sempre il minore; solamente se riusciremo a
realizzare una collaborazione in concreto che consenta di individuare
effettivamente tutte le situazioni di abbandono e
quale sia il reale interesse del minore, avremo fatto dei passi avanti, mentre
se continueremo ciascuno a muoversi per la nostra strada ignorando l'altro, gli
interessi del minore saranno trascurati e noi falliremo nel nostro compito di
tutela dei suoi diritti.
GIORGIO PALLAVICINI - Presidente
Nazionale ANFAA
Questa mattina, ascoltando la relazione del Senatore
Lombardi, mi sono sentito ringiovanire di almeno dieci anni; infatti
le argomentazioni che ha svolto erano esattamente quelle, viete e già fruste
allora, che venivano sostenute, anche più di dieci anni fa, per contrastare i
contenuti innovativi dell'adozione speciale e per sostenere la sopravvivenza
dell'adozione ordinaria e dell'affiliazione.
Questo sentirmi ringiovanire non mi ha dato quindi un
senso di piacere ma di sconforto, considerando che
questi dieci e più anni per il Ministero di Grazia e Giustizia sono stati anni
sprecati, almeno per quanto riguarda questo tema.
Quando noi affermiamo, e mi rifaccio a quanto ha
dichiarato la Senatrice Iervolino e che noi condividiamo
toto corde, che intendiamo perseguire la strada della
deistituzionalizzazione, non facciamo
soltanto una scelta di natura tecnica, ma una scelta culturale in base alla
quale ci poniamo l'obiettivo di tutelare preminentemente l'interesse del
bambino.
Da tempo, infatti, si è accertato che il ricovero in
istituto, e su questo i presenti mi sono sembrati tutti d'accordo, non
rappresenta mai una soluzione efficace per i problemi del bambino solo o in
difficoltà; per tale motivo si sono ricercate altre soluzioni alternative a
questa, che sono state individuate nell'adozione e
nell'affidamento educativo a famiglie, singole persone, comunità alloggio.
Si ricorre all'adozione quando
si accerta che il minore è in stato di abbandono morale e materiale e tale
stato ha carattere permanente, e cioè il minore o è privo di una famiglia o, se
questa c'è, non dimostra di avere alcun legame affettivo ed educativo con il
minore e se ne disinteressa configurando appunto lo stato di abbandono del
minore stesso. Si ricorre all'affidamento educativo
quando si ritiene che il minore abbia una famiglia idonea o comunque dei rapporti
positivi, sotto il profilo affettivo ed educativo, con figure parentali, e che
i motivi che ne consigliano o ne impongono l'allontanamento dal nucleo familiare
d'origine siano di natura temporanea e dipendano da eventi contingenti, cessando
i quali il minore stesso può rientrare in famiglia.
Preciso e sottolineo che il
ricorso a questi due interventi assistenziali deve essere subordinato ad altri
interventi di sostegno al nucleo originario forniti dall'Ente Locale, quali
l'assistenza economica, l'assistenza domiciliare e la messa a disposizione
dei servizi primari non assistenziali, e solo quando tali interventi si
dimostrino inefficaci, e cioè non siano sufficienti a rimuovere le cause che
provocano lo stato di sofferenza del minore si dovrà ricorrere all'affidamento
o all'adozione a seconda dei casi.
Senza dilungarmi ulteriormente su questi aspetti,
voglio solo puntualizzare come tra le cause che determinano la domanda
assistenziale, e quindi, per i ragazzini, la loro
istituzionalizzazione, assumano un posto di grande rilievo quelle di natura
economico-sociale quali la mancanza di posti di lavoro, o la mancanza di case,
le carenze di strutture di tempo libero, dei servizi di trasporto, ecc. A
questo proposito mi si consenta di ripetere ancora una volta quanto andiamo
dicendo da anni, e che cioè in ogni caso l'obiettivo che si deve raggiungere è
quello di prevenire il bisogno assistenziale, eliminando le cause che lo
provocano o che contribuiscono, direttamente o indirettamente, a provocarlo e
che quindi è necessario che, contestualmente ad una politica di rinnovamento
dell'assistenza, si sviluppi una politica del lavoro, della casa etc. capace
di creare le condizioni per un superamento dell'assistenza.
Da quanto detto risulta come
il permanere dell'adozione ordinaria nel nostro ordinamento giuridico non
trova alcuna giustificazione. L'adozione ordinaria,
infatti, non offre alcuna garanzia che sia tutelato preminentemente il diritto
del minore ad avere una famiglia idonea. Il perché è noto: con questo tipo di adozione può adottare chiunque, anche una persona sola,
purché priva di figli propri. A chi intende fare tale adozione
non viene richiesto alcun requisito morale ed educativo; ciò che importa è che
abbia superato i 35 anni (eccezionalmente i 30), e che si sia assicurato
l'assenso dei familiari del minore. Per parte sua il minore non acquisisce la
condizione di figlio dell'adottante, nella completa pienezza dei suoi diritti,
ma continua ad essere figlio della famiglia di origine
«adottato da».
Basterebbero già queste poche osservazioni per
chiarire che l'adozione ordinaria è in funzione
prevalentemente dell'adulto che sente il bisogno di disporre di un bambino, e
che cioè opera in senso diametralmente opposto ai principi che hanno ispirato
l'istituzione dell'adozione speciale.
Queste stesse considerazioni valgono per l'affiliazione,
altro istituto giuridico che, superato da tempo, ha esaurito ogni sua residua
utile funzione con l'entrata in vigore del nuovo
diritto di famiglia e che, nonostante ciò, il progetto di legge ministeriale
vorrebbe non solo conservare ma potenziare.
Per questo motivo l'A.N.F.A.A.
e quanti altri sono convinti della necessità di assicurare ad ogni bambino il
diritto a vivere in una famiglia capace di corrispondere alle sue esigenze educative
ed affettive, operano da anni perché siano abrogate tanto l'adozione ordinaria
quanto l'affiliazione.
Preciso che tali convinzioni, maturate ormai attraverso
una lunga esperienza, riscuotono un consenso che, se non è generale, è però
molto ampio come è dimostrato dai vari interventi che
si sono avuti fino ad ora, fatta eccezione appunto di quello del Senatore
Lombardi. Sottosegretario del Ministero di Grazia e Giustizia, che illustrava
il progetto di legge di iniziativa governativa.
Aggiungo che a sostegno della tesi contenuta in
questa proposta, per quanto riguarda l'adozione ordinaria
e l'affiliazione, non è stata portata alcuna nuova argomentazione di carattere
scientifico, sia in termini sociologici che giuridici; pertanto mentre esprimo
il nostro consenso per la parte che prevede miglioramenti dell'attuale legge
non posso che ribadire il nostro totale dissenso quando si propone appunto di
conservare, accanto e in alternativa all'adozione speciale, gli istituti
dell'adozione ordinaria e dell'affiliazione.
Sempre in relazione all'adozione
ordinaria risulta, ed anche nel corso di questo dibattito se ne sono colti
espliciti riferimenti, che esiste una corrente di pensiero che, pur
riconoscendone i limiti, ritiene che possa essere ancora utile limitatamente a
taluni casi. Noi non condividiamo questa valutazione, tuttavia, volendo tenere i piedi bene a terra, riteniamo che una soluzione del
genere possa essere accettata in via del tutto subordinata, a condizione però
che siano definiti nel modo più preciso possibile i casi (pochi) ai quali può
essere applicata. Poniamo questa condizione in quanto nutriamo
il fondato timore che, in caso contrario, si possa venire a configurare
un'occasione di eludere i vincoli previsti dall'adozione speciale, dando modo
di creare presupposti per continuare a legalizzare il mercato dei bambini.
Questo mercato è un aspetto particolarmente
angoscioso della situazione minorile che non riguarda solo l'Italia e che, a
nostro giudizio, ha dimensioni molto più ampie di
quanto possa sembrare stando soltanto alle notizie, tra l'altro non
infrequenti, che compaiono sui giornali.
Come è ben noto, la legalizzazione dei «contratti»
privati, mediante i quali un bambino passa da una famiglia ad un'altra al di
fuori di un controllo sistematico da parte pubblica sull'idoneità morale,
affettiva, educativa dei o degli adottanti, questa legalizzazione, dicevo, è
resa possibile dall'esistenza dell'adozione ordinaria ed, in misura molto
minore, dell'affiliazione.
Mi si potrà obiettare che questa non è l'unica strada
per coprire la compra-vendita dei bambini e che anche con i falsi
riconoscimenti è possibile acquisire un bambino al di fuori di
ogni controllo pubblico. Questo è indubbiamente vero però non
giustifica che non ci si debba preoccupare di
eliminare l'altra via attraverso la quale viene realizzato questo mercato.
Pertanto, qualora non si voglia proprio giungere ad abrogare del tutto
l'adozione ordinaria, la si limiti, come detto, a
pochi casi e che tali casi siano tali da non offrire alcun appiglio per coprire
iniziative illegittime.
È per questo che noi ci preoccupiamo tanto quando il testo concordato annovera tra questi casi
quello che l'adozione ordinaria (o non legittimante come è chiamata nel testo)
possa essere fatta da parte di persone legate al minore da un «rapporto stabile
e duraturo»; siamo infatti convinti che non sia difficile creare «dei rapporti
stabili e duraturi» finalizzati a questo scopo, venendo così a prefigurare
situazioni che consentono lo sviluppo di questo mercato attraverso questa
formula che ha tutti gli elementi per diventare una facile scappatoia. Sono
convinto di sfondare una porta aperta quando affermo
che bisogna eliminare il mercato dei bambini; tuttavia mi preme chiarire che
ciò che ripugna in queste operazioni di compravendita non è tanto il fatto che
il o i genitori ricevono un compenso monetario o meno in cambio del loro nato,
quanto il fatto che la sorte, il destino del bambino-oggetto, è giocato non in
base a scelte fatte secondo criteri che sono stati fissati secondo una logica
di tutela dei suoi interessi, bensì secondo decisioni del tutto soggettive,
dettate per lo più dall'urgenza e volte a risolvere non tanto i problemi del
bambino quanto quelli del o dei genitori.
Ora pur ammettendo che i criteri applicati dai
Tribunali per i minorenni nel decidere l'avvenire di un
minore non siano sempre i migliori possibili, è però vero, senza ombra
di dubbio, che nella maggioranza dei casi questi tendono a garantire innanzi
tutto l'interesse dei piccoli.
Un altro aspetto della bozza del progetto che desta grosse preoccupazioni è quello che prevede che per
dichiarare lo stato di adottab9lità sia sufficiente che il Giudice accerti lo
stato di abbandono morale oppure materiale cioè, per essere chiari, che basti
la sussistenza di una sola di queste condizioni per disporre l'adottabilità del
bambino.
Perché l'A.N.F.A.A. sia
preoccupata di una innovazione del genere (la L. 431/67 impone che debbono sussistere entrambe le condizioni)
è presto detto: non è infrequente che l'abbandono materiale sia imposto da
circostanze del tutto estranee alla volontà dei genitori che, pur impediti di
fornire questo apporto «materiale», moralmente sono idonei e disponibili a
sostenere il loro ruolo parentale. Sarebbe
delittuoso, a nostro parere, che la legge autorizzasse i Tribunali per i
minorenni ad applicare anche in questi casi le norme dell'adozione speciale.
Noi riconosciamo che la proposta della modifica si basa su argomentazioni non
del tutto infondate e che possono essere così
riassunte: se per aiuto materiale si considera solo, e limitatamente, l'aiuto
economico vi sono molti casi di minori a cui non manca nulla sotto questo
aspetto (collegi di prestigio, baby-sitters di
elevato livello, ecc.) ma che, sotto il profilo morale (affettivo, educativo,
ecc.), sono praticamente lasciati a se stessi e che, stante l'attuale dizione
della legge, non possono essere dichiarati adottabili, e che quindi vengono ad
essere deprivati del diritto di avere una famiglia idonea.
Questa osservazione è sicuramente valida
esclusivamente nel senso che il concetto di «materiale»
sia concepito, come detto, solo nella sua accezione strettamente economica, in
quanto che, se in questa materialità si comprendono anche quegli atti
materiali, quali ad esempio, il fare il bagno al piccolo, portarlo a passeggio,
farlo giocare, ecc. attraverso i quali si configura nella sua pienezza il
rapporto materiale tra il bambino e l'adulto, allora la modificazione risulta
inutile e dannosa.
In conclusione, su questo aspetto,
noi chiediamo di non modificare nulla, tanto più che in questi anni di
applicazione della legge 437/67 si è andata stratificando una giurisprudenza
articolata che oggi è in grado di rappresentare una guida affidabile per il
giudice chiamato a decidere se il bambino abbia o meno bisogno di una nuova
famiglia.
Data l'ora tarda non mi posso
soffermare sul problema affidamento limitandomi a raccomandare ai componenti
la Commissione di considerare con estrema attenzione il ruolo che deve
svolgere l'autorità giudiziaria nel contesto di questo delicato tipo di
intervento assistenziale.
Pur tenendo conto che la proposta in discussione
riguarda una legge nazionale e che pertanto non si possono trascurare tutte le
complesse realtà di un Paese così diversificato come
il nostro, noi invitiamo caldamente a non dimenticare l'esperienza fino ad oggi
fatta nelle zone ove l'affidamento educativo incomincia ad avere una certa
diffusione.
Questa esperienza dice, ed è ampiamente confermata
dalle dichiarazioni degli autorevoli Magistrati che hanno preso la parola in
questo Convegno, che l'intervento del Tribunale per i minorenni
è utile, anzi indispensabile, solo quando si vengano a creare condizioni di
conflittualità tra le parti interessate (famiglia d'origine, famiglia affidataria, ente locale); in tutti gli altri casi vi è il
rischio, se non la certezza, che questo intervento venga a costituire un
inutile intralcio alla realizzazione dell'affidamento.
Prima di concludere questo
mio breve intervento voglio esprimere l'apprezzamento mio personale e
dell'Associazione per il lavoro fin qui svolto dal Comitato ristretto della
Commissione Giustizia del Senato di cui ci ha dato ampia illustrazione la
Senatrice Tedesco a ciò delegata dai suoi Colleghi.
Ringrazio inoltre il Consigliere di Cassazione Prof. Moro per il suo intervento che, specie nella parte
introduttiva, ha dato un fondamentale contributo per chiarire i termini della
questione, ringraziamento che estendo al Consigliere di Cassazione Prof. Battistacci.
Augurandomi che la bozza di progetto di legge
unificato possa presto concludere il suo iter ulteriormente
migliorato in quegli aspetti di cui si è detto, e diventare così un efficace
strumento legislativo di salvaguardia dei diritti dei minori, Vi ringrazio per
l'attenzione.
GILBERTO BARBARITO - Vice
Presidente Tribunale per i Minorenni di Milano
Cercherò di essere il più sintetico possibile, ma
procederò in modo alquanto frammentario nelle mie osservazioni.
La prima delle quali è di carattere generale: sono
passati quasi quindici anni dalla promulgazione della
legge sull'adozione speciale; i tempi sono maturi quanto meno per una verifica,
dopo le esperienze che in questo periodo di tempo si sono fatte; è chiaro che
non è una verifica facile, perché i temi di fondo, in contrasto al momento
stesso in cui la legge fu promulgata non si sono risolti in soluzioni
pacificamente accolte da tutti e la vecchia disputa fra famiglia «di sangue» e
genitore «che si diventa» è una disputa latente che di tanto in tanto riprende
con un certo vigore. Direi che questo è naturale,
perché non stiamo trattando di problemi concernenti oggetti esterni alla
persona come può essere il problema di un patrimonio o altro del genere, ma di
problemi che hanno dei riflessi notevoli su ciascuno di noi sia o non sia
genitore. Quindi, è giusto che ci siano tali contrasti
d'opinione, ed è giusto anche che, tuttavia, questi contrasti siano verificati
in maniera approfondita, al fine di adeguare una nuova legge alle esigenze
sociali e individuali concrete che l'esperienza ha fatto constatare come
tali.
Ho l'impressione che la Commissione che in questi
ultimi anni ha preso in esame la questione, lo dico senza piaggeria, lo abbia fatto con estrema serietà e abbia camminato con i
piedi di piombo, verificando singole posizioni e raccogliendo tutti gli
elementi utili per decidere.
Come Magistrato minorile e, penso, esprimendo
l'opinione di molti miei colleghi, posso dire che un
lavoro di questo genere non può che essere approvato pienamente alla luce
delle nostre esperienze. Parere diverso, invece, penso
che si possa esprimere, e si devono esprimere quanto meno fortissime
perplessità sugli indirizzi di fondo del progetto governativo illustrato stamane dal Sottosegretario Sen.
Lombardi: è chiaro che si tratta di due impostazioni completamente diverse ma,
ripeto, a mio modo di vedere ed a modo di vedere di gran parte di noi, il
progetto che va avanti al Parlamento si fonda su delle scelte che ci sembrano
corrispondere pienamente alle esigenze maturate in questi anni di esperienze.
Detto questo, un brevissimo accenno ai grossissimi problemi che sono sul tappeto.
Adozione
internazionale: i tempi
sono sicuramente maturi perché lo Stato si decida a farne una
regolamentazione. Lo so che il problema è complesso, è difficile, ma dobbiamo
aver ben chiaro che anche se non c'è una legge il fenomeno naturale da sé si
sviluppa e si sviluppa indipendentemente da controlli
o da accertamenti in un modo che non è certamente quello migliore. E quindi,
per non prenderlo in esame, per non cercare di affrontarlo coraggiosamente, rischiamo
di avere una realtà sotterranea che potrà creare grossi problemi e comunque può consentire, come consente di fatto, grossi
abusi sui bambini.
Su questo tema io concordo pienamente con quanto ha
detto il prof. Franchi stamane. In fondo, i principi
su cui la legislazione in materia di adozione di
bambini stranieri, o comunque di adozione in campo internazionale, si deve
fondare, mi pare che debbano essere semplici, ma chiari, ed essere questi: il
Tribunale, un giudice italiano comunque, deve compiere degli accertamenti che
non siano solo formali sia sul provvedimento straniero in forza del quale il
bambino viene in Italia, sia, se il provvedimento non c'è, sulla situazione in
cui il bambino straniero è venuto a trovarsi e sui motivi che l'hanno portato
in Italia.
Questi accertamenti, secondo me, possono essere
benissimo fatti così come prospettato nell'attuale progetto, cioè
al momento in cui si segnala che il bambino cittadino straniero deve entrare
in Italia. lo mi limiterei a aggiungere che
l'accertamento iniziale deve riguardare anche la idoneità degli adottanti, ma
con riguardo specifico alla realtà del bambino che deve essere loro affidato. Perché un accertamento in astratto, spesso, non è
sufficiente. Fra gli accertamenti di merito, in ogni caso, ritengo necessari
in un primo o in un secondo momento, anche quelli sulla situazione del
bambino.
Sapere per es. se il bambino viene in Italia con il
consenso dei genitori, sapere se si sono verificate delle situazioni anormali
là per cui il bambino venga qua per motivi che
concordano con il suo interesse.
Non si tratta di ricerche oziose o pleonastiche, ma
di un minimo di garanzia e di tutela di diritti umani inderogabili, per evitare
che il provvedimento italiano si presti a coprirne
abusi o violenze vuoi nei confronti dei genitori che nei confronti del
bambino.
Ho detto, poco prima, che i tempi sono
maturi e mi riferisco anche ad esperienze che ormai si stanno facendo praticamente.
Il giudice indiano, per es.,
nell'affidare in molti casi un bambino a genitori italiani richiede che essi
abbiano i necesari requisiti, dichiara se il bambino è senza genitori o indica
esplicitamente che i genitori italiani poi regolino la posizione in diritto
del bambino secondo le leggi italiane; abbiamo quindi delle situazioni di
fatto già combacianti, diciamo così, tra un provvedimento di uno Stato
straniero e il provvedimento che può essere emesso in Italia.
So benissimo che a non parlare più di delibazione si
urta contro principi ritenuti quasi sacri ed inderogabili, fino adesso, nel
campo del diritto internazionale, però la realtà è quella che è e si evolve in
un certo modo.
Penso, del resto, che nel mondo di oggi
e nei rapporti sempre più frequenti fra ordinamenti giuridici diversi non vi
siano o non vi debbano essere ostacoli insormontabili allo scambio fra autorità
giudiziarie od amministrative degli Stati, di tutte le notizie più opportune
nell'interesse del minore. In questo ordine di idee penso
alla possibilità di accordi bilaterali o plurilaterali; possibilità già
attuata da molti Stati.
Un brevissimo accenno di carattere formale è questo:
mi pare di aver visto che laddove non ci sia un'indicazione di competenza
giudiziaria ben precisa, nel progetto di legge si fa riferimento al Tribunale per
i minorenni di Roma. Ecco, io ricordo che la legge consolare prevede anche un'altra competenza: cioè quella del Tribunale
per i minorenni del luogo in cui i genitori che vogliono adottare abbiano
risieduto in Italia.
Questo potrebbe, eventualmente, eliminare un aggravio
di lavoro su di un unico Tribunale come quello di Roma.
E adesso, mi soffermo brevemente sul progetto di
riforma dell'adozione.
Si è detto che il fondamento
di questo progetto è la riduzione della adozione al concetto di adozione legittimante
anche se essa viene chiamata «tout court» adozione. Direi
che questa è una scelta di principio corretta. Ma debbo
richiamare l'attenzione sulle ipotesi di riforma dell'art. 291 che indica delle
deroghe a questo principio generale.
Due deroghe, secondo me, sono pienamente
giustificate: quella sub A e B. Cioè
quando vi sia un rapporto di parentela tra il minore e l'adottante, quando si
tratti di figlio di un coniuge.
In questi casi la scelta di un'adozione non
legittimante a me pare pienamente corretta: 1) perché il bambino appartiene già
a quella famiglia e non c'è bisogno di dargli un'ulteriore legittimazione; 2)
perché il bambino viene inserito in un nucleo
famigliare in cui c'è almeno uno dei genitori, ma comunque ha già uno stato di
figlio legittimo, presumendosi anche che con l'altro genitore possa mantenere
ancora dei rapporti.
La soluzione dell'adozione, in questi casi, non
legittimante, si presenta come una soluzione non equivoca ma,
direi, perfettamente corrispondente alla situazione di fatto.
Quindi, su questi due casi non avrei nessuna osservazione da fare al di là del fatto che il sesto
grado, praticamente, non esiste più, e quindi, questa parentela può ridursi,
tranquillamente, al quarto grado.
Ma quello che mi suscita un poco di perplessità... anzi molta... è il punto C... e, più ancora, il
punto D, di cui s'è parlato poco fa. Il punto C parla di un'adozione non
legittimante tutte le volte che è cessato uno stato
di adottabilità per non essersi potuto far luogo ad un affido preadottivo.
Di solito, questo quando si
verifica? Quando c'è un bambino che nessuno vuole o per condizioni di vita pregresse o perché si trova in scadenti condizioni
psico-fisiche. Purtroppo, devo dire, non è infrequente che un bambino
dichiarato adottabile con tutti i crismi di legge finisca
col non entrare, poi, in nessuna famiglia perché non c'è, non si trova,
diciamo così, una famiglia preparata e capace che lo voglia prendere.
Allora qui si dice: se c'è qualcuno che, pur essendo
cessato lo stato di adottabilità, se lo vuol prendere,
magari una coppia o magari una persona singola, diamoglielo e così abbiamo risolto
il problema. Ecco, io non vorrei che un bambino che si trova in questa difficoltà,
in stato di abbandono, e che non trova dei genitori
che lo vogliono considerare suo figlio, finisse poi, in questo modo, con
l'essere definitivamente etichettato come un bambino di serie B e che, quindi,
ha diritto ad una minore tutela.
Allora, l'osservazione che vi affido, può essere
banale, prendetela per quella che è, è questa: se ad un certo punto, pur
essendo cessato lo stato di adottabilità, si trova
qualcuno che possa fare ad un tale sfortunato bambino da padre o da madre,
perché questo padre e questa madre non devono essere dei padri... un padre e
una madre legittimi?
Probabilmente la scappatoia potrebbe essere questa:
in quel caso revocare la cessazione dello stato di adottabilità
e far luogo all'adozione piena, lo stesso, sia che si tratti di una coppia sia
che si tratti di un genitore singolo. In tal caso, la particolare situazione in
cui si è venuto a trovare il minore credo che
giustifichi anche una deroga al principio generale che i genitori devono
essere due e che devono sussistere determinate soluzioni.
Questa è un'ipotesi di lavoro che vi affido e in
questo modo, fra l'altro, risolveremmo anche quel conflitto che potrebbe
esservi con la convenzione di Strasburgo che parla di possibilità di adottare anche da parte di un singolo. In questo caso l'adozione
da parte del singolo potrebbe rimanere adozione per casi residuali, ma
ciononostante non di serie B: residuali per una situazione di fatto.
Invece, più perplessità ho
sulla faccenda prevista al punto D, quella della adozione non legittimante
quando vi sia un rapporto stabilmente costituito fra il minore e un adulto,
fra il minore e due adulti. Perché questa, io credo, potrebbe essere la famosa
finestra attraverso la quale rientrano dalla porta diverse ipotesi di adozione ordinaria.
Perché, sapete, è facilissimo trovare un bambino,
non dir niente a nessuno, tenerselo per due anni, tre anni, il legame stabile
si crea e a questo punto si sono evitati gli accertamenti sullo stato di abbandono, quelli sulla idoneità o meno davanti al
giudice e si ottiene una bella adozione, sia pure non legittimante.
Allora, io pensavo, che quei problemi che si pongono
per le situazioni reali di un legame già insorto fra un bambino e adulti che
non possono adottarlo, potrebbero probabilmente
confluire nel caso di cui al punto C.
Cioè, una volta accertato che questo legame si è creato
pur in una situazione in cui avrebbe dovuto dichiararsi l'adottabilità questa
deve essere comunque pronunciata, secondo legge; può darsi benissimo (badate
il mio ragionamento può sembrare un po' arzigogolato, ve lo faccio così perché
mi è venuto in mente da poco e dovrebbe essere più meditato), può darsi
benissimo che, a questo punto, il bambino, dichiarato adottabile, non sia
tuttavia più distaccabile da quell'ambiente in cui
ha vissuto, perché la situazione maturata per il suo stesso interesse non lo
consente. E allora ricadiamo nel punto di cui al capo C, per
cui, successivamente si può far luogo all'adozione legittimante.
Voi mi dite: se non è zuppa è pan
bagnato. Può darsi, ma in questo modo il problema si focalizza
solo sul bisogno del bambino e non sul fatto che l'adulto abbia precostituito
una situazione di comodo per sé.
Questa soluzione in definitiva si rifà alla motivazione di fondo essenziale nell'adozione: quella
di non perdere mai di vista la «centralità» dell'interesse del bambino; ma essa
realizza anche l'intento - e questo mi veniva in mente con le osservazioni che
faceva Franchi - di vedere in un sistema organico questa riforma, che tende già
a presentarsi nel suo complesso come organica.
In fondo che cosa avremmo? Una adozione
legittimante che è il principio generale, e un'adozione non legittimante che è
però limitata a quei casi di adozione che potremmo chiamare endo-famigliare,
cioè per dei rapporti già precostituiti, e chiaramente già precostituiti, che
non esigono una legittimazione. La simmetria del sistema, in questo caso,
sarebbe rispettata.
Mi avvio alla conclusione. C'è il grosso problema
processuale dell'appello sulla dichiarazione di adottabilità.
Mi pare che la soluzione prospettata sia quella di un
Tribunale finitimo per evitare il problema della Corte d'Appello, il cui metro
di giudizio e la cui funzionalità non sempre è sembrata rispondere agli stessi
criteri interpretativi del Tribunale per i minorenni. Per questo i problemi
sono parecchi, perché mi pare che sia una larga deroga all'ordinamento
giuridico italiano quello di affidare un giudizio, un
secondo giudizio, ad un Tribunale di egual grado ma
territorialmente spostato.
Ma, secondo me, forse il punto più delicato da superare
è questo: tale spostamento territoriale viola il principio del rapporto
giudice-territorio.
Cioè, se da Milano andiamo a decidere in sede di appello
a Torino, io mi sentirei sicurissimo dell'amico Vercellone,
della serenità del giudizio, però non so fino a che punto lui abbia cognizione
del modo di operare e della funzionalità dei servizi sociali della Lombardia.
Non solo: nell'ipotesi in cui lui decidesse di fare
degli accertamenti e di fare alcune delle famose
prescrizioni, dovrebbe manovrare attraverso i servizi della Lombardia. È vero
che siamo in Italia e quindi tutto dovrebbe essere uguale, però, ripeto, in
questo modo, c'è della asimmetria rispetto al
principio giudice-territorio che è un principio di stretta connessione, così
come anche formulato in questi progetti. Qual è il rimedio?
C'è il rimedio proposto da Franchi, se non erro, che
parla di un ricorso per Cassazione «per saltum» che,
in questo caso, dovrebbe decidere anche nel merito; anche questa, però, è una
deviazione dal sistema. L'ideale, certo, che non darebbe scossoni, sarebbe la
Corte d'Appello, a patto che la Corte d'Appello sia
una Corte d'Appello per minori, cioè abbia una autonoma sezione per minori,
composta da giudici minorili.
Questo punto, quindi, della procedura è strettamente
connesso anche alla riforma del giudice minorile. Temo che, adesso, si debba
fare una deroga, in attesa di future soluzioni e forse
bisognerà scegliere la deroga, anche se stridente, più conveniente in questo
caso.
E, allo stesso modo, poi concludo
subito, devo dire che può essere connesso col problema della riforma del
giudice minorile, quello apparentemente lontano, della attribuzione di
competenza nel riconoscimento di minori al Tribunale per i minorenni.
Perché, badate, che è un problema
quantitativamente abbastanza esteso, e io, così dal punto di vista del
Tribunale per i minorenni di Milano, ho l'impressione che se dovessimo occuparci
di tutti i riconoscimenti di figli naturali nel nostro distretto, credo che
dovremmo aumentare, di certo, il nostro organico: è una osservazione marginale,
ma la faccio perché, a volte, l'attribuzione di una competenza, anche se
minima, in più, determina uno sforzo che, magari, certi uffizi giudiziari non
sono in grado di affrontare. Ma questo lo dico,
proprio, tra parentesi. Così come, allo stesso modo, fra parentesi, dico che laddove si parla di affido famigliare fatto dai
servizi sociali con un'omologa delibazione da parte del giudice tutelare, ecco,
riproponiamo ancora un problema di ordinamento: perché la tendenza fino adesso,
è stata quella di togliere delle competenze al giudice tutelare, mentre ora
gliene vengono di nuovo attribuite.
Niente di male, perché questa sarebbe una competenza
«pieno iure», così come quella che ha ai sensi dell'articolo 337, però, ecco,
bisognerebbe evitare questi ondeggiamenti, ché in un
quinquennio gli si tolgono delle competenze, nel quinquennio successivo gliene
se dà qualcuna.
Qui c'è proprio il problema della organicità
della giurisdizione minorile. Io non vi tedio oltre e concludo queste
brevissime osservazioni augurando a tutti noi che il lavoro che avete fatto vada veramente in porto.
GIAMPAOLO
FIORIO - Giudice Delegato alle Adozioni del Tribunale per i Minorenni di Venezia
Il mio è un intervento «sui generis»
perché sarà sicuramente il più breve di tutti e poi, direi, abbastanza
specializzato e molto pratico. Infatti, mi è stato chiesto dal CIAI di
illustrare, di riassumere la prassi che il Tribunale di Venezia ha adottato
per quanto riguarda le adozioni internazionali chiamiamole
attraverso canali privati, cioè quelle in cui le coppie cercano di procurarsi i
bambini non attraverso organi ufficiali, o semiufficiali, come il CIAI, Croce
Rossa, ecc., ma attraverso conoscenze, amicizie e via di questo passo.
Il fenomeno è recente perché ha cominciato ad aver
vita verso la metà del '79, però si è ingrandito molto rapidamente, fino a
diventare cascata. Credo che sia generalizzato, a quello che sento. Da noi ha
una notevole imponenza, proprio perché il Veneto produce parecchi missionari
ognuno dei quali diventa un possibile canale per l'introduzione di bambini,
soprattutto piccolini, in Italia. Naturalmente, la preoccupazione fondamentale
è stata subito quella di cercar di controllare il fenomeno proprio per evitare
che i bambini finissero in mani non appropriate, vuoi per ragioni di età, vuoi per ragioni di idoneità, tenendo conto
soprattutto che l'adozione internazionale, come è stato più volte rilevato, in
questa sede, è forse, anche senza forse, certamente più problematica dell'adozione
normale, dell'adozione interna, e quindi dovrebbero essere, per usar una
brutta espressione riservate alla stessa non le coppie di serie B, ma coppie
particolarmente consapevoli delle responsabilità e dei problemi ai quali vanno
incontro.
In realtà, invece, per l'esperienza che abbiamo fatto in questo periodo, il ricorso a questo tipo di
adozione internazionale, anzi di accaparramento di bambini, viene normalmente,
senza generalizzare, effettuato da coppie che, o hanno visto frustrate le loro
speranze di un'adozione interna, o che comunque affrontano il problema con estrema
leggerezza. Da qui, ripeto, la necessità, direi, imprescindibile di controllare
in qualche maniera il fenomeno che ha, come dicevo prima, una notevole
rilevanza, perché nel 1980, l'anno scorso, più del venti
per cento delle domande nuove di adozione che abbiamo ricevuto provenivano da
coppie che intendevano procurarsi il minore attraverso questi canali privati:
e il venti per cento non è una piccola cifra.
In questo caso, noi abbiamo adottato una prassi molto
semplice. Se le coppie erano state già studiate, richiedevamo un supplemento
di accertamenti da parte dell'équipe territorialmente
competente, specificando che il loro interesse si accentrava sull'adozione
internazionale e, quindi, chiedendo che venissero esaminate anche sotto questo
profilo, potendosi trattare di un bambino di colore e quindi da inserire in
ambiente particolare e via di questo passo.
Se non erano state studiate, facevamo la richiesta
di studio con precedenza sulle altre per non far perdere al minore un'occasione
particolare, perché molto spesso ci veniva detto: se
non accorriamo subito, magari, quello rimane in istituto, ha bisogno di cure,
ecc. La richiesta veniva fatta specificando sempre che si trattava di riferimento
all'adozione internazionale. A questo punto se la valutazione era negativa in
proposito, chiedevamo alla coppia di mettersi l'anima in pace per
l'internazionale, restando valida la domanda per
un'eventuale adozione interna; se, invece il responso dell'équipe risultava
positivo, poiché molto spesso sia governi stranieri che, soprattutto,
organizzazioni operanti all'estero tipo Suor Teresa e di questo passo,
richiedevano una specie di attestazione di idoneità, un nulla osta, chiamiamolo
così, non contemplato da nessuna parte ovviamente, ma comunque richiesto, per
proporre il minore alla coppia stessa, rilasciavamo un nulla osta concepito più
o meno in questi termini: «attestiamo che la coppia Tal dei Tali presenta tutte
le caratteristiche previste dalla legge italiana per l'adozione di un minore
anche straniero». Non abbiamo mai autorizzato il rilascio alle coppie di
relazioni stilate dalle équipes
territorialmente competenti, perché riteniamo che non sia corretto
fornire informazioni che, tutto sommato, hanno sempre, anche se estremamente
positive, carattere riservato, direttamente alla coppia e nemmeno fornirle a
persone che non sappiamo che uso possano eventualmente farne.
Quindi, o s'accontentano di una
dichiarazione ufficiale di un organo dello Stato come il Tribunale per i
minorenni o se no, non se ne fa niente. Quando la coppia, spedendo questo - chiamiamolo così - nulla-osta,
ottiene la designazione del bambino, abbiamo richiesto
e richiediamo notizie specifiche su di lui, un po' obbedendo a quella esigenza
cui accennava Barbarito. Certo è un sistema piuttosto
rozzo a dir la verità, perché, se è possibile,
vogliamo che le notizie provengano da un organo ufficiale dello Stato di partenza,
se non è possibile, dobbiamo per forza accontentarci anche di notizie a
carattere privato, che so?, dal direttore dell'istituto in cui il bambino si
trova.
Almeno, però, possiamo dire di aver qualcosina in mano per poter formulare, sia pure in maniera
abbastanza approssimativa, un giudizio di idoneità
concreta, non soltanto in astratto. Quindi chiediamo dove è nato il bambino,
quanti anni ha, se ha i genitori, se i genitori hanno appunto acconsentito
all'adozione, se non hanno acconsentito, se è un bambino di colore oppure no e
via di questo passo... se ha avuto malattie e di che
tipo, ecc.
Sulla base di queste informazioni, noi rilasciamo un nulla-osta
specifico, cioè per quel bambino, dichiarando che il Tribunale acconsente
all'introduzione in Italia di Tizio, Caio e Sempronio.
Fino adesso il sistema ha funzionato abbastanza bene
e non abbiamo avuto inconvenienti, a dire il vero.
L'altra parte del problema (forse più grave, anzi
sicuramente più grave) riguarda invece quello delle
coppie che non ricorrono al Tribunale e che si procurano il bambino,
clandestinamente rispetto alla nostra conoscenza, non clandestinamente in
assoluto. Questo, ovviamente, è estremamente grave
perché c'è il pericolo di trovarsi di fronte al fatto compiuto: come è accaduto
a volte, il bambino rimane nella famiglia due anni, tre anni e poi te lo
sbattono davanti, ti dicono, adesso che è qua... è successo in passato anche
con bambini nostri, non solo con bambini stranieri... che cosa volete fare? tirarmelo via?... Allora bisognava controllare un po' la
situazione sul territorio: ci siamo limitati a fare un ciclostile spedendolo a
tutti i servizi sociali comunali, ai carabinieri, ai Commissariati di Polizia,
ai giudici tutelari... spiegando il perché, ovviamente, e chiedendo di segnalare
la presenza di minori, noi abbiamo messo anche italiani, soprattutto stranieri
in seno a famiglie o anche presso persone singole che si trovassero lì senza
l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, e in particolare del Tribunale per
i minorenni.
La faccenda ha funzionato anche perché da noi non
esistono grossi agglomerati urbani tipo Milano o Torino dove è più facile il
mascheramento. Quindi un bambino, straniero
soprattutto, in un paese come potrebbe essere Jesolo,
ma anche una città come potrebbe essere Venezia, Padova, ecc. a lungo non passa
inosservato. E abbiamo ricevuto tre segnalazioni di
questo tipo. Un'altra segnalazione ci è venuta dalla
Corte d'Appello dove era stata presentata una domanda di delibazione di un
provvedimento che la Corte ha ritenuto di non delibare perché non avente carattere
giudiziario - mi pare fosse o un affidavit oppure un
contratto a carattere privatistico. Quindi quattro
casi si sono verificati di cui siamo venuti a
conoscenza.
Non potevamo lasciar correre, almeno abbiamo ritenuto
di non poter lasciar correre: la presenza dei minori era recente, quindi non
c'era il problema del fatto compiuto. Non potevamo neanche preoccuparci del
problema della collaborazione con lo Stato di origine
sia perché si trattava di casi che richiedevano una notevole urgenza, sia
perché in tutti i casi, praticamente, non esisteva un'autorità di partenza. In un caso c'era addirittura soltanto un passaporto con visto
d'uscita e basta, nessun provvedimento di nessun tipo; in due casi si trattava
di contratti a carattere privato davanti ad un notaio; e in un caso, mi pare
ci fosse un affidavit da parte di un'autorità con carattere
amministrativo. Abbiamo ritenuto che le norme sull'adozione speciale, in
questo caso, dovessero essere considerate norme di applicazione
necessarie; quindi abbiamo saltato la legislazione straniera, non ce ne siamo
preoccupati, abbiamo dichiarato adottabili i bambini e li abbiamo allontanati,
affidandoli immediatamente, senza naturalmente nessun passaggio in istituto, ad
altre coppie che il Tribunale aveva valutato idonee per questa specifica
funzione. Questo è successo una volta nel '79 e tre volte
nell'80. Dopo di che le notizie, evidentemente, si sono diffuse, anche perché
abbiamo desiderato che venissero diffuse - abbiamo pregato tutti i servizi
sociali, come li avevamo pregati in precedenza, di informare
le coppie che era una strada sbagliata quella della clandestinità, li abbiamo
pregati di informarle di quel che era successo - e, per quanto ne sappiamo,
non si sono più verificati casi di questo tipo. Nell'81 non abbiamo avuto
nessuna segnalazione, riteniamo che assai difficilmente avrebbe potuto
sfuggire un ulteriore fenomeno del genere.
Si aggiunga poi, che dalla fine di aprile-maggio,
di questo anno, abbiamo smesso di concedere nulla-osta proprio in attesa che la
materia venisse disciplinata legislativamente perché
ci sembrava imprescindibile.
I sistema che abbiamo adottato fino adesso è un sistema, come
ho detto prima, abbastanza rozzo, che non può assolutamente soddisfare le esigenze
che sono state dibattute qui. Però, se la legge sull'adozione internazionale
non verrà approvata con sufficiente rapidità saremo
costretti a rispolverarlo proprio per evitare guai maggiori, per evitare, cioè,
l'affido a persone decisamente non idonee per questa delicatissima funzione,
con prospettiva, poi, della irreversibilità della situazione stessa. Però,
quello che ho detto credo dimostri ancora di più
l'urgenza assoluta dell'intervento legislativo per regolare un fenomeno che,
ripeto, non accenna a diminuire, per quanto riguarda richiesta e intensità di
richiesta. Quindi, anch'io mi associo alle proposte di
massima del prof. Franchi e del collega Barbarito per
quanto riguarda la traccia legislativa da seguire per quanto riguarda la
soluzione di questo problema delicatissimo.
Io su questo argomento avrei
finito, vorrei fare soltanto un appunto, anzi, un'osservazione per quanto
riguarda il problema dei gradi di giurisdizione, dell'appello ecc.
Credo che possiamo essere abbastanza d'accordo tutti
quanti che fra le varie soluzioni, quella del Tribunale limitrofo, mi sembra
forse la più pratica, nonostante gli inconvenienti segnalati dal Dr. Barbarito, piuttosto che continuare nella strada seguita
fino adesso e cioè mantenere la competenza delle
Corti d'Appello. Poiché per esperienza personale del Tribunale per i minorenni
di Venezia, ma anche mediata da quella dei Tribunali
vicini, risulta che la Corte d'Appello, pur essendo composta da persone
validissime dal punto di vista tecnico, molto spesso non ha competenza
specifica nel settore minorile, anzi non ce l'ha mai. Non solo, ma non vedendo
poi i risultati di determinate prese di posizione, frutto di informazione
accurata fin che si vuole ma per forza di cose molto sommaria, perché la
presenza davanti alla Corte d'Appello dura pochissimo, non hanno una precisa
consapevolezza di quello che vuol dire prendere decisioni particolari che incidono
invece, in realtà, su tutta una vita.
Quindi anche la soluzione del Tribunale per i
minorenni limitrofo potrebbe essere, nonostante gli inconvenienti denunciati,
preferibile alla situazione attuale; e un'altra cosa
mi premerebbe richiedere: qualunque sia la strada seguita in proposito,
bisognerebbe che la Commissione, trovasse la strada per accelerare al massimo
possibile l'iter giudiziario in questo senso.
Bisogna pensare che attualmente
con i tempi tecnici che abbiamo adesso, bene che vada, fra l'opposizione
davanti al Tribunale per i minorenni, il giudizio davanti alla Corte di
Appello - se c'è appello - e il giudizio davanti alla Cassazione, si perdono
due anni circa.
Quando si arriva alla dichiarazione di adottabilità, la situazione,
dato che la decisione normalmente viene presa, pare a me, con notevole senso
di responsabilità, quindi quando proprio l'abbandono è conclamato (salvo
errori ovviamente, sempre possibili e anche inevitabili), quando dicevo si
arriva alla dichiarazione di adottabilità, la situazione è già molto grave e
non può perdurare in quello stato di incertezza in cui la mantiene l'iter
processuale per un tempo così rilevante come un anno, un anno e mezzo, due
anni.
Siamo stati costretti, abbastanza spesso, a prendere
decisioni di emergenza perché il minore si trovava ad
esempio in istituto e non era più possibile che vi rimanesse, dato che correva
il rischio di deteriorarsi psichicamente ed abbiamo dovuto scegliere una coppia
che accettasse il rischio, domani, di un ritorno del bimbo nella famiglia
d'origine, perché non avevamo alternativa.
Ora, se la soluzione del problema processuale,
qualunque essa sia - ritorno con i genitori oppure consolidamento dello stato di adottabilità - interviene entro breve tempo, è possibile
mantenere il bambino in questo stato di disagio, diciamo pure di danno ormai,
oppure fargli correre un rischio, che sarebbe comunque un rischio di ritorno
limitato nel tempo.
Quando invece i tempi tecnici diventano così lunghi,
è evidente che non solo non possiamo mantenerlo in quella situazione che
prospetta per lui un danno certo e sempre grave, ma lo esponiamo
anche al rischio di un ritorno, quando un ritorno è psicologicamente
impensabile.
Quindi adesso come adesso, la situazione è estremamente grave e antipatica, drammatica per il minore.
Non saprei cosa suggerire in proposito, perché, si diceva
ieri con il prof. Franchi, imporre alla Cassazione, per esempio, un limite di
tempo (nel caso volessimo farla diventare Giudice di secondo grado che entri
anche nel merito) senza sanzione, essa violerebbe una norma in più, se ponessimo
una norma di carattere sanzionatorio, nel senso che
se non si decidesse entro, che so, sessanta giorni, il provvedimento precedente
si consolida, faremmo una giustizia non giustizia, cioè una giustizia senza
accertamenti.
Il problema è sicuramente abbastanza grave e in
questo momento soluzioni non me ne vengono, però raccomanderei, se possibile,
di cercare di risolvere anche questo, perché, se ci limitiamo
alle raccomandazioni, non mi sembra che la Cassazione sia molto sensibile alle
esigenze di rapidità che invece la situazione richiede: si citava stamattina
l'ordinanza recente che sollevava la questione di incostituzionalità in cui ci
si preoccupava d'estendere di 30 giorni il termine di ricorso in Cassazione
per adeguarlo a quello del ricorso ordinario; ma, trenta giorni, per noi sono
niente, ma per un bambino di due anni, per cui il tempo ha tutta un'altra
dimensione, possono diventare molto importanti.
Mi stupisce un pochettino comunque questo discorso della Cassazione, perché, se non
vado errato, la Corte Costituzionale nel luglio dell'anno scorso, ha già
raccomandato la celerità nei procedimenti di opposizione allo stato di
adottabilità quindi, tutto sommato, mi sembra veramente una raffinatezza
giuridica, che in questo campo è fuori posto e soltanto dannosa. Grazie.
PAOLO VERCELLONE - Presidente
del Tribunale per i Minorenni di Torino
Proprio poche parole, perché io
sono distratto e m'ero dimenticato che il titolo riguardasse «Adozione, Adozione internazionale, Affidamento
familiare»; pensavo si trattasse solo dell'Adozione
internazionale.
La distrazione è legata come al
solito al subconscio, perché ormai credevo che dell'adozione in genere non si
dovesse più parlare.
Ci avete sentito tante volte, siamo andati al Senato,
abbiamo detto tutto quello che pensavamo, abbiamo
fatto il Carro di Tespi in giro per l'Italia a
presentare questi progetti. Mi pareva che su certi principi generali fossimo
d'accordo, invece qui salta fuori la sorpresa del progetto ministeriale che
pare rimetta in discussione molte cose.
Sulla questione dell'adozione in genere dunque, mi
riduco a pochissime osservazioni.
Una riguarda la regolamentazione anche degli
affidamenti familiari in sede di nuova legge sull'adozione. Ripeto la opposizione precisa di tutti gli operatori piemontesi, giudici
e operatori sociali, su qualunque soluzione che introduca un intervento
giudiziario sull'affidamento familiare, salvo che nell'ipotesi di conflitti
intersoggettivi.
L'affidamento familiare è inteso nella politica assistenziale della Regione Piemonte, ma certo di molte
altre Regioni, come uno qualunque dei servizi che la comunità offre ad una
famiglia in stato di disagio. Uno dei tanti: la domestica ad ore, il
malaugurato istituto, l'affidamento familiare, sono tutti uguali. È un'offerta,
il cittadino l'accetta, l'accetta e basta, e il
giudice non c'entra niente. Né deve entrarci, perché se noi trasformiamo
questo tipo di intervento in un intervento
giudiziario, diamo una carica profondamente negativa all'istituto dell'affidamento
familiare.
Infatti se l'affidamento fosse subordinato a un ordine del
giudice, le famiglie accetterebbero serenamente l'istituto, perché per quello
non c'è il giudice che gli dice che si deve proprio portare via il bambino,
mentre invece si opporranno fieramente all'affidamento familiare perché
diranno: «Qui se c'è il giudice vuol dire che siamo
cattivi».
L'intervento del giudice in materia di affidamento è poi al di fuori dei normali principi del
diritto di famiglia. Se la potestà parentale c'è
ancora ed integra, i genitori insieme ai servizi sociali decidono le soluzioni migliori per i loro figli e non v'è posto
per ordini od omologhe del giudice. Altro è quando invece succede, come spesso succede, che l'offerta
del servizio sociale ai genitori non è accettata dai genitori. Allora, e solo
in quel momento, c'è un conflitto, poiché alcuni pensano che il bene del
bambino sia uno e altri pensano che il bene del bambino sia un altro; solo
allora, essendoci un conflitto, tocca al giudice intervenire, non prima quando il conflitto non c'è.
Altrimenti, e se vogliamo andare in questa direzione mi va anche bene, ma bisogna pensarci molto,
altrimenti diciamo che ogni volta che un bambino va fuori di casa sua ci vuole
l'intervento del giudice. Mi può anche andare bene: che ogni volta che si crea
una situazione anomala, cioè il bambino deve andare
fuori di casa sua, qualcuno deve andare a vedere se è giusto che il bambino
proprio vada fuori di casa, ma allora questa deve essere la regola anche per
gli istituti, non solo per gli affidamenti familiari.
La mia opinione è però che è molto meglio che i
servizi sociali facciano il loro lavoro, che si basa proprio sul consenso, ottengano dai genitori l'accordo per un affidamento
familiare e le cose avvengano così come avvengono ora nella nostra regione.
Resta salva, naturalmente, l'ipotesi in cui il conflitto avvenga dopo, ipotesi
che è anche abbastanza frequente; solo in quella ipotesi
l'una o l'altra delle parti verrà dal giudice.
I servizi verranno per chiedere al giudice un
provvedimento perché il bambino resti dov'è anche se il genitore ha cambiato
idea, i genitori possono chiedere che il bambino venga allontanato da dov'è,
perché il bambino lì ci sta male, o che, permanendo l'affidamento, venga cambiata la famiglia affidataria.
Ancora un accenno sulle adozioni in genere; sentivo
che uno degli intervenuti diceva che sono troppo
lunghe le attese per arrivare ad una adozione. Non vorrei, ma forse ho capito male io, che ci fosse un equivoco.
Una cosa è la maggiore celerità per arrivare allo
stato di abbandono, altra è una maggiore celerità per
arrivare a soddisfare una domanda di adozione. Su questo secondo punto non è
questione di formalità, è questione che la lista di attesa
è fatta di settecento persone ed i bambini sono cento, centocinquanta.
Sicché è vero che questa mostruosa gravidanza dura tre o
quattro anni, ma non è perché ci sia eccessiva formalità, è perché se una porta
è stretta si deve passare uno per volta, non si può passare dieci per volta. Tutto
lì su questo punto.
Sulla lunghezza del procedimento di
adottabilità non posso che concordare con
l'amico Fiorio, Giudice di Venezia, che mi diceva ora
che i tempi sono troppo lunghi. È però difficile dire come si possono
accorciare, perché se si adottano dei sistemi rapidi, molte persone
giustamente contestano che in materia così delicata, difficile e grave, si vada
in fretta, più in fretta che a discutere, ad esempio,
se i confini del fondo A siano proprio quelli o devono essere spostati di un metro.
Se invece si va troppo lenti, i bambini diventano grandi.
E non è facile trovare la soluzione. Sempre sulla
base della mia esperienza pratica, uno dei modi per cui
si potrebbe accelerare un po' sarebbe quello di trovare dei sistemi di notificazione
e di reperimento dei genitori all'inizio del procedimento di adottabilità più
rapidi e più efficaci di quelli di ora.
Quando si deve incominciare a cercare il genitore che se ne è andato spesso si perde un anno e
più perché il genitore si deve cercarlo dov'è la sua ultima residenza e dov'era
nato. Se poi all'ultima residenza ci dicono che se ne
è andato in un'altra residenza che poi di regola non è quella giusta, la
ricerca diventa disperante.
Suggerirei una norma che prevedesse la notifica presso l'istituto o la famiglia dove si trova il
bambino, efficace se entro trenta giorni quel genitore non è andato là e non ha
ritirato la notifica. Mi pare si potrebbe ottenere un
risultato buono, di maggiore rapidità e nello stesso tempo di molta serietà. Se
il genitore nell'arco di, adesso ho detto un mese, diciamo due, diciamone tre, non è capitato nell'istituto o nella famiglia
dove c'è il suo bambino, insomma vuol dire proprio che non si interessa affatto
del figlio.
Altra proposta, sempre in materia di notifiche, è
quella di legittimare alla notificazione (od a una
forma di comunicazione) agenti di polizia, direttori di istituti infantili,
assistenti sociali degli enti locali. Ben spesso infatti
succede che queste persone sanno benissimo dove trovare il genitore e di fatto
lo trovano, mentre l'ufficiale giudiziario continua a dichiararlo irreperibile
o comunque a non identificarne il recapito.
Comunque in linea generale sarei per un minore garantismo in
fase di notifiche «introduttive» del procedimento, richiamando le norme più rigide
della notificazione del processo civile solo per quanto riguarda la
comunicazione del decreto che dichiara lo stato di abbandono in modo da essere
sicuri che il genitore sia in grado di fare opposizione. Sarà in quella sede, cioè nel giudizio di opposizione, che eventualmente il
genitore potrà far valere le sue obiezioni che non avesse potuto far valere nel
procedimento in quelle pochissime ipotesi in cui risultassero in concreto
insufficienti le garanzie per assicurare il contraddittorio nella fase
precedente al decreto dichiarativo dello stato di abbandono.
Altri modi di accelerare il procedimento non ne conosco. D'altronde, se è vero che i Tribunali vanno per le
lunghe, è anche vero che i servizi sociali sono assai più «prudenti» e lenti
nelle segnalazioni.
I bambini che ci vengono
segnalati sono, per lo più, già grandini.
Perché? Proprio perché i servizi sociali hanno scelto la
via giusta, la via maestra di appoggiare al massimo le famiglie, prima di
segnalare lo stato di abbandono. Le appoggiano al
massimo e fanno bene. Le appoggiano troppo? Le
appoggiano troppo poco? Non lo so.
Certo è che prima che un servizio sociale si stufi,
dica proprio che ne ha già fatte tante e veramente quell'abbandono
è conclamato, passano di regola tre anni.
È forse giusto che sia così. Ma quando i servizi
arrivano poi dal giudice a segnalare, il giudice ovviamente ci riprova: «quel
servizio sociale sarà stato superficiale, se le parlo io subito quella mamma si
rende conto, si responsabilizza e così via», e si
perde un altro po' di tempo.
Ora questo è di nuovo il solito
discorso: chi preferiamo? Il bambino? I genitori? Quando passano
anni il bambino è definitivamente distrutto.
Ricordiamoci che la filosofia della vecchia legge,
che sarà riformata, ma nelle sue basi spero che rimanga la stessa, è di agire
nell'esclusivo interesse del bambino, anche se dobbiamo tagliare la testa ai
genitori. Certo, poveretti, sappiamo che cosa hanno
alle spalle, ma perché continuare a fare la catena di produzione dei bambini distrutti
che, cresciuti, distruggeranno altri bambini?
Dobbiamo essere cattivi, bisogna saper essere cattivi, nell'interesse del bambino.
Passiamo all'adozione
internazionale che era quella sulla
quale avevo pensato un po' di più, poiché credevo fosse
l'unico argomento della giornata.
Diceva il collega di Venezia che sta diventando un fenomeno grosso. In Piemonte è un torrente che dilaga
da tutte le parti; ed è un torrente preoccupante. Infatti
un certo numero di famiglie candidate adottive seguono la linea che avevamo
instaurato un po' d'anni fa, quando venivano dieci bambini all'anno, di regola
dall'Asia Orientale, regole che sembravano correttissime.
Il sistema andava bene in sostanza, perché questi
candidati genitori adottivi si presentavano al Tribunale per i minorenni e si
faceva tutta la selezione che si faceva per la adozione
nazionale. Il bambino non partiva dal suo paese fino a quando
non arrivava la segnalazione che la coppia era stata valutata; insomma bene o
male la situazione era sotto controllo.
Ma la condotta di molte altre coppie è ben diversa e
le vie seguite sono assai meno tranquillanti. Credo ormai che centinaia di
coppie torinesi abbiano scoperto il Sud America. Il
Sud America va molto meglio perché intanto il bimbo è di colore sì ma mica
tanto; i piccoli peruviani che arrivano somigliano a me
quando torno dalla montagna, non c'è mica molta differenza, poi parlano
facilmente l'italiano subito, perché lo spagnolo è simile, poi sono tanto
obbedienti. Tanti allora si rivolgono là, dove poi ovviamente succede che i
bambini partono con molto meno controllo.
I risultati sono preoccupanti.
Esempio: i famosi bambini ecuadoriani dei quali
hanno parlato i giornali. Io non sto a dire se sia
giusto o non sia giusto che questi genitori se li tengano o non se li tengano
più, ma ammettendo che risultasse provato che non se li possono proprio
tenere, che succede? Questi hanno una decisione dell'autorità ecuadoriana che
dà i bambini in adozione. Una decisione della Corte d'Appello di Torino che
deliba come adozione speciale questa adozione.
Ammettiamo che oggi, domani o dopodomani ci accorgiamo che questa è un disastro:
che faccio? Chi revoca questa adozione? Gli
ecuadoriani? La Corte d'Appello può revocare la sua delibazione? Credo di no.
E se gli ecuadoriani non revocano proprio nulla, glieli
debbo lasciare? Adesso li abbiamo
allontanati, domani li potremmo anche dichiarare decaduti dalla
potestà parentale e poi? Questi bambini li do in adozione a chi? Intanto uno ha già compiuto
gli otto anni da un pezzo; non so se l'Ecuador possa accettare che avendo dato
i bambini in adozione a certe persone, questi vengano
poi dati ad altre persone. Sono problemi giuridici, tutt'altro
che semplici.
Il problema di fatto più grave è che questi bambini
nessuno ha controllato come arrivassero, nessuno ha
controllato chi erano i signori che li volevano adottare, nessuno, dopo, ha
controllato come stavano. E questo oggi in Piemonte so
che si verifica a decine e decine di casi, forse centinaia. Sono bambini dei
quali io non so nulla, che sono per lo più piovuti bene, ma solo perché di
regola la gente è normale.
Da questa mia esperienza mi vien fatto di fare subito due richieste ai signori
parlamentari qui presenti.
Intanto fate subito norme speciali ed urgenti per l'adozione internazionale,
non aspettate i tempi ancora forse lunghi della riforma della
adozione in generale. Questa riforma può anche attendere, una disciplina
che renda meno selvaggia questa «caccia» al bambino
straniero è indispensabile subito.
Comunque agite, premete, sul Governo perché si comporti,
subito, come il governo di un paese civile e responsabile.
Non sarebbe una cosa eccezionale se il Governo
italiano notificasse a quei dieci, dodici, quindici Paesi che esportano i
bambini, che nessun bambino potrà giungere in Italia alle coppie che lo abbiano
adottato in quei Paesi, se queste coppie non avranno il famoso Certificato di Idoneità, chiamatelo come volete, rilasciato da una e
una sola autorità, anche se distribuita nel territorio.
Se questi genitori candidati sapessero
che qualunque cosa decidano le Autorità locali di esportazione, il bambino
non entra in Italia se prima essi non sono passati al controllo dell'unica Autorità
legittimata a dare la patente, non lo porterebbero via, per farlo rimandare
indietro all'aeroporto. Questo fenomeno sarebbe finito nel giro di pochi mesi.
Si dovrebbe dunque da parte del Governo:
a) avvisare tutti gli Stati di esportazione
di bambini che le adozioni potranno farle come gli pare, ma che il bambino non
entrerà in Italia se coloro che si sono presentati per adottare il bambino
laggiù non avranno portato anche un Certificato di Idoneità, chiamatelo come
volete, un documento dal quale risulta che essi hanno tutti gli stessi
requisiti che si richiedono per adottare un bambino italiano e che ciò è stato
controllato dall'Autorità competente.
b) ordinare alla polizia di frontiera che i bambini
stranieri sotto gli otto anni non entrano nel territorio nazionale, se non
dimostrano di andare a destinazione presso coppie che abbiano un Certificato di Idoneità.
Questo si può fare subito, non c'è bisogno di fare
leggi e non crea problemi di ordine internazionale,
perché è lo Stato italiano che fa quello che gli pare all'interno del suo
territorio.
Io avrei finito. Solo un'avvertenza che si ricollega a quella che diceva Barbarito.
Avete lavorato proprio bene, signori del Parlamento, ma adesso finiamola.
Il lavoro è stato fatto bene, ma
forse non per colpa vostra, è stato molto, troppo lungo. Adesso, mi
raccomando, andateci di corsa. Grazie.
MARIA PIA GARAVAGLIA - Deputato
Sarò brevissima perché sono l'ultima.
Sono una presentatrice di quel tipo di norma cui
faceva riferimento un momento fa il Dr. Vercellone.
Alla Camera è già stata affidata a me come relatrice,
e, quindi, è già all'ordine del giorno della Commissione Giustizia, esaudendo
un desiderio che mi è parso emergere anche nell'intervento del Dr. Vercellone e cioè che sia discussa
con urgenza, prescindendo dal lavoro del Senato.
Può darsi che se fosse capitata in un momento diverso
avrei sottoscritto interamente questo tipo di aspettativa
e, quindi, di richiesta, ma poiché mi sembra che il Senato abbia praticamente
portato a conclusione il lavoro di unificazione delle diverse proposte di
revisione della legge sull'adozione in Italia, alla Camera, il lavoro di
integrazione avverrà in maniera naturale e pertanto credo che non ci troveremo
di fronte ad un rinvio «sine die
» della conclusione.
Ho sentito l'esigenza di presentare questa proposta
di legge in collegamento con il «Centro Italiano per l'Adozione Internazionale»,
proprio perché tutti i ragionamenti che oggi tutti
loro hanno potuto seguire, facevano emergere un'esigenza irrinviabile,
collegata agli ultimi avvenimenti, allo «scandalo» di quella che è stata
chiamata esportazione di bambini.
Personalmente fui anche firmataria di un'interrogazione
alla Camera per sapere che fine avrebbero fatto i cinquecento bambini
cambogiani che arrivavano in Italia senza sapere da dove venivano, dove
andavano, a chi sarebbero stati affidati, e nel caso in cui in Italia non avessero trovato la famiglia adottante o che durante il
periodo dell'affidamento si fosse verificato il caso che la famiglia e il
bambino fossero stati incompatibili, come affrontare il disadattamento
ulteriore, ecc.
Quindi questi ultimi episodi, dai fatti dell'ultima grande emigrazione di profughi dall'Estremo Oriente ai fatti
molto più limitati dei genitori che compiono un viaggio di piacere in Sud America,
a Ceylon, nell'Ecuador e poi portano in Italia i bambini,
per quanto numericamente e quantitativamente diversi, denunciano un problema
morale ed esigono un rimedio.
Il problema qual è? Nella nostra proposta di legge,
lo ricordo in maniera molto sintetica, sosteniamo che ci sia
un'Autorità nel Paese di origine del minore che garantisca la situazione di
adottabilità del minore.
Noi dobbiamo fidarci, ovviamente, dell'ordinamento di quel Paese, ma vogliamo garantire che il
minore in Italia giunga dal suo Paese, dietro la responsabilità della sua
comunità che ne certifica lo stato di abbandono o comunque che secondo i loro
criteri si trovi in stato di adottabilità.
È vero che riteniamo questo un metodo che non esige
un lungo iter legislativo, perché la Presidenza del Consiglio potrebbe
autonomamente con dei provvedimenti di carattere
amministrativo di concerto con il Ministero degli Esteri e degli Interni,
stabilire una serie di requisiti, affinché ci si possa cautelare sotto questo
profilo.
Nella legge chiediamo questa garanzia originaria, ma
è evidente che il nostro Paese, a sua volta, si cautela se intrattiene rapporti
normativi chiari: quindi chiediamo con la nostra legge la convenzione fra
l'Italia e i Paesi che sono in grado di mandare
bambini in adozione in Italia.
Ciò che ci interessa di più,
e nella legge lo mettiamo in risalto chiaramente, è che la famiglia adottiva
sia trovata idonea prima che i bambini arrivino, per evitare quel fenomeno che
citavo un momento fa, criticando l'invasione dei bambini dall'Estremo Oriente,
perché se la famiglia non è idonea e il minore arriva, evidentemente abbiamo
in due modi rotto i cocci: delusa l'ansia della famiglia che nutriva un'aspettativa
intensa come una «gravidanza di anni» e alterato l'equilibrio del minore cui
saremo colpevoli di aver procurato un ulteriore disadattamento.
Attualmente in assenza di una norma non si può intervenire
contro questi abusi e allora la nostra legge evidentemente propone alcune pene
che hanno carattere pecuniario e anche carattere detentivo; si arriva nella
proposta della collega Molineri a tre anni di
reclusione e, comunque, alla pronuncia della inidoneità permanente alle successive
possibilità di adozione.
Quindi i nodi della nostra proposta di legge rispondono a
quelle esigenze manifestate con la competenza di chi tutti i giorni tratta
questi problemi, come ha detto il Dr. Vercellone un
momento fa.
La logica interna di questa legge non sarà alterata
dalle modifiche che il Senato sta apportando all'ordinamento sull'adozione,
perché anche noi ci rifacciamo al fatto che anche l'adozione internazionale
deve essere un istituto che preminentemente, anzi direi assolutamente,
predilige quello che chiameremmo il bene del minore, e
ogni atto è finalizzato a questa garanzia. Qualche volta il
minore serve semplicemente a gratificare i genitori. Se questo è un
problema già dell'adozione italiana, diventa ancora più grave
quando si ha a che fare con minori che etnicamente,
culturalmente, provengono da nazioni diverse.
Probabilmente durante il dibattito della giornata in
cui ero assente è stata citata l'India. Mi viene in
mente questo Paese perché è uno Stato che in qualche maniera accompagna il suo
minore all'estero. Ogni anno chiede una relazione sulla situazione del minore.
Quando questo bimbo sarà inserito completamente nella sua nuova famiglia
(perché questo vogliamo che sia: un figlio, e infatti, la chiameremo anche
questa, come l'adozione italiana, adozione legittimante),
avrà alle sue spalle una Nazione che non l'ha «cacciato», e ciò sarà certamente
importante in termini di sicurezza psicologica, in termini di orgoglio anche
nazionale. Sarà agevolato da una situazione che riscatta molti di quei
disadattamenti, che purtroppo, ritroviamo quando un
figlio è appunto un figlio adottato.
Questa è l'impostazione della legge: il figlio
legittimato. In un momento in cui la solidarietà a livello civile sta facendosi
così acuta al punto da far sì che questi problemi diventino problemi anche di
chi ha figli naturali, e si sta facendo acuta proprio
perché si vede che il figlio adottivo, soprattutto straniero, non può essere
considerato una merce, cresce la preoccupazione riguardo alla celerità
dell'iter, ma anche riguardo alla garanzia di fare il bene del minore.
Tutti i Giudici, durante la giornata, credo abbiano messo in risalto i complessi problemi che riguardano
l'accertamento. Questo è il vero nodo della legge e dell'intero procedimento.
L'accertamento per i minori stranieri viene fatto
nel Paese d'origine: dovremo confidare in una certa logica che probabilmente
non corrisponde esattamente alle nostre categorie mentali, culturali; però per
questo motivo noi con l'articolo 3, chiediamo che il visto d'ingresso sia
concesso dall'Autorità Consolare del luogo di provenienza del
minore, dietro presentazione di un documento dell'Autorità locale, da
cui risulti il rispetto delle norme di legge in vigore relative all'affidamento
e all'espatrio del minore.
Ma sotto questo profilo noi ci rendiamo conto di essere comunque nelle mani di quell'autorità
e di dover rispettare quell'ordinamento.
Rispetto al nostro ordinamento, si
parla di servizi sociali che qualche volta, proprio per voler essere rigorosi
aumentano i tempi morti. Si accusano
poi i ritardi del Tribunale che, a sua volta, vuole essere rigoroso per
esperire ogni strada, e naturalmente, nel frattempo il bambino cresce, diventa
adolescente.
Vorrei richiamare, come elementi di riflessione, due
situazioni che nella logica di quella solidarietà civile che va diffondendosi,
potremmo tenere in considerazione. Con il decreto «616», gli accertamenti relativi ai servizi, all'assistenza, alla cura, al sostegno
al minore, alla famiglia, a chi nella comunità è più debole, sono affidati all'Ente
locale; e mi sembra un livello, anche territorialmente, che può avere la
possibilità di controllo sulla situazione familiare e del minore.
L'Ente locale ha questa possibilità
anche se denuncia la mancanza di un certo tipo di personale. Purtroppo,
fra il dover essere e l'essere sappiamo che ci sono dei
tempi anche di preparazione del personale, ma nell'attesa che ci sia, occorre
utilizzare con più confidenza le strutture dell'Ente locale.
Il secondo dato è l'affidamento. Qualche volta il
bambino non si trova più nelle condizioni di essere adottato secondo l'adozione
legittimante (quella ordinaria la considererei
veramente un caso straordinario e circoscritto ad alcune situazioni che credo
le colleghe senatrici potranno avere illustrato oggi) e, quindi, mi sembra che
dovremmo creare una cultura dell'affidamento. Senza aver bisogno di un'altra
famiglia che dia cognome ed eredità, c'è una famiglia
che dà affetto e solidarietà, perché la comunità l'ha messa in grado di
aiutare. È anche questo un modo per crescere, superando il disadattamento.
È apparso chiaro il collegamento con il lavoro che il
Comitato ristretto del Senato ha già fatto e, quindi, sperando che la
legislatura abbia tempi sufficienti per portare a termine la discussione della
legge, la Commissione Giustizia della Camera, che ho
l'onore qui di rappresentare, sarà in grado di fare un discorso parallelo senza
perdere tempo.
In conclusione: anche se la nostra legge riguarda
solo l'adozione internazionale, mi sembra che si muova nell'alveo di quei
valori su cui oggi si è verificato largo consenso.
DONATA MICUCCI - Segretaria
CIAI
Il mio intervento, data l'ora, sarà molto breve. Gli
interventi che mi hanno preceduta hanno ampiamente
riconosciuto l'urgenza di una regolamentazione dell'adozione internazionale e
i principi su cui una normativa in materia deve basarsi. Come Centro italiano per l'adozione internazionale riteniamo che
le proposte attualmente presentate alla Camera rispettivamente dall'On. Garavaglia (DC) e dall'On. Molineri
(PCI) possano costituire senz'altro un'ottima base di lavoro.
In esse, infatti vengono
sanciti due principi a nostro parere fondamentali:
1) necessità di una preventiva dichiarazione di idoneità della coppia adottante rilasciata dal Tribunale
per i minorenni competente e di un periodo sperimentale prima della
dichiarazione definitiva dell'adozione;
2) esistenza di un provvedimento straniero di adozione o comunque del consenso dello Stato straniero
all'emigrazione del minore per essere adottato in Italia.
La procedura proposta è una procedura al contempo agile e rigorosa: agile, perché fa sì che si
evitino inutili perdite di tempo, che peserebbero ulteriormente su bambini già
duramente provati, nella realizzazione di queste adozioni; rigorosa perché il
meccanismo previsto è tale da impedire o perlomeno ridurre drasticamente la
possibilità di raggirare la legge.
A nostro parere, comunque,
al di là della constatazione della necessità e assoluta urgenza di tale
regolamentazione, già fin d'ora molto si potrebbe e si può fare per portare un
po' di ordine nell'attuale giungla dell'adozione internazionale.
Innanzitutto i Tribunali per i minorenni dovrebbero assumere un
atteggiamento più deciso e ove occorra, severo, per ostacolare la precostituzione di pericolose situazioni di fatto.
La selezione delle coppie aspiranti all'adozione di
un bambino straniero dovrebbe essere effettuata con una cura e un'attenzione
ancora maggiore di quella che deve (o dovrebbe) essere prestata per la
valutazione di coppie orientate all'adozione di un
bambino italiano.
Infatti abbiamo a volte l'impressione che alcuni Tribunali
per i minorenni obiettivamente oberati dalle numerose domande di adozione,
considerino l'adozione internazionale quasi come una valvola di sfogo. Mi
sembra questo, un atteggiamento estremamente
pericoloso, perché se è vero che l'esperienza da noi finora maturata dimostra
la sostanziale positività di queste adozioni, non possiamo disconoscere le
difficoltà e i problemi che possono insorgere e che richiedono da parte della
famiglia una grande sensibilità, maturità e capacità di accettazione.
Noi stessi ci siamo posti il problema di procedere
ad una verifica del nostro lavoro. È nostra intenzione effettuare
in un prossimo futuro una indagine sulle adozioni fin qui da noi realizzate in
modo da poter avere un quadro il più completo possibile, sulla realtà di questi
bambini e per poter poi trarre preziose indicazioni per la nostra attività
futura.
Innanzitutto potrebbe essere valutata l'opportunità di emanare
istruzioni operative che impongano la necessità di visto d'ingresso per i
minori stranieri al di sotto degli 8 anni non accompagnati da genitori o
parenti cittadini stranieri. Tale visto d'ingresso dovrà essere subordinato
all'autorizzazione da parte del Tribunale per i minorenni del luogo ove il
minore è diretto.
Inoltre le Questure dovrebbero essere sollecitate a
segnalare ai competenti Tribunali per i minorenni la presenza nel territorio
di minori stranieri.
È necessario e urgente, a nostro avviso, effettuare
un serio e costante controllo sull'attività di organismi
e associazioni che si occupano di adozioni internazionali, sia per verificare
il rispetto delle norme previste dalla legge 431/67 sia per le modalità di
reperimento e di abbinamento di bambini stranieri.
Da ultimo, un'iniziativa importante che le Regioni, su esempio delle Regioni Piemonte e Lombardia,
dovrebbero assumere è quella di inviare una circolare agli amministratori e
agli operatori degli Enti Locali nella quale si vieti il rilascio a privati
anche dietro richiesta di Consolati esteri, di relazioni psico-sociali
sulla coppia che intende adottare un bambino straniero. Questo perché la
relazione di un servizio sociale spesso equivale, per il Paese straniero, alla
dichiarazione di idoneità del Tribunale per i
minorenni.
Ovviamente questa relazione deve essere rilasciata
se richiesta dal Tribunale per i minorenni. Alle Regioni inoltre spetta il
compito di organizzare corsi di aggiornamento per gli
operatori sui criteri e le modalità di selezione delle coppie con particolare
riguardo all'adozione di un bambino straniero.
Non procedo oltre, vorrei solo ringraziare i Parlamentari qui presenti per l'impegno sin qui dimostrato
e sollecitarli ad approntare al più presto una regolamentazione che, basata sui
principi informatori delle due proposte di legge presentate alla Camera,
voglia davvero tutelare e proteggere i diritti del minore straniero in Italia.
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