Prospettive assistenziali, n. 58, aprile - giugno 1982
POSIZIONI DEI PARTITI
SULLE IPAB
Promosso dal Csa
(Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base torinesi) (1) si è
svolto a Torino il 7 maggio scarso un dibattito sul tema «A che punto è in parlamento la riforma
dell'assistenza».
Presenti, il sottosegretario di Stato alla Sanità, onorevole Maria Magnani Noya (PSI), le onorevoli Anna Maria Vietti (DC) e Rosalba Molineri (PCI), membri del Comitato ristretto della Camera
per l'esame dei progetti di riforma dell'assistenza, l'onorevole Adelaide Aglietta (radicale) e il sindaco di Torino, il comunista
Diego Novelli.
L'occasione si è rivelata particolarmente utile per
conoscere le posizioni dei principali partiti sul futuro delle IPAB (patrimoni
e personale compresi). Si ignorano, invece, i punti
di vista di liberali, repubblicani e socialdemocratici, i quali - pur invitati
- non hanno preso parte al dibattito. Le relazioni dei rappresentanti di DC,
PCI, PSI, Radicali ci sembrano comunque interessanti e
valide sull'intero piano nazionale. Per questo, ne pubblichiamo una ampia sintesi.
In apertura del dibattito, Francesco Santanera, a nome del Csa, aveva riassunto i motivi per i quali il testo attuale
della riforma dell'assistenza risulta non accettabile. Questi possono essere
così sintetizzati:
- è prevista una massiccia privatizzazione delle
oltre 9.000 Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza (IPAB) operanti nel nostro paese;
- restano indeterminati gli organi di governo. Essi
possono essere, nella stessa Unità locale, l'Associazione dei Comuni, i Comuni singoli e addirittura, gli organi di decentramento
dei Comuni facenti parte dell'Associazione;
- sono attribuiti alle Province compiti ingiustificati;
- la definizione del volontariato è del tutto generica
dando agli enti privati la possibilità di camuffarsi come organizzazioni di
volontariato;
- non è nemmeno preso in considerazione l'apporto del
volontariato di singoli cittadini e di nuclei familiari;
- nulla di concreto è previsto per il personale;
- ridicolo è lo stanziamento aggiuntivo previsto
(200 miliardi complessivi per i primi tre anni di applicazione
della riforma, e cioè in media poco più di 3 miliardi all'anno per ciascuna
Regione);
- è esplicitamente previsto che le Regioni possano
non rispettare il termine stabilito in un anno per adeguare la loro
legislazione agli obiettivi ed ai principi della riforma.
In particolare, ha sottolineato
Santanera, è urgente informare la popolazione, gli
Enti locali, i sindacati sui pericoli derivanti dalla privatizzazione delle IPAB:
regalo ai privati di 20 mila miliardi di patrimoni pubblici; passaggio di gran
parte del personale (35.000 addetti) dal settore pubblico a quello privato;
creazione di un monopolio privato nel settore dell'assistenza (con la
privatizzazione delle IPAB il settore privato arriverebbe a gestire l'86%
degli istituti di ricovero per bambini, per anziani, per handicappati); sottrazione
ai Comuni, ai quali dovrebbero essere trasferite tutte le IPAB, delle risorse
economiche ed umane indispensabili per la creazione dei servizi alternativi al
ricovero in istituto (2).
ANNA MARIA VIETTI (DC)
«L'art. 25 del DPR 616 prevedeva che le IPAB fossero
trasferite ai Comuni singoli o associati, ad eccezione delle
IPAB educativo-assistenziali. La commissione Chieppa, nominata per esaminare quali erano le IPAB educativo-religiose, non è
riuscita a trovare un accordo. Allora, è intervenuto un decreto del presidente
del Consiglio, il famoso "decreto Andreotti",
ripetuto e mai trasformato in legge dal Parlamento. Allora, di comune
accordo, abbiamo tenuto questo decreto Andreotti come
punto di riferimento per la discussione nell'ambito delle Commissioni congiunte
"Affari interni" ed "Affari
costituzionali", anche se tutte le forze politiche avevano espresso
riserve.
«Prima che le Commissioni congiunte fossero arrivate al punto delle IPAB, sono state emanate due
sentenze della Corte Costituzionale, la 173 e la 174 del luglio 1981. Esse
dichiarano illegittimo sul piano costituzionale l'articolo 25, comma 5 del
616, per eccesso di delega. Cioè: il Parlamento, nel
momento in cui ha delegato il governo a provvedere alla riforma dell'assistenza,
non ha previsto il trasferimento delle IPAB infraregionali,
ma soltanto il trasferimento di competenze dello Stato e degli enti nazionali.
«Inoltre, la sentenza della Corte Costituzionale non
si ferma a dichiarare che questo articolo è
illegittimo per eccesso di delega. Fa anche altre
considerazioni notevolmente importanti. Sottolinea, ad esempio, che non
ha esaminato le altre censure di illegittimità (in
rapporto all'art. 38 della Costituzione: "l'assistenza privata é libera";
in rapporto all'art. 117-118 della Costituzione; in rapporto al primo articolo
della legge Crispi che ha pubblicizzato gli enti
morali di natura giuridica privata), perché l'eccesso di delega ha già fatto
cadere il quinto comma dell'art. 25 del 616.
«Tuttavia, io ritengo che sia importante esaminare
le premesse della Corte Costituzionale, per evitare di fare una legge che
ancora una volta cadrebbe sotto la censura della Corte. Spiega, tra l'altro,
la sentenza: la riforma del regime delle IPAB infraregionali
avrebbe richiesto un esame sia pur sommario dei
criteri di superamento del regime contenuto nella legge del 1980, la cosiddetta
legge Crispi. Non poteva essere ignorato lo spessore
storico delle istituzioni disciplinate da questa legge organica, né si poteva
omettere una riconsiderazione dei principi fondamentali che la ispiravano, rispetto alla volontà dei fondatori.
«Inoltre, sarebbe stato motivo di riflessione la
pluralità di forme e di modi in cui l'attività assistenziale viene prestata. Pluralità non presa in considerazione come
tale dalla legge Crispi, preoccupata di unificare
sul piano delle figure soggettive - al fine di sottoporle al controllo della autorità civile - i vari tipi di opere pie formatesi
nel corso di una vicenda di durata ultrasecolare. Ma, dopo l'entrata in vigore
della Costituzione repubblicana, intraprendere una riforma del sistema come
configurato dalla legge Crispi, comporta che si faccia debito conto dei precetti contenuti nell'art. 18
(diritto dei cittadini di associarsi liberamente), 19 (libertà religiosa e di
culto), 33 (libertà di istituire scuole ed istituti di educazione), 38
(libertà di assistenza privata).
«Pertanto, dovendo esaminare l'articolo che si
riferisce alle IPAB dopo la sentenza della Corte Costituzionale, è necessario
adeguarlo allo spirito della sentenza. Per questo, la DC ha fatto riferimento
al decreto Andreotti - allora accettato da tutte le
forze politiche, forse ad eccezione dei radicali - che prevedeva come autonome
le IPAB che poggiano sul volontariato, le IPAB con caratteristiche
precipuamente private, le IPAB che si ispiravano a
finalità religiose. Noi abbiamo cercato di chiarire questi punti: per noi, per
rimanere autonome le IPAB devono avere la metà dei consiglieri costituiti da
volontari. Chiariamo, anche il concetto di volontariato: bisogna lasciare
possibilità di autonomia alle associazioni che
poggiano sull'associazione e sul volontariato.
«Crediamo, inoltre, che sia assurdo che certe IPAB perdano la caratteristica di private,
soltanto perché nell'ultimo quinquennio c'è stato il pagamento del 50% del
bilancio da parte dell'ente pubblico, attraverso le rette. Il pagamento delle
rette è il pagamento di un servizio per gli utenti,
non é un contributo dell'ente pubblico.
«Infine, riteniamo che sia giusto lasciare ampia
possibilità di autonomia alle IPAB che svolgono
attività religiosa: il trasferimento al Comune non permette più di realizzare
ciò che è la volontà del fondatore. Il Comune è un ente di carattere generale
che non può svolgere attività religiosa.
«Io continuo a dire che non
è possibile annullare del tutto la volontà dei fondatori. Lo Stato, nel
momento in cui ha recepito un patrimonio da un privato
che ha espresso certe volontà, si è fatto garante di questa volontà e non è
possibile stravolgerla.
«È chiaro, comunque, che noi
non vogliamo azzerare tutto il lavoro fatto in commissione. Certamente, ci sono delle IPAB altamente pubblicizzate; ci sono delle IPAB
che non sono valide ed è giusto che queste siano trasferite ai Comuni.
«Il problema del personale. Io mi rendo conto delle
difficoltà dei dipendenti. Dovrà essere affrontato e studiato, perché essi non
devono portare conseguenze negative da una proposta di legge, i loro diritti devono essere garantiti. Tuttavia, questo
articolo non è stato ancora affrontato nella commissione.
«Le IPAB sono enti pubblici, si
dice. Certo, nessuno mette in dubbio la natura pubblica delle IPAB.
Esse hanno natura giuridica pubblica. Tuttavia, hanno origine, anima, modo di
gestire con forti caratteristiche private: pertanto, nell'ambito
del pluralismo assistenziale, esse danno un loro contributo, pur avendo natura
giuridica pubblica. È mistificatorio dire che sono
enti inutili. Ci saranno enti che devono essere ristrutturati, enti che devono avere attività diverse, più moderne, più
rispondenti alle esigenze dei cittadini.
«Ma non possono essere considerati enti inutili le
migliaia di enti che assistono anziani, handicappati,
le migliaia di scuole materne che hanno svolto una azione quanto mai
benemerita per la socializzazione e il decondizionamento
sociale della prima infanzia.
«Quindi, le IPAB sono enti
pubblici, ma con caratteristiche private. D'altronde, in un momento così
difficile per l'economia nazionale non possiamo nasconderci che ogni volta che
c'è un passaggio di un servizio ad un ente locale, vi è una lievitazione dei
costi. Questo problema deve essere tenuto presente. lo
credo nella autonomia degli enti locali, ma è certo che la lievitazione dei
costi avviene e non sempre migliora il servizio. Certo, dobbiamo modificare il
servizio delle IPAB, ma non sempre tutti i servizi
gestiti dai Comuni rispondono effettivamente alle esigenze della comunità.
«C'è chi dice che non è
chiaro quale sarà l'organo di governo per i servizi con la futura riforma
dell'assistenza. Mi pare che lo si dica con certezza:
il Comune. Il quale poi nella sua autonomia può delegare la sua competenza
all'unità locale, cioè alla associazione dei Comuni.
Il personale mi pare che sia indubbio che dipenda dal singolo Comune.
«Il volontariato dei singoli. Non mi pare che il
volontariato dei singoli e delle famiglie debba essere
recepito in una legge. C'è sempre stato e sempre ci sarà. In una legge bisogna recepire l'associazione del volontariato, proprio perché è
insieme che si migliora la professionalità, c'è l'incentivo a migliorare il
servizio.
«Non c'è nessuna volontà di dare patrimoni a dei privati
per fini di lucro. I patrimoni devono essere per i
servizi assistenziali, per i più poveri, come sono
stati lasciati dai fondatori.
«Noi siamo convinti che il Comune deve certamente
gestire i servizi, ma non tutti i servizi. Deve
promuovere le iniziative autonome che sgorgano dalla società. E i movimenti di
base dovrebbero essere i gelosi custodi di queste iniziative
autonome della società. La libertà dell'assistenza privata è un bene che deve
essere tutelato».
ROSALBA MOLINERI (PCI)
«Dopo le posizioni unitarie di qualche tempo fa,
tenendo conto anche delle posizioni più conservatrici manifestatesi nella DC,
noi riteniamo necessario un ripensamento su due punti: il futuro
delle IPAB e il rapporto pubblico-privato. Inoltre, vanno ripresi in considerazione
anche i livelli e gli organi di gestione dei servizi assistenziali, in riferimento a quelli sanitari. A ciò siamo sollecitati da
Regioni e Comuni: occorre un chiarimento perché la popolazione sappia con
certezza quali sono gli organi di gestione; bisogna stabilire in modo chiaro
le competenze dei consigli di circoscrizione, dei Comuni, delle unità sanitarie,
dei vari organi di gestione che - con un certo disordine - si stanno
determinando anche a livello regionale, per differenti interpretazioni di legge
che le singole Regioni stanno dando.
«Pluralismo e rispetto della
libertà, per un corretto rapporto tra pubblico e privato. Tutte le forze politiche affermano l'urgenza della
riformaquadro dell'assistenza. Lo richiede l'evoluzione legislativa, culturale
e sociale del paese. È necessaria per fissare un punto di riferimento comune
alle attività legislative delle Regioni. Può dare certezza operativa e
finanziaria agli enti locali, consentire il riordino della spesa, il coordinamento
delle attività sia pubbliche che private, il
superamento di vecchie forme di intervento emarginanti, un sistema di
intervento e di servizi aperti a tutti, di sostegno all'autonomia del singolo,
alla famiglia, alla comunità.
«Questi sono valori, onorevole Vietti,
che noi condividiamo e apprezziamo e per i quali ci battiamo, per un
cambiamento sostanziale delle condizioni di vita e
quindi anche della situazione economica del nostro paese. Nessuno osa più difendere
apertamente la via dei ricoveri, la settorializzazione
degli interventi, la dispersione di risorse e di sforzi, siano essi pubblici
che privati. Si chiedono, semmai, garanzie di efficienza,
qualità, competenza tecnica, obiettivi chiari su processi di cambiamento
partecipati.
«Dunque, è indispensabile la riforma per un esercizio
positivo delle funzioni esercitate dalle Regioni e
dagli enti locali, in un quadro di programmazione e di prospettive certe,
prima di tutto per il cittadino, poi per i contributi possibili
dell'iniziativa privata. La spinta decisiva in questa
direzione è venuta dalle battaglie che, soprattutto le categorie di assistiti,
hanno espresso in questi anni. Questa battaglia ha travolto nei fatti le
arretratezze culturali, messo in crisi teorizzazioni
pseudo-scientifiche e soprattutto ha evidenziato, in
questo campo, l'improduttività sociale di strumentali
dispute ideologiche tra pubblico e privato .
«Le questioni inerenti l'assistenza.
prima che ideologiche sono politiche, richiedono una
scelta ideale ed operativa precisa da parte di tutti, Stato Regioni Comuni
istituzioni pubbliche e private, singoli cittadini, nel contrastare ogni forma
di emarginazione, nel combattere i meccanismi che la determinano e la
giustificano.
«Se questo è vero, dobbiamo dirci, prima di tutto,
quali sono le vie che dobbiamo perseguire per sostenere la persona, la
famiglia, la comunità. Quali le risorse
in campo; come, che cosa a breve e medio termine si intende rispondere alle
migliaia di minori, handicappati, malati, anziani, concentrati per troppo lungo
tempo nelle grandi istituzioni assistenziali di ricovero, le cosiddette IPAB e
anche nelle istituzioni di ricovero gestite da Comuni e da enti pubblici. E
questo al di là delle migliori intenzioni di
fondatori, benefattori, amministratori pubblici o privati che siano.
«Tutto ciò presuppone il superamento di vecchie
contrapposizioni tra pubblico e privato, un rapporto costruttivo perché innanzitutto lo Stato sappia assumere a pieno le sue
responsabilità verso i cittadini, senza omissioni o comode rinunce. È allo
Stato, alla amministrazione pubblica che il cittadino
chiede la tutela dei propri diritti. Nessuno può compiacersi se lo Stato non
ha istituzioni funzionanti, se ha servizi che non soddisfano le esigenze dei
cittadini.
«Questo credo debba essere il primo obiettivo che
ogni cittadino deve perseguire: il funzionamento dei
servizi pubblici. Intanto, come cittadino che elegge gli organismi che lo rappresentano e lo governano. Far funzionare le istituzioni
pubbliche significa renderle permeabili al confronto,
significa ridurre gli spazi e l'autoritarismo.
«Perché ritarda la riforma
dell'assistenza? È un ritardo che si colloca nel ritardo più generale di tutto
il processo riformatore avviato con tanta speranza nell'ultimo decennio; nei
ripensamenti di forze politiche che, pur avendo consentito il varo di un
articolato progetto di riforme sociali ed economiche, ne ostacolano
l'attuazione con spirito di rivalsa. Ma la riforma non
va avanti soprattutto per l'annosa disputa sui patrimoni delle IPAB, più che
sulle attività. Qui, dobbiamo fare chiarezza. Ventimila miliardi non
giustificano il mantenimento, il trasferimento al privato di questi patrimoni
per attività attuate con forme di ricovero istituzionalizzato. I 1200 istituti
potrebbero ampiamente affrontare i loro problemi nei rapporti con l'ente
pubblico e non per questo è necessario privatizzare questi miliardi. Dobbiamo
mettere a confronto le attività sociali e assistenziali svolte e gli assistiti
interessati, rispetto al patrimonio.
«Questa area, dicevo,
interessa oltre ventimila miliardi e 35 mila dipendenti. Non sono poca cosa
rispetto alla possibilità di riorganizzazione, di formazione,
qualificazione e reinserimento in servizi alternativi territoriali. Riforma
dell'assistenza significa soprattutto riconversione delle risorse. Quindi non può essere fatta una riforma dell'assistenza che
non entri nel merito dell'utilizzo del patrimonio, della riconversione dei
patrimoni delle IPAB, che sono istituzioni pubbliche.
«Quando si discute di IPAB,
comunque, non si parla delle migliaia di istituzioni private associative di
volontariato che conosciamo in Italia. Torniamo alle IPAB. Riconvertire le
risorse significa per i Comuni poter programmare e decidere se è necessario un
diverso utilizzo del patrimonio e del personale. Perché,
allora, sottrarre queste risorse ai Comuni in nome di un "rispettoso
ritorno" alle volontà espresse dalla tavola di fondazione di queste
istituzioni? Se, nell'Ottocento, o anche prima, esprimevano un indubbio desiderio
dei fondatori di assistere gruppi di persone in stato di abbandono
per nulla tutelate dallo Stato (che ancora non aveva maturato il concetto del
diritto di ogni cittadino alla uguaglianza ed alla sicurezza sociale), questo
concetto è oramai ben chiaro e saldo come valore fondamentale della nostra
costituzione e quegli scopi appaiono oggi anacronistici rispetto alla
evoluzione sociale dei bisogni e della realtà del paese.
«Recuperare i patrimoni delle IPAB
non significa sopprimere il pluralismo, prevaricare il privato. L'orientamento assunto dal gruppo parlamentare
comunista sulle IPAB è questo: trasferimento ai Comuni di tutte le IPAB, fatta
eccezione per quelle aventi struttura associativa e
fondata su prestazioni personali e volontarie dei soci, quelle amministrate
da privati e operanti con mezzi di provenienza esclusiva privata; quelle con
finalità religiosa o di culto e che attualmente lo perseguono.
«C'è comunque la necessità
di un rigoroso accertamento delle singole situazioni. Bisogna trovare le
forme, i modi, di salvaguardare e valorizzare, sul piano legislativo le
iniziative promosse dal volontariato: ma bisogna salvaguardare anche i
patrimoni, nell'interesse della comunità.
«Gli emendamenti della DC, invece, portano ad una privatizzazione generalizzata delle IPAB, ritenendo
possibile il passaggio ai Comuni solo di quelle che già non funzionano, o di
quelle grandemente deficitarie dove ben venga l'apporto del denaro pubblico».
MARIA MAGNANI NOYA (PSI) sottosegretario alla Sanità
«Sono dieci anni che si parta
di riforma dell'assistenza; ed ogni volta essa si arena sempre sullo stesso
punto: il problema delle IPAB. È vero, ci sono state
"larghe convergenze". Ma queste sono state
poi tali solo su articoli di "filosofia della riforma". Quando arriviamo al nodo delle IPAB, regolarmente la legge
si ferma.
«Parlare delle IPAB, non è parlare di pluralismo e
di libertà. Questi, che sono argomenti sacrosanti, si garantiscono in un altro
modo. In tutte le proposte di legge, questo problema viene
affrontato seriamente. Pluralismo e libertà si garantiscono,
essenzialmente in tre modi: con la partecipazione dei cittadini alle nuove
organizzazioni dei servizi sociali; con la possibilità per le strutture
private, aventi particolari requisiti, di essere consultate nella fase di
programmazione; con il volontariato.
«Il problema delle IPAB è un altro. È problema dei
patrimoni. Diciamolo con estrema chiarezza. Allora se è problema di patrimoni,
non ha niente a che vedere con la libertà, non ha niente a che vedere col
pluralismo. Ha da vedere, invece, con la volontà di fare diventare privato
quello che è pubblico dalla fine del secolo scorso. Perché le
IPAB sono pubbliche dalla legge Crispi e si vuole
farle diventare private. E anche qui, andare a
fare riferimento a quelle che sono le intenzioni del fondatore che si
riferiscono a molti anni fa, a volte anche a secoli fa, è qualcosa che ha ben
poco a che vedere col pluralismo.
«Parliamo dell'accordo Andreotti.
La sostanza era la seguente: si prevedeva il trasferimento di
tutte le IPAB, ad eccezione:
a) di quelle a struttura associativa di origine privata, amministrate da privati e che esplicano
la loro attività attraverso prestazioni economiche personali e volontarie dei
soci;
b) di quelle promosse e amministrate da privati e
operanti con mezzi di provenienza privata;
c) di quelle a finalità religiosa.
«In altre parole, restavano escluse dal trasferimento
soltanto una parte minima delle IPAB. Invece, la DC - nonostante questo accordo - ha ripresentato la propria proposta di
legge ignorando completamente il decreto Andreotti e
propone la privatizzazione più o meno in toto di
tutte la IPAB.
«Della riforma dell'assistenza c'è un grande bisogno. Basti pensare che non vi è la riorganizzazione
dei servizi su base territoriale; che non vi è un collegamento tra l'attività
sanitaria e quella sociale. lo credo che sia
fondamentale che noi andiamo non tanto a lasciare i Comuni liberi di affidare o
no alle USL la parte dei servizi sociali. lo credo che
la linea che dobbiamo andare a perseguire è quella di trasformare le unità
sanitarie locali in unità socio-sanitarie locali. Questo, proprio per
l'intreccio molto stretto tra problemi sanitari e problemi
sociali.
«Vi sono molti settori in cui è estremamente
difficile stabilire una linea di demarcazione tra quello che è l'intervento
sociale e l'intervento sanitario. Penso agli anziani, agli handicappati,... L'impostazione che risponde ai bisogni dei cittadini è
proprio quella della unificazione in un solo organo di governo, nella unità
socio-sanitaria locale, sia dei servizi sociali, sia dei servizi sanitari. Ed
è anche necessario che venga fatto un ruolo unico tra
personale sanitario e personale addetto ai servizi. Non possiamo mantenere anche
qui la disparità, la diversità di trattamento del personale, se non vogliamo
che si creino poi una serie di inconvenienti, una
serie di intrecci, di contrapposizioni, di rivalità.
«Tutti conosciamo la
necessità che ci sia un riordino dei servizi, che si vada sulla linea della deistituzionalizzazione, sulla base territoriale, che si
vada all'unificazione del sociale con il sanitario.
«Quando noi chiediamo che vengano trasferiti ai
Comuni le IPAB non lo chiediamo per un capriccio, o
perché le IPAB sono cattive. O perché ci sono
antipatiche. Noi lo chiediamo per una ragione razionale. Che è, innanzitutto, di rendere pubblico quello che è pubblico sin
dalla legge Crispi del 1890.
«Ma lo chiediamo anche per
un'altra ragione. Se vogliamo fare effettivamente una
programmazione su base territoriale, l'ente che programma - la Regione,
il Comune - deve poter avere in mano gli strumenti. Sennò, come si fa a programmare
se all'interno di un territorio c'è una IPAB che fa
quello che vuole, che non è sottomessa al Comune, che può non entrare in modo
organico in quello che è il piano della programmazione territoriale?
«Noi, quindi, questo chiediamo in nome della
razionalità. Perché siamo convinti che, certamente, un privato può e deve dare
un grande contributo, come sempre ha dato, specie in
questo campo. Ma è lo Stato che, nelle sue varie articolazioni,
deve farsi carico del problema dell'assistenza. Per troppo tempo è stato
delegato ai privati; per troppo tempo c'è stata la supplenza. La
partecipazione dei privati, per quelle garanzie di libertà di cui si parla, credo che possa avvenire proprio attraverso il
coinvolgimento dei cittadini, delle associazioni, del volontariato.
«In questo senso noi salvaguardiamo i saldi principi
della libertà e del pluralismo e della democrazia, ma facciamo sì che non ci
siano speculazioni economiche che con l'assistenza, con la libertà, con il
pluralismo non hanno nulla a che vedere.
«Quanto alla riforma ed alla sentenza della Corte
Costituzionale, più volte citata dalla onorevole Vietti, va fatta, infine, chiarezza. La Corte
Costituzionale non dice che non si possono sciogliere
le IPAB. Dice che il governo è andato oltre la delega,
non che sono stati toccati diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Dice che c'è stato questo smarginamento;
un andare troppo avanti rispetto a quello che era la delega del Parlamento.
«E la sentenza dice con chiarezza che i criteri per
il problema delle IPAB devono essere stabiliti con riforma, dove il legislatore è chiaramente libero di portare avanti qualsiasi
tipo di riforma. È libero, nessuno può intaccare il
potere del legislatore».
ADELAIDE AGLIETTA (Radicale)
«Le relazioni della collega PCI e della Magnani Noya mi trovano sostanzialmente d'accordo. Vorrei fare,
invece, alcune considerazioni di carattere più generale. In realtà, c'è un
problema politico di fondo, rispetto al problema della
riforma dell'assistenza. È dimostrato platealmente dal fatto che la riforma
dell'assistenza è arenata in Parlamento da dieci anni e per quanto può essere
immaginato o previsto continuerà ad essere almeno in parte arenata nei prossimi
mesi. E si arena regolarmente quando si arriva a
toccare il nodo IPAB.
«La Magnani Noya fa parte di un partito della maggioranza. So che il
suo partito ha tenuto in commissione su questo problema un atteggiamento da
schieramento di sinistra. Però non è sufficiente.
«Noi possiamo venire qui a
dire che c'è la migliore volontà di portare avanti la riforma dell'assistenza,
di superare i problemi delle IPAB, ma non basta. L'assistenza è un problema centrale. lo ritengo
che sia uno dei problemi più importanti da risolvere nel nostro paese, perché
da troppo tempo è rinviato e soprattutto perché tocca gli strati più indifesi,
più in difficoltà, del nostro paese.
«Credo che una domanda sia legittima: onorevole
Magnani Noya, quali erano gli accordi di governo su
questo? È stato fatto un Governo senza accordi. Noi
abbiamo un paese che ha molte emergenze. Ma per la DC, per il
PSI, là dove va al Governo, l'emergenza dell'assistenza non esiste, non viene
posto come problema centrale da portare avanti. Tanto è vero che è arenato. Non
solo non era posto negli accordi di governo, non solo ci
troviamo di fronte ai blitz della DC in commissione. Questo Governo, in
realtà, quando anche la riforma dell'assistenza andasse
faticosamente in porto, ha già tagliato la spesa pubblica. E
i tagli invece di farli sulle spese militari, li ha fatti sull'assistenza,
sulla sanità, su questo settore.
«C'è un'altra osservazione che viene dal nostro
gruppo. Anzi, da parte del collega Mellini,
che me l'ha fatto rilevare. È una preoccupazione molto seria. Il fatto
che la DC, improvvisamente, superando il già arretrato decreto Andreotti, abbia fatto questo blitz per la privatizzazione delle IPAB, non è una cosa estemporanea.
Bisogna chiedersi il perché, che cosa ci può essere alle spalle di tutto
questo. Certo è un problema di clientele, certo è un
problema di soldi. Ma io credo che purtroppo ci sia
altro alle spalle: il problema del Concordato. Se così fosse,
io credo che il problema della privatizzazione delle IPAB non troverebbe mai
maggioranze in Parlamento disponibili a superarlo.
«Noi sappiamo che il problema degli enti privati è
uno dei problemi annosi che dividono Stato e Chiesa, su cui si è discusso, su
cui nel Concordato del '29 c'è una polemica; una
discussione che va avanti da decenni. Ma da dieci anni abbiamo
anche un altro problema che va avanti in modo sotterraneo, in modo clandestino:
la revisione del Concordato. Non la soppressione come
invano abbiamo proposto diecimila volte. Il problema della revisione del Concordato non è poca cosa in Italia, con una
DC da quarant'anni al potere e di queste dimensioni,
con uno schieramento laico e un presidente laico, Spadolini,
che sono quelli che maggiormente portano avanti questa revisione.
«Sorge il dubbio, allora, che il problema della
privatizzazione delle IPAB nei fatti sia già stato concordato con la Santa Sede
come clausola sulla revisione del Concordato.
Altrimenti è sorprendente che un giorno la DC, improvvisamente, si svegli e faccia il suo blitz. Proprio su un tema di questo
genere, che sta tanto a cuore al Vaticano.
«Noi chiediamo che, finalmente, venga
fatto un dibattito chiaro sul Concordato in Parlamento, su cosa si sta
trattando, su quali sono gli accordi intercorsi. Dopo sei anni, non se ne sa
niente; c'è un muro totale del Governo. Vogliamo sapere se in questi accordi è
stato già trattato anche il problema della privatizzazione
delle IPAB. Se così fosse, non illudiamoci. Non ci
sarà governo, di qualunque stampo e di qualunque marchio, che possa affrontarlo.
«I tempi di approvazione
della riforma della assistenza, dunque, non sono certamente rapidi. Ben vengano
questi dibattiti; e speriamo si moltiplichino: più le
forze politiche, e parlo soprattutto del partito socialista, che è l'ago della
bilancia, si espongono pubblicamente, più la gente, l'opinione pubblica avrà
la forza non solo di ricordarglielo, ma di pretendere che in sede di Governo e
di accordi di Governo si porti avanti il problema dell'assistenza e della
riforma come prioritario».
(1) Il Csa ha
sede in via Assietta 13 a Torino. Aderiscono:
Associazione italiana assistenza spastici, Associazione
nazionale famiglie adottive e affidatarie, Associazione nazionale famiglie di
fanciulli subnormali, Centro di informazioni politiche ed economiche (Cipe), Coordinamento dei comitati di quartiere, Gruppo
Abele, Unione italiana ciechi, Unione per la lotta contro l'emarginazione
sociale.
(2) Nel dibattito seguito alla
relazione sono intervenuti: un sindacalista Cgil
dell'Istituto di riposo di corso Casale a Torino, che ha sottolineato i
problemi del personale delle IPAB privatizzate; un operatore
dell'Arciconfraternita dello Spirito Santo (ente privato che gestisce istituti
per minori, handicappati e anziani), Silvana Cottino dell'Associazione per la
lotta contro le malattie mentali, Carlo Trevisan
della rivista «Prospettive Sociali e Sanitarie», Aldo Romagnolli,
della Cisl di Torino, un invalido che ha vissuto per
37 anni al Cottolengo di Tarino, e il presidente
dell'associazione nazionale famiglie fanciulli subnormali.
Ha chiuso il dibattito il sindaco di Torino, Diego
Novelli.
www.fondazionepromozionesociale.it