Prospettive assistenziali, n. 59, luglio - settembre 1982
ATTUAZIONE DELLA RIFORMA SANITARIA
NELL'USSL 67 DELLA LOMBARDIA
Settanta
operatori sociali (medici, assistenti, psicologi, educatori, ecc.) dell'Unità
sociosanita-ria locale n. 67 della Lombardia hanno sottoscritto il documento
che pubblichiamo, documento che è stato inviato nel febbraio
1982 alle autorità dell'USSL 67 ed agli Assessorati alla sanità e all'assistenza
della Regione Lombardia.
Ogni riforma, che presuppone un cambiamento parziale
o radicale di una situazione data, è sempre la conclusione di un faticoso
processo di relazione tra la società civile (i cittadini, gli operatori, í
lavoratori, le donne, i giovani, ecc.), portatrice di istanze
e di bisogni materiali e culturali nuovi, e la classe politica che deve
recepirli e organizzarli in un quadro legislativo.
Una riforma è tanto più «azzeccata» quanto maggiore è
l'assonanza tra il quadro legislativo ed i bisogni dai quali questo è
scaturito.
Il fattore decisivo, perché una riforma sia compiuta
e non resti un insieme di norme legislative, è tuttavia la capacità, frutto
della collaborazione tra politici, operatori e cittadini, di tradurre i dettami
legislativi in atti concreti che modifichino
radicalmente, nei contenuti e nelle modalità organizzative, il settore
riformato.
Senza questa indispensabile ritraduzione nel concreto e senza questa volontà di farla
marciare nella società, il rischio è che la riforma resti carta morta o peggio
ancora venga snaturata da interessi politici o privati particolari.
Questo ci pare proprio il caso della riforma
sanitaria e socio-assistenziale.
Avevamo salutato, come operatori, cittadini, lavoratori,
la 833 e le corrispettive leggi regionali n. 35 e 39 come un notevole passo
avanti in materia di riorganizzazione dei servizi,
seppure gli enunciati di principio non trovassero in molti casi un adeguato
riscontro nelle leggi stesse.
L'aver considerato nel dettato legislativo i contenuti
di integrazione, prevenzione, partecipazione come
presupposti fondamentali per una corretta riorganizzazione dei servizi, l'aver
creato le Unità socio-sanitarie (USSL) quale ambito istituzionale territoriale
per porre fine all'irrazionale sviluppo dei servizi socio-sanitari, ha
senz'altro significato valorizzare in sede legislativa il patrimonio, le
esperienze, la storia, i contenuti - in materia di assistenza e di sanità - di
questi ultimi anni.
Esprimevamo però nel contempo la necessità assoluta di sperimentare
nel concreto le possibilità di riorganizzare tutti i servizi socio-sanitari
secondo i dettami della legge. Senza questo sforzo di
volontà congiunto tra politici, operatori, sindacati e cittadini,
vedevamo il pericolo concreto di bloccare la riforma nelle pastoie politiche e
di renderla vulnerabile alle pressioni corporative di chi per anni ne aveva
ritardata la realizzazione.
Fummo facili profeti; a distanza di un anno le
inadempienze e gli attacchi alla riforma sanitaria sono tali per
cui oggi si può parlare, senza paura di esagerare, di controriforma in
atto.
Esempi in questa direzione si sprecano:
- la mancanza della legge-quadro sull'assistenza;
- la sentenza della Corte Costituzionale che ha
dichiarato illegittimo il trasferimento ai Comuni singoli o associati delle
IPAB infraregionali;
- il taglio della spesa sanitaria
di 4700 miliardi previsto dalla legge finanziaria;
- la riduzione per l'82% delle disponibilità finanziarie
trasferite dallo Stato ai Comuni, con i conseguenti
risvolti negativi sui servizi ed in particolare su quelli destinati alla
fascia più debole della popolazione;
- l'imposizione di tickets
che costituiscono di fatto una tassa sul malato;
- l'aumento ingiustificato dei corrispettivi stabiliti
per i medici dalla convenzione unica;
- il continuo rinvio del piano
sanitario nazionale e del corrispettivo piano sanitario regionale;
- le indicazioni in materia di
riorganizzazione dei servizi (applicazione delle leggi regionali n. 35 e 39)
spesso contrastanti tra i vari Assessorati
competenti (sanità e servizi sociali).
Si potrebbe continuare, ma questi fatti riteniamo sono sufficienti a giustificare le preoccupazioni di quanti
si sono battuti per una seria riforma socio-sanitaria.
Snaturarla con scelte in materia finanziaria e con
inadempienze in campo programmatorio, cedere ai
ricatti di settori corporativi tendenti a far riemergere privilegi individuali
e di categoria, significa avviare nei fatti ciò che a parole si nega: la
contro-riforma socio-sanitaria.
Ma se addebitare agli organismi che dirigono lo Stato
e la Regione la maggior responsabilità di questa
situazione è fotografare l'esistente, faremmo un torto alla verità se
assolvessimo da queste responsabilità gli enti preposti alla direzione delle
USSL ed in particolare dell'USSL 67.
Avere come quadro di riferimento quelle scelte nazionali-regionali, significa sicuramente lavorare in
condizioni precarie, significa certamente allungare di molto la realizzazione a livello locale della riforma; ciò che non è
accettato è la rinuncia alla battaglia per la riorganizzazione, l'adeguamento
al clima generale di non volontà programmatoria e di
cedimento ad interessi di settori particolari e corporativi.
E tanto più non è accettabile in quanto esistevano
ed esistono possibilità di operare in senso contrario a questo clima generale,
utilizzando sia le pur contraddittorie indicazioni regionali, sia quell'autonomia programmatoria e gestionale che la legge assegna alle USSL, sia la
disponibilità degli operatori, delle organizzazioni sindacali e di alcune
situazioni particolari di utenza, che in più occasioni hanno espresso la loro
disponibilità con proposte organizzative e contenutistiche in merito
all'organizzazione dei servizi.
La vicenda dei distretti in questo senso è emblematica:
nessuna indicazione regionale o nazionale ne bloccava
l'attuazione; anzi, seppure in maniera contraddittoria - e lo ripetiamo - tra i
vari Assessorati, in diverse occasioni e con diverse circolari il governo
regionale ha sollecitato le USSL a sviluppare forme di elaborazione che -
partendo dalla ricognizione dell'esistente - fossero tese alla riorganizzazione
dei servizi di sanità e di assistenza di base, all'insegna dell'integrazione e
della prevenzione, anche in assenza della legge-quadro sull'assistenza e dei
piani sanitari nazionale e regionale.
Non solo, ma a più riprese vi furono sollecitazioni
in questa direzione da parte degli operatori socio-sanitari, tese a coinvolgere
- in fase di attuazione del distretto - tutte le forze
sociali tecniche e politiche che del distretto faranno parte.
Nonostante ciò, ad un anno dalla distrettualizzazione,
niente è stato fatto sul piana della riorganizzazione
dei servizi, nemmeno a livello sperimentale, smentendo nella pratica ciò che a
parole tutti hanno affermato e cioè che la riorganizzazione dei servizi a
livello di base è i1 contenuto innovatore della riforma sanitaria.
Questa mancanza di volontà programmatoria
non ha impedito però che venissero elaborate proposte
di riorganizzazione di presidi ospedalieri (quali l'Antonini
e il Corberi) o di settori di medicina specialistica
(servizi di riabilitazione) che, se rese operative, snaturano il senso della
riforma.
Ci pare incontestabile che la riorganizzazione dei
servizi, che mira alla ricomposizione dei bisogni nel
territorio che li ha generati o esasperati, sia in antitesi con la visione
settoriale e separata presente in queste proposte che - a nostro avviso -
rispondono a un mero obiettivo efficientistico o
ancor peggio tendono alla salvaguardia e al rafforzamento di interessi «particolari».
Come operatori ci sentiamo
legittimati ad esprimere una severa critica sull'operato dell'USSL, poiché le
leggi di riforma accoglievano nell'impostazione e nei contenuti quelle istanze
di rinnovamento di cui anche noi ci eravamo fatti portavoce e che riteniamo
ancora indispensabile concretizzare.
Per questi motivi, e per la consapevolezza che
qualsiasi ulteriore ritardo nell'impostazione operativa
della riforma ne comprometta definitivamente la realizzazione, crediamo
inopportuno limitarci ad una critica negativa.
Nel ribadire la necessità e la fondatezza dei postulati
informatori della riforma sanitaria (prevenzione, integrazione,
partecipazione) intendiamo sostanziare questi principi- più volte riaffermati
e per noi irrinunciabili - con precisi contenuti di
ordine metodologico e organizzativo.
A nostro parere, le leggi di riforma - nel porre mano
alla riorganizzazione dei servizi socio-sanitari - avevano reso giustizia alla
storica disequilibrata articolazione dell'iter
sanitario, riconducendo ad autonomia e rendendo equipollenti le due grandi
aree nelle quali si sostanziano gli interventi pubblici sulla salute: da un
lato la medicina specialistica e ospedaliera, dall'altro la medicina di base
e, con essa, tutta l'area dei servizi
socio-assistenziali.
Riconoscere questa grande
novità della riforma, non significa negare l'autonomia, la professionalità,
la specificità delle strutture ospedaliere e specialistiche e delle
prestazioni da esse erogate; significa però muoversi in un processo di
riorganizzazione dei servizi che assuma il territorio come elemento centrale
di origine o esasperazione dei bisogni e in quanto tale come elemento
indispensabile nella valutazione della diagnosi della patologia e nella cura.
Il distretto socio-sanitario di base come insieme
organico dei servizi territoriali è dunque il momento centrale di tutela della
salute del cittadino (inteso nella sua globalità socio-psico-fisica) e ad esso vanno ricondotte tutte le attività sanitarie, mediante
un processo di riorganizzazione dei servizi che assegni alle strutture di base,
al fine di esaudire tutti i bisogni dell'utenza, quattro funzioni
fondamentali:
1) la funzione di filtro, rispetto a tutti i bisogni;
2) la funzione di superare la settorialità
nell'erogazione dei servizi, mediante la ricomposizione
degli interventi che garantisca già a livello di base prestazioni terapeutiche
e preventive efficaci;
3) la funzione di organizzare la partecipazione
attiva dell'utenza e la relazione indispensabile con le altre realtà
istituzionali (Comune, Comitati di quartiere, scuola, biblioteca, associazioni
sportive, ecc.);
4) la funzione di una adeguata
e continuativa informazione e educazione socio-sanitaria.
La nostra esperienza professionale e gli approfondimenti
teorici elaborati all’interno del gruppo di coordinamento degli operatori socio-sanitari
ci trovano concordi nel riconoscere la negatività -
nei servizi - dell’organizzazione di lavoro suddivisa per settori di
intervento (servizi ai minori, agli anziani, alle donne, agli handicappati,
ecc.).
Rispetto a questa negatività si ricorda come:
a) il rapporto tra bisogno e risposta sia condizionato da una serie di variabili casuali;
b) gli interventi risultino
sovrapposti e/o scollegati;
c) si verifichi una sovraespansione di alcuni interventi in determinati luoghi
istituzionali (es. la scuola).
Tutto ciò ha come conseguenza che:
- si realizza un intervento su un soggetto sganciato
dalla sua realtà globale di vita;
- il bisogno viene ridefinito
dall'interlocutore che riceve la segnalazione e la domanda di intervento
(rischio di sanitarizzare, psicologizzare,
ecc.).
Da queste considerazioni abbiamo derivato la proposta
operativa per la riorganizzazione dei servizi di base che andiamo
a esporre e che vede - come elemento centrale - la costituzione nel distretto sanitario
di base di una «équipe socio-sanitaria» polivalente e polifunzionale, quale
primo e unico riferimento rispetto agli interventi sulla salute nel territorio
del distretto stesso. Polivalente in riferimento alle
figure professionali che la compongono e polifunzionale rispetto alle
prestazioni da erogare all'utenza.
La polivalenza dovrebbe essere realizzata grazie
alla presenza e al lavoro di diverse figure professionali: personale
amministrativo, educatori, assistenti sociali psicologi, assistenti
sanitari, infermieri, tecnici della riabilitazione, collaboratrici familiari,
personale medico (es. ginecologo, medico scolastico, pediatra, neuropsichiatra infantile, ecc.).
La polifunzionalità va
intesa in riferimento alla capacità collettiva di:
1) lettura dei dati strutturali (processi di insediamento produttivo, composizione demografica...);
2) analisi del bisogno espresso,
riformulazione del bisogno nella sua valenza sociale;
3) individuazione ed elaborazione degli obiettivi
sulla base delle risorse (programmazione);
4) definizione dell'intervento in
risposta ai bisogni espressi, anche dai singoli, sulla base delle priorità
stabilite;
5) verifica delle modalità di intervento.
La capacità dell'équipe polivalente e polifunzionale
di assolvere, con efficacia ed efficienza, i compiti sopra citati è
direttamente rapportata:
1) al livello di integrazione
che da subito si riesce a sviluppare da tutti i servizi distrettuali (sociali,
assistenziali sanitari) e non solo tra quelli già trasferiti all'USSL.
Sperimentazioni in questa direzione si sono già realizzate con esiti positivi, anche se hanno sofferto dei limiti derivanti dall'organizzazione
settoriale dei servizi e da una gestione degli stessi che li riconduceva a
diversi Enti istituzionali;
2) al rapporto positivo che
si riesce a stabilire in sede programmatoria e
gestionale nel distretto con i medici convenzionati. È difficile pensare ad uno
sviluppo della prevenzione e ad una seria educazione socio-sanitaria senza
ricomporre una relazione continuativa tra équipe polifunzionale e medici di
base, che da sempre sono un punto di riferimento importante per la popolazione,
ma che da sempre vivono questa relazione su un piano
individuale e come un privilegio da difendere;
3) al concepire la riorganizzazione dei servizi nel
distretto non come assemblaggio dell'esistente, ma come ridefinizione
degli interventi socio-sanitari e riformulazione delle competenze professionali
in relazione ai bisogni prioritari che emergono sul
territorio.
Riconoscere la centralità del territorio, riconoscere
la necessità della ricomposizione delle prestazioni, non significa negare la
presenza nell'équipe polifunzionale di specificità di competenze e di interventi, né significa misconoscere l’importanza di servizi
distrettuali e sovradistrettuali in grado di
esaudire richieste di cura o di assistenza specialistiche.
Riteniamo superata, se mai è esistita, la filosofia
che nega l'esistenza di patologie precise (sanitarie e sociali) che necessitano di interventi specialistici.
Consideriamo quindi oltremodo importante porre
attenzione alla riorganizzazione di quei servizi che coprono questa
area di problemi (centri residenziali, comunità alloggio, servizi per
tossicodipendenti, centri psico-sociali, medicina
specialistica extra-ospedaliera, servizi di riabilitazione).
Occorre però evitare il rischio di considerare tali
servizi come a sé stanti e quindi di porre in atto proposte organizzative che
li vedano avulsi dal territorio nel quale erogano le loro prestazioni (in
questa direzione ci pare si collochino invece le
proposte che sta elaborando il Comitato di gestione dell’USSL).
Si tratta quindi di pensare ad una riorganizzazione
di questi servizi, valorizzando e potenziando le loro capacità specialistiche, in relazione al distretto (e alla sua struttura
organizzativa: l'équipe polivalente) da cui provengono i loro utenti e nel
quale questi ritorneranno.
L'équipe polifunzionale di base lavorerà quindi
integrandosi con:
- servizi residenziali distrettuali (centri socioeducativi,
comunità alloggio) e zonali (centri residenziali per gravissimi, istituti per
anziani...);
- servizi di primo livello sovradistrettuali
(SMAL, C.P.S.);
- servizi di secondo livello
distrettuali (poliambulatori) e zonali.
Con gli allegati a questo documento intendiamo contribuire
alla definizione di questa relazione tra servizi di
base e alcuni servizi specialistici, convinti che da questo rapporto e solo con
questo rapporto (secondo i criteri sopra esposti) può trovar corpo il dettato
legislativo per quanto concerne l'organizzazione dei servizi di medicina e
assistenza extra-ospedaliera.
Va da sé che questo impianto
metodologico-contenutistico di riorganizzazione dei
servizi secondo i postulati delle leggi di riforma può decollare se sostenuto
da precise scelte politiche da parte del governo dell'USSL.
Si ritiene opportuno sottolineare
infine che la realizzazione di questa proposta è subordinata al sussistere di
alcune condizioni di base che possono essere così esemplificate:
1) territorialità limitata del distretto (popolazione
di riferimento per ogni équipe non superiore agli 8-10.000 abitanti);
2) necessità di uno stretto rapporto tra l'attività degli operatori del distretto e l'Ente locale,
come luogo istituzionale in cui si decidono l'assetto urbanistico, la
destinazione del territorio, l'organizzazione del lavoro, le condizioni ambientali,
ecc.;
3) presenza di un Coordinatore per ogni distretto,
come elemento funzionale e non burocratico che riconduca ad unità i vari
settori in cui si articola l'organizzazione verticale
dell'USSL;
4) necessità di una fase iniziale di preparazione
all'integrazione dei servizi esistenti e coinvolgimento nel progetto di
distretto degli Amministratori locali, dei gruppi-istanze di base e degli operatori
del territorio;
5) accesso e circolarità dei dati e
delle informazioni (dall'USSL, dagli altri distretti, dall'Ente locale
all'équipe polivalente).
Allegato 1
COLLOCAZIONE DISTRETTUALE E ZONALE DEI SERVIZI RESIDENZIALI E RAPPORTO CON L'EQUIPE
POLIVALENTE DI BASE
La legge regionale n. 76/80, le
indicazioni operative ad una corretta applicazione dell'art. 23 del D.P.R. n. 616/77 e della legge nazionale 180, prevedono una
serie di servizi articolati sul territorio, per rispondere alle esigenze ed ai
bisogni dei cittadini, privi di autonomia psicofisica
o gravemente limitati o, perché in minore età e soggetti a provvedimenti
dell'autorità giudiziaria, bisognosi di interventi sostitutivi o alternativi
alla famiglia.
Ci riferiamo, in particolare, a tutti i servizi che
un recente documento regionale individua come «servizi di comunità», ai centri
socio-educativi e ai centri residenziali. Sempre tra
questi servizi, annoveriamo strutture residenziali che rientrano nelle
tipologie degli istituti e, in particolare, per la nostra zona n. 67, pensiamo
alle strutture ex ONPI (Opera nazionale pensionati d'Italia) con sede in Garbagnate.
L'esperienza maturata nella gestione di questi
servizi, i dati statistici e soprattutto il tentativo di evitare forme di emarginazione, ci porta ad affermare la necessità che
servizi tipo le strutture di comunità e i centri socio-educativi abbiano come
bacino di utenza e come territorio specifico di riferimento il distretto di
base; mentre il centro residenziale per soggetti con handicaps
gravissimi e con autonomie nulle o limitatissime e le strutture ex ONPI
abbiano una utenza proveniente dall'intera USSL.
La presenza o meno di questi «servizi» nel sistema
dei servizi socio-sanitari-educativi
e assistenziali di zona o di distretto, non è di per sé qualificante.
Risulta
tale a condizione che detti servizi:
a) si collochino all'interno
di un sistema di risposte calibrate e graduali;
b) non abbiano organici specifici ma il personale
tecnico e assistenziale faccia parte dell'organica di
distretto;
c) che l'attività degli operatori di questi servizi e
l'esperienza maturata rifluiscano nel territorio e nel gruppo degli operatori
del distretto (l'équipe polivalente e polifunzionale)
soprattutto per quanto concerne il lavoro di eliminazione delle cause o
modifiche delle situazioni che generano i bisogni a cui le strutture suindicate devono rispondere.
Si ritiene pertanto necessario che all'interno di ogni distretto di base siano previsti un certo numero di
figure professionali nella fattispecie operatori
socio-educativi (per interventi di appoggio e sostegno domiciliare, verifiche
affidi, visite domiciliari, per studio situazione e rilevazione dei bisogni,
per attività di animazione del tempo libero, per lavoro al centro
socio-educativo o alle comunità alloggio), che operando in modo integrato con
le altre figure professionali che già operano nel distretto (lo psicologo,
l'assistente sociale, il neuropsichiatra, il
fisioterapista, l'ortofonista, ecc.), in risposta a bisogni emergenti sul
distretto, nell'ambito delle priorità di intervento definite, risultino
impegnati in attività di prevenzione, o socio-assistenziali-educative
o di reinserimento sociale.
A nostro avviso, la gestione collettiva della problematica
da parte dell'intera équipe polifunzionale e non solo da parte del singolo
gruppo operativo (es. il personale socio-educativo) è indispensabile perché:
- aiuta a non perdere di vista il problema (es. il
disadattato minorile) nei diversi aspetti (preventivo-rieducativo-assistenziale)
e nei diversi luoghi o con i diversi gruppi
interessati (il quartiere, le scuole, le famiglie, le strutture per il tempo
libero);
- permette una rotazione del personale, all'interno
di una medesima qualifica, nei diversi tipi di risposta che si
individua per risolvere il problema (la comunità alloggio o l'aiuto a
domicilio o il potenziamento delle attività di tempo libero, ad esempio);
- facilita la comunicazione tra
tutti gli operatori, la assunzione delle responsabilità, l'individuazione
delle soluzioni a partire dai bisogni dell'individuo e non dalle risposte che
si possono fornire.
Concretamente, al di là delle
riunioni di gestione dei singoli servizi, sono da prevedere riunioni
periodiche tra gli operatori socio-educativi e assistenziali ed il resto degli
operatori del distretto (ovviamente ci si riferisce alle figure professionali
in qualche modo implicate ed interessate alla gestione del problema), per
programmare l'attività, per effettuare verifiche periodiche, per rimettere a
fuoco l'intervento, per stabilire le priorità.
Una tale riunione periodica acquista pertanto la
caratteristica di gruppo di gestione, di supervisione,
di aggiornamento e riqualificazione.
Allegato 2
IL SERVIZIO DI IGIENE PUBBLICA AMBIENTALE E TUTELA
DELLA SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO
Il servizio d'igiene pubblica ambientale e tutela
della salute nei luoghi di lavoro, viene individuato dalle leggi vigenti e in
particolare dalla legge 64/65 della Regione Lombardia come un unico servizio
con una struttura non distrettuale ma zonale, coprendo quindi tutto il
territorio della USSL o come servizio unico (igiene
ambientale e S.M.A.L.) o, nelle USSL con una elevata
concentrazione di insediamenti produttivi, come due unità operative distinte
ma coordinate tra loro (igiene pubblica e ambientale e tutela della salute nei
luoghi di lavoro).
Questi due servizi dovranno operare in stretto
collegamento con le altre strutture dell'USSL (ospedali, servizi distrettuali,
medici di base). Per collaborazione si intende sia la
messa in atto di programmi comuni tra più servizi su problemi emergenti dal
territorio (es. intervento sulla salute della donna effettuato nelle fabbriche
da S.M.A.L. e consultorio insieme), sia un continuo
flusso di informazioni tra gli operatori dei servizi (raccolta dati
epidemiologici da parte dei medici di base, controllo delle gravidanze a
rischio nelle fabbriche da parte dello S.M.A.L. e del
consultorio). Oltre a questo è necessario il continuo aggiornamento reciproco
tra gli operatori dei diversi servizi (effetti
dell'inquinamento ambientale sulla popolazione esposta, comunicazione di studi
sulle patologie prevalenti rilevate da ciascun servizio).
Esistono quindi concrete possibilità di collaborazione
con servizi distrettuali e sovradistrettuali, collaborazione non lasciata
alla buona volontà degli operatori, né enunciazione formale per il
funzionamento di servizi unicamente assemblati senza una reale integrazione
basata su programmi di lavoro comuni.
Molte difficoltà per la realizzazione di questa ipotesi verranno dalla legge 64/65 che detta norme
attuative della legge regionale 39 in merito al l'organizzazione e
funzionamento dei servizi di igiene pubblica e ambientale. Infatti
questa legge ripropone il ripristino della delega, la negazione della
partecipazione dell'utenza alla tutela della propria salute mediante la
definizione di programmi di intervento e il controllo in ogni fase dell'operato
dei tecnici, quest'ultimo visto dalla legge come
risolutore delle condizioni di nocività nei luoghi di vita e di lavoro.
Allegato 3
OSSERVAZIONI
E PROPOSTE IN RELAZIONE AI PRESIDI PSICHIATRICI ANTONINI E CORBERI
I due presidi psichiatrici Antonini
e Corberi hanno avuto ed hanno ancora attualmente dimensioni strutturali, funzionali e bacino di
utenza tali per cui una loro integrazione corretta e non demagogica nel contesto
della riforma dei servizi socio-sanitari in atto sul territorio regionale
implica scelte che coinvolgono numerose USSL (almeno tutte quelle del
territorio provinciale, ma anche diverse altre). Non è pertanto corretto né dal
punto di vista tecnico né dal punto di vista politico
che il «riciclaggio» di questi due presidi nella rete della nuova
organizzazione dei servizi sia gestito in prima persona dall'USSL n. 67. Per
esempio una eventuale loro riorganizzazione come
presidio multizonale, è decisione politica che spetta, anche per legge (v.
l'art. 14 della legge regionale n. 39/80), alla Amministrazione regionale.
Riteniamo invece che competa in prima persona
all'USSL 67 (cui per legge sono passate strutture, personale e gestione dei
due presidi), formulare proposte che, partendo da un preciso e dettagliato
inventario del reale bisogno del territorio nonché
delle risorse che sono ancora da approntare per rispondervi, consentano di
individuare non solo quale e quanta parte dei due presidi psichiatrici
(strutture e personale) necessita per le esigenze del suo territorio, ma anche
come debbano essere riorganizzati perché possano essere «inseriti» il più
efficacemente possibile nella rete dei nuovi servizi socio-sanitari dell'USSL
67.
Coerentemente alle linee propositive contenute nel
documento, chiediamo che ogni distretto fornisca i dati necessari per la
rilevazione dei bisogni reali esistenti sul
territorio, nonché dei servizi da costituire per rispondervi adeguatamente.
Proponiamo la seguente traccia di utilizzo a questo
fine.
Area dell'età evolutiva: 0 - 18 anni
1) Prestazioni relative alla
diagnosi e alla terapia di patologia neuro-psichiatrica (cerebropatie
infantili, epilessia, psicosi, caratteropatie, patologie
della famiglia, disadattamento sociale, ecc.), attraverso:
a) servizi ambulatoriali (integrati
nei servizi ambulatoriali previsti nel distretto di base);
b) interventi extrambulatoriali
nella famiglia, nella scuola, nel mondo del lavoro ...;
c) ospedale di giorno per quelle forme patologiche
più complesse, che richiedono tempi lunghi e tecniche
più articolate per la formulazione della diagnosi e per la impostazione della
terapia;
d) ricovero ospedaliero temporaneo
per forme acute o di particolare gravità;
2) prestazioni relative alla
riabilitazione («recupero funzionale e sociale di soggetti affetti da
minorazioni psichiche» ex art. 26 L. 833 del 23.
12.1978):
a) centri socio-educativi (L.R, n. 76/80) nell'ambito dei servizi distrettuali di
base;
b) comunità alloggio terapeutiche (L.R. n. 76/ 80) nell'ambito dei servizi
distrettuali di base;
c) servizi ambulatoriali e domiciliari nell'ottica
dei servizi integrati e globali al singolo e al nucleo
familiare;
3) prestazioni relative ai
soggetti gravissimi e lungodegenti:
a) centri residenziali (L.R.
n. 76/80) nell'ambito dei servizi zonali;
4) prestazioni in ordine alla
prevenzione della patologia neuropsichiatrica e
comportamentale. (Oltre alla necessità di momenti
informativi e di educazione sanitaria di carattere generale, si pone
particolare rilievo all'esigenza di individuare gravidanze-rischio,
neonati-rischio, famiglierischio).
Area dell'età adulta: dai 18 anni in
poi
Ricordando che con l'entrata in vigore della legge
180, la diagnosi, la terapia ambulatoriale e domiciliare, la degenza
ospedaliera a breve termine di adulti con disturbi neuropsichiatrici, vengono effettuati dai centri psico-sociali, restano tuttora scoperti i bisogni relativi
ai trattamenti a medio e lungo termine.
1) Prestazioni relative a
trattamenti ospedalieri a medio e lungo termine:
a) per quadri psico-patologici attivi;
b) per soggetti con handicap psichico organico con
necessità di interventi medico-riabilitativi a lungo
termine.
2) Prestazioni relative a
soggetti con ridotta autonomia psico-fisica:
a) strutture e servizi di convivenza facilitata;
b) strutture residenziali di lungodegenza
per gravissimi.
Con questi elementi, forniti dagli operatori dei
distretti che compongono l'USSL 67, è possibile ricomporre la mappa dei bisogni
del territorio e quindi l'USSL potrà procedere con le proposte di riutilizzo di
quella parte del personale ed eventualmente delle
strutture materiali dei presidi Antonini e Corberi che risponde alle proprie necessità.
Dovrebbe essere superfluo sottolineare
che tale riconversione di personale e strutture dovrà avvenire nell'ottica di
una riorganizzazione dei servizi socio-sanitari che vede come «elemento
centrale la costituzione nel distretto di base di una équipe socio-sanitaria
polivalente e polifunzionale quale primo e unico riferimento rispetto agli
interventi sulla salute nel territorio».
Ciò dovrà essere tenuto presente in modo particolare
nel caso in cui si prospettasse da parte della Regione
l'utilizzo dei due presidi anche per le esigenze di altre per eventuali servizi
e prestazioni che non potrebbero essere erogate nei distretti. Dovranno essere
tuttavia adottati idonei accorgimenti organizzativi e gestionali,
capaci di evitare l'assorbimento delle prestazioni offerte alla zona
all'interno di una logica istituzionale priva di riferimenti capillari ed
efficaci, con la realtà territoriale.
Per questi motivi, tra l'altro, non si può condividere quanto la «Commissione di studio dell'USSL
67 per la ristrutturazione di Antonini
e Corberi» propone nella parte seconda del progetto
sulla lungodegenza riabilitativa, ovvero il concentramento
all'Antonini di pazienti con patologie di svariato
tipo (medico e/o chirurgico) aventi come unico denominatore comune la lungodegenza.
Se davvero si trattasse di
soggetti «ammalati» non si vede perché non potrebbero essere meglio curati
nell'ambito dei presidi ospedalieri di Bollate e Garbagnate.
Nasce allora il dubbio, visto il numero dei letti
preventivati e la condizione di cronicità richiesta
per tutti, che si voglia predisporre un presidio multizonale in cui ogni
territorio potrebbe «scaricare» i casi più scomodi e «inguaribili».
Non c'era bisogno della riforma per arrivarci: era
più che sufficiente lasciare le cose come stavano prima della 180.
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