Prospettive assistenziali, n. 59, luglio - settembre 1982

 

 

GLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI: EUTANASIA DA ABBANDONO - UNA RICERCA IN UNA CASA DI RIPOSO

 

 

La ricerca sulla situazione degli anziani rico­verati nell'Istituto Carlo Alberto di Torino, che pubblichiamo, fornisce ulteriori conferme a quan­to Prospettive assistenziali sostiene da anni.

Il Ministero della sanità, le Regioni, i Comuni singoli e associati, le Comunità montane conti­nuano a violare sistematicamente il diritto degli anziani alla prevenzione, cura e riabilitazione del­le malattie, degli handicaps, del disadattamento.

Il servizio sanitario nazionale - e la ricerca fornisce prove inoppugnabili - opera spesso per cronicizzare l'anziano allo scopo di ridurre il ca­rico di lavoro, la spesa sanitaria, le giornate di degenza. In questi casi gli anziani non sono cu­rati, la riabilitazione non viene praticata. Dopo pochi giorni l'ospedale o il medico curante emet­tono la dichiarazione di cronicità.

Poi trascorrono in media tre mesi prima che il vecchio venga ricoverato in un istituto come il Carlo Alberto.

È un lungo periodo in cui, in genere, l'anziano è abbandonato a se stesso.

Arrivati in istituto, il 7,2 per cento muore nei primi 10 giorni; entro i due mesi dall'ingresso i decessi arrivano al 23%.

Nella ricerca vi sono altri dati sconvolgenti. Il 38% dei soggetti sopravvissuti migliora le sue condizioni fisiche e psichiche; nel 25% dei casi l'istituto ha ritenuto opportuno iniziare un pro­gramma di rieducazione motoria. Di questo grup­po il 20% ha avuto un netto miglioramento (da blocco a letto a deambulazíone assistita) e quasi il 35% sono stati giudicati autosufficienti al ter­mine del ciclo riabilitativo.

Dunque, nonostante il periodo di non cura su­bito negli ospedali o a domicilio, i tre mesi di as­sistenza nell'attesa del ricovero, un numero rile­vante di anziani, definiti cronici non autosufficien­ti, riacquista autonomia in un istituto di assi­stenza.

Si arriva pertanto a questa assurda, incivile e disumana situazione: il servizio sanitario nazio­nale rende non autosufficienti un numero non in­differente di anziani, essi migliorano le loro con­dizioni di salute a seguito del ricovero in una struttura assistenziale.

Siamo arrivati all'eutanasia da abbandono, pra­ticata massicciamente.

Come risolvere questo problema?

Crediamo che la soluzione consista nell'impe­dire in modo fermo che il servizio sanitario pos­sa liberarsi dei pazienti con la semplice, anti­scientifica ed incontrollabile dichiarazione di cro­nicità.

Siamo convinti che solo se il servizio sanitario sarà obbligato a provvedere direttamente ai cro­nici, si creeranno le condizioni per 1'incentiva­zione reale della cura e della riabilitazione dei vecchi.

Nei casi in cui il cronico non autosufficiente non sia assistito dalla sua famiglia o da terzi (l'ospedalizzazione a domicilio dovrebbe essere favorita anche sul piano economico), gli attuali reparti ospedalieri dovrebbero essere organizza­ti in modo da avere alcune camere disponibili per l'assistenza dei cronici.

In sintesi, il principio dovrebbe essere «Ogni reparto si tiene i suoi cronici», come negli anni scorsi era stato coniato lo slogan «Ogni classe si tiene i suoi handicappati» (1).

 

 

TESTO DELLA RICERCA (2)

 

Il problema dei pazienti cronici e dei soggetti non autosufficienti costituisce uno dei nodi dell'assistenza geriatrica, ed è motivo di discussio­ni e di diverse valutazioni per il confluire di aspet­ti assistenziali e di aspetti più propriamente sa­nitari.

La presente relazione tende a illustrare alcuni aspetti dell'assistenza in Torino a questo gruppo di ammalati.

Nella nostra città con la definizione di «non autosufficienti» viene indicato un gruppo com­posito di soggetti, per i quali si ritiene non ne­cessario il ricovero o la prosecuzione di perma­nenza in ospedale, ma d'altra parte si giudica ina­deguata alle loro esigenze la possibilità dell'as­sistenza domiciliare.

Essi sono indirizzati fondamentalmente a tre grossi Istituti (Convalescenziario Crocetta, Isti­tuto riposo e vecchiaia, Casa di riposo geriatrica Carlo Alberto), la cui disponibilità complessiva di posti letto è in totale 1.086 (Crocetta 272; IRV 450; Carlo Alberto 364).

La relativa retta di degenza è a carico, per la cosiddetta parte sanitaria (circa 2/3) del fondo sa­nitario regionale, tramite la mediazione degli uf­fici assistenziali del Comune; per la quota alber­ghiera (circa 1/3) a carico della famiglia, o in caso di impossibilità totale o parziale a carico degli organi assistenziali del Comune.

Tutte le proposte di ricovero in questi istituti sono controllate dai centri sociali del Comune, e sono considerati in genere come definitivi.

Nel periodo 1 luglio 1980 - 30 giugno 1981, as­sunto come campione nella nostra indagine, si sono avuti nel Comune di Torino 536 ricoveri presso queste strutture per non autosufficienti: di questi circa 1/3 (180) sono stati accolti presso la Casa di riposo geriatrica Carlo Alberto.

Di questo ultimo gruppo di pazienti si è stu­diata la provenienza, le condizioni fisiche e psi­chiche all'ingresso che avevano portato alla ri­chiesta di ricovero sulla base di giudizio di non autosufficienza irreversibile; le condizioni pato­logiche che ne erano alla base. Si è studiato inol­tre il decorso del ricovero: evoluzione delle con­dizioni psico-fisiche, mantenimento o meno dei contatti con i familiari e il mondo esterno, in­terventi riabilitativi e di reinserimento sociale, decessi, dimissioni.

 

Condizioni fisiche e psichiche all'ingresso

 


Nel periodo considerato sono state ricoverate 180 persone, delle quali il 78% donne il 22% uomini. Solo il 36% proveniva dalla propria abi­tazione, mentre il 51 % era indirizzata direttamen­te da reparti ospedalieri, e il 13% da altri isti­tuti per anziani (tab. 1).

 

 

Prevalevano nettamente i soggetti di età molto avanzata:

34% fra i 71 e gli 80 anni;

49% fra gli 81 e i 90 anni;

7% gli ultranovantenni;

solo il 10% era di età inferiore ai 70 anni.

La prevalenza femminile si accentuava con l'età passando dal 57% nel gruppo 61-70 anni al 76%, 82% e 92% rispettivamente nei gruppi 71­-80 anni, 81-90, e oltre 90 anni (tab. 2).

Le condizioni fisiche e psichiche all'ingres­so risultavano in genere notevolmente compro­messe.

Il 40% dei ricoverati non era in grado di ali­mentarsi autonomamente, ma doveva essere im­boccato.

Per quanto concerne la deambulazione, solo il 24% era in grado di camminare autonomamente, mentre il 17% poteva camminare solo con aiuto, il 34% era bloccato in carrozzella e il 24% era bloccato a letto (tab. 3).


 

 

 

 

 


Il 53% presentava incontinenza vescicale e il 42% era già portatore di catetere a permanen­za. Il 34% presentava anche incontinenza dello sfintere anale. Piaghe da decubito erano presen­ti in 28 pazienti pari a circa il 16% dei casi; nel 9% dei casi si trattava di piaghe superficiali e in unica sede (in genere sacrale); nel 7% dei casi però si trattava di piaghe multiple (sacrali, trocantere, ecc.) e profonde.

Sul piano neuropsichico, solo 82 soggetti (pari al 46%) erano in buone condizioni, con discreto orientamento spazio-temporale, pur comprenden­do in questo gruppo 45 soggetti (25% della ca­sistica totale) con problemi di deficit della me­moria, a tipo «amnesia benigna». Disorientamen­to spazio-temporale lieve era presente nel 26% dei casi e grave nel 27%. Inoltre in quasi il 20% si avevano o si erano avuti problemi per manife­stazioni di agitazione psicomotoria, e nell'1,7% episodi deliranti (tab. 4).


 

 

Quadri morbosi e condizioni patologiche di varia natura erano alla base di tali precarie con­dizioni fisiche e della perdita dell'autosufficienza.

Sindrome cerebrale organica, su base arterio­sclerotica o atrofica, o mista era presente in quasi il 70% dei ricoverati.

Il 20% inoltre presentava esiti (emiplegia, emiparesi) di ictus più o meno recente; il 16% era afasico.

Inoltre vi era un 5% di quadri parkinsoniani gravi.

Per quanto concerne la patologia cardiovasco­lare, scompenso cardiaco era presente quasi nel 20%, sindromi ischemiche nell'8% e aritmiche nel 15%.

Arteriopatia cronica ostruttiva periferica era presente quasi nel 23% dei soggetti e in forma grave quasi nel 3%.

Broncopneumopatia cronica ostruttiva era pre­sente nel 28% circa dei soggetti, e in forma gra­ve (crisi asmatiche recidivanti e quadri di insuf­ficienza respiratoria) nell'11 %.

Osteoartropatie clinicamente rilevanti erano presenti nel 48% dei pazienti, e nel 30% di en­tità invalidante. Inoltre il 10% dei pazienti pre­sentava neoplasie in fase evolutiva e metastatiz­zanti (mammarie, intestinali, uterine, ecc.). Nel 5% si aveva insufficienza renale clinicamente conclamata.

 

Evoluzione del ricovero e aspetti sociali

 

Sui 180 nuovi ingressi nel corso dell'anno si sono avuti 64 decessi (pari al 35,5%); 9 sogget­ti sono stati dimessi (pari al 5%), rientrando al proprio domicilio, o in Istituto per autosufficien­ti. 107 (pari al 59,5%) risultavano ancora presen­ti al termine del periodo di osservazione.

Nel gruppo dei deceduti, su un totale di 64, ben 31 sono mancati nel primo mese (pari al 48,4% del totale) e di questi ben 13 (pari al 20,4 del to­tale) nei primi 10 giorni di ricovero. Un 15,6% della mortalità totale si aveva ancora nel secon­do mese; complessivamente nei primi due mesi dal ricovero si è avuto il 64% della mortalità to­tale; essa si riduceva in seguito considerevol­mente (tab. 5).


 

 

Lo stress psicologico del cambio di ambiente incide pesantemente nel precario equilibrio psi­co-fisico del soggetto anziano ammalato, e può precipitarne le condizioni generali. Tale fattore non sembra però molto rilevante nel nostro cam­pione, in confronto alle condizioni patologiche di base. Nel gruppo di 31 soggetti deceduti nel pri­mo mese erano compresi infatti 18 casi di ictus recente, 3 neoplasie avanzate, 1 insufficienza renale grave, 3 fratture recenti di femore, e 5 con­dizioni di grave insufficienza cardio-respiratoria. La gravità delle condizioni era documentata inol­tre dalla presenza di 14 casi di doppia inconti­nenza sfinterica e 8 di sola incontinenza urina­ria; 22 casi di alimentazione assistita con com­promissione dello stato di nutrizione in tutti i pazienti. 10 casi presentavano piaghe da decu­bito all'ingresso, quasi sempre multiple, e di notevole estensione e profondità.

Dei soggetti presenti in istituto al 30.6.81 (107 su 180, pari al 59,5%), il 38% risultava miglio­rato sul piano fisico e psichico, il 52% sostanzial­mente invariato e il 9,3% peggiorato: di questo gruppo, si sono valutati, i rapporti con la famiglia e il mondo esterno. Si sono suddivisi i ricoverati a seconda che avessero familiari (coniuge, figli, fratelli o sorelle); parenti più lontani (nipoti, co­gnati, cugini); solo conoscenti.

Nel primo gruppo la situazione è sostanzial­mente buona: rapporti ottimi, con visite quoti­diane dei familiari, si hanno nel 34%; visite set­timanali si hanno nel 53%; solo nel 12% la si­tuazione è gravemente carente per pressoché to­tale disinteresse da parte dei familiari (visite mensili o saltuarie).

La situazione è naturalmente meno soddisfa­cente, ma ancora accettabile nel gruppo di sog­getti con parenti: è meno alto il numero di rico­verati con visite quotidiane (6,1%), ma molto alto quello con visite settimanali (67%); nel 27% dei casi la situazione è gravemente carente.

Semplici conoscenti assicurano un contatto settimanale al 37% degli ospiti senza più fami­liari o parenti e mensilmente al 50% (tab. 6).

L'ingresso in istituto è visto in genere come definitivo, e come tale era giudicata la condizio­ne di non autosufficienza che ne era alla base.

In realtà nel 25% dei ricoverati si è ritenuto opportuno iniziare un programma di rieducazione motoria.

In questo gruppo, a lato di un 8% di casi nei quali si è dovuto sospendere il tentativo per ri­fiuto alla prosecuzione da parte del paziente (for­se non sufficientemente motivato), e di un 37% di casi sostanzialmente invariato, si è avuto in circa il 20% un netto miglioramento (da blocco a letto a deambulazione assistita); quasi il 35% sono stati giudicati autosufficienti dal punto di vista motorio al termine del ciclo riabilitativo (tab. 7).


 


 

 

È da sottolineare inoltre che, oltre al gruppo specificamente indirizzato a trattamento riabili­tativo, un certo numero di miglioramenti e di ri­pristino totale o parziale dell'autosufficienza si è avuto anche in altri soggetti: un consistente gruppo dei ricoverati migliorati, ma rimasti in istituto, era in grado di partecipare assiduamente ad attività ricreative (spettacoli cinematografici o teatrali, gite), culturali (corsi della Università del­la terza età organizzati all'interno dell'istituto), e occupazionali varie.

La situazione globale, al termine del periodo di osservazione, può così essere riassunta: esclu­dendo i decessi, rimanevano 116 persone, delle quali 9 dimesse e 107 presenti. I soggetti non au­tosufficienti risultavano 73 (pari al 40,5% sul to­tale degli ingressi); i soggetti ritornati all'auto­sufficienza o al limite di essa, erano 43 (23,9% sul totale), dei quali però solo 9 dimessi (5%) e 34 ancora presenti in istituto (18,9%).

Secondo la valutazione degli operatori sociali dell'istituto questo gruppo avrebbe potuto essere dimesso, con le seguenti modalità: circa il 16% in casa propria, e con sola assistenza domicilia­re; il 41% in famiglia; un altro 41 % in strutture protette.

Nella realtà problemi sociali e familiari si op­ponevano alle dimissioni: mancanza di strutture esterne adeguate; mancanza di famiglia; impossi­bilità da parte della famiglia; in alcuni casi anche una scelta da parte del paziente scarsamente mo­tivato a intraprendere nuove iniziative.

 

Conclusioni

 

Dai dati esposti si possono trarre alcune con­siderazioni conclusive:

- I pazienti indirizzati in Torino ai reparti per «non autosufficienti» degli istituti per anziani sono in genere in condizioni psico-fisiche grave­mente compromesse, e affetti spesso da patolo­gie di notevole impegno.

- Fra essi si possono distinguere 3 gruppi, so­stanzialmente diversi:

a) un gruppo di pazienti in condizioni preterminali (esiti di ictus, fratture, neoplasie), costi­tuente circa il 20%;

b) un cospicuo gruppo di lungodegenti non recuperabili: fondamentalmente cerebropatie se­nili su base vascolare e/o atrofica (spesso asso­ciate ad altri processi morbosi), in fase in genere molto avanzate. Sono pazienti in progressivo de­clino psico-fisico più o meno rapido con impor­tanti problemi assistenziali e sanitari;

c) il terzo gruppo è rappresentato da un con­sistente numero di soggetti (20-25%), con pato­logie invalidanti, ma potenzialmente recuperabili: in effetti molti di essi sono ritornati nel corso del ricovero all'autosufficienza o al limite di essa.

- A tale situazione corrisponde però un limi­tatissimo numero di dimissioni (5% sul totale degli ingressi, 1/4 circa di quelle teoricamente possibili).

- Nell'ottica dei parenti e delle strutture so­ciali, che chiedono e propongono il ricovero, e dei pazienti stessi, l'ingresso in istituto è visto e vissuto in genere come definitivo. Ciò comporta molte conseguenze negative:

a) sottovalutazione delle possibilità di recu­pero del paziente anziano;

b) disinteresse per l'efficienza dei servizi ria­bilitativi degli enti cui è affidata l'assistenza e la terapia di questi pazienti;

c) mancata predisposizione di servizi atti a fa­vorire le dimissioni dei pazienti migliorati o ria­bilitati (mantenimento del domicilio, spesso smo­bilitato al momento dell'ingresso; appoggio alla famiglia; efficaci soluzioni alternative protette);

d) ne consegue l'obbligata permanenza del sog­getto riabilitato in una struttura non idonea, in mezzo a pazienti gravi e in costante peggiora­mento, annullando in gran parte le possibilità di un serio programma riabilitativo.

- Tali aspetti sono fondamentalmente espres­sione, al di là delle enunciazioni programmatiche, di una tendenza rinunciataria delle strutture sa­nitarie e sociali di fronte ai problemi delle ma­lattie a evoluzione inabilitante e alle possibilità di riabilitazione dell'anziano.

- Di fronte a malattie chiaramente a lungo de­corso o preterminali, le strutture più propriamente sanitarie tendono a sottrarsi al loro com­pito.

- Nel caso in questione, compiti tipicamente sanitari, come l'assistenza al paziente terminale, la riabilitazione dei pazienti più gravemente com­promessi, e l'assistenza di soggetti debilitati e in progressivo declino psico-fisico, risultano affi­dati a strutture non adeguatamente inserite in una cultura e programmazione sanitaria.

 

 

 

 

 

 

(1) Ricordiamo che, mentre negli anni 60 quando era pra­ticata l'espulsione o non ammissione dei più deboli nella scuola normale (molti alunni venivano dichiarati «ascola­stici»; massiccia era la creazione di classi differenziali e di scuole speciali) la percentuale di fanciulli handicappati cal­colata dagli esperti era del 5°i°; la percentuale dei casi li­mite del 10%; infine un altro 10% dei ragazzi era ritenuto «disadattato del carattere e del comportamento»). La per­centuale attuale dei bambini handicappati inseriti nelle scuole del preobbligo e dell'obbligo è dell'1-1,5%. Con la linea dell'inserimento scolastico la scuola non ha più alcun interesse a inventare handicappati e disadattati, in quanto non può più liberarsene.

(2) Il gruppo di lavoro era costituito da: Ettore Strumia, direttore medico, coordinatore; Nicoletta Aimonino, Sal­vatore Castiglione, Maria Teresa Garrone, Giuseppina Ger­mano, Claudio Gioia, Renata Novasio, Henry Varetto, medi­ci assistenti; Emiliano Bazzolo, assistente sociale; Paolo Guglierminotti, educatore specializzato; Marina Calascibet­ta, Mario Garbiero, Laura Muller, impiegati amministrati­vi; Maria Teresa Mainero, dietista.

 

 

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