Prospettive assistenziali, n. 60, ottobre - dicembre 1982
OSCAR SCHINDLER
Le modalità d'intervento nei confronti di un
audioleso grave devono essere omogenee dalla nascita all'età adulta ed obbedire
alla medesima filosofia di base indipendentemente dalle contingenze di luogo e
di tempo che potranno modificare solo i programmi operativi ma non lo spirito
informatore.
Le tappe della scuola dell'obbligo e del mondo del
lavoro sono solamente una ultima appendice di quanto è
avvenuto precedentemente, e quindi siccome il grosso degli interventi con e
sull'audioleso si verificano prima di entrare nella scuola dell'obbligo
abbiamo ritenuto opportuno riportare a questo punto uno schema globale. Questo
prevede un'articolazione con sette traguardi:
a) Contenimento delle ansie dei genitori.
b) Accertamento e precisazione della lesione uditiva.
c) Protesizzazione acustica.
d) Educazione alla comunicazione,
e) Educazione
al linguaggio verbale,
f) Inserimento ed integrazione scolastica,
g) Inserimento ed integrazione lavorativa.
a) Contenimento delle ansie dei
genitori
Di norma è all'inizio del secondo semestre di vita
che i genitori si accorgono che il bambino non reagisce adeguatamente ai rumori
o che comunque decidono di farlo vedere da uno specialista. Può capitare
quindi, e nella maggior parte dei casi capita effettivamente, che quasi a ciel sereno arrivi la notizia che
il bambino, peraltro in ordine, sia «sordo».
(Ovviamente quanto stiamo descrivendo è diverso nei casi di
sordità familiare, o in qualsiasi altra evenienza - per es. la rosolia materna
del primo trimestre di gravidanza - in cui si sospetti la lesione uditiva già
prima di constatarne le manifestazioni; in questi casi l'ansia è presente soprattutto
fin quando non si abbia una risposta positiva o negativa). Ne deriva che il
bambino audioleso, in ragione della sua età, non ne risente, mentre per i
genitori, ed altri familiari, si tratta d'un fatto altamente
drammatico che se non adeguatamente contenuto può condurre a dinamiche estremamente
negative sia per l'audioleso che per la sua famiglia che possono durare per
tutta la loro vita.
In primo luogo compaiono sensi di colpa auto-e/o etero-attribuiti, centrati prevalentemente sulla figura della madre, talora difficili da controllare
per la loro natura irrazionale. Si verificano poi nei
confronti del figlio comportamenti uni - o più spesso ambivalenti che vanno
dal rifiuto (o equivalenti) all'iperprotezionismo.
Di conseguenza non è difficile cadere in trappole quali la corsa a successivi specialisti,
il ricorso all'irrazionale (religioso, magico, pseudoscientifico
ecc. di cui abbiamo purtroppo un elenco interminabile, dalla cura con cellule
vive, ai guaritori filippini, ai vari santi, all'agopuntura, alla pranoterapia
ecc.) all'attesa di farmaci o interventi chirurgici o protesici risolutivi, o
infine l'affidarsi a esperti e pseudoesperti
della educazione e della rieducazione. È da notare che quanto descritto è
talora molto costoso (potrebbe essere un meccanismo di pagare per le proprie e
altrui colpe) e che spesso non è condiviso da entrambi i genitori o da tutti i familiari, determinando in tal modo altre
reazioni negative.
L'eliminazione delle ansie e delle dinamiche
negative è impossibile, ma è proponibile un contenimento di base. L'elemento
fondamentale e primo è rappresentato dall'informazione che ovviamente non può
essere standardizzata ma deve essere fornita progressivamente
e con modalità dipendenti da ogni singola situazione. Verosimilmente è opportuno che l'informazione sia gestita in un primo
tempo dagli operatori sanitari che stanno effettuando osservazioni ed
accertamenti audiologici. Il primo punto sarà in
linea di massima di rassicurazione, affermando che il bambino «potrà parlare ed
andare a scuola con gli altri»; subito dopo sarà necessario presentare il bambino
in positivo («non pensi sempre alla sordità, guardi
com'è sano, come cresce bene, com'è bello ecc.») insistendo che il bambino
deve essere educato «come gli altri» e quindi iniziando ad abbozzare la seguente
linea in tre punti:
1) gli
audiolesi sono uguali agli altri per le abilità non uditive;
2) hanno (o si
può dar loro) maggiori abilità nei settori non uditivi;
3) necessitano però anche
d'un programma di educazione uditiva;
con alcuni corollari (da intendersi in modo non
qualunquistico) quali:
- il traguardo
più importante è che il bambino cresca bene e felice in un ambiente sereno;
- il saper
parlare non è necessario nei primi 3 anni di vita e diventa indispensabile solo
dopo i 6;
- esistono
possibilità tecniche protesiche ed
educative speciali ma vanno praticate senza fanatismo (essendo vero anche
il contrario che con il solo «volemose bene» si fanno
perdere delle opportunità agli audiolesi);
- e numerosi altri
(2).
Notevole sostegno all'informazione è dato dalla letteratura, che peraltro va usata con
molto discernimento, puntando, almeno in un primo momento, ai libri che
illustrano l'evoluzione d'un bambino normale (3)
piuttosto che a quelli specializzati sui sordi (4). C'è infatti la possibilità che i genitori
invece di essere tali si trasformino in fanatici pseudoconoscitori
dell'argomento e/o rigidi educatori specializzati.
Ben presto, cioè appena è
riassorbito il primo colpo di essere genitori di un bambino sordo, riteniamo fondamentale il contatto con le
associazioni di genitori di audiolesi.
Le informazioni che si hanno da questa fonte sono più
partecipate e rappresentano un appoggio determinante
per la ristrutturazione per quanto possibile serena della famiglia.
Siamo dell'opinione che in linea di massima e per la
maggior parte dei casi non sia necessaria (se non in
via marginale) che intervengano altre figure (neuropsichiatri,
psicologi, assistenti sociali, ecc.) in quanto con gli appoggi precedentemente
esposti è possibile che la famiglia conti prevalentemente sulle sue energie per
affrontare la condizione di essere famiglia di audioleso.
b) Accertamento e precisazione della
lesione uditiva
È importante a questo proposito darsi obiettivi e scadenze precise. Il primo obiettivo è rappresentato
dalla valutazione grossolana della capacità
uditiva totale (bilaterale) per
accertare il più precocemente possibile se il soggetto rientra
o no nella fascia delle sordità gravi, gravissime o totali. Questa
valutazione va fatta con calma tenendo conto delle notizie e delle
osservazioni dei familiari e delle osservazioni e
misurazioni dei tecnici sanitari. Una valutazione fatta in una sola seduta non
è né attendibile né seria. Riteniamo quindi che la prima valutazione grossolana richieda un tempo medio di tre mesi.
Ricordiamo peraltro che la raccomandazione di avere
dati il più precocemente possibile ha un suo limite inferiore di utilità (al netto delle ansie parentali): infatti è sufficiente che il primo accertamento
avvenga dopo gli otto mesi ma comunque possibilmente prima dei dodici mesi
(ovviamente per le sordità precoci).
Il termine degli otto mesi rappresenta il momento in
cui compare il fenomeno dell'autoascolto, cioè il momento in cui si instaura il controllo retroattivo (feed-back) uditivo sulla produzione
verbale (prelinguistica) e quindi sostanzialmente il
momento in cui inizia la grossa importanza dell'udito per la produzione
verbale. Il termine invece dei dodici mesi è cautelativo nel senso che qualora
esistano gravi problemi uditivi vanno presi
provvedimenti adeguati largamente prima dei diciotto mesi, data a partire dalla
quale (approssimativamente) comincia a diventare prevalente sugli altri un
canale comunicativo espressivo per cui in assenza di interventi opportuni il
canale espressivo principale (se vogliamo potremmo anche chiamarlo «madre
lingua») non sarà più quello fonatorio digitale.
Le considerazioni che abbiamo fatto finora devono
essere ritenute massimali in quanto è possibile operare meglio di questo
standard pur senza raggiungere alcune punte aberranti che regolarmente vengono riproposte (5).
Il secondo obiettivo è rappresentato invece dalla valutazione della eventuale
associazione alla sordità di altre alterazioni con particolare riguardo alle
lesioni organiche encefaliche. Questa valutazione fatta nel modo più
circostanziato secondo criteri clinici (6) non può
essere completata molto precocemente (prima dei 24 mesi), ma se limitata ad un
numero minore di rischi ed al limite alle sole lesioni encefaliche, il
risultato è agevolmente ottenibile attorno all'anno.
Il terzo obiettivo è rappresentato dalla valutazione della sede della lesione
sull'apparato uditivo. Come abbiamo già visto,
molto spesso il conoscere le cause della lesione uditiva può
di per sé dare notizie sulla sede della lesione, quindi in subordine è utile valutare o anche solo ipotizzare le cause
della lesione uditiva.
Se quanto abbiamo detto é valido per gli accertamenti e
precisazioni precoci dell'audiolesione, un programma
più tardivo complementare è indispensabile ed è rappresentato da:
-
valutazione della capacità uditiva con la protesi acustica;
-
valutazione della stabilità o della variabilità della
curva uditiva;
-
valutazione della percezione uditiva;
-
precisazione della curva capacitativa liminare e di altre
caratteristiche sopraliminari della capacità
uditiva.
c) Protesizzazione
acustica
L'applicazione di una protesi acustica adeguata è una
premessa indispensabile per l'acquisizione del linguaggio verbale nelle sordità
gravi. La protesi acustica è sostanzialmente un apparato amplificatore che si interpone fra
sorgente sonora e orecchio di chi la ascolta aumentando in grado maggiore o
minore il livello sonoro del messaggio acustico che giunge alla coclea. In
realtà il messaggio sonoro non è amplificato in toto uniformemente
ma viene distorta da molti fattori (la cosiddetta distorsione armonica
non è che uno dei fattori, forse fra i meno importanti). La protesi acustica è infatti un doppio
trasduttore (acusticoelettrico a livello del suo
microfono d'ingresso ed elettrico-acustico a livello
dei suo altoparlante d'uscita) e noi
sappiamo dalla teoria dell'informazione che l'informazione si deteriora ogni
volta che passa trasformandosi da un canale comunicativo ad un altro.
Ogni «passaggio» è infatti,
fra l'altro, caratterizzato dal fatto di essere «filtrato» secondo una certa
curva o curva di risposta che enfatizza determinati elementi e ne reprime
altri. Questa caratteristica è sfruttata nell'applicazione protesica
cercando di rendere la protesizzazione più selettiva,
cioè di adeguarla a ciò che l'applicatore crede più
opportuno in rapporto alla presunta curva di perdita uditiva del soggetto da protesizzare. Inoltre la protesi acustica, ora assai sofisticata, è ulteriormente manipolata per raggiungere
certi obiettivi. Ad esempio esiste tutta una serie di dispositivi per attuare
un controllo automatico del volume, per impedire cioè
che vengano amplificati i suoni più forti evitando così che si raggiunga la
cosiddetta «soglia del dolore» in genere abbassata nei soggetti di cui stiamo
trattando, o la soglia di distorsione che si ha nella sordità cocleare per le alte intensità: questi accorgimenti,
ancorché utili e da sfruttarsi, rappresentano tuttavia un'ulteriore modificazione
del messaggio.
Ne concludiamo che la protesi acustica è un utensile necessario
nell'educazione dei soggetti sordi anche se modifica talora sostanzialmente le caratteristiche
del messaggio che amplifica.
Per quanto concerne i tempi di applicazione
la protesizzazione
deve essere precoce ma non anteriore al termine di un accertamento sufficientemente
attendibile e quindi la precocità massima non dovrebbe scendere al di sotto
degli 8-12 mesi. Per il passato si tendeva a protesizzare
ancora più precocemente (quasi fino alla nascita) ma
la tendenza s'è invertita non solo in rapporto all'utilità della protesizzazione ultraprecoce ma soprattutto per evitare
eventuali danni iatrogeni, cioè lesioni uditive o aggravamento di lesioni
uditive per «iperprotesizzazione» in soggetti con
curva non corrispondente alla realtà (ed in alcuni casi addirittura normoacusico).
In rapporto a queste esperienze negative attualmente si tende ad «ipoprotesizzare» cioè ad amplificare
i messaggi acustici in misura leggermente minore della perdita uditiva. In
questo senso vale anche la raccomandazione di non far portare la protesi 24 ore
al giorno ma di aumentare
la durata dell'uso della protesi fino a raggiungere tempi adeguati per le
esposizioni acustiche significative, non superando mai le 92 ore nella
giornata e programmando comunque intervalli a tempi regolari.
In ogni caso un indice sicuro, quando possibile, è
rappresentato dalla gestione della protesi da parte dello stesso audioleso che
la accende e la spegne e, in via più generale, la regola come e quando giudica
più opportuno. Purtroppo questo criterio è raggiungibile sola piuttosto tardi
(in genere non prima dei 4-6 anni) per cui se ne deve
prendere in considerazione l'aspetto simmetrico dei segni di insofferenza quando
la protesi non è tollerata o non è gradita. Se
il bambino non vuole la protesi in genere ha ragione
e conviene ricercarne le cause (iperamplificazione,
funzionamento intermittente, interrotto, distorto, impronta endoaurale inadeguata, disturbi del condotto uditivo,
ecc.): qualora queste non vengano individuate conviene ugualmente non insistere
con una protesi non tollerata. La protesizzazione quindi è un atto molto complesso che deve
essere gestito in un tempo piuttosto lungo (non meno di tre mesi; tempo
medio un anno; possibilità di essere rimaneggiato in
qualsiasi momento) in base a numerosi
fattori (entità della lesione, sede della lesione, natura della lesione,
evoluzione della lesione, risultati audiometrici
della protesizzazione, vissuto della protesizzazione, risultati educativi della protesizzazione, eventuali intolleranze alla protesizzazione, ecc.) da
parte di numerose figure (bambino, audiologo, audioprotesista, educatori, logopedisti,
genitori, ecc.).
Quindi l'attuale sistema di applicazione
diretta da parte di ditte private non è assolutamente soddisfacente e se ne
auspica una pubblicizzazione quale si ha nella
maggioranza dei paesi europei. Un esempio italiano si ha nella provincia di Varese che provvede direttamente
mediante un suo Centro (diretto dal prof. C. Cis): in
esso il bambino audioleso viene preso in carico anche
per la protesizzazione che viene appunto effettuata
secondo i criteri sopraindicati prelevando le protesi da una banca (fornita da
tutte le ditte private che lo desiderano); quando dopo i tempi necessari e gli
opportuni controlli viene assegnata la protesi definitiva, questa, applicata
dal Centro stesso (ed in seguito oggetto di manutenzione da parte del Centro)
viene acquistata dalla ditta commerciale che la produce o la rappresenta. In
questo modo vengono evitate non solo le speculazioni
commerciali ma anche la non omogeneità di intervento e soprattutto il fatto
che venga applicata subito una protesi definitiva che di fatto non potrà venire
cambiata prima di un paio di anni. In sintesi i veri responsabili primi
dell'applicazione di una protesi devono essere un audiologo
ed un audioprotesista del tutto liberi da interessi
commerciali che talora fanno imporre apparecchi in rapporto al loro prezzo
alto o basso, al loro guadagno, al loro stoccaggio, alla loro presunta
tecnologia, alla concorrenza, a compiacenze con varie persone fra cui i
genitori. Questi ultimi infatti molto spesso
interferiscono in base all'idea che si sono fatti della protesi e sovente un
loro criterio puramente estetico, ma talora attribuito ai figli (in realtà è
raro che la protesi rappresenti un problema estetico per un bambino prima degli
8-10 anni) è l'unico ad essere seguito.
Fra le misure obiettive che si raccomandano per ogni
applicazione protesica (Biesalski,
op. cit.) abbiamo:
- l'audiogramma con rumore
con protesi;
- l'audiogramma
vocale con protesi eventualmente con rumore o messaggi competitivi;
- la soglia del riflesso dello stapedio
con protesi (impedenzametria);
- il controllo delle caratteristiche acustiche della
protesi nell'apposito misuratore;
- il passaporto protesico
e relative raccomandazioni.
d) Educazione alla comunicazione
Abbiamo più volte sostenuto la differenza fra
comunicazione e linguaggio verbale sostenendo non solo che il linguaggio
verbale è un meccanismo parziale e particolare della
comunicazione, ma soprattutto che è impossibile
per chiunque ed in modo particolare per gli audiolesi gravi acquisire il
linguaggio verbale senza prima essersi impadroniti dei meccanismi di base
della comunicazione avendola esercitata con strumenti diversi da quelli
verbali (digitali). Per esemplificare ulteriormente queste differenze raccomandiamo la lettura dei lavori di Ursula Bellugi Klima (7) dove si ha
conferma della possibilità di comunicare in modo pieno e sofisticato (con
sistemi anche digitali e messaggi non concreti) con il solo canale visivo
mimico-gestuale, ad esempio col codice dell'American Sign
Language.
L'educazione
alla comunicazione prevede un traguardo assai preciso rappresentato dall'avere
ai 4 anni un bambino sufficientemente socializzato, cioè in grado di muoversi
adeguatamente in mezzo a coetanei conosciuti e regolarmente praticati oppure
no ed in mezzo a persone più piccole ma soprattutto più grandi di lui
(ovviamente oltre ai familiari) scambiando con loro un certo numero di
messaggi. Questo traguardo di norma viene raggiunto abbastanza facilmente ed in modo spontaneo
dal bambino purché questi o il rapporto non vengano ostacolati.
Per rendere più convincente questo fatto basta forse
ricordare come in genere bambini, dell'età che abbiamo previsto, che non
conoscono l'uno la lingua degli altri (ad esempio bambini italiani e tedeschi)
non abbiano difficoltà a familiarizzare ed a giocare
assieme per molto tempo.
I mezzi per
raggiungere il traguardo sono rappresentati soprattutto dall'educare il
bambino audioleso grave «come gli altri». Ovviamente è molto difficile dare un adeguato
supporto alle famiglie in questo senso: le possibilità che abbiamo a disposizione
sono:
- se esistono fratelli o
sorelle (più grandi) udenti, chiedere ai genitori che l'educazione dell'audioleso
sia uguale o molto simile;
- documentare la famiglia come abbiamo già detto al
punto a) di questo paragrafo;
- documentare la famiglia come possa educare un
bambino secondo quanto evincibile dal profilo individuale di fattori
comunicativi.
In ognuna di queste tre evenienze e comunque in ogni altro caso sarà utile per i genitori poter
disporre di una persona (gli stessi operatori sanitari che già seguono il
bambino, ma meglio il pediatra di famiglia, le assistenti sanitarie e sociali
od altri operatori del consultorio familiare) che sappia controllare con
discrezione se «il bambino cresce bene» e sappia dare consigli, se del caso,
cercando possibilmente di «non insegnare ai gatti ad arrampicarsi», cioè ai
genitori ad essere genitori.
Sicuramente oltre la consegna dell'educare il bambino
«come gli altri» deve essere dato un sostegno alla famiglia con indicazioni specifiche aggiuntive per
audiolesi. Queste si trovano in tutti i libri e gli opuscoli (ad esempio
delle ditte fornitrici di protesi acustiche) che trattano del bimbo sordo; in
questa sede ci preme sottolineare che le indicazioni
specifiche sono aggiuntive e non sostitutive di quelle «per tutti». Alcuni
esempi potranno essere:
- mantenere molto di più il contatto corporeo
genitore-bambino (con il minor numero di indumenti
per entrambi) in modo da incrementare la comunicazione corporea, favorire la
ricezione vibrotattile dei messaggi acustici ed una
loro amplificazione da vicinanza;
- parlare e cantare vicinissimo all'orecchio («ad concam») o addirittura a
contatto del padiglione uditivo; in tal modo oltre a favorire una ricezione vibrotattile si raggiunge una amplificazione che può
arrivare fino a 90-100 dB, cioè a livelli pari o vicini a quelli delle protesi
acustiche;
- mettere il bambino con la testa alla stessa altezza
della faccia del parlatore (che dovrà anche essere in luce) in modo che egli
possa osservare meglio i movimenti della bocca del parlante;
- attivare molto l'attenzione del bambino sui (suoni
e) rumori forti correlandoli con contemporanei messaggi non uditivi o con le
cause che li hanno provocati e ripetendoli;
- dare maggiore peso che non ai
bambini udenti ai messaggi non uditivi (e ovviamente non solo a quelli visivi,
ma anche a quelli vibratori tattili,
olfattivi, gustativi, ecc.) e alle loro produzioni ed abilità espressive non
verbali;
- tenere in particolare conto
il fatto che il soggetto audioleso essendo un bambino che «non sente e non
parla» non deve essere solo, come già
detto, considerato «un orecchio che non
sente e una bocca che non parla» e neppure solo «un bambino che per il resto
può essere come gli altri», ma un bambino che come tutti è dotato di un certo
numero di abilità alcune delle quali più evolute e altre meno, ed in
particolare sapendo che le sue abilità uditive sono carenti al punto, in
alcuni casi, da essere quasi considerate assenti, che deve essere potenziato in altre abilità (sia impressive che espressive) non uditive-verbali in modo non solo da
giustificarlo (facendogli vedere che «per certe cose» è più bravo degli
altri) ma in modo da garantire quell'equilibrio fra fattori della costellazione
individuale (8) che permettono una
personalità «normale».
Nell'ambito dell'educazione alla comunicazione è
importante che i familiari conoscano le strutture del
territorio usufruibili a questo scopo. Tali sono tutte le strutture dove
possono esplicarsi rapporti interpersonali di
qualsiasi tipo. Paradigmatico è (nelle città) il «giardinetto»: il luogo cioè dove è più facile l'incontro con altri bambini in
rapporto informale. Per questo luogo la direttiva è quella di
essere molto permissivi rispettando in modo particolare la fase del
rapporto aggressivo ed egocentrato: in altre parole è
bene non avere paura dei genitori degli altri e dei loro eventuali giudizi
sulla lesione uditiva, la protesi, ecc. e/o provvedimenti di separazione dai
«normali», non avere paura che il bambino si sporchi, si butti per terra,
faccia il prepotente, rubi i giocattoli, usurpi i posti di gioco, s'azzuffi con
gli altri, ma è bene ed opportuno affrontare precocemente questi dati di fatto
e gestirli nel migliore dei modi; il contrario infatti, l'iperprotezionismo
nelle mura domestiche o nel giardino deserto non solo è antifisiologico, ma
non fa che ritardare, aggravandoli, i problemi dell'incontro con gli altri.
Oltre al «giardinetto» particolarmente
utili sono altre strutture ed in primo luogo gli esercizi commerciali pubblici più svariati approfittando delle
differenze che si possono avere fra grandi magazzini ed esercizi artigianali a
conduzione familiare o comunque molto personalizzati, e fra questi ultimi
quelli dove ci si reca più di frequente (in genere i negozi di alimentari) e
quelli dove ci si reca più raramente. Ricordiamo ancora i mezzi di trasporto pubblici da usarsi preferenzialmente
rispetto a quelli privati, le manifestazioni
collettive regolari (religiose, politiche, del tempo libero) o straordinarie.
Ovviamente dovranno anche conoscersi le strutture
socio-assistenziali esistenti, valutandole per le possibilità che possono
offrire per i problemi posti dal bambino audioleso e facendo in modo che vi si
adeguino nel caso che non siano soddisfacenti.
Un vissuto fortemente
esterno permetterà una attività in casa
più conforme alle esigenze del bambino. Nell'appartamento saranno per lui privilegiati
determinati spazi ed in particolare la camera dove dorme, il bagno-gabinetto e
la cucina (locali dove passa la maggior parte del tempo e dove è da prevedersi
una certa permissività tenendo conto anche del fatto che le pareti, i pavimenti,
i mobili, le apparecchiature sanitarie, gli elettrodomestici dei due ultimi
locali sono lavabili); oltre che per il tempo di permanenza i detti locali
sono da privilegiarsi per l'alta significatività degli
atti - sonno, igiene personale, alimentazione - che vi si svolgono. Più
specificamente ricorderemo il rapporto con l'acqua del bagno-gabinetto e la
preparazione e manipolazione dei cibi in cucina rispetto ad altri (il salotto o
un angolo del soggiorno, la camera dei genitori o la loro parte di camera da
letto, ecc.) dove la permissività sarà estremamente
limitata o addirittura abolita in favore di regole strutturate in modo più o
meno rigido.
Dall'attività esterna ed interna si potrà quindi
creare quella liturgia del vivere
riportata su parametri spaziali e temporali, basata su elementi regolarmente
ricorrenti e su elementi occasionali con varietà di
ritmi, di rapporti, di regole, di case e persone tali da rappresentare le basi
per un vissuto adeguato ad una fisiologica evoluzione della comunicazione.
Particolari problemi sono posti dalle madri lavoratrici
ed in primo luogo quello relativo ad un eventuale
inserimento in asilo nido. Sia chiaro che tale inserimento è da ritenersi
indicato solo tardivamente (comunque dopo i 12 mesi e
se possibile ancora più tardi dopo i 18-24 mesi) ed esclusivamente se non
sono prevedibili altre soluzioni valide (turni dei genitori, presenza di altri
familiari con preferenza per i nonni, custodia di caseggiato con turni delle
madri). Qualora sia necessario il ricorso all'asilo
nido deve porsi il quesito se siano
preferibili strutture «normali» o strutture «speciali» (sempre che queste
ultime esistano in loco): alla domanda non è semplice rispondere anche se da
quanto abbiamo finora esposto ci sembra che la preferenza debba essere per le
strutture «normali» (che peraltro dovrebbero avere la necessaria elasticità
per adattarsi a qualsiasi bambino che abbia problemi particolari).
Appena possibile si raccomanda l'inserimento in scuola materna normale
possibilmente pubblica, «sotto casa», non mai molto dopo i tre anni. Il problema è delicato e necessita
una verifica di adeguatezza. Purtroppo i parametri da considerarsi sono
numerosi e non è possibile dare giudizi di tutto o nulla.
e) Educazione al linguaggio (verbale
digitale)
Dell'educazione al linguaggio verbale ci si deve
occupare più diffusamente. A questo punto ci preme segnalare il relativo traguardo per i 6-7 anni consistenti nel:
1) possesso di pressoché tutti i fonemi;
2) possesso di circa 300 parole (un decimo del patrimonio verbale del
bambino non audioleso di pari età);
3) possesso della struttura sintattica minima della frase nucleare o
più approssimativamente della frase S.V.C. (soggetto,
verbo, complemento).
Non ci stancheremo mai di ripetere che questo è un traguardo indicativo, non di
primaria importanza, che soprattutto non deve essere raggiunto
a scapito di altre realtà (quali la serenità familiare, la felicità del
bambino, la sua corretta educazione ed infine la comunicazione). Purtroppo si verifica sovente il contrario per ideologie diverse in
particolare degli istituti specializzati oppure per inopportuno confronto fatto
fra operatori o fra genitori. In rapporto a quanto abbiamo ora scritto è quindi determinante
una seria ed approfondita verifica delle situazioni educative rispettivamente
nella famiglia, negli asili nido e nelle scuole materne per gli interventi
- prevalentemente sanitari - pubblici e
privati ecc.
f) Inserimento ed integrazione
scolastica «nella scuola di tutti»
Per inserimento ed integrazione scolastica intendiamo la messa in
atto delle strategie per far sì che 1'audioleso grave o gravissimo frequenti la
scuola dell'obbligo «sotto casa» con gli udenti, con garanzia di una effettiva
partecipazione allo svolgimento del grosso delle attività curriculari.
Di conseguenza non ci soddisfa l'inserimento
«passivo», «meccanico», «selvaggio» o come altrimenti lo si
voglia definire che tiene conto solo della presenza dell'audioleso nella classe
dei normoudenti emarginandolo in vario modo dal
grosso del lavoro di classe, o mediante isolamento per molte ore in altra
classe, con insegnante d'appoggio e costruendogli nella classe normale una
classe speciale (con insegnante di appoggio che procede non in sintonia con
la classe, o con differenziazione troppo marcata di attività da parte della
stessa insegnante di classe) o isolandolo di fatto per incomprensione o scarsa
considerazione oppure addirittura per iperprotezionismo.
Per quanto riguarda l'età di ammissione alla scuola
dell'obbligo riteniamo che debba essere la stessa dei normoudenti,
lasciando per altro un margine di un anno (ma di un solo anno e che per altro
ha da essere trascorso in altra situazione educativa, quale, in genere, la
scuola materna) specie per i soggetti nati nel secondo semestre, per i soggetti
ai limiti inferiori della norma in alcuni parametri evolutivi e con
indicazione più stretta per i soggetti audiolesi con contemporaneo ritardo
cognitivo su base organica.
g) Inserimento ed integrazione
lavorativa
Similmente a quanto abbiamo
sostenuto per la scuola dell'obbligo riteniamo che anche nel mondo del lavoro sia insufficiente (e controproducente)
la semplice assunzione obbligatoria «per
legge » ma sia necessario che il datore di lavoro pubblico o privato
(oltretutto nel suo stesso interesse) si preoccupi dell'effettiva e non
pretestuosa produttività del lavoratore audioleso in armonia con quanto viene
effettuato dai suoi compagni.
(1) L'articolo è tratto in buona parte
dal volume di G. Arluno e O. Schindler, Il bambino sordo nella scuola di tutti, Ed.
Stampatori, Torino, 1981.
(2) Vedi ad esempio i due ultimi
capitoli («Flasbes pratiques»
e «Tribunes des questions») del volume di A. Morgon, P. Aimard e N. Daudet, L'Education
précoce de l'enfant sourd, Edizioni Masson, Parigi, 1977.
(3) Ad esempio «Bambino parla», Ed. Omega, Torino.
(4) Oltre al citato, Del Bo e De Filippis ad es. «Il recupero dei bambini
sordi», Edizioni Il pensiero scientifico, Roma, 1977.
(5) Per chi desideri maggiori
informazioni sull'argomento rimandiamo al modello emiliano-bolognese,
che rappresenta in Italia la punta avanzata nel settore che si allinea (e per
certi aspetti va oltre) alle esperienze internazionali più avanzate. A questo
proposito si raccomanda la lettura del quaderno 27 del dipartimento sicurezza
sociale della regione Emilia Romagna (1978) sulla «Riabilitazione della sordità
infantile» ed in particolare degli articoli di G.M. Facchini, G. Duidicini e P. Rimondini.
(6) Vedi ad esempio in Biesalski, «Phoniatrie
und Pädoaudiologie», Ed. Thieme, Stuttgart, 1973, oppure
l'articolo dello stesso autore su «I Care», n.
3, 1980, oppure gli Atti degli Aggiornamenti Vercellesi,
1980.
(7) Ad es. in AA.VV.,
«Dal gesto al gesto», Ed. Cappelli, Bologna, 1980.
(8) M. Siirala,
«Parola, presenza, integrazione», Ed. Feltrinelli.
www.fondazionepromozionesociale.it