Prospettive assistenziali, n. 60, ottobre - dicembre 1982

 

 

Libri

 

 

AA.VV., Comunità in comunione con le persone anziane, Caritas italiana, 1982, pp. 166.

 

Questa pubblicazione presenta alcuni interven­ti di enti privati e di volontari rivolti a persone anziane allo scopo di «fare conoscere ciò che si sta muovendo in questo settore nel campo eccle­siale, per stimolare l'ulteriore riflessione sulle modifiche necessarie e sulle necessità di un cam­biamento basato sulla verifica permanente delle iniziative».

Gli interventi descritti riguardano servizi do­miciliari, cooperative di aiuto domestico, fami­glie aperte, centri di incontro, servizi di acco­glienza e di emergenza, movimenti ed associazio­ni di e con persone anziane.

Giovanni Serpellon analizza le iniziative e rile­va che «una sembra essere la caratteristica co­mune di qualsiasi forma di accoglienza degli an­ziani al di fuori della loro casa: essere in grado di costruire e mantenere un ambiente con carat­teristiche e dimensioni familiari, nel quale sia costantemente possibile rispettare l'individualità dell'ospite e adattare il servizio alle esigenze. È subito chiaro quindi che la grande struttura, con i suoi bisogni organizzativi complessi, in linea di principio non può rispondere a questa necessità, spesso malgrado la buona volontà degli operatori impegnati».

Aggiunge l'Autore «Comunità alloggio e case­famiglia sono le forme organizzative che sembra­no le più adatte: strutture nuove che si possono creare o, forse meglio, modelli per la trasforma­zione degli istituti di ricovero esistenti: le espe­rienze, riuscite, non mancano (...). Un'altra impor­tante alternativa è fornita dall'accoglienza di un anziano in una famiglia che ha deciso di aprire le proprie porte agli altri. È forse questa una propo­sta più difficile, ma non impossibile: anch'essa già sperimentata con successo, particolarmente nell'accoglienza di minori».

Le iniziative analizzate non sono frutto di una programmazione. «Dalle esperienze esaminate - dice Serpellon - la programmazione non sem­bra essere tenuta nella considerazione che meri­terebbe. Programmazione, infatti, non significa solo pensare oggi ciò che si farà domani, o fra un mese, ma preparare un quadro generale della propria attività, in cui ogni settore abbia un pia­no di sviluppo che si armonizzi con gli altri ed in cui ad ogni obiettivo corrispondano le risorse ne­cessarie per la realizzazione. Programmare poi significa stabilire tipi e forme di intersezione con gli altri, siano questi la comunità ecclesiale o quella civile; significa anche tener conto dei pro­grammi altrui (al punto di stimolarli) e organiz­zare efficacemente la propria presenza. La pro­grammazione poi permette una verifica periodica del proprio operato, momento anche questo es­senziale nella vita di un gruppo di servizio».

Da parte nostra abbiamo avuto la sensazione che molte esperienze, lodevoli sul piano umano, siano discutibili sotto il profilo sociale. Ad esem­pio, quando si considera l'Ente locale come un nemico: «Il Comune sta organizzando un'attività in concorrenza», si lamenta un gruppo. In questo caso non si vuole che le esigenze siano soddisfat­te: si pretende che i volontari siano i soli che pos­sono e devono intervenire.

In tutte le esperienze non si fa mai riferimen­to ad iniziative politiche dirette ad ottenere da­gli enti pubblici, tenuti ad intervenire, l'istituzio­ne dei servizi mancanti o il miglioramento di quelli insufficienti. È un limite molto preoccu­pante.

 

 

W.J. GOODE, Famiglia e trasformazioni sociali, traduzione di Chiara Saraceno, Zanichelli, Bologna, 1982, pagg. XXXVIII-474, L. 24.000.

 

Esce ora, da Zanichelli, profondamente rivisto ed aggiornato dall'autore per l'edizione italiana, il volume di William J. Goode, da lungo tempo considerato un classico nel campo degli studi di sociologia e storia sociale della famiglia. Seguen­do la grande tradizione di Marx, Weber e Durk­heim, Goode affronta in questo volume i temi del cambiamento della famiglia e dell'influenza che su queste modifiche hanno esercitato i grandi pro­cessi di trasformazione sociale ed in particolare quelli di industrializzazione e di urbanizzazione. Lo fa seguendo il metodo storico-comparato e mettendo a confronto il sistema familiare dell'Oc­cidente con quello dell'Africa e dell'Asia. Egli analizza, per molti paesi, i modi in cui la famiglia si forma, le regole di residenza dopo le nozze, i rapporti con la famiglia di origine, la distribuzio­ne del potere e la divisione del lavoro all'interno della famiglia, la posizione della donna, il proble­ma delle nascite illegittime, quello del divorzio, ecc. E per diversi paesi, che esamina, si basa su vastissima documentazione di prima mano tratta dalle fonti più diverse (dai dati statistici ufficiali alle fonti letterarie ed ai romanzi). Oltre ad esse­re originale ed importante per l'impostazione e le conclusioni a cui giunge, oltre ad essere stra­ordinariamente innovativo per i metodi di analisi dei dati che talvolta impiega, il libro di Goode si configura anche, per la sua chiarezza e la grande quantità di informazioni che contiene, come un ot­timo strumento didattico, utilizzabile in molti cor­si di sociologia, antropologia culturale e storia.

 

 

ETTORE LAZZERINI, Guida alla prevenzione degli handicap nella prima infanzia, Marsilio, Venezia, 1982, pp. 127, L. 4.800.

 

«Priorità delle priorità», questo è detto a in­dicare l'importanza che ha la prevenzione nel campo sanitario. Tuttavia anche in questo caso, mentre è relativamente facile coniare slogan più o meno efficaci, è assai più difficile programmare concreti interventi.

Noi siamo convinti che la prevenzione delle malattie, di quelle fonte di handicap in partico­lare e quindi di uno stato di disagio che durerà tutta la vita, di una situazione di sofferenza indi­viduale e di un enorme peso sociale, sia un pro­cesso difficile e raggiungibile soltanto con l'atti­va partecipazione, con la seria responsabilizzazio­ne di tutti. La possibilità per un paese di ridurre l'indice di un certo tipo di malattia non è legata all'intervento miracolistico di pochi tecnici illu­minati o di qualche politico progressista, ma de­riva solamente dalla consapevolezza diffusa nel­la popolazione che la prevenzione è una meta da raggiungere.

Affinato il momento diagnostico, elaborate sem­pre nuove e più efficaci tecniche terapeutiche, la medicina dall'esame dell'individuo malato, attra­verso l'analisi dei fattori di malattia, rinvia alla massa dei sani una serie di informazioni preziose per prevenire i fatti morbosi.

Questo processo si chiama educazione sanita­ria. Esso è veramente efficace, se coinvolge tutta la popolazione.

Questo lavoro espone le cause dei più comuni handicap (disabilità) che possono colpire il mon­do della prima infanzia. Le disabilità possono in­teressare la sfera psichica, soprattutto con ridu­zione delle capacità intellettive, cioè della atti­tudine ad apprendere, o riguardare le capacità sensoriali (vista, udito, ecc.), oppure infine le potenzialità fisiche dell'individuo (lesioni degli organi del movimento, dell'apparato respirato­rio, ecc.).

Il motivo che ci ha spinto a favorire la realizza­zione e la diffusione di questo scritto è la profon­da convinzione che si possa ridurre notevolmente il numero dei bambini che nascono con handicap e ciò in particolare attraverso la conoscenza di massa delle misure atte a prevenirle.

(Dalla presentazione).

 

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