Prospettive assistenziali, n. 60, ottobre - dicembre 1982

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

RICONOSCERE I DIRITTI DEL BAMBINO STRANIERO

 

Il dossier «Riconoscere i diritti del bambino straniero» (1), pubblicato dal Centro italiano per l'adozione internazionale, ha ottenuto vasta e favorevole eco sulla stampa nazionale, ma ha anche provocato una reazione polemica. Attra­verso una documentazione che costituisce un'og­gettiva denuncia del dilagante fenomeno delle adozioni «sommerse» di minori provenienti da Paesi del Terzo mondo, il CIAI ha inteso solle­citare quanti sono coinvolti nel delicato problema ad assumere iniziative idonee da un lato a elimi­nare questa realtà sociale patologica, dall'altro ad affrettare la regolamentazione giuridica della materia, formulata nel disegno di legge «Disci­plina dell'adozione e dell'affidamento dei mino­ri», già approvato dal Senato ed ora all'esame del secondo ramo del Parlamento.

L'unica voce discorde dall'iniziativa del CIAI è stata quella del segretario del Tribunale civile e penale di Roma, Pietro Fulciniti, che ha difeso a spada tratta sul quotidiano «Il Tempo» il ricorso alla delibazione in Corte d'appello dei provvedi­menti emessi dalle magistrature dei Paesi d'ori­gine dei minori. L'intervento del dottor Fulciniti, che ha ottenuto in El Salvador l'adozione di un bambino, è apparso sul giornale romano il 25 settembre scorso con il titolo «Non è sempre op­portuno il controllo del giudice», e si conclude così: «Quando i diritti della personalità del mi­nore straniero vengono tutelati dall'autorità giu­diziaria straniera; quando questa ha provveduto ad affidarlo, a scopo di adozione, alla coppia che possiede quei requisiti fisici e morali necessari per esercitare il magistero educativo; allora l'e­ventuale controllo repressivo del giudice italiano in sede di delibazione del provvedimento di ado­zione posto in essere dall'autorità competente in conformità delle leggi del Paese da cui il minore proviene, non rispondendo tale controllo, a crite­ri di opportunità finalizzati alla salvaguardia dei diritti del minore stesso, non può che arrecare - a mio giudizio - danni spesso irreversibili nella sfera psicologica del bambino adottato».

Che il dottor Fulciniti difenda il proprio opera­to è comprensibile, ma non deve mettersi a fare l'azzeccagarbugli immaginando di rivolgersi sem­pre a degli sprovveduti Renzo Tramaglino. Noi non mettiamo in dubbio la correttezza della pro­cedura seguita dalla Procuradoria general de Po­bres di San Salvador per l'affidamento di un mi­nore che sarà adottato all'estero. Ma, a ben guar­dare, la valutazione dell'idoneità degli aspiranti genitori adottivi come avviene e in che cosa con­siste? Anzitutto, ci dice il dottor Fulciniti («per esperienza diretta e personale»), occorre pro­durre, tramite l'ambasciata salvadoregna in Italia, una serie di documenti, fra i quali «una relazione psico-sociale sottoscritta da un'assistente socia­le operante nell'ambito del Tribunale per i mino­renni». No, dottor Fulciniti, a noi, che di adozioni internazionali ci occupiamo da quindici anni (an­che se siamo stati «da poco riconosciuti», come ha avuto l'amabilità di riferire), risulta che la re­lazione può essere rilasciata su carta intestata da qualsiasi assistente sociale, dipendente da qual­siasi servizio, anche privato. E questo permette, soprattutto a coppie che non abbiano i requisiti previsti dalla legge sull'adozione speciale o che non siano state ritenute idonee dal Tribunale per i minorenni, di procurarsi ugualmente il «pezzo di carta» voluto dalla magistratura del Paese d'origine del bambino. L'indagine conoscitiva «tendente ad accertare la moralità dei coniugi, la loro idoneità e la loro condizione economica» si riduce quindi a una pratica burocratica, cioè ad una presa d'atto di un certo numero di documenti il cui valore o significato non è sempre probante.

Ma c'è poi l'esame finestra. Infatti, aggiunge di rincalzo il dottor Fulciniti, gli aspiranti genitori adottivi debbono recarsi a San Salvador e restarvi una quindicina di giorni. Durante il soggiorno ri­cevono in albergo visite di operatori sociali e funzionari del Centro adozioni governativo, inca­ricati di «accertare le eventuali difficoltà di adat­tamento del minore alla nuova famiglia». Il dot­tor Fulciniti non dice che, per questo singolare collaudo, basta anche mezza coppia, cioè o lui o lei. In questo caso lui. Una simile procedura per la verifica dell'inserimento del bambino può rite­nersi davvero adeguata ad un innesto così delica­to? Certo l'autorità salvadoregna fa, dal canto suo, tutto quello che può, tenendo conto che fra l'adottando e l'adottante ci sono in mezzo migliaia di chilometri. Quindi nulla da eccepire su quan­to viene fatto e disposto sul versante del Paese d'origine del minore. Ma tutto ciò a nostro modo di vedere, dovrebbe costituire un controllo aggiuntivo a quello che, in prima istanza, compete al giudice del Paese d'origine degli adottanti. È nel nostro contesto sociale e culturale che il mi­nore dovrà inserirsi ed è perciò qui che deve es­sere valutata la maturità della coppia ed è questo Tribunale per i minorenni che deve concedere le opportune autorizzazioni.

Come si può seriamente pensare di trarre un giudizio attendibile, un convincimento fondato sul buon adattamento del bambino alla nuova fami­glia, quando questa è osservata fuori dal proprio ambiente familiare e sociale (all'estero e in un albergo!) per una quindicina di giorni? L'inseri­mento di un minore nel nuovo nucleo non avviene certamente in due settimane e, molte volte, nep­pure un rifiuto può emergere in così poco tempo.

A fondare tutti i nostri dubbi basterebbe il cla­moroso e drammatico caso del piccolo Milton e del fratellino Hugo, i due ecuadoriani adottati da coniugi di Torino ora privati della patria potestà e imputati di pesanti reati. Anche Milton e Hugo furono adottati nel pieno rispetto delle procedure stabilite dalla magistratura del loro Paese d'ori­gine ma, e se ne sono viste le conseguenze, con scavalcamento del Tribunale per i minorenni ita­liano e successiva sanatoria del «fatto compiu­to» mediante ricorso alla delibazione del provve­dimento ecuadoriano, con effetti di adozione spe­ciale, in Corte d'appello. E se la vicenda del pic­colo Milton può essere considerata un caso-limite che, secondo il dottor Fulciniti, non consente di «fare di ogni erba un fascio», non bisogna sotto­valutare il contraccolpo derivato da questo come da altri casi agli organismi e agli enti impegnati, come il nostro, in un lavoro compiuto con prassi rigorosa. Dopo lo scandalo e l'amara storia di Milton, le adozioni internazionali dall'Ecuador con l'Italia sono state interrotte, da allora è calata la saracinesca. Questo vuol dire che anche il desti­no di un imprecisato numero di bambini in condi­zioni di abbandono è improvvisamente mutato. Perciò, quando il dottor Fulciniti scrive che «il CIAI non deve esultare per il fatto che la Corte d'appello di Torino abbia sospeso il processo di delibazione del provvedimento giurisdizionale di adozione emanato all'estero», dimostra di non aver presente il problema nelle sue reali dimen­sioni e in tutte le sue serie implicazioni (o di voler scacciare un oscuro senso di colpa). Dal canto nostro, piaccia o no al nostro polemico in­terlocutore, siamo lieti di quanto ci ha scritto il dottor Rodolfo Venditti, giudice minorile di Tori­no, per informarci che «da un anno tutte le do­mande di delibazione di adozioni internazionali di minori, sia con effetti di adozione speciale sia con effetti di adozione ordinaria, sono bloccate; e il blocco è avvenuto sollevando questioni di le­gittimità costituzionale, il che ha come conse­guenza la sospensione delle procedure in corso... Pienamente in linea con la buona battaglia del CIAI, auguro successo ed efficacia all'impegno assunto da codesto ente».

In sostanza riteniamo che sia specifica respon­sabilità del Paese d'origine del minore offrire il massimo di garanzia sulle condizioni di reale ab­bandono dell'adottando, mentre sia specifica re­sponsabilità della magistratura competente (leg­gi: Tribunale per i minorenni) del Paese di desti­nazione del minore offrire il massimo di requisiti formali (di legge) e sostanziali (capacità affettive ed educative, nonché corrette motivazioni) dei coniugi adottandi. Del resto ci pare che proprio tenendo conto dei differenti e prevalenti obblighi sui due versanti la Commissione giustizia del Senato abbia elaborato e approvato la regolamen­tazione dell'adozione internazionale, inclusa nell'organico disegno di legge cui abbiamo fatto cenno all'inizio.

In attesa che questo disegno di legge venga ora migliorato e approvato dalla Camera per tornare al Senato, dove gli sarà conferito il definitivo si­gillo, è opportuno chiarire qui la responsabilità dei Tribunali per i minorenni, alcuni dei quali ri­fiutano di prendere in esame qualsiasi domanda di adozione internazionale, come quello di Bologna che è su retrive posizioni, mentre altri, come quello di Roma, distinguono: sì alle adozioni di bambini indiani e no alle adozioni di bambini sal­vadoregni. Perché? Il dottor Fulciniti, che fre­quenta da mattina a sera il tempio della giustizia, avrebbe dovuto dirla tutta, anche se si capisce il suo timore, quello del pesce piccolo che non vuole essere ingoiato dal pesce più grosso.

Per un pregiudizio di ordine ideologico o poli­tico, comunque con un'arbitraria valutazione, il presidente del Tribunale per i minorenni di Roma mostra di non avere per la magistratura di certi Paesi il medesimo rispetto che ha per quella del suo. Ma la illecita discriminazione fra magistra­ture e fra bambini non risolve alcun problema, semmai l'aggrava. Il presidente del Tribunale per i minorenni della Capitale può anche dir di no all'adozione di un bambino del Salvador, ma il dottor Fulciniti, segretario del Tribunale civile e penale di Roma, va a procurarselo per conto proprio.

 

 

(1) Può essere richiesto al CIAI, via Besana 1, Milano. La pubblicazione costa 6.000 lire.

 

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