Prospettive assistenziali, n. 60, ottobre - dicembre 1982
RIFORMA
DELL'ASSISTENZA E IPAB: QUALCOSA SI MUOVE
È illusorio pensare che possa essere varata una buona
legge di riforma dell'assistenza, nonostante il lungo
periodo di «gestazione» delle norme che dovranno dare, per la prima volta dall'unità
di Italia, un assetto organico della materia, se le forze più vive del paese
non esercitano una forte pressione su partiti e Parlamento. Anzi, se non si
apre un dibattito chiaro e serrato che metta a confronto le diverse posizioni
oggi esistenti, probabilmente il disegno di riforma è destinato a restare
lettera morta per molto tempo.
Occorre, quindi, che quanti (cittadini, forze sindacali
e sociali, amministratori, ...) sono veramente interessati
alla difesa della fascia più debole e meno tutelata di cittadini, intraprendano
iniziative capillari di informazione della opinione pubblica sulle condizioni di
vita di migliaia e migliaia di italiani e premano sia per rimuovere le cause
politiche, economiche, sociali che provocano la richiesta di assistenza, sia
per ottenere da Parlamento, Regioni, Enti locali un diverso e migliore assetto
dei servizi.
Sui problemi aperti dalla mancata riforma dell'assistenza
e sui rischi di grave involuzione del settore in base alla legge ora all'esame
del Parlamento, «Prospettive
assistenziali» è intervenuta ripetutamente.
Un'opera di informazione e di elaborazione di proposte
alternative (1), non certo facile, ma che sta dando i suoi primi frutti. Negli
ultimi mesi, si deve constatare positivamente che
l'azione della rivista, dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale
(ULCES) e di altri gruppi ha consentito di aprire nel paese un dibattito su
questo tema e certamente ha favorito alcune prese di posizione da parte
sindacale e politica.
Il convegno di Milano sulla riforma
Promosso dall'ULCES e dalla rivista «Prospettive assistenziali»,
si è tenuto a Milano il 29 e 30 ottobre 1982 il convegno sul tema: «La legge quadro di riforma
dell'assistenza in Parlamento: che cosa cambierà per gli amministratori, gli
utenti, gli operatori».
Due giornate di lavoro che hanno visto una grande
partecipazione, sia come numero di presenze (oltre 1000 persone provenienti da
tutta Italia, 940 schede compilate), sia per la quantità degli interventi. Un
importante momento di informazione e di confronto (2).
Sino a qualche mese fa, la riforma dell'assistenza
rischiava di diventare legge secondo il testo discusso dalle Commissioni
riunite Affari costituzionali e interni e peggiorato da alcuni emendamenti
presentati dalla DC. Ma, soprattutto, c'era il pericolo di arrivare al varo
della riforma senza informazione alcuna alla gente,
agli operatori, alle associazioni che da anni operano in questo campo.
Il convegno di Milano è stato organizzato per effettuare una analisi approfondita e qualificata del testo
di legge-quadro attualmente all'esame del Parlamento e per offrire la
possibilità di avanzare proposte migliorative a parlamentari, amministratori,
sindacati, operatori, associazioni e movimenti di base.
Per questo, alla prima tavola rotonda
(«I principi legislativi della
legge-quadro di riforma dell'assistenza»), sono stati chiamati a
pronunciarsi i deputati che più da vicino seguono l'iter della legge:
l'onorevole Maria Magnani Noya,
PSI, Sottosegretario alla Sanità (3); l'onorevole Ernesta Belussi,
DC; l'onorevole Adriana Lodi, PCI e l'onorevole Franco Bassanini,
della sinistra indipendente.
In apertura del dibattito, Francesco Santanera, presidente dell'ULCES, ha riassunto i nodi
aperti della riforma dell'assistenza:
- l'attuale orientamento alla privatizzazione di una
massiccia quota delle oltre novemila IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) operanti nel nostro paese
(privatizzazione che comprende anche 35 mila addetti e 20 mila miliardi di
patrimoni, sottraendo di fatto risorse umane e finanziarie ai Comuni per la
realizzazione di servizi alternativi al ricovero);
- l'indeterminatezza degli organi di governo: essi
possono essere, nella stessa unità locale, l'associazione dei Comuni o i Comuni singoli;
- i compiti attribuiti alle Province;
- l'assoluta assenza di norme riguardanti
il personale;
- gli spazi riservati all'assistenza privata;
- la definizione del tutto generica del volontariato
svolto da gruppi e da associazioni, senza prendere in
considerazione l'apporto del volontariato di singoli cittadini e di nuclei
familiari;
- l'insufficienza dello stanziamento aggiuntivo
previsto (200 miliardi complessivi per i primi tre anni di applicazione
della riforma, e cioè, in media, poco più di tre miliardi all'anno per
ciascuna Regione);
- l'inserimento degli asili nido fra i servizi assistenziali.
Animato il confronto tra i relatori, vivace il
dibattito che ne è seguito. Su un punto i partiti
sembrano concordare. Non si parla più di privatizzare le IPAB, come prevedono
invece gli emendamenti presentati in commissione dai DC
Vietti e Gui. Lo ha
confermato l'onorevole Belussi, democristiana; lo ha ribadito Laura Pellegrini per il PSI. Secondo i
rappresentanti delle forze politiche presenti al dibattito, le IPAB che - per
criteri da stabilire - non venissero trasferite ai
Comuni, resterebbero Istituzioni pubbliche
di assistenza e beneficenza e non diventerebbero enti morali con personalità
giuridica di diritto privato.
Più sfumata è rimasta ancora la posizione del PCI, il
quale sembrerebbe ancora disponibile a trovare una intesa
sulla base degli «accordi di Andreotti» del 1979 (fase
del cosiddetto «compromesso storico»), che tuttavia prevedevano un
arretramento rispetto al DPR 616/77 sulla questione delle IPAB, allargando in
modo non accettabile le maglie dei criteri di esclusione dal trasferimento ai
Comuni.
Nel corso del dibattito, questa posizione è stata criticata da Luigi Massa, segretario della sezione
piemontese della Lega per i poteri e le
autonomie locali. « Non vorrei - ha detto Massa - che il PCI si trovasse
isolato sulla difesa dell'accordo Andreotti».
Altri quattro argomenti hanno
costituito oggetto del convegno milanese: il ruolo di Regioni, Enti locali,
sindacati, associazioni, movimenti di base di fronte alla riforma
dell'assistenza; il rapporto tra assistenza pubblica e privata; l'organizzazione
dei servizi socio-assistenziali e l'integrazione degli interventi; i rapporti
tra enti locali e magistratura minorile.
Sul primo tema, sono intervenuti: Anselmo Boldrin, assessore dell'assistenza della Regione Veneto; Diego Novelli, sindaco di Torino; Attilio Schemmari, assessore all'assistenza del Comune di Milano e
Aldo Romagnolli, della segreteria provinciale CISL di
Torino.
Animata e di particolare interesse
per tutti i partecipanti, la tavola rotonda sul tema «Rapporti fra
il settore assistenziale pubblico e il settore
privato; ruolo della cooperazione e del volontariato». Moderati da Mario
Tortello, segretario nazionale dell'ULCES, hanno preso la
parola Faustino Boioli, assessore ai servizi sociali della Provincia di
Milano, Aurelia Florea,
della Lega nazionale delle Cooperative, Giovanni Nervo, vicepresidente
nazionale della Caritas italiana; Emanuele
Ranci Ortigosa, della rivista Prospettive sociali e sanitarie.
Carlo Trevisan, esperto di
programmazione sociale della Direzione generale dei
servizi civili del Ministero dell'interno e Franco Vernò,
responsabile della programmazione socio-assistenziale dell'USSL 67 della
Lombardia - moderati da Guido Cattabeni,
vice-presidente nazionale dell'ULCES - hanno parlato
su «Organizzazione dei servizi
socio-assistenziali; rapporti con la sanità e con i settori preposti allo
sviluppo sociale».
Infine, seguitissimo è stato l'intervento di Carlo Alfredo
Moro, magistrato, già presidente del tribunale per i minorenni di Milano, che
ha sviluppato il tema dei «Rapporti fra
enti locali e l'autorità giudiziaria minorile».
Al termine del convegno è stata presentata ed
approvata la mozione che riportiamo integralmente.
La mozione conclusiva del convegno (4)
I partecipanti al Convegno nazionale «La legge di riforma
dell'assistenza in Parlamento:
che cosa cambierà per gli amministratori, gli utenti, gli operatori», svoltosi
a Milano il 29-30 ottobre 1982;
preso atto
che la proposta di legge di riforma dell'assistenza,
nel testo attualmente all'esame della Camera dei Deputati, presenta notevoli
inadeguatezze ed incongruenze rispetto ai reali bisogni emergenti e non tiene
conto delle sperimentazioni in atto;
tenuto conto
che la proposta in oggetto si è arenata in Parlamento
di fronte alla questione delle IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza, che rappresentano la parte più consistente degli enti pubblici
gestori di attività assistenziali;
ritengono
inaccettabile che in un periodo di così grave crisi economica si
proponga la privatizzazione di gran parte delle IPAB, dei relativi patrimoni e
del personale addetto.
Considerato il carattere pubblico delle IPAB, viste
le disponibilità dei rappresentanti della DC (On. Ernesta Belussi),
del PCI (On. Adriana Lodi) e del PSI (Laura
Pellegrini) a rivedere i criteri per il passaggio delle IPAB ai Comuni, i
partecipanti chiedono che il Parlamento definisca tempi e modi per detto
trasferimento, escludendo - se del caso - le IPAB che svolgono attività di
culto. Ciò deve essere realizzato in tempi molto stretti al fine di dare ai
Comuni singoli e associati gli strumenti necessari per la realizzazione di servizi socio-assistenziali alternativi al ricovero.
I partecipanti richiedono inoltre che la legge di
riforma dell'assistenza preveda l'integrazione dei
servizi sanitari, socio-assistenziali e sociali in genere. A tal fine l'organo
locale di governo dei servizi suddetti deve essere quello attualmente
preposto alla gestione dei servizi sanitari. Inoltre
dovrà essere riconosciuta la funzione del coordinatore dei servizi
socio-assistenziali, analogamente a quanto avviene per i coordinatori dei servizi
sanitari.
Al fine di evitare ogni forma di emarginazione,
le prestazioni economiche non dovranno essere sostitutive dei servizi necessari
per favorire l'autonomia e l'inserimento sociale dei singoli e dei nuclei
familiari.
Per quanto riguarda il problema del personale, è
emersa la necessità che la legge di riforma definisca contenuti e competenze
della formazione di base e permanente degli operatori
addetti ai servizi socio-assistenziali e preveda il riconoscimento dei titoli
non ancora ufficiali (ad es. assistenti sociali ed educatori).
Inoltre è ritenuto assolutamente indispensabile che
il personale dei servizi socio-assistenziali abbia lo
stesso inquadramento, la stessa posizione contrattuale e la stessa
collocazione lavorativa del personale sanitario.
Il volontariato deve comprendere anche l'intervento
di singoli cittadini e di nuclei familiari, oltre che di gruppi e
organizzazioni. Il volontariato deve essere fondato
sulla disponibilità personale di chi intende svolgere questa attività e sulla
gratuità delle prestazioni. Potranno essere rimborsate le spese vive, purché
preventivamente concordate ed in seguito documentate.
Un documento alle Commissioni riunite
A latere del convegno
milanese, va ancora sottolineato che gli assistenti sociali del Centro di
servizio sociale per adulti di Pescara (Ministero di Grazia e Giustizia) hanno
presentato un documento ai membri delle Commissioni Affari costituzionali e
interni della Camera dei deputati, che rappresenta un
nuovo importante contributo di osservazioni critiche al testo di riforma dell'assistenza.
Ecco il testo:
«Gli
operatori del Centro di Servizio Sociale per adulti del
Ministero di Grazia e Giustizia - sede di Pescara - hanno preso conoscenza del
testo di riforma dell'assistenza, in esame da parte delle Commissioni riunite
Affari interni e Affari costituzionali della Camera dei deputati. Detto testo
di legge, prevede, tra l'altro, la privatizzazione delle IPAB. In proposito
devesi rilevare quanto segue.
In linea
teorica e giuridica tale orientamento è contraddittorio con la legge 382/75 ed
il DPR 616/77 che intendevano, invece, trasferire i patrimoni IPAB ai Comuni,
onde si rendessero possibili servizi alternativi al
ricovero.
D'altra
parte, tutte le più aggiornate e qualificate correnti della psicologia,
sociologia e pedagogia, da tempo vanno sostenendo, con numerosa messe di testi
scientifici e pubblicazioni, i gravissimi danni, a volte irreversibili,
rivenienti ad ogni creatura umana da una protratta
istituzionalizzazione. Ed appunto a questi criteri
sono improntati î principi delle norme predette. L'osservanza delle stesse
avrebbe consentito concretamente di passare da prestazioni tradizionali (affidamento
a strutture segreganti) e aderenti a modelli e schemi culturali che dovrebbero
essere superati perché gravemente pregiudizievoli per 1'integrità psico-fisica
dei soggetti, ad interventi rispettosi dei diritti di ogni
persona, primo, fra tutti, quello di non sentire frustrati i bisogni affettivi,
il bisogno di appartenenza, condizione indispensabile per la sicurezza e l'autoaffermazione
di sé.
L'esperienza
professionale degli operatori sociali conferma
quotidianamente che l'istituzionalizzazione è tra le cause del disadattamento
e della devianza, la più responsabile e la più ricorrente.
Quali,
quindi, le ragioni che sollecitano un ritorno al passato, invece che
accelerare il processo di cambiamento auspicato e già
faticosamente raggiunto, sia a livello di pensiero sia di dettato
legislativo?
La riforma
dell'assistenza dovrebbe prevedere come cardine, che, a nessun titolo, può
essere privilegiata o comunque, favorita l'istituzione
di servizi emarginanti.
La privatizzazione delle IPAB, invece, significherebbe conservare la
pratica del ricovero e rendere più difficile la realizzazione di una diversa
assistenza, intesa soprattutto alla prevenzione del bisogno.
Gli
operatori del Centro di Servizio Sociale per adulti del Ministero di Grazia e
Giustizia - sede di Pescara - per le ragioni sopra esposte, ritengono doveroso
far pervenire il presente documento con il quale, in
conclusione:
1) esprimono
che punto nodale della riforma dell'assistenza deve essere il trasferimento ai
Comuni, singoli o associati, delle funzioni, del personale, delle strutture e delle
attrezzature delle IPAB, i cui patrimoni potrebbero
essere convertiti per l'istituzione di servizi alternativi;
2) confidano
in un attento approfondimento da parte dei parlamentari dei problemi sopra enunciati
ed in un esame a fondo del progetto in questione».
Una nota del sindacato
Dei problemi relativi al
personale degli enti assistenziali, compreso quello operante nelle IPAB, e di
quelli, più generali, inerenti la riorganizzazione dei servizi, devono farsi
carico non solo i sindacati di settore (enti locali, ospedalieri, ecc.), ma
tutto il movimento sindacale nel suo complesso.
È con interesse che va esaminata, quindi, la nota
della Federazione unitaria CGIL, CISL, UIL inviata - nel luglio 1982 - al
Presidente del Consiglio, ai Ministri della sanità e dell'interno, ai
Presidenti dei gruppi parlamentari della Camera e alle Commissioni I e II di Montecitorio, che riportiamo integralmente:
«La
Federazione unitaria ha più volte espresso il proprio parere sul disegno di
legge quadro sulla riforma dell'assistenza sociale.
Ricordiamo,
in particolare, le osservazioni formulate dalle Commissioni riunite 1ª e 2ª
della Camera e ai Gruppi parlamentari della Camera dei deputati
DC-PCI-PSI-PSDI-PRI in data 23.1. 1979, quando i lavori in Commissione procedevano speditamente e gli accordi politici raggiunti
nel Comitato ristretto lasciavano ben sperare in una rapida approvazione del
disegno di legge.
Purtroppo
oggi bisogna registrare un notevole dissenso tra le forze politiche sulle
questioni di fondo del disegno di legge, che fanno
temere ancora una volta un accantonamento del provvedimento. Il movimento
sindacale esprime viva preoccupazione per tale
evenienza e ritiene in conseguenza necessario dare un suo contributo, di
approfondimento e di chiarimento, anche al fine di sbloccare la situazione di
stallo politico che si è determinata.
La riforma
dell'assistenza, per la Federazione unitaria va inquadrata nel contesto più ampio della sicurezza sociale: essa ne è un
anello, al pari della riforma sanitaria e della riforma delle pensioni.
Riconfermando
le motivazioni di fondo che debbono sostenere la
legge quadro sull'assistenza (la realizzazione di un sistema decentrato di assistenza
sociale; la logica della programmazione dei servizi sociali; il superamento
dell'assistenza per categorie e di logiche emarginanti nell'organizzazione
della risposta ai bisogni sociali; il riconoscimento dell'assistenza come
diritto soggettivo del cittadino; il riconoscimento della prevenzione come
momento prioritario per una efficace tutela assistenziale; il proposito di
privilegiare con appositi finanziamenti le regioni meridionali), la
Federazione unitaria valuta positivamente il fatto che l'articolato
attualmente in discussione alla Camera abbia recepito alcune richieste del
movimento sindacale, quali quella di affidare in via transitoria il vertice di
gestione dell'assistenza al Ministero della Sanità (fermo restando per il
sindacato la prospettiva del Ministero della Sicurezza Sociale); nonché
l'unificazione del servizio socio-sanitario a tutti i livelli (Consiglio
nazionale della sanità e dei servizi sociali, Unità socio-sanitarie locali).
Per le altre
questioni affrontate dalla legge quadro la Federazione CGIL, CISL, UIL esprime
le seguenti osservazioni:
- non è
definito chiaramente l'oggetto della legge, ossia cosa sono e che cosa si intende per servizi sociali. Pare impropria e riduttiva
la dizione dell'art. 3 bis "servizi socio-assistenziali (peraltro senza ulteriori specificazioni sulla natura dei servizi medesimi)
quando nell'intero articolato si parla più correttamente di servizi sociali;
- per quanto
concerne le prestazioni economiche ordinarie a carico dello Stato, il movimento
sindacale ritiene opportuno che l'erogazione sia affidata all'INPS. È di
difficile interpretazione il significato da dare alle prestazioni a carattere
continuativo inserite nelle prestazioni economiche
straordinarie erogate dai Comuni. Andrebbe comunque
precisato che continuativo è diverso dal carattere permanente, le cui
prestazioni sarebbero allora di attribuzione statale;
- riguardo
alla composizione del Consiglio nazionale della sanità e dei servizi sociali,
si verificano alcune mancanze (Istituto superiore di sanità,
Ministero protezione civile), alcune presenze ingiustificate (elenco
lunghissimo di Ministeri), alcune rappresentanze eccessive come numero (quali
le istituzioni private ed i designati del CNEL);
- sembra
eccessivamente lungo il periodo di due anni concesso per la unificazione
degli organi di governo e di gestione dei servizi sociali e di quelli
sanitari. Inoltre si ritiene ingiustificata l'attribuzione di competenza dei
servizi a livelli diversi: Comuni e Unità socio-sanitarie locali;
- per quanto
concerne i servizi gestiti da privati, la formulazione dell'articolato
sembrerebbe predeterminare, con atto regionale, i comportamenti
degli enti locali nei confronti degli enti privati, mentre la decisione delle
convenzioni dovrebbe essere lasciata all'autonomia degli enti locali;
- il
movimento sindacale non è contrario a forme di promozione di
solidarietà nel tessuto sociale. Riguardo al volontariato, deve essere,
tuttavia, fatta chiarezza, per l'esistenza di prefigurazioni giuridiche
diverse. La nostra convinzione è che non bisogna fare confusione tra volontariato derivante dall'attivismo e dall'iniziativa di
singole persone, famiglie e associazioni di utenza con l'attività svolta da
altre istituzioni private;
- per le
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
(IPAB) il sindacato ritiene indiscutibile il loro carattere pubblico
confermato dalla sentenza della Corte costituzionale. Comunque
il sindacato non esprime una posizione pregiudizialmente negativa sulla
opportunità che per talune istituzioni si prevedano forme e criteri per una
diversa, motivata, collocazione giuridica.
In ogni
caso: a) tale operazione deve essere rigorosamente circoscritta al fine di
evitare la generale privatizzazione delle IPAB; b) va tutelato in ogni caso il
personale dipendente dal punto di vista economico e
giuridica; c) si dovrebbero prevedere misure a tutela del patrimonio di
proprietà delle IPAB soggette a modifica della figura giuridica;
- per il
finanziamento, sembra veramente irrisoria la quota aggiuntiva triennale
prevista in duecento miliardi, specie se confrontata ai bilanci della
previdenza e della sanità.
In sintesi,
la Federazione unitaria, nel richiamare l'attenzione dei gruppi parlamentari
sull'intero articolato, reputa che pregiudizialmente siano
chiarite: la definizione dei servizi sociali regolati dalla legge; i livelli
di gestione di detti servizi omogeneo a quello dei servizi sanitari; il
des-tino delle IPAB in modo da assicurare agli enti locali le indispensabili
risorse per l'organizzazione dei servizi; una normativa specifica e adeguata
per la tutela del personale.
Nella unificazione dei servizi socio-sanitari bisogna
prevedere per il personale ruoli organici e
posizioni
contrattuali corrispondenti a quelli del personale sanitario. Sarebbe
ingiustificato, infatti, che figure professionali similari si ritrovassero con
posizioni contrattuali diverse».
Il PSI: no
alla privatizzazione delle IPAB
Sulla autorevole rivista «Potere locale», Laura Pellegrini e
l'On. Mario Raffaelli (PSI) hanno preso recentemente
posizione in merito ai problemi aperti dalla riforma dell'assistenza ed, in
particolare, al nodo delle IPAB (5).
Dopo aver tracciato una breve cronistoria delle
vicende che hanno portato sistematicamente al mancato varo della riforma e
ricordato che «il testo dell'accordo Andreotti, concordato tra le forze politiche, non venne mai tradotto in legge, ufficialmente per lo
scioglimento anticipato delle Camere, in realtà perché mancava la volontà
politica da parte della DC di accettare quella ipotesi di mediazione,
considerata troppo lesiva dei propri interessi elettorali e clientelari»,
gli autori si soffermano sulla futura collocazione delle IPAB.
«Va
ripensata - sostengono - tutta la questione relativa alla
privatizzazione delle IPAB che non venissero
trasferite all'ente locale, in quanto tale previsione poteva essere la logica
conclusione di un processo che trasferisce tutto o quasi ai Comuni. Alla luce
di quanto avvenuto (6), è estremamente pericoloso, anche se passasse la linea
dell'accordo Andreotti, ipotizzare una
privatizzazione tout-court. In questa fase, poiché la
legge del 1890 non potrebbe in ogni caso essere abrogata, in quanto le scuole
materne rimarrebbero comunque IPAB, sarebbe molto più opportuno mantenere come
IPAB anche le altre istituzioni che non venissero trasferite agli enti locali
L'ipotesi della privatizzazione infatti era basata sul fatto che sparisse
completamente la figura giuridica dell'IPAB. Mantenendosi essa, non vi è ragione
di privatizzare alcunché».
(1) Cfr. anche, M. Tortello, F. Santanera, L'assistenza
espropriata. I tentativi di salvataggio delle IPAB e la riforma
dell'assistenza, Nuova Guaraldi
Editrice, Firenze, 1982, pp. 237.
(2) Gli atti del convegno sono in corso
di pubblicazione.
(3) In sostituzione dell'onorevole Maria Magnani Noya,
impossibilitata a presenziare per inderogabili impegni di governo, è
intervenuta Laura Pellegrini.
(4) La mozione, presentata dalla Lega
nazionale per il diritto al lavoro degli handicappati, è stata letta alle ore
11 del 30 ottobre, quindi distribuita a tutti i partecipanti alle ore 12. Quasi all'unanimità, alle ore 15, i partecipanti hanno approvato la
messa ai voti della mozione. L'hanno poi approvata con circa 400 voti
favorevoli, 8 contrari e nessun astenuto.
(5) Cfr. L. Pellegrini, M. Raffaelli, Riforma dell'assistenza:
realtà o utopia?, in «Potere locale», settembre 1982, pp. 66 e seguenti.
(6) Gli emendamenti presentati dalla DC
in commissione. Cfr. Prospettive assistenziali, n. 57, gennaio-marzo
1982, pp. 1 e segg.
www.fondazionepromozionesociale.it