Prospettive assistenziali, n. 61, gennaio - marzo 1983

 

 

IL GOVERNO NEGA AGLI INVALIDI IL DIRITTO AL LAVORO

 

 

L'esigenza era (ed è) quella di giungere ad una moralizzazione del settore «invalidità», sia per quanto riguarda il collocamento obbligatorio al lavoro, sia per le pensioni e gli assegni. Invece, il governo ha eliminato di fatto - attraverso un de­creto-legge (1) - gli handicappati dalla vita pro­duttiva del paese. «Un cinismo ed una determina­zione, che difficilmente si sono verificati nell'am­bito della legislazione sociale», osserva Gianni Selleri, presidente dell'ANIEP (Associazione na­zionale tra invalidi per esiti di poliomielite e altri invalidi civili).

Il provvedimento - contro il quale gli handi­cappati si sono immediatamente mobilitati: ma­nifestazioni di protesta hanno avuto luogo in mol­te città italiane - è inserito in uno dei decreti che dovrebbero dare attuazione all'accordo rag­giunto nel gennaio '83, su proposta del ministro Scotti, tra Sindacati e Confindustria sui problemi del «costo del lavoro», dei rinnovi contrattuali e della manovra economica governativa.

 

Il decreto-legge e gli invalidi

 

Sotto il titolo generale del decreto-legge nu­mero 17/83 («Misure per il contenimento del co­sto del lavoro e per favorire l'occupazione») e sotto quello più specifico dell'art. 9 («Norme ur­genti in materia di assunzioni obbligatorie»), si introducono norme che - di fatto - comportano una nuova disoccupazione tra i lavoratori handi­cappati e bloccano la legge vigente sul colloca­mento al lavoro degli invalidi (2). C'è di più: l'ul­timo comma dell'art. 9 prevede esplicitamente che le aziende in crisi possano licenziare gli han­dicappati già assunti (3).

Ecco il testo integrale dell'art. 9.

«Fino alla riforma della disciplina delle assun­zioni obbligatorie, gli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione, prima di procede­re all'avviamento al lavoro dei soggetti beneficiari della legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modificazioni, seguendo l'ordine di graduatoria, provvedono, avuto riguardo alla natura ed al gra­do di invalidità, a far sottoporre a visita medica, da parte dell'autorità sanitaria competente, i sog­getti stessi per controllare la permanenza, il gra­do e le caratteristiche dello stato invalidante. Co­loro che non si sottopongono a visita medica sono cancellati dagli elenchi di cui all'articolo 19 della legge 2 aprile 1968, n. 482.

«I lavoratori assunti tramite il collocamento ordinario e che siano riconosciuti invalidi per qualsiasi causa in corso di rapporto di lavoro sono considerati, ai fini della copertura della per­centuale di obbligo complessiva di cui all'artico­l0 11, primo comma, della legge 2 aprile 1968, n. 482, sempreché la invalidità sia del grado ri­chiesto da quest'ultima legge.

«Non si applica la disposizione di cui all'arti­colo 9, ultimo comma, della legge 2 aprile 1968, n. 482.

«Gli obblighi di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, sono sospesi nei confronti delle imprese impegnate in processi di ristrutturazione, conver­sione e riorganizzazione produttive, o comunque in crisi, o soggette ad amministrazione straordi­naria, per la durata dei relativi processi debita­mente riconosciuti e, ove siano in atto interventi della Cassa integrazione guadagni, per la durata della corresponsione dei relativi trattamenti».

 

Conseguenze preoccupanti

 

Vediamone, in dettaglio, le conseguenze, esa­minando l'articolo nei singoli commi.

Il primo comma stabilisce che gli invalidi, dopo anni di attesa per ottenere il riconoscimento del­la Commissione medica e poi altri anni per ma­turare il diritto all'avviamento al lavoro, devono sottoporsi - prima di essere assunti - ad una nuova visita medica con le stesse modalità e gli stessi criteri di quella già fatta. La norma che, a prima vista, sembra finalizzata alla individua­zione dei falsi invalidi, pone in realtà ingiustifi­cate difficoltà all'inserimento lavorativo degli han­dicappati, bloccando le assunzioni obbligatorie per molto tempo (4).

Il secondo comma modifica radicalmente le nor­me vigenti, prevedendo che nella percentuale di lavoratori invalidi presenti in azienda siano con­teggiati anche quelli divenuti tali in fabbrica. Una innovazione che vanifica le lotte portate avanti in questi anni dalle associazioni di handicappati, dai movimenti di base, dalle organizzazioni sindacali. Una norma grave, perché può essere un incentivo per gli imprenditori meno sensibili a non mettere in atto le misure per prevenire gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali (5), oltre che favorire la creazione di falsi invalidi tramite rap­porti clientelari tra singoli lavoratori consenzienti e imprenditori.

Il terzo comma sopprime l'ultimo capoverso dell'art. 9 della legge 482/68 (6), impedendo che esaurita una categoria (ad esempio, quella degli invalidi di guerra), la quota di pertinenza per il collocamento obbligatorio al lavoro sia utilizzata a favore di altra categoria più numerosa (ad esem­pio, quella degli invalidi civili).

Una norma inaccettabile perché:

- mantiene l'oramai assurda suddivisione del­le categorie di invalidi, fondata sulla causa inva­lidante;

- premia gli imprenditori più retrivi che per anni hanno frapposto ostacoli pretestuosi per ne­gare lo «scorrimento» tra una categoria (in via di esaurimento) ed un'altra, impedendo il collo­camento di decine di migliaia di handicappati, so­prattutto invalidi civili;

- blocca di fatto per anni l'inserimento al la­voro degli invalidi civili. Solo utilizzando questo «scorrimento», in molte province, si riusciva ancora a fare avviamenti al lavoro per questa ca­tegoria.

Il quarto comma sospende nei confronti delle aziende in crisi gli obblighi previsti dalla legge 482/68. In presenza di cassa integrazione o di ristrutturazione gli imprenditori sono esonerati dalla assunzione di lavoratori handicappati e pos­sono licenziare anche quelli già in servizio (7).

 

Una «filosofia» inaccettabile

 

Sin qui, le nuove norme introdotte dal governo in materia di assunzioni obbligatorie. Ma, al di là delle gravi conseguenze che i provvedimenti - se approvati definitivamente dal Parlamento - possono avere sulla fascia più debole di popola­zione, occorre sottolineare e denunciare la peri­colosità della filosofia che sottende l'intero art. 9.

È inaccettabile l'impostazione secondo cui il problema del contenimento del costo del lavoro sia collegato alla presenza degli invalidi nelle aziende. Gli handicappati non sono la causa del dissesto e della crisi dell'imprenditoria privata. È, invece, risaputo che la stragrande maggioranza delle industrie private (e, purtroppo, anche di quelle pubbliche) non ha mai dato piena applica­zione alla legge sul collocamento obbligatorio. Pochi invalidi inseriti non costituiscono certo una «perdita» od un costo aggiuntivo; sono ben altri i fenomeni che danno corpo al cosiddetto assistenzialismo di Stato.

Inoltre, è da respingere l'asserzione che tutti gli invalidi hanno ridotte capacità lavorative. Le esperienze concrete dimostrano che molti lavora­tori handicappati, se correttamente inseriti, han­no un rendimento lavorativo pari e, a volte su­periore, a quello della media dei lavoratori non invalidi (l'osservazione, ovviamente, non è fatta con lo spirito di valutare cinicamente le persane in termini di produttività e di efficienza, ma con l'intento di smontare uno dei pregiudizi più dif­fusi).

Ma, quand'anche il rendimento fosse ridotto, è pur sempre vero - come sottolinea ancora Gian­ni Selleri - «che un handicappato disoccupato (e quindi mantenuto, in qualsiasi condizione, dal sistema assistenziale), costa quattro volte tanto perché non produce, non paga tasse, perché per­cepisce assegni e pensioni, perché richiede rette e maggiori servizi e prestazioni personali».

L'eventuale trattamento assistenziale deve es­sere riservato esclusivamente agli invalidi con condizioni personali di autonomia talmente limi­tate da rendere impossibile ogni forma di inse­rimento lavorativo.

Il decreto-legge, nella sua stesura originaria, sancisce nei fatti una grave ed incostituzionale discriminazione tra cittadini invalidi e cittadini non invalidi, negando ai primi il diritto al lavoro e privandoli delle loro possibilità di vita autono­ma. Mentre si pretende di superare la crisi eco­nomica emarginando i più deboli, si consente una ristrutturazione delle fabbriche che non tiene conto dei lavoratori handicappati.

 

Il ruolo del sindacato

 

«Se non c'è una spiegazione economica - in­siste Selleri - si tratta di una squallida vicenda di pregiudizi, di ignoranza, di psicologismo dete­riore: pur di facilitare il consenso e l'accordo de­gli industriali, si è deciso (forse neppure su loro formale richiesta) di togliere dal campo il fasti­dioso problema del collocamento degli handicap­pati, con tutte le beghe burocratiche che compor­ta per gli uffici del personale e per i rapporti in­terni delle aziende (...). Se ciò è stato possibile, non si può ritenere che la responsabilità stia da una parte sola: sono state svelate molte ipocri­sie, ma soprattutto risalta la non limpida coscien­za politica e sociale del movimento sindacale, perché nessun altro avrebbe potuto e dovuto di­fendere, sia al tavolo delle trattative, sia in linea di principio, i lavoratori handicappati ed il loro diritto all'occupazione».

Nell'ambito dell'accordo sul costo del lavoro, sotto il titolo «Assunzioni e mobilità», la Fede­razione sindacale Cgil-Cisl-Uil ha rilasciato pra­ticamente una cambiale in bianco al governo sul problema del collocamento obbligatorio (8). Inol­tre - fatto gravissimo - non hanno contestato una nota a verbale del Governo che riassume le disposizioni inserite nell'art. 9 del decreto-leg­ge n. 17/83 (9).

Le manifestazioni di protesta, promosse dagli handicappati in diverse città d'Italia dopo l'entra­ta in vigore del decreto-legge, hanno raccolto an­che l'adesione delle organizzazioni sindacali ter­ritoriali, che si sono schierate a favore della non approvazione dell'art. 9. Resta preoccupante, tut­tavia, la posizione iniziale assunta dai vertici na­zionali delle Confederazioni e la mancata difesa dei diritti dei più deboli.

 

Quando la riforma del collocamento?

 

L'introduzione dei «correttivi» alla disciplina sul collocamento obbligatorio - che abrogano formalmente e subdolamente la legge 482/1968, bloccandone l'intero dispositivo - è avvenuto proprio mentre il Parlamento stava per conclu­dere l'esame delle proposte di modifica delle nor­me del '68. Dopo tre legislature ed un vasto di­battito che ha interessato tutte le forze sociali e politiche del paese, la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha predisposto un testo di riforma della legge sulle assunzioni ob­bligatorie, resa indilazionabile dalla evoluzione culturale ed economica e dalla nostra apparte­nenza alla Comunità economica europea (10).

I punti più qualificanti contenuti nel testo di riforma sono:

- l'unificazione delle categorie, essendo as­surdo suddividere gli handicappati partendo dalla causa invalidante;

- una valutazione del diritto al collocamento obbligatorio che faccia perno sulle capacità la­vorative dell'handicappato;

- le varie forme di sostegno dirette a favorire gli inserimenti lavorativi in aziende pubbliche e private e presso cooperative;

- la previsione di sanzioni efficaci nei casi di violazione od omissione della legge (la richie­sta dei movimenti di base è quella di un adegua­mento dell'importo delle multe, oggi irrisorio, per le inadempienze meno gravi e di norme penali, arresto compreso, per le inadempienze più gravi);

- la non emarginazione degli handicappati in lavori dequalificati.

Da alcuni parti si è anche sottolineato che la quota del 15 per cento di invalidi da assumere è di gran lunga superiore alla percentuale di han­dicappati esistenti, per cui si propone una ragio­nevole riduzione della quota, nell'ambito della riforma del collocamento obbligatorio.

Una richiesta fondamentale per moralizzare la situazione esistente riguarda, inoltre, l'esigenza di rivedere tutte le dichiarazioni di invalidità già concesse per quanta è inerente il collocamento obbligatorio, le pensioni e gli assegni. La nor­mativa vigente - come si è già sottolineato - ha consentito abusi e applicazioni clientelari, fa­vorendo i «falsi invalidi». Basta un rapido cenno al rapporto pensioni di invalidità / pensioni di an­zianità e vecchiaia, secondo le diverse aree ter­ritoriali, per rendersi conto del distorto uso del­la legislazione in vigore (v. tabella 1).

Un'altra proposta da prendere in considerazio­ne riguarda la soppressione del congedo per cu­ra. Si tratta, per lo più, di un periodo di trenta giorni di vacanza concesso agli invalidi in aggiun­ta alle ferie. Se gli handicappati hanno bisogno di cure, di riabilitazione, di convalescenza, do­vranno evidentemente essere concesse le neces­sarie pause lavorative. Ma l'handicappato, come qualsiasi altro cittadino, non deve godere di pri­vilegi ingiustificati.

Ora, mentre il Parlamento è in grado di conclu­dere rapidamente il dibattito su una riforma ne­cessaria per consentire ai veri invalidi di usufrui­re dei propri diritti e per rendere possibile la mo­ralizzazione del settore, il governo sceglie la stra­da più viscida e deleteria. Anziché affrontare di petto e con il coraggio politico necessario i veri problemi, introduce alcuni «correttivi» che fini­scono col far pagare la crisi ai più deboli ed indifesi. Una politica miope, che potrà forse dare qualche soddisfazione immediata al padronato più retrivo, ma che finirà col ripercuotersi nega­tivamente - a breve scadenza - sulla vita so­ciale, economica e produttiva del paese.

Ferma restando la necessità che l'art. 9 non venga convertito in legge dal Parlamento, rimane comunque questa grave scelta del governo ad in­dicare un preoccupante ritardo culturale della classe dirigente a tutti i livelli (11).

 

Tabella 1 - Pensioni di invalidità in pagamento per 100 pensioni di vecchiaia (dati al 31 dicembre 1980)

 

REGIONI

Lavoratori

dipendenti

Coltiv. diretti

mezzadri

e coloni

Artigiani

Commercianti

TOTALE

Piemonte

52,5

230,8

182,1

97,3

77,2

Valle d'Aosta

134,1

320,1

607,6

140,5

173,7

Lombardia

39,7

117,7

99,3

53,5

46,0

Liguria

66,6

282,0

208,0

92,0

87,4

Trentino - Alto Adige

108,7

196,5

137,2

63,4

121,9

Veneto

57,2

127,1

139,0

64,7

74,2

Friuli -Venezia Giulia

95,5

253,5

212,1

97,6

118,6

Emilia-Romagna

80,8

211,5

182,8

87,3

101,5

Toscana

92,2

416,5

266,8

101,1

132,1

Umbria

247,8

1078,7

605,1

177,3

375,4

Marche

222,1

666,4

476,3

167,7

322,7

Lazio

138,9

826,1

464,0

157,8

187,5

Abruzzi

255,8

760,3

527,6

202,8

410,7

Molise

335,5

1213,7

835,2

303,8

623,5

Campania

243,5

875,7

609,5

219,6

330,9

Puglia

142,9

269,7

230,5

135,8

159,5

Basilicata

385,6

796,8

683,0

246,1

476,8

Calabria

301,0

508,9

408,2

235,3

332,6

Sicilia

258,9

545,4

498,0

172,1

299,8

Sardegna

276,8

643,1

673,7

242,2

335,8

ITALIA

97,8

335,4

280,4

116,2

130,7

 

Fonte: Elaborazione INPS

 

N.B. - Si noti la percentuale più bassa della Lombardia con 46 invalidi ogni cento pensionati di vecchiaia e la situazione del Molise: 623 invalidi ogni cento pensioni di vecchiaia!

 

 

 

(1) Cfr. Decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, «Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l'oc­cupazione», art. 9, in Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 1983, n. 28.

(2) Cfr. Legge 2 aprile 1968, n. 482, «Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche ammini­strazioni e le aziende private», in Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1968. La legge obbliga gli enti pubblici e le aziende private con più di 35 dipendenti ad assumere lavoratori ap­partenenti alle categorie indicate dall'art. 1, per una aliquo­ta complessiva del 15% del personale in servizio.

(3) Si noti che, a fronte di queste decisioni - le quali colpiscono in modo particolarmente grave gli invalidi civili (handicappati psichici, spastici, poliomielitici, ecc.), che rappresentano oggi l'80 per cento di tutti í portatori di handicaps - il decreto contiene, invece, importanti bene­fici per i lavoratori (maggiorazioni degli assegni familiari) e per gli imprenditori (fiscalizzazione degli oneri sociali).

(4) In Italia, sono oltre 400 mila gli iscritti nelle liste di collocamento obbligatorio. Le liste di attesa sono lunghissi­me, sia per le visite, sia per l'avviamento al lavoro. Ad esempio, in provincia di Torino sono iscritti all'ufficio di collocamento - a tutto il 1982 - 8011 invalidi civili; gli avviamenti al lavoro - sempre nel 1982 - sono stati 704. Con questi ritmi, quindi, un invalido civile deve attendere fino a 10 anni prima di trovare un posto. Se passa l'art. 9 del decreto n. 17/83, l'avviamento al lavoro diventa pratica­mente impossibile.

(5) La mancanza di prevenzione antinfortunistica e la cat­tiva organizzazione nelle fabbriche ha richiamato più volte in questi ultimi tempi l'intervento della magistratura. In Piemonte, ad esempio, gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali non sono diminuiti nonostante il forte calo della occupazione (cfr., anche la denuncia del Procuratore generale della Repubblica di Torino, Mario Bongioannini, contenuta nella relazione per l'inaugurazione dell'anno giu­diziario 1983 e riportata in questo numero).

(6) Questo il testo integrale dell'art. 9 della legge 482/1968:

«L'aliquota complessiva da riservarsi da parte delle aziende private e delle pubbliche amministrazioni di cui al primo comma dell'art. 1 per le assunzioni di cui alla presente legge, è ripartita fra le varie categorie di riser­vatari nelle misure seguenti:

- invalidi di guerra                                                                                    25%

- invalidi civili di guerra                                                                            10%

- invalidi per servizio                                                                               15%

- invalidi del lavoro                                                                                   15%

- orfani e vedove di guerra, per servizio e per lavoro                            15%

- invalidi civili                                                                                            15%

- sordomuti                                                                                                5%

«La percentuale riservata ai sordomuti si applica sol­tanto nei confronti delle aziende con oltre 100 dipendenti e delle pubbliche Amministrazioni con lo stesso numero di dipendenti; nel caso di aziende e pubbliche Amministra­zioni con un numero inferiore di dipendenti e dell'Ammini­strazione autonoma delle Ferrovie dello Stato, la percen­tuale riservata ai sordomuti è attribuita agli invalidi civili.

«In mancanza dei diretti beneficiari subentrano propor­zionalmente i riservatari delle altre categorie, secondo le valutazioni della commissione provinciale del collocamento obbligatorio».

(7) Occorre, invece prevedere che nei casi di ristruttu­razione sia almeno conservato il rapporto lavoratori invalidi e lavoratori non invalidi preesistente alla ristrutturazione stessa.

(8) Nell'accordo governo-sindacati-Confindustria è previ­sto - al punto 9 - quanto segue: «Il governo si impegna a sostenere in Parlamento la riforma della disciplina del mercato del lavoro, attraverso l'urgente approvazione del disegno di legge n. 1606 con gli opportuni emendamenti e a proporre l'adozione di provvedimenti atti a realizzare le misure essenziali per l'immediato. Tali misure dovranno consistere in (...) e) in attesa di un provvedimento organico di riforma della disciplina delle assunzioni obbligatorie, il governo proporrà in materia al Parlamento misure urgenti, per correggere con effetto immediato una serie di accertate difficoltà applicative».

(9) Dichiarazione sulle misure in materia di assunzioni obbligatorie. «Con riferimento al punto 9, lett. e), il gover­no adotterà le seguenti misure amministrative o legislative per la:

- sospensione dell'avviamento obbligatorio per le azien­de in stato di crisi e in ristrutturazione;

- computo, ai fini dell'aliquota d'obbligo, degli invalidi riconosciuti tali in corso di rapporto di lavoro;

- sospensione della possibilità di scorrimento;

- controllo, da parte degli istituti previdenziali ed assi­stenziali competenti, sulla permanenza e le caratteristiche dello stato invalidante all'atto dell'avviamento al lavoro».

(10) Annota il presidente dell'ANIEP, esperto dei proble­mi del collocamento obbligatorio e promotore di numerose iniziative per la riforma della legge 482/68: «La legisla­zione sull'inserimento al lavoro ha una antica tradizione nel nostro Paese; la prima legge riguardante i mutilati di guerra risale al 1921; nell'arco di 40 anni, e soprattutto dopo la promulgazione della Costituzione (in attuazione de­gli artt. 4 e 38), tutti gli invalidi, distinti per categorie giu­ridiche, ottennero, in tempi successivi e pur con diverse modalità, l'estensione del diritto al lavoro. Quindici anni fa si giunse infine ad una disciplina formalisticamente uni­taria (legge 2 aprile 1968, n. 482), secondo la quale le azien­de private e gli enti pubblici con più di 35 dipendenti devono assumere il 15°i° di invalidi (di guerra, di servizio, del lavoro, per cause civili, nonché orfani e vedove). Si tratta di una legge di pessima fattura tecnica, che ha avuto una applicazione clientelare e distorta favorendo soprattutto i "falsi invalidi" e operando come strumento di assorbimen­to della disoccupazione e della sottoccupazione. Una legge mediocre che ha tuttavia garantito il lavoro a decine di migliaia di cittadini, ma soprattutto ha sancito nell'ordina­namento giuridico (e ha tenuto vivo nella coscienza morale e sociale del Paese) il principio che anche i portatori di handicaps hanno diritto a partecipare alla vita attiva, e quindi hanno le possibilità di riscattarsi dall'assistenziali­smo, dalla povertà, dall'isolamento e dal disprezzo».

(11) Il decreto legge n. 17 ha ottenuto il «sì» della Ca­mera l'11 marzo 1983. Il governo ha posto la questione di fiducia sull'intero provvedimento. L'art. 9 è stato così modi­ficato:

- sono soppressi il primo, il secondo e il terzo comma;

- nel quarto comma sono soppresse le parole «o co­munque in crisi»; dopo la parola «straordinaria», sono ag­giunte le seguenti parole: «a norma del decreto legge 20 gennaio 1979, n. 26, convertito nella legge 3 aprile 1979, n. 95 o per le quali sia stata accertata dal Cipe la sussi­stenza di una delle cause di intervento straordinario a norma della legge 12 agosto 1977, n. 675, della legge 20 dicembre 1974, n. 684 e successive modificazioni e inte­grazioni, della legge 14 agosto 1982, n. 598 e della legge 14 agosto 1982, n. 599»;

- è stato aggiunto un quinto comma che prevede: «Ove le aziende di cui al comma precedente procedano al licenziamento collettivo di dipendenti, il numero degli invalidi soggetti alla disciplina del collocamento obbliga­torio, sottoposti ai procedimenti di licenziamento, non può essere superiore alle percentuali previste dalla legge 2 aprile 1968, n. 482».

 

 

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