Prospettive assistenziali, n. 61, gennaio - marzo 1983
Editoriale
IPAB E
RIFORMA DELL'ASSISTENZA: IPOCRISIA E POTERE
Non
pensavamo che il convegno di Milano «A che punto è la riforma dell'assistenza?» (1), promosso da Prospettive assistenziali e dalla
Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale (ULCES), suscitasse tanto interesse e riaprisse il dibattito nel paese
sulla legge che deve assicurare la futura riorganizzazione dei servizi socioassistenziali
e, tra l'altro, prevedere la definitiva collocazione delle IPAB (Istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza).
Ma
qui, più che parlare degli spazi aperti dal confronto tra le diverse posizioni,
delle adesioni alla linea dell'ULCES e degli altri movimenti di base che si
sono schierati a favore di una rapida approvazione della riforma (con le opportune
modifiche), ci preme sottolineare la reazione dell'UNEBA
(Unione nazionale istituzioni e iniziative ed assistenza sociale) a cui
aderiscono istituti privati e molte IPAB.
Ipocrisia
e disinformazione: questa, in sintesi, la linea seguita da Nuova Proposta,
organo ufficiale dell'UNEBA e da uomini di vertice dell'associazione, per
controbattere le tesi dell'ULCES e di gran parte dei relatori delle quattro tavole rotonde di Milano. Ciò che rammarica
in tanto impegno di «divulgazione» (2), è che sia stata
persa nei fatti l'occasione per un reale confronto; dove l'obiettivo non può
essere certo quello di una arida polemica intorno ai
patrimoni delle IPAB (pubblici sino dal 1890 e, per quanto riguarda le ex
Opere Pie, sino dalla «gran legge» del 1862), ma di un dialogo fruttuoso sul
tipo di interventi assistenziali da garantire alla fascia più debole di popolazione:
emarginazione o inserimento?
Ancora
una volta, nonostante alcuni segnali posîtivi
manifestati lo scorso anno (3), l'attenzione dell'UNEBA si riferisce
esclusivamente alle strutture, alla tutela dei patrimoni, al rispetto della
«volontà dei fondatori», al lievitamento dei costi
dei servizi e della spesa pubblica. Non c'è cenno ai problemi degli assistiti;
ai diritti ed ai bisogni veri di chi vive in prima persona, quotidianamente,
le conseguenze anche gravi degli squilibri sociali.
E, ancora una volta, si disinformano
i propri associati, i propri lettori, o attraverso plateali menzogne, o tacendo
sugli elementi portanti delle tesi altrui. Lo scopo sembra quello di mantenere
inalterato il proprio potere assistenziale, più che la
«tutela degli assistiti» attraverso il mantenimento dello status quo
giuridico.
Il rapporto
pubblico-privato
L'ULCES
ha ripetuto più volte, anche al convegno di Milano, che chiedere il
superamento delle IPAB non significa minare la libertà ed il pluralismo assistenziale, né compromettere l'intervento dei privati in
questo campo. Le IPAB sono istituzioni pubbliche a tutti gli effetti. Ad esse la legge di riforma si riferisce con specifici
articoli, che non riguardano l'assistenza privata, garantita dalla
Costituzione. Non confondiamo, dunque, due discorsi che, anche in Parlamento,
viaggiano separati
(4).
È
falso, dunque, far credere che il destino delle IPAB e della assistenza
privata (che l'UNEBA ancora identifica soltanto con l'intervento di ricovero
in istituto), siano una cosa sola.
L'ULCES
e Prospettive assistenziali cercano
da sempre di chiarire gli equivoci di fondo che alimentano le strumentalizzazioni
in campo assistenziale: la distinzione doverosa tra IPAB e istituti privati;
la esatta natura giuridica delle IPAB; la portata più ampia dell'assistenza
privata che non può esaurirsi nel solo intervento di ricovero; la necessità di
non confondere gli enti religiosi con la totalità degli enti assistenziali
privati, o l'opera del personale che presta servizio all'interno
dell'istituzione con la gestione dell'ente stesso. Questa elaborazione, questo impegno di chiarezza, resta lettera morta per i sostenitori
tout court delle IPAB.
Così,
come non si fa il minimo cenno al puntochiave della nostra posizione sulle
IPAB. Abbiamo sostenuto spesso e sottolineato ripetutamente al convegno che «sarebbe
un falso obiettivo indicare solo nello scioglimento delle IPAB e nel
trasferimento degli assistiti, dei patrimoni e del personale ai Comuni il vero
risultato da raggiungere. A poco servirebbe una battaglia per sottrarre agli
attuali consigli di amministrazione la gestione degli
istituti di ricovero se, poi, gli enti locali si limitassero a gestire queste
stesse strutture, assicurando identiche prestazioni, quando non inferiori. Il
vero nodo da sciogliere (e questo, sì, è un punto qualificante della lotta
dell'ULCES) è il superamento della istituzionalizzazione
sia pubblica che privata».
È
questo, da sempre, il terreno di confronto. Ma,
evidentemente, è un terreno scomodo, al quale certuni preferiscono sottrarsi.
Ad
esempio, Ivo Pini - parlando anche in base alla sua esperienza di ex direttore generale dell'ENAOLI - si preoccupa (5) del fatto che i servizi pubblici costano molto di più di quelli
gestiti da privati. Ma, ripetiamo, il vero problema dell'assistenza
non è la scelta fra servizio pubblico o privato. Occorre, invece, decidere se
si deve dare priorità al ricovero in istituto o ai servizi non emarginanti.
Pini
sostiene che, «quando le istituzioni assistenziali
passeranno dalla gestione privata a quella pubblica le spese si
moltiplicheranno per 3, per 4, per 5», ma non ricorda che - nel 1972, quando lasciò
l'ENAOLI - i bambini ricoverati dall'ente erano 25.971, mentre solo quattro
anni dopo erano scesi a 4.240.
Nel
rapporto ENAOLI al ministro del Lavoro del 1° aprile 1976, si legge, infatti:
«È stato attuato il rovesciamento di una vecchia prassi assistenziale che
pretendeva di risolvere le situazioni di bisogno degli orfani e in genere dei
minori in stato di abbandono più o meno evidente,
allontanandoli dal loro ambiente di origine e dal nucleo familiare per
ricoverarli in istituto: ciò ha consentito di ridurre, nel breve spazio di
quattro anni, di oltre 1'80 per cento il numero degli orfani assistiti in
collegi» (6). Si noti, che le spese sostenute dall'ENAOLI
per i servizi alternativi al ricovero (contributi economici, affidamenti
familiari, ecc.) erano di gran lunga inferiori alle
rette pagate ad istituti privati.
Pini,
riferendosi al convegno di Milano, attacca poi
duramente l'ULCES, sostenendo «l'impostazione preconcetta delle tesi e del
dibattito e la coralità da comizio di un uditorio "ad hoc"» (7). Chi ha partecipato al convegno e chi segue Prospettive assistenziali e
l'attività dell'ULGES, può giudicare quanto sia faziosa l'affermazione e considerarne
l'uso strumentale, al solo fine di eludere i veri problemi posti sul tappeto
(8).
Perché
premere sul legislatore
Le
reazioni dell'UNEBA dimostrano ancora una volta (ma ce
n'era bisogno?) come sia illusorio pensare che possa essere varata una buona
riforma dell'assistenza, nonostante il lungo periodo di «gestazione» della
legge che dovrà dare, per la prima volta dall'unità d'Italia, un assetto organico
alla materia, se le forze più vive del paese non eserciteranno una forte
pressione sul Parlamento.
La
riforma dell'assistenza, nel testo attuale, è destinata a
peggiorare la già gravissima situazione del settore. Sarebbe assurdo
premere per una modifica legislativa che si tramutasse poi in uno strumento per
danneggiare le persone in difficoltà e per favorire i privati gestori dell'emarginazione.
La
nostra posizione sulle IPAB resta definita senza ambiguità: le funzioni, il
personale, le strutture, le attrezzature debbono
essere trasferite ai Comuni singoli o associati, in modo che essi possano
istituire servizi non emarginanti, la cui carenza o insufficienza incide
profondamente sulla vita di quanti non hanno la possibilità di vivere
autonomamente.
Questa
posizione intransigente, a tutela dei beni destinati all'assistenza e dei
diritti degli assistiti, non esclude, tuttavia, che nella legge di riforma
dell'assistenza venga prevista la privatizzazione di
un numero limitato e ben definito di IPAB con finalità religiose (ad esempio,
case di riposo per parroci...). Ma ciò è cosa diversa dalla proposta di
privatizzazione generalizzata, contenuta nei primi
emendamenti DC.
Se la riforma passasse nel testo
attuale, patrimoni pubblici per miliardi finirebbero in mano ai privati. Non
solo: abrogando «tout court» la legge Crispi del
1890, senza recuperare le norme positive sulla tutela
dei patrimoni e sui poteri di controllo e vigilanza, si impoverirebbe non solo
il complesso dei beni pubblici destinati all'assistenza, ma anche il quadro di
garanzie legislative che - se applicate - tutelerebbero le istituzioni
assistenziali e - di converso - gli utenti dei servizi.
Una commissione di inchiesta sulle IPAB?
Le
autorità hanno mostrato sino ad ora scarsa attenzione, per la dimensione
concreta del fenomeno IPAB. Manca un quadro nazionale attendibile delle Opere
Pie esistenti in Italia, dei servizi da esse svolti,
della loro effettiva consistenza patrimoniale. Al di là della
enorme mole di lavoro effettuata nel secolo scorso dalla commissione reale di
inchiesta, le informazioni di fonte pubblica sono carenti, se non addirittura
nulle. Un esempio lampante della latitanza della
autorità di fronte ad un tema tutt'altro che secondario.
Riprendendo
qui una proposta già formulata in altra sede (9), riteniamo
sia necessaria la istituzione di una nuova commissione parlamentare di inchiesta sulle IPAB, col compito di effettuare un aggiornato censimento delle istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza in tutto il paese. La nuova indagine
nazionale è indispensabile, a nostro avviso, sia per avere una fotografia
dettagliata delle IPAB e delle attività da esse
svolte, sia - soprattutto - per verificare se, analogamente a quanto emerse con
l'inchiesta del 1880, esistano IPAB usurpate o destinate a scopi diversi da
quelli previsti da tavole di fondazione e statuti. Non va sottovalutato
il fatto che nel secolo scorso l'indagine rilevò la presenza di oltre duemila
Opere Pie delle quali non si conosceva l'esistenza.
La
nuova inchiesta si rende necessaria, anche, perché i governi sono latitanti da
sempre su questo tema. La legge Crispi prescriveva
che «ogni anno il ministro dell'Interno deve presentare al Senato e alla Camera
dei deputati una relazione intorno ai provvedimenti di concentrazione, raggruppamento
e trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza e di revisione dei relativi statuti (..). Deve pure presentare
un elenco delle amministrazioni disciolte, coll'indicazione
dei motivi che hanno determinato lo scioglimento». Una disposizione mai
applicata.
Comunque, la nuova inchiesta
che si propone non può né deve bloccare la legge di riforma all'esame del
parlamento, la quale - unitamente alle IPAB - interessa tutto il settore
dell'assistenza sociale. L'esigenza di una rigorosa indagine
sulle funzioni ed i patrimoni delle IPAB non può diventare un alibi per chi
vuole procrastinare ancora il varo della legge-quadro.
(1) Gli atti sono in
corso di pubblicazione.
(2) L'Uneba ha dedicato al convegno di Milano ben cinque
articoli in due diversi numeri di Nuova
Proposta.
(3) Cfr. P. Cabras, «Riforma dei servizi sociali e cultura dell'accoglienza», in Nuova Proposta, n. 7, luglio 1982, p. 5.
(4) Cfr. M. Tortello, F.
Santanera, L'assistenza
espropriata, Nuova Guaraldi Editrice, Firenze,
1982, in particolare, il cap. «Quattro equivoci di
fondo», pp. 20 e segg.
(5) Cfr. I. Pini, «Gli istituti di assistenza:
meglio pubblici o privati», in Nuova
Proposta, n. 11, novembre 1982 e, dello stesso, «Chi si ostina a volere lo
sfascio dei servizi socio-assistenziali?», in Nuova Proposta, n. 12, dicembre 1982.
(6) Cfr. ENAOLI, Informazioni
al personale, n. 5, maggio 1976, pp. 5-24.
(7) Cfr. I. Pini, «Chi si ostina...». Cfr., inoltre, M. Giordano,
«Ancora speculazioni sull'assistenza», in Il
Popolo, 21 novembre 1982. All'articolo, l'ULCES ha replicato con una
lettera al direttore mai pubblicata dall'organo ufficiale democristiano.
(8) Per il convegno di
fine ottobre '82, l'ULCES ha spedito gli inviti (con 40 giorni di anticipo) a
Regioni, Province, Comuni superiori ai 20 mila abitanti, alle Usl, ai partecipanti dei seminari degli ultimi anni della
Fondazione Zancan, a tutte le Caritas,
ai Centri di servizio sociale per minori e adulti del ministero di Grazia e
Giustizia; alle sedi dell'AIAS, dell'ANFFAS, della UILDM, alle ACLI, alle organizzazioni
facenti parte del Coordinamento nazionale per i problemi dell'emarginazione e
dell'handicap, ai partecipanti ai convegni sull'adozione e sugli handicaps organizzati dall'Associazione Papa Giovanni XXIII
di Rimini, alle scuole per educatori e assistenti sociali. Il convegno inoltre
è stato preannunciato dalle riviste Prospettive
sociali e sanitarie e Prospettive assistenziali. Quanto alla mozione approvata al termine
delle giornate milanesi, va detto che essa non è stata presentata dall'ULCES,
ma dalla Lega nazionale per il diritto al lavoro degli handicappati presente al
convegno. È stata letta alle ore 11 del 30 ottobre, quindi distribuita a tutti
i partecipanti. Nel pomeriggio è stata poi approvata con circa 400 voti
favorevoli, 8 contrari, nessun astenuto.
(9) Cfr. M. Tortello, F. Santanera, L'assistenza
espropriata, cit., p.
140.
www.fondazionepromozionesociale.it