Prospettive assistenziali, n. 62, aprile - giugno 1983
AI
MINORI RICOVERATI IN ISTITUTO LA DEDIZIONE DEL PERSONALE NON BASTA
Riportiamo
qui di seguito una serie di resoconti di vita vissuta in un istituto assistenziale per minori di una cittadina del Sud, di cui ci
preme evidenziare alcuni aspetti:
-
la buona volontà, l'impegno, la dedizione della suora che tenta di rendere
familiare l'ambiente, cercando nelle cose di tutti i giorni, nelle festicciole
organizzate in modo diverso... un qualche cosa di più umano e personalizzato,
non può nasconderci comunque l'ingenuità, la buona
fede con cui ella pensa di risolvere così tutti i problemi delle ragazze.
È
ammirevole e sicuramente doveroso di rispetto tutto lo sforzo fatto dalla
suora nel tentativo di rendere più accettabile la vita in istituto, ma questo
resta, anche se abbellito e riverniciato, un luogo di ricovero, di assistenza, di emarginazione.
Un
bambino per svilupparsi in modo equilibrato ha bisogno di una casa, ma
soprattutto di persone stabili che gli vogliano bene,
che lo seguano, che possano star lì ad ascoltare.
La suora, purtroppo, è «una»; non può anche volendo,
rispondere pienamente a tutte le richieste delle ospiti;
-
non possiamo accettare che la famiglia d'origine, i genitori, vengano privilegiati ancora una volta rispetto ai figli. Non
si può pensare di mantenere in una situazione di ricovero un minore, solo sulla
base del principio che il «figlio» è di chi lo mette
al mondo, anche se i genitori poi non mantengono rapporti validi con lui e se
ne disinteressano, come viene sottolineato in alcune parti del resoconto;
-
la suora cerca di far capire alle ragazze i motivi delle visite mancate, cerca
di scusare questi padri e queste madri, che in fondo
vogliono bene ai loro figli... Noi non crediamo, invece, che con queste
giustificazioni si tuteli realmente i bambini. La famiglia d'origine va sì
aiutata, perché non si disgreghi il nucleo, ma poi le
soluzioni che si cercano, devono tutelare entrambi. L'istituto,
lo vediamo, non è la soluzione migliore per i bambini;
-
altro punto che vogliamo far rilevare è la mancanza di qualsiasi attività di
lotta contro il problema dell'emarginazione sociale, che parta
dal personale stesso dell'istituto.
Ripetiamo:
nulla da dire su quanto è stato fatto da parte della suora per poter migliorare
le condizioni di vita all'interno, ma questo ha significato se viene accompagnato da un impegno anche sociale, che stimoli
i pubblici amministratori a prendere in seria considerazione il problema dei
minori e a promuovere conseguentemente, per loro, delle valide alternative.
L'istituto è nello stesso tempo
piccolo e vasto, antico e moderno, retrogrado e progressista. Rispetto ad
altre grosse istituzioni presenti nella stessa località, questo
istituto è piccolo in quanto accoglie appena una quarantina di «minori,
di sesso femminile, dai 3 ai 18 anni, appartenenti a famiglie in particolari
condizioni economiche, socio-ambientali e familiari» (1).
È vasto e antico perché l'edificio
risale ai primi anni del XVIII secolo e, come tutti
gli ex conventi, ha molti locali, ma pochi sono quelli effettivamente
utilizzabili (per la loro vetustà) o adattabili alle esigenze moderne (per le
loro caratteristiche costruttive).
Come tutte le istituzioni assistenziali convittuali, è retrogrado per natura e per obbligata impostazione;
però I'Ordine che lo gestisce si sta sforzando di
qualificare professionalmente le proprie suore e queste stanno tentando
volenterosamente di aprirsi alle problematiche sociali, di collegarsi con le
altre strutture territoriali, di iniziare una politica di deistituzionalizzazione,
di semiconvitto o di centro di accoglienza.
È con questi fini e per questi obiettivi che la suora che segue «il gruppo delle
grandi» compila giornalmente un diario che viene poi collegialmente discusso
con la Superiora, le consorelle ed un'Assistente sociale che, a titolo volontario,
collabora dall'esterno con l'istituto.
Per una migliore comprensione di
queste pagine di diario, c'è da tener presente che l'intera organizzazione
dell'istituto, dal suo interno e nei suoi rapporti con l'esterno (famiglie,
scuola, Enti locali, assistenziali e Tribunale per i
minorenni, parrocchia, ecc.) grava tutta sulle spalle di una mezza dozzina di
suore (metà delle quali piuttosto anziane) aiutate, per mezza giornata, da un
paio di laici per la cucina e le pulizie.
Le ragazze che
ospitano, frequentano le scuole pubbliche esterne e per una buona metà provengono
dai paesi della provincia. In istituto vivono divise in gruppi omogenei per età
e ciclo di studi: «le piccole» che frequentano la scuola materna e le
elementari; «le grandi» dalla 1ª media in su.
Come sempre succede
negli istituti, come nei quartieri-ghetto, dove c'è povertà di stimoli intellettuali
e sociali, dove vengono concentrate persone aventi
tutte gli stessi, gravi problemi e difficoltà, per la maggior parte delle
ragazze vi è un divario (a volte notevole) fra l'età anagrafica e la classe che
frequentano.
Il gruppo preso in
considerazione è formato da una ventina di ragazze, dagli undici ai 21 anni, di
cui una dozzina frequenta la scuola media (ma solo
meno della metà sono al disotto dei 14 anni); una ragazza ha appena iniziato a
lavorare presso una ditta privata come segretaria; le altre frequentano
l'istituto magistrale o quello professionale; una sola è iscritta all'Università.
Riguardo ai nuclei
familiari, in massima parte sono costituiti da operai, casalinghe, disoccupati
e sottooccupati, agricoltori; spesso si tratta di famiglie numerose che hanno
più di un figlio in collegio (infatti in questo
istituto vi sono parecchie coppie di sorelle, a volte le sorelle sono anche
tre oppure vi sono delle cugine).
La percentuale
maggiore è quella delle ragazze con genitori divisi (ognuno dei quali si è
formato un altro nucleo familiare, spesso con altri figli); vi sono poi le
figlie di emigrati all'estero (sovente si tratta di
ambedue i genitori e di altri stretti congiunti), le orfane di padre o di
madre, le figlie di madri nubili.
Tranne una sparuta
minoranza, tutte le ragazze vivono da molti anni in istituto e vi sono poche
prospettive per un loro prossimo rientro in famiglia.
Prepariamo
i doni per il Natale
(Fine novembre 1980)
Anche se nell'istituto
certe tradizioni con l'andar del tempo scompaiono, difficilmente l'usanza di
preparare con le proprie mani i doni natalizi e pasquali per i propri genitori verrà meno.
Questa usanza esisteva
già prima che io venissi e la ritengo ancora positiva
in quanto manifesta un nobile sentimento di riconoscenza e di affetto verso le
persone che ci sono care.
Per questo oggi, mi rivolgo
a Nadia, Stefania, Marina e Gina (2), le uniche rimaste del mio gruppo, e chiedo loro: «Vogliamo preparare il lavoretto
di Natale?». Rispondono affermativamente; dobbiamo scegliere quali quadretti
realizzare e la cosa non è molto facile. La scelta cade su due modelli di
presepe; subito ci procuriamo il materiale e ci mettiamo all'opera. Lavorano
ed io, senza accorgermi, rimango un po' pensierosa tanto che Stefania mi
chiede: «Suora cosa stai pensando?». Rispondo che sto pensando al poco tempo
che avranno a disposizione le loro compagne
(attualmente a casa a motivo del terremoto) allorché al loro rientro dovranno
preparare i loro regali.
Con una prontezza
unica Stefania, Marina e Nadia rispondono: «Ci pensiamo noi». Gina invece ha
un gesto di fastidio, per cui mi rivolgo a lei, e
cercando di mantenermi calma, le dico di non preoccuparsi, e che le avrei
aiutate anch'io.
Di fronte al mio
comportamento, cerca di dissimulare la vergogna e continua a fare il suo lavoretto.
Mentre lavorano ho fatto ascoltare un po'
di musica e canti natalizi proprio per cercare di creare un'aria di Natale, che
a causa della catastrofe sembra essere sepolta nel loro cuore.
Dopo circa un'ora,
Gina mi si avvicina e mi dice:
«Suora, voglio anch'io
fare i lavoretti per le compagne».
Con un sorriso le ho risposto:
«Brava, sono contenta
che da sola ti sei resa conto che il tuo modo di agire
era egoistico». Ho continuato a dialogare con lei, cercando di farle capire che
il vero amore lo si dimostra attraverso questi
piccoli gesti, che, oltre tutto arricchiscono e allietano chi li compie.
Sembra un particolare insignificante ma per me personalmente è stato motivo di
riflessione perché mi insegna a saper «dare tempo al tempo». Infatti se di fronte al diniego di Gina avessi reagito
impulsivamente, rimproverandola, forse lei non avrebbe compreso così
subitamente il proprio errore e, sicuramente, per orgoglio, non avrebbe
modificato in modo positivo il suo atteggiamento.
Fiducia
alle ragazze
(Inizi dicembre)
Ho voluto dare fiducia
a Stefania, Nadia, Gina, Marina permettendo loro di andare sole a fare una
passeggiata al corso.
È la prima volta che
permetto a ragazze di scuola media una cosa simile, non avendo il permesso da
parte dei genitori, i quali pretendono ancora che le proprie figlie siano
accompagnate ogni giorno a scuola dalla suora.
Ho dato l'orario di rientro e
l'hanno osservato a puntino. Sono rientrate molto felici e, senza che glielo
chiedessi, si sono messe a riordinare le loro stanze.
Gina fra le tante cose che aveva
visto mi ha raccontato anche la sua avventura. Era uscita con le scarpe con il
tacco alto e trovandosi in salita non riusciva a camminare svelta e fu costretta, per osservare l'orario, a togliersi le scarpe
e camminare scalza.
Per me è stata un'esperienza non
molto felice perché sono stata in apprensione finché non sono tornate, però
dopo nel vedere i loro volti eccitati e le loro
espressioni soddisfatte sono stata ripagata di tutto.
Sono convinta che è a volte
necessario rischiare e non solo per appagare questi innocenti desideri e che
solo dando fiducia si riceve in cambio altrettanta fiducia.
Abbelliamo la casa
(Metà
dicembre)
Le ore del pomeriggio sono state
impiegate per addobbare l'ambiente dato che il Natale è alle porte. Quest'anno ho voluto chiedere la collaborazione di tutto
il gruppo; c'è stato, è vero, un po' di confusione, di chiasso, palline dorate rotte ma in compenso c'era in tutte maggiore soddisfazione.
Ogni ragazza si è preoccupata di
abbellire una stanza, dando un tocco di originalità e
di creatività tutto personali.
Quando, alla fine, hanno esclamate contente: «Suora quest'anno
sì che è bella la nostra casa!» ho riflettuto che se avessi dovuto dare il mio
giudizio, avrei detto che negli anni scorsi l'ambiente
era più bello, ma per loro estraneo perché non vi avevano contribuito.
Questa esperienza mi è servita
perché in seguito cercherò di essere più attenta a
coinvolgerle nell'andamento della casa senza preoccuparmi eccessivamente se i
risultati saranno più lontani dai miei schemi mentali di ordine e più vicini ai
loro gusti anche un po' bizzarri.
Compleanno di Lia (3)
(Fine
dicembre)
Oggi Lia festeggia i suoi vent'anni; ci siamo impegnate a crearle un clima di vera
gioia e fraternità.
La sveglia è stata fatta a suon di musica,
seguita dai consueti auguri con baci e abbracci poi l'appuntamento... per la
serata.
La stanza dello studio ha assunto
l'aspetto di una sala da ricevimento per l'originalità e la creatività con cui
è stata preparata.
La serata è stata davvero bella tra
canti, giochi, scherzi, musica; non mancavano logicamente i dolci e la torta
con le sue suggestive candeline. Presenti erano anche
alcune sue amiche e amici.
Le abbiamo regalato
un orsacchiotto di peluche; il nome datogli è stato: «Terremoto».
La gioia che ho notato in tutte mi impegna maggiormente a cercare di valorizzare
queste circostanze affinché le ragazze possano sentirsi a proprio agio anche
in istituto e possano invitarvi liberamente le amiche e amici, come avviene in
tutte le famiglie. Anche questo è un modo per creare
l'ambiente di famiglia.
Dialogo con Miriam (4)
(Inizi
gennaio 1981)
Questo pomeriggio ho deciso di
parlare con Miriam. Sono più giorni che si dimostra molto suscettibile,
risponde, su tutto trova da ridire, grida senza motivo. Pensavo fosse la
reazione e la paura del sisma ed ho atteso ma ora mi
sembrava il momento di intervenire anche per realizzare l'obiettivo che il
gruppo quest'anno vuole raggiungere e cioè: la
sincerità!
Ho riflettuto e pensato un bel po'
per trovare le parole ed il modo giusto. Ho iniziato col
dirle che dopo questa mia breve assenza l'ho trovata più sciupata; le ho
chiesto se si sente male, se è stanca, se dorme alla notte. La sua risposta molto
pronta è stata: «Io sto bene».
Ho osservato che la sua risposta non
mi sembrava sincera perché la vedo diversa e le ho
fatto notare che per me è una sofferenza vederla così e non poterla aiutare.
A questo punto Miriam scoppia a
piangere e mi dice tra i singhiozzi: «Avrei desiderato anch'io andare a casa con papà
come le altre, ma mio padre non mi vuole».
Ho cercato di farle capire che anche
se il padre non è venuto a prenderla per suoi importanti motivi, però le vuole
bene lo stesso. In verità è stato un discorso che ho
portato avanti con fatica perché è difficile nascondere la realtà ad una
ragazza di quindici anni con una situazione familiare veramente triste, e darle
nello stesso tempo fiducia e speranza in improbabili miglioramenti.
Alla fine, però, si è mostrata più
tranquilla e per rasserenarla maggiormente, le ho fatto
salutare il papà per telefono.
Ancora una volta ho potuto
constatare quanto sia vero l'asserzione che i genitori
sono delle figure insostituibili anche se non sempre sono persone valide in tal
senso. Mi rendo sempre più conto che è indispensabile coinvolgere nel lavoro educativo i genitori, anche se è difficile, se si
vogliono raggiungere dei risultati apprezzabili.
Dialogo con Cecilia (5)
(Metà
gennaio)
Nella mattinata, dato che non si
trattava di cosa urgente, non ho permesso a Cecilia di uscire e l'ho invitata
invece ad andare a studiare esprimendole tutto il mio rammarico per il suo
poco impegno nello studio.
Ho cercato di spiegare che non è
possibile, a vent'anni, trascorrere una vita così
insignificante e senza uno scopo; desidero vederla serena ed entusiasta della
sua giovinezza.
Ad un certo punto del mio discorso
si è messa a piangere dicendoci che a lei non
interessa più nulla, visto che i suoi genitori non si preoccupano né di lei né
di quello che fa.
Abbiamo parlato insieme, anzi ho più
ascoltato che parlato e così Cecilia ha potuto sfogarsi e manifestare tutto
l'odio che nutre verso i propri genitori. Poi, calmatasi, è salita in studio.
Ho provato tanta tenerezza per lei,
e durante la giornata ho ripensato spesso alla sua storia trovandovi la
spiegazione e la risposta a tante sue reazioni, a tanti
suoi risentimenti.
Nei suoi vent'anni
di vita, infatti, non ha mai sperimentato il calore familiare
poiché vive in istituto da ben quattordici anni.
In queste circostanze avverto tutta
la mia povertà ed incapacità perché so che per quanto
cerchi con tutta la mia buona volontà di aiutarla ed amarla non mi sarà mai
possibile sostituire l'affetto che i suoi genitori le negano.
Sono avvenimenti questi che mi
servono di verifica e mi spronano a rendere il mio amore verso queste ragazze
sempre più creativo e più delicato.
Linda, Marina e Gina
si allontanano dall'istituto
(Fine
gennaio)
Oggi ho vissuto l'esperienza più
triste di tutti i miei nove anni di vita con le ragazze. Tre ragazze si sono
allontanate dall'istituto. Accortami della loro assenza mi sono data da fare a
guardare in ogni angolo ma inutilmente. Abbiamo avvisato la polizia, però nello
stesso tempo anche noi abbiamo continuato le nostre ricerche.
La cosa che più mi addolora è il
constatare che di queste tre ragazze due vivono con noi da molti anni e non ho
saputo cogliere in loro nessun segno, in questi ultimi tempi, che stessero maturando un progetto simile. Pensavo di aver
stabilito un rapporto di fiducia; mi sono sbagliata? Perché
l'avranno fatto? Una risposta la trovo nel pensare alla terza ragazza che,
essendo in collegio da poco tempo, non è ancora riuscita ad accettare questa
nuova vita.
Linda ci è
stata portata da un paio di mesi dalla polizia; ha sedici anni e la sua
esperienza è agghiacciante (6). Certamente in questo periodo sarà riuscita ad
infatuare le altre due, cioè Marina e Gina
rispettivamente di quattordici e quindici anni, idealizzando ed abbellendo le
sue esperienze e invogliandole così a questo atto di ribellione.
In questo momento sto cercando di
mantenermi calma, ma contemporaneamente avverto paura e trepidazione. Sento che
mi è stato tolto qualcosa che mi apparteneva.
Serata
alla stazione
(Fine gennaio)
Nuovo giorno, nuove
trepidazioni, nuove ricerche. Le ore sembrano intramontabili. La pioggia ci
accompagna per tutta la giornata. Le ricerche sembrano vane e sopraggiunge la
sera. Verso le 23,30, io, la superiora, la suora delle piccole, la nipote ed il
nipote del Presidente e le mie due ragazze più grandi, andiamo
alla stazione con la speranza di ritrovare Linda, Gina e Marina.
Ogni angolo diventa la nostra meta ma inutilmente, ci intratteniamo a ricostruire un po'
i fatti quindi decidiamo di recarci verso una abitazione che ci desta un po'
di sospetti.
È l'una di notte,
la pioggia incalza,
eccoci arrivati al posto stabilito. Ad un tratto
scorgiamo da lontano tre ragazze che camminano con la testa china: «Sono loro!».
Lo sportello della macchina in questo momento diventa
il nostro impedimento, con un calcio riusciamo ad aprirlo, saltiamo giù e ci
troviamo di fronte a loro tre; sembrano tre imputate, hanno le vesti
inzuppate, i capelli bagnati.
Le loro prime reazioni? Linda si
butta al collo della superiora e le dice: «Portami in collegio».
Marina si mette a piangere, non ha parole ma il suo silenzio è molto eloquente; si sente finalmente
al sicuro! Chi cerca di resistere è Gina, con la testa china, immobile non
vuole seguirci, certamente ha paura, vergogna, alla fine cede e ci segue.
In quel momento ho sperimentato la
gioia ed il sollievo di ritrovare una persona amata. Eravamo felici e con
l'unica preoccupazione di arrivare presto a casa
perché si potessero riscaldare ed asciugare.
Dialogo
con Linda, Marina e Gina
(Fine gennaio)
Ho dedicato tutto il mio tempo a
parlare individualmente con Linda, Marina e Gina, mettendomi in un
atteggiamento di ascolto e cercando di non mostrare né
riprovazione né meraviglia per ciò che raccontavano.
Mi sono così resa conto che alla
base della loro fuga non c'erano motivi gravi ma solo un desiderio di evasione e di novità per Gina e Marina, e l'impulso di
riprendere una vita più libera per Linda.
Nel pomeriggio, alla mia presenza,
le tre ragazze insieme mi hanno fatto la cronaca di
tutti gli avvenimenti di quei due giorni.
Ho notato che ci sono parecchie
contraddizioni nel loro racconto ma ho creduto bene
lasciar perdere. Forse è necessario lasciar passare qualche giorno e poi si
potrà giudicare la cosa con più obiettività e serenità.
In questo momento devo continuare a
dare loro fiducia e credere in loro anche se tutto m'induce a non farlo.
Avevamo avvisato telefonicamente il
papà di Marina, in Germania, della fuga della figlia. Lo abbiamo richiamato per
rassicurarlo e per farlo parlare con la figlia, si è rifiutato persino di venire al telefono. Come può comportarsi così un vero
padre?
Quando Marina, speranzosa, mi ha
chiesto se avevo rintracciato il padre ed addirittura, se sarebbe venuto a
trovarla, ho dovuto con rammarico mentirle dicendo che
non ero proprio riuscita ad avere la comunicazione con la Germania.
Sono convinta che Marina, con la sua
fuga, sperava di attirare l'attenzione dei genitori che neppure a Natale sono
venuti a prenderla.
Il pianto d'una mamma
(Inizi
febbraio)
Oggi pomeriggio, sabato, mi sono
intrattenuta a parlare con la mamma di Rita (7), mettendo in
evidenza che la figlia in quest'ultimo tempo
aveva un comportamento poco corretto.
La madre senza alzare la voce, si
rivolge alla figlia e forse, per la prima volta, in modo molto chiaro le
racconta la sua storia e termina dicendo: «Rita, tu sai che la mia vita è
infelice, voglio però che la tua non lo sia; perché non ascolti ciò che ti
diciamo noi che ti vogliamo bene?».
Scoppia a piangere. Rita, che con la
testa china ascoltava, a tal vista abbraccia la madre e piangendo le promette
che si impegnerà.
Sono scene che non si possono né
dimenticare e tanto meno lasciarti indifferente. Chi ama veramente sa
accettare i limiti degli altri e nello stesso tempo continua ad aver fiducia
nel suo recupero.
È per me un insegnamento a saper
guardare le persone con occhi sempre nuovi per scoprire le meraviglie che sono
nascoste.
(1) Per ovvie ragioni
di riservatezza, non si specificano né la denominazione dell'Istituto, né
l'Ordine Religioso che lo gestisce, né la località in cui sorge. Per gli stessi
motivi, le ragazze saranno indicate con nomi fittizi e l'articolo non è firmato.
(2) Nadia: a. 14 - 2ª Media -
madre nubile.
Stefania:
a. 16 - 1ª Magistrale - genitori divisi (la madre ha
abbandonato la famiglia per convivere con un altro uomo, ugualmente sposato e
con figli).
Marina:
a. 17 - 1ª Magistrale - genitori in Germania.
Gina: a. 15 - 2ª Media - genitori divisi.
(3) Lia: a. 20 - Diploma magistrale - impiegata - madre nubile che
la segue affettivamente ma con la quale non ha mai vissuto.
(4) Miriam: a. 15 - 3ª Media - Genitori divisi ed in precarie
condizioni economiche - ha altri fratelli in Istituto - è seguita più dal padre
che dalla madre.
(5) Cecilia: a. 21 - Iscritta al 1° anno di Magistero - genitori
emigrati da molti anni - altre due sorelle nello stesso Collegio.
(6) I genitori
conducono una vita squallida, abulica, con sporadiche attività ai margini della
legalità; si occupano poco dei figli. Per il disinteresse e l'incomprensione
con i genitori, la ragazza è fuggita di casa e per
alcuni mesi, finquando la polizia non l'ha rintracciata, ha fatto molte esperienze
sconvolgenti, negative, deludenti.
(7) Rita: a. 13 - 1ª Media - orfana di padre da alcuni anni - la
madre versa in precarie condizioni economiche ed essendo spesso malata non può
svolgere un lavoro continuativo e ben retribuito.
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