Prospettive assistenziali, n. 62, aprile - giugno 1983
Notizie
DARE
STRUMENTI PER IL CONTROLLO DAL BASSO
Il gruppo
redazionale di Prospettive assistenziali,
pur essendo stato quasi
sempre trattato come chi «lo si lascia cantare» come scrive Luigi Berlinguer,
è ben lieto di riprodurre l'articolo pubblicato con lo stesso nostro titolo da
L'Unità del 1° aprile scorso.
Siamo
particolarmente d'accordo con Berlinguer sulla esigenza di rilanciare la partecipazione e ci fa molto
piacere che anche da parte di un illustre esponente del PCI si avverta «il limite di una concezione cogestoria
della partecipazione».
È però
necessario che dalle parole si passi presto ai fatti per quanto riguarda sia il
riconoscimento della partecipazione autentica, sia il decentramento dei
poteri gestionali alle Circoscrizioni nelle città
metropolitane (iniziativa non attuata ovunque, anche nei Comuni dove le
sinistre hanno la maggioranza), sia l'informazione che deve essere trasmessa
dalle istituzioni alla popolazione in modo completo, tempestivo e chiaro.
Testo dell'articolo di Luigi Berlinguer
L'attenzione di stampa alle amministrazioni locali
ed ai loro problemi ci ripropone i due temi più acuti
ed urgenti della questione istituzionale, due facce della stessa medaglia: la
fiducia e partecipazione popolare, ed il funzionamento della macchina
amministrativa.
Noi abbiamo sempre fatto - e
giustamente - della partecipazione popolare un cavallo di battaglia della
nostra immagine politica. Il buon governo non si è
limitato nel passato ai servizi sociali, alla volontà programmatoria,
all'onestà dei nostri amministratori. Esso è stato anche una grande
novità, rispetto alla tradizione liberale ed alla pratica democristiana,
proprio per la sua attenzione al rapporto fra governanti e governati: si
devono infatti alla nostra impostazione il decentramento circoscrizionale, le
assemblee di rendiconto, la gestione sociale dei servizi, la sensibilità ad
un continuo confronto degli amministratori con la gente.
Né credo che i risultati conseguiti in questo campo
debbano essere semplicisticamente liquidati come fallimentari. Anche se
ridimensionati rispetto alle attese ed ai progetti originari, esistono ormai
nel paese istanze e occasioni attraverso i quali significativi
gruppi di cittadini «partecipano», in una qualche misura, all'amministrazione
pubblica in forma continuativa o episodica.
Oggi, però, tutto ciò non basta più. Non si può
negare che quell'idea di partecipazione si palesi ora
largamente inadeguata, che i suoi canali siano ormai insufficienti o
addirittura inefficaci. È mutato il quadro generale, e con esso
la natura della domanda sociale di partecipazione. Non parlo solo dei
mutamenti intervenuti nei partiti che sono - e devono restare - il canale
principale di partecipazione politica. Penso alle esigenze di
informazione, oggi ben più consistenti di ieri e perfino moltiplicate
dalla crescita degli stessi «media». Penso, per altro verso, alla crisi delle istanze classiche di partecipazione, rappresentate dalle
assemblee, dai comitati, dalle riunioni come sedi uniche di rapporto tra
governanti e governati. E penso all'emergere invece della
tematica del controllo e della trasparenza come aspetti decisivi ma
finora trascurati di un rapporto più ricco tra cittadino ed istituzioni.
Abbiamo detto da tempo che la nostra cultura e la
nostra pratica sono state carenti rispetto ai
meccanismi ed alle procedure con cui assicurare successo alle ambizioni di
democrazia e di giustizia sociale. Abbiamo avvertito il limite di una
concezione cogestoria della partecipazione. Tutto ciò
è accentuato dalle novità della società odierna, in cui il rapporto tra
cittadino e pubblici poteri si esprime da un lato attraverso le varie forme di
pressione esercitate dalle molteplici aggregazioni di
categoria, che sono in quotidiano contatto con i partiti, gli amministratori e
le loro burocrazie; dall'altro attraverso le diverse utenze dei pubblici
servizi, e quindi una miriade di rapporti individuali con gli uffici pubblici.
È a questo proposito che vanno affinati i meccanismi.
Vanno utilizzate fino in fondo le più moderne conquiste tecnologiche e
precisati gli itinerari amministrativi: e pare
indispensabile che un'amministrazione democratica si doti di un ambizioso
«progetto informatica», che le consenta di comunicare e persino di «dialogare»
con i cittadini.
Mi pare, in questo ambito,
che dovrebbero cadere molti segreti, molti tabù, che i consigli (comunali,
regionali), le opposizioni, e quindi indirettamente anche i cittadini debbano
essere messi nelle condizioni concrete di sapere di più, di capire di più
tante cose dell'amministrazione quotidiana, di controllarne in concreto
validità ed efficacia. Le richieste di informazione
vanno soddisfatte e persino sollecitate, ad esempio per quel che riguarda i
flussi di spesa, i destinatari di contributi, i risultati effettivi degli
interventi.
Siamo sicuri che questo è oggi il costume dominante
delle amministrazioni? Eppure io credo che questo
debba costituire un caposaldo della nostra gestione del potere, una delle
bandiere della nostra visione della democrazia, ma anche una delle condizioni
dell'efficienza. Naturalmente bisogna procedere alla definizione delle procedure.
Non solo, quindi, sollecitare
consenso o critica, ma disciplinare le forme e le conseguenze della loro
espressione. Che
cosa succede se un cittadino è insoddisfatto, se ha subito un torto, se un
servizio non funziona? Troppo spesso lo si lascia
cantare; troppo spesso è egli stesso a rinunciare. Eppure
bisogna metterlo nelle condizioni non dico di veder sempre accolte le sue istanze,
ma certo di ottenere giustizia. Anche questo è
«partecipare». Anche così si può concretamente
influire sull'indirizzo generale, e certamente si rinsalda il rapporto di
fiducia nella democrazia. Trasparenza e partecipazione sono quindi due aspetti
della stessa medaglia. Un'amministrazione alla luce del sole
e al servizio del cittadino: ecco una bandiera ambiziosa ma imprescindibile
per amministrazioni democratiche. Attenzione però: il lavoro da fare è
molto complesso, perché le norme che esso richiede sono numerose e delicate,
gli interessi da toccare assai radicati, le pigrizie ed i privilegi non trascurabili.
Forse bisogna partire - lo hanno detto di recente ed a ragione Amato e Cassese - dalla demolizione di quell'assurdo
ed inutile retaggio che sono i controlli preventivi di
legittimità sugli atti delle Regioni e degli enti locali. Controlli che non ci
tutelano dalla corruzione (si è visto), e però danneggiano seriamente le
autonomie.
Occorre invece dar vita
dall'alto e dal basso ad un controllo effettivo, ad una verifica cioè dell'efficacia,
della congruità, della validità degli atti e soprattutto dei risultati
dell'amministrazione. Vogliamo coraggiosamente e
seriamente cogliere questa occasione per porre mano ad una riforma così
importante?
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