Prospettive assistenziali, n. 63, luglio - settembre 1983
BAMBINI HANDICAPPATI
GRAVISSIMI A SCUOLA - L'ESPERIENZA DI FERMO
ANNA FOLICALDI
Per
contribuire alla riflessione e all'individuazione di
linee operative riguardo all'intervento educativo ed assistenziale per bambini
portatori di handicap grave e gravissimo, riferiamo una sintesi dell'esperienza
in corso da due anni a cura del Centro pedagogico «M. Montessori» (1) di Fermo (AP) presso la scuola elementare a tempo pieno S.
Michele Lido (3° Circolo didattico).
La riflessione, la discussione ed alcune
precedenti parziali esperienze riguardo al rapporto handicappati gravi-scuola hanno indotto a distaccare dal Centro un
gruppo (che abbiamo denominato Unità educativa) di quattro bambini con i loro
operatori (due educatrici ed una insegnante) e ad integrarlo in un plesso (la
cui Direzione didattica ed il cui Consiglio dei docenti si erano dichiarati
disponibili) secondo alcune ipotesi e modalità operative ricavate appunto
dalla precedente esperienza di una organica collaborazione con alcune classi
comuni di un altro plesso scolastico del 2° Circolo, adiacente alla sede del
Centro.
Prima di entrare nel merito dell'esperienza
scolastica precisiamo che orientiamo l'intervento con i bambini gravi secondo
le seguenti finalità:
- offrire una situazione di benessere fisico e
psichico ai bambini in strutture non emarginate; - non lasciare niente di intentato quanto alla ricerca di potenziare le eventuali
capacità residue, puntando all'acquisizione della maggior autonomia
possibile;
- permettere alle famiglie attraverso la presenza
dei bambini al Centro per un certo tempo di avere una vita di lavoro e di
relazione non continuamente condizionata dalle esigenze di assistenza
ad uno dei propri membri (prima di iniziare la frequenza i bambini erano tutti
a casa);
- socializzare altre persone e cioè
alunni, insegnanti, genitori di altre classi alla conoscenza degli
handicappati gravi ed addestrarle personalmente e socialmente al rapporto con
loro.
Nel suo complesso, l'intervento nei confronti dei
bambini si sviluppa in un clima di maternage,
ritenendo che con bambini privi di autonomia personale
e con un livello mentale molto basso vadano prolungate le modalità della
relazione materno-infantile proprie dei primi mesi,
in cui si privilegia la cura corporea, la comunicazione non verbale e tutti
quei contenuti il cui scopo è quello di realizzare le condizioni di benessere
fisico e psichico. La comunicazione verbale è scarsamente recepita dal bambino
grave come conduttrice di significati e maggiore possibilità di essere percepite
e di ricevere risposte hanno altre opportunità comunicative quali il sorriso,
il tono della voce ed il contatto corporeo da adottare sia nelle stimolazioni che nei momenti di vita quotidiana quali il pasto, il
cambio, l'addormentarsi, il risveglio.
È all'interno della situazione di maternage
che si sviluppa l'intervento più specifico, relativo a: - educazione
all'autonomia personale possibile, relativamente alle
funzioni della nutrizione, del controllo degli sfinteri, della deambulazione.
Il perseguimento o meno di questi obiettivi è naturalmente condizionato dal
livello delle residue capacità sia motorie che di
comprensione;
- stimolazioni sensoriali e percettive;
- stimolazioni alla comprensione verbale e alla
comunicazione, utilizzando e suscitando forme semplici di comunicazione non
verbale: gesti, distanza interpersonale, orientamento dello sguardo, mimica,
contatto fisico che hanno, nel nostro caso, una funzione di mediatori all'interno
del possibile processo cognitivo;
- riabilitazione fisica e motoria.
Circa la sede in cui realizzare l'intervento educativo
per i bambini gravi, due osservazioni, una di principio ed una pratica, ci
hanno indotto a tentare l'approccio con una scuola.
Siamo partiti, in primo luogo, dalla
affermazione (del resto consentita dalla legge 517) che la scuola come
sede educativa riguarda tutti i bambini in età di obbligo scolastico e che
essa deve rispondere ai loro bisogni educativi. Questa affermazione è
contestabile solo provando che i bambini portatori di handicap grave non hanno
tanto bisogni educativi quanto esigenze sanitarie (a
cui si possa rispondere solo in strutture sanitarie). Una posizione di questo
tipo non è sostenibile dal momento che la quasi
totalità dei bambini risentono le conseguenze dannose di eventi lontane nel
tempo (pre-peri o post-natali) e che, anche quando
richiedono cure farmacologiche o interventi
riabilitativi, si tratta di interventi che non esigono degenze ospedaliere, se
non raramente e per periodi limitati. L'intervento possibile va realizzato in
un ambito in cui si possono offrire stimolazioni e relazioni utili alle
evoluzioni possibili o che comunque permettano di evitare
regressioni. Un obiettivo di questo tipo si qualifica, pur nella sua
limitatezza, sicuramente come educativo.
La seconda opportunità, riguardo alla collocazione dentro la scuola dell'intervento a favore dei
bambini gravi, è offerta dalla possibilità che la loro presenza determina come
contributo di contenuti etici per l'educazione dei bambini normodotati.
Se la scuola integra formazione ed informazione, le possibilità formative
in senso etico, sociale ed operativo offerte da una
presenza programmata e non casuale di bambini con handicap grave sono
notevoli, per non dire insostituibili. Ciò, fra l'altro, restituisce un senso,
una funzione ed una dignità a bambini che di solito non ne hanno, considerati
come sono per lo più solo un corpo cui si deve accudire, e ha in questo senso
una risonanza positiva anche nei confronti del
genitore.
Le ipotesi di partenza per la creazione dell'unità educativa sono perciò state le seguenti:
- le esigenze educative, riabilitative ed assistenziali
dei bambini portatori di handicap grave e gravissimo potevano trovare risposta
adeguata attraverso un gruppo integrato in una comunità infantile scolastica;
- questa integrazione poteva
costituire un'occasione importante per l'educazione personale dei ragazzi normodotati, offrendo una visione dell'handicap ed una
esperienza di rapporto tali da aiutare a superare quelle paure e quelle
difficoltà che sono causa dell'emarginazione dell'handicappato stesso.
Si riteneva inoltre, anche se ciò non costituiva un
motivo essenziale nella decisione di promuovere l'unità educativa, che gli
operatori (educatori ed insegnanti) avrebbero trovato condizioni di lavoro più
ricche e stimolanti (non va infatti sottovalutato che
un contatto esclusivo e continuativo con bambini gravissimi può determinare
nella personalità dell'operatore condizioni di demotivazione e depauperamento
emotivo e culturale).
L'aspetto più originale dell'esperienza ci sembra
riferirsi alle modalità individuate nei confronti
delle classi comuni per un coinvolgimento dei bambini al rapporto con gli
handicappati e per una loro formazione in tal senso.
Già la precedente esperienza, condotta presso il
Centro collaborando con alcune classi comuni, ci aveva portato a spostare
l'accento dalla ricerca di socializzazione dei bambini handicappati attraverso
le stimolazioni che i bambini normodotati potevano
offrire, sulla socializzazione di questi ultimi all'handicap grave; infatti la prima opportunità è estremamente modesta, non
esistendo spesso le condizioni personali minime che permettano una ricezione
delle stimolazioni. Ci si è quindi resi conto che l'accento e l'operatività
andavano posti sull'addestramento dei ragazzi normodotati,
nel senso non soltanto di migliorarne il vissuto con
contenuti di accettazione e di solidarietà ma anche di avviare vere e proprie
informazioni e capacità sociali ed operative da sperimentare ed acquisire.
Ecco in sintesi gli obiettivi ed i contenuti, confermati
dall'esperienza dell'unità educativa, di questo orientamento.
Obiettivi:
- stimolazione dei bambini handicappati gravi
attraverso il contatto ed il rapporto con i bambini normodotati (questa è la finalità della prima esperienza,
rivelatasi insufficiente, ma da conservare per le potenzialità eventuali);
- addestramento personale e sociale dei bambini normodotati ad un rapporto diretto e a prestazioni nei
confronti dei bambini handicappati gravi;
- approfondimento di conoscenze ed informazioni
sulla tematica dell'handicap a supporto e complemento
delle capacità relazionali ed operative acquisite.
Contenuti:
- progettazione e costruzione da
parte dei bambini delle classi comuni di materiali idonei alla stimolazione
senso-percettiva. La progettazione
comporta una discussione sulle finalità e sulle caratteristiche dei vari
materiali affinché siano adatti. A titolo esemplificativo si possono realizzare
oggetti quali: grandi disegni e collages per la decorazione dell'aula e per la
stimolazione visiva, disegni con oggetti di uso comune
per la lavagna luminosa, giocattoli, grandi incastri in legno, burattini,
cassette registrate con filastrocche, ecc.;
- proposta delle stimolazioni possibili in situazione di gioco utilizzando i materiali costruiti.
Questa fase comporta una preparazione ed una valutazione attraverso la
discussione di gruppo sulle caratteristiche dei bambini gravi, sui limiti della
loro partecipazione, sulle modalità di approccio,
sulla comunicazione non verbale, ecc.
- scelta all'interno dei programmi scolastici delle
singole classi di argomenti relativi alla tematica
dell'handicap, e loro trattazione attraverso ricerche o incontri con operatori
o con genitori, il tutto in modo possibilmente coerente e coordinato con il
programma didattico della classe. A titolo esemplificativo, ma ciascuno può individuare
molte altre possibilità, citiamo alcune esperienze
realizzate:
- nel corso dello studio del proprio quartiere o del
proprio comune si può introdurre il concetto di barriera architettonica, vedere
se ne esistono, quali, come limitano la vita di un
handicappato, ecc.;
- nella ricostruzione della propria storia personale
e della propria famiglia, che di solito viene proposta
come introduzione allo studio della storia, si può ricostruire anche la storia
di un bambino dell'unità educativa, con l'apporto dei suoi genitori; ciò dà
l'opportunità di una conoscenza migliore di come egli vive la sua giornata,
come dorme, come mangia, quali sono state le cause dell'handicap e semplici
nozioni, ad esempio, sul sistema nervoso, ecc.
- sempre nello studio del quartiere o del comune si
possono ricercare i servizi esistenti ed affrontare una informazione
sul sistema dei servizi socio-sanitari esistenti;
- parallelamente all'attività di ginnastica o di
sport si può spiegare che anche il bambino handicappato fa una sua ginnastica
che si chiama fisioterapia, spiegando cos'è, a cosa serve, quali tappe percorre un bambino per imparare a camminare, ecc.;
- introducendo la metodologia scientifica (definizione
di un problema, costruzione delle ipotesi, raccolta dei dati e verifica) si
può fare qualche ricerca con questionario e visualizzazione dei risultati
sugli assi cartesiani o in altro modo su argomenti relativi
all'handicap, grado di pregiudizio, accettazione, ecc.
Le esperienze condotte su queste linee con l'unità
educativa della scuola di S. Michele Lido e, sempre a Fermo, presso la scuola
di Villa Vitali (interrotta dopo pochi mesi per carenze
logistiche e di spazio) ci hanno offerto una mole di osservazioni ed indicato
importanti piste di osservazione che occorrerà in futuro approfondire.
Segnaliamo quanto ci sembra più rilevante anche dal punto di vista delle
condizioni pratiche necessarie. Distinguiamo le osservazioni
secondo alcuni punti:
a) risposte
alle esigenze educative, riabilitative ed assistenziali
dei bambini dell'unità educativa.
Questa realtà si è rivelata molto adatta per i
bambini con tetraparesi da paralisi cerebrale infantile
e per i bambini con deficit mentale anche profondo. Con i primi che, pur privi
di qualsiasi autonomia, sono spesso abbastanza recettivi alla situazione
ambientale, e suscitano una facile empatia, si verificano
situazioni molto felici e soddisfacenti (sia dal punto di vista del benessere
di ottenere qualche movimento volontario altrimenti assente) sia per loro che
per i bambini delle classi comuni. Anche per i casi di insufficienza
mentale profonda, la pressione esercitata dalla moltiplicazione delle stimolazioni
e dalle occasioni di imitazione risultano favorevoli e sono occasione di iniziativa
da parte degli altri alunni.
Più problematica è la situazione relativa
ai bambini che al deficit organico o neurologico sommano forme psicotiche.
In questi casi (peraltro estremamente diversi l'uno
dall'altro) occorrono maggiori attenzioni e comunque una situazione logistica
più articolata che permetta momenti di tranquillità se non di isolamento, in
cui il bambino possa essere sottratto a stimolazioni eccessive, per lui
incomprensibili che lo angosciano o che per qualche motivo rifiuta. Infatti,
anche se, come è nella nostra esperienza, l'unità
educativa dispone di una propria aula, la vita del gruppo è piuttosto vivace
con visite, scambi, permanenza in altre classi, incontri in spazi comuni,
ecc., non sempre comprensibile o ben accetta per alcuni bambini.
b) integrazione
dell'unità educativa nella vita del plesso.
La maggiore integrazione è avvenuta con le classi
situate sullo stesso piano dello stabile, ciò sia per ovvi motivi di contiguità
fisica che, probabilmente per una certa vicinanza diciamo «psicologica»
trattandosi di classi del primo ciclo. Se non è difficile in genere trovare
alcune classi con cui sviluppare momenti di lavoro comune nell'ipotesi prima
illustrata, più complesso è ottenere un interesse ed un coinvolgimento dell'intera
scuola: ciò specialmente nelle scuole dove c'è un'alta rotazione di insegnanti da un anno all'altro. Inoltre la
collaborazione più vasta risente fortemente del clima di collaborazione
esistente o meno nel plesso e qualche volta l'unità educativa può risentire di
un isolamento che non è specifico nei suoi confronti, ma è conseguenza di una
cultura individualistica purtroppo ancora presente nella scuola. Qualche volta
la disponibilità un po' generica degli insegnanti va sostenuta dagli operatori
dell'unità educativa che debbono trasformarsi in veri
e propri animatori soprattutto per non smorzare idee, sollecitazioni e spunti
che i ragazzi spesso esprimono con molta creatività e voglia di fare.
La partecipazione di più classi alla vita dell'unità
educativa costituisce un elemento di grande ricchezza
per la varietà di suggerimenti, di idee e di proposte che da insegnanti ed
alunni diversi emergono, ricchezza che è necessaria per non fossilizzarsi in
modelli di routine che sono un rischio per tutti.
La completa integrazione ha risentito di alcuni condizionamenti di tipo amministrativo. Si tratta
di problemi che, se scontati e di scarsa incidenza all'inizio, possono risultare invece assai negativi se non trovano soluzione in
tempi adeguati. Ci riferiamo in particolare alla condizione «sperimentale»
dell'esperienza (secondo l'autorizzazione del Provveditorato) che necessita invece di essere superata per un compiuto
inserimento dell'unità educativa nel Circolo e della rispettiva insegnante nel
Consiglio di docenti. Incertezze derivano anche attualmente
dalla natura giuridica (IPAB) dell'ente Opera pia Brefotrofio da cui il Centro
dipende, dal suo mancato trasferimento al Comune e dalle limitazioni
conseguenti, ad esempio, alle non sostituzioni del personale assente, che
rischiano seriamente di pregiudicare il proseguimento dell'esperienza.
c) risonanza educativa ed emotiva nei confronti degli alunni delle classi
comuni.
Sul versante dei bambini delle classi comuni si è,
una volta di più, constatato che la «paura dell'handicappato» e la difficoltà a
rapportarsi con lui sono un fatto culturale, trasmesso dall'adulto e legato
all'ambiente (handicappato sconosciuto in quanto nascosto e relegato) ed
all'immagine sociale che il pensiero astratto dell'adulto produce
dell'handicappato a prescindere dalla propria maturazione ed esperienza
personale (quest'ultima considerazione sarebbe anche
avvalorata dall'osservazione della mamma del bambino handicappato dell'unità
educativa che avrebbe riscontrato nel figlio normale le stesse difficoltà di
rapporto con gli altri handicappati, a parte il fratello, e lo stesso processo
di superamento della «paura» osservata nei bambini
della scuola di S. Michele Lido). Proprio perché di carattere culturale, la
difficoltà a rapportarsi con l'handicappato si struttura
nel tempo e si constata che è quasi assente nei bambini di scuola materna
(pure esistente alla scuola di S. Michele Lido), è embrionale nei bambini del
1° ciclo, infine appare via via più evidente nei
bambini più grandi.
Uno studio attento meriterebbe l'elaborazione che, a
livello emotivo, il bambino compie della conoscenza e del contatto con l'handicappato
grave, elaborazione che può essere determinante anche
per il superamento di altri problemi che il bambino ha. Ciò è stato più
evidente nei due casi in cui la difficoltà ad avvicinare il bambino handicappato
è stata esplicitata. Ci sembra che essa sia dovuta a
preesistenti paure (di morte, di abbandono) o di aggressività inconscia, che
riemergono utilizzando alcune caratteristiche del bambino handicappato
presente. Perciò anche il manifestarsi della paura o
dell'ansia nell'avvicinarsi al bambino grave può costituire una occasione utile
per aiutare il bambino ad esplicitare la sua difficoltà e ad avviarne una
positiva elaborazione. Naturalmente, perché ciò possa avvenire occorre che
l'adulto non sottovaluti l'esistenza di tali problemi, soprattutto non li
affronti in modo moralistico o falsamente educativo,
ma, al contrario, li riconosca e li accetti come tali creando il clima perché
se ne possa parlare senza eccessivi sensi di colpa.
Comunque, vista la generale maggiore facilità all'incontro e
allo scambio a partire dai bambini più piccoli, può costituire una utile
indicazione appunto quella di iniziare la conoscenza e la consuetudine con
bambini anche gravi fino dalla scuola materna o almeno dal primo ciclo.
Nella pratica si sono avuti esempi di bambini con
difficoltà di integrazione scolastica che hanno
trovato nell'aiuto agli handicappati gravi (accompagnarli con la carrozzina
all'arrivo e all'uscita, cercare di farli giocare, aiutare a cambiarli, a
preparare il cibo che in alcuni casi va frullato, imboccare) una funzione, una
affermazione ed un riconoscimento che ha loro permesso successivamente una
presenza più adeguata e più produttiva nella vita della loro classe.
d) Condizioni
personali di lavoro degli operatori.
Le operatrici dell'unità educativa risultano
più soddisfatte e molto più responsabilizzate, hanno dichiarato di sentirsi
meglio realizzate, anche se più affaticate fisicamente, anche per un certo
maggior onere di orario data la dislocazione della sede.
Una osservazione importante è stata compiuta dagli
operatori del servizio di medicina scolastica nei confronti degli insegnanti
delle altre classi. Già dopo qualche mese dall'avvio dell'unità educativa,
essi riscontravano una maturazione negli insegnanti che presentavano i problemi
di bambini e di classi in modo più consapevole e con una partecipazione
diversa. Sembra che la presenza e la conoscenza dell'handicap in tutta la sua
gravità dia agli insegnanti più capacità discriminativa nelle difficoltà comportamentali o di
apprendimento dei loro alunni.
Rispetto all'esperienza complessiva, due sono gli
aspetti che, a nostro avviso, richiedono migliori soluzioni e approfondimento.
Il primo si riferisce all'inquadramento
amministrativo, ora che il modello di lavoro è sufficientemente consolidato. Infatti senza una convalida amministrativa (e cioè il
superamento della fase «sperimentale» di cui si è detto sopra) la soluzione
individuata resta precaria e non estensibile; la soluzione amministrativa
deve inoltre rispettare la necessaria flessibilità di cui il gruppo abbisogna e
questo potrebbe non essere facile data la rigidità dell'amministrazione
scolastica in generale. Il secondo aspetto che
richiede ricerca ed approfondimento è quello relativo alla risonanza emotiva
dei bambini sani nell'approccio con l'handicap grave, aspetto che merita una
più approfondita osservazione sia per le potenzialità che racchiude, sia per
evitare possibili rischi di conferma di difficoltà psicologiche che gli stessi
bambini possono avere.
(1) Dipendente dall'Opera pia
Brefotrofio, convenzionato con la USL n. 21 - Regione Marche a norma della
legge 118/71 e 833/78 per un servizio diurno per minori gravi e per un servizio
di riabilitazione sempre nella fascia infantile. Il Centro è pure convenzionato
con il Ministero della pubblica istruzione per una scuola speciale (3 insegnanti)
posta sotto la vigilanza del 2° Circolo didattico di Fermo.
www.fondazionepromozionesociale.it