Prospettive assistenziali, n. 63, luglio - settembre 1983
IL COTTOLENGO: UN
PILASTRO DELL'EMARGINAZIONE
Da sempre Prospettive assistenziali si batte per il superamento della
emarginazione pubblica e privata.
Compete
all'Ente pubblico predisporre - direttamente o indirettamente - i servizi
necessari per soddisfare i diritti e le esigenze delle persone.
Purtroppo le
enormi storiche carenze dello Stato hanno creato
paurosi vuoti di intervento: di qui lo sviluppo delle strutture private, molte
delle quali finiscono per essere meri strumenti d'emarginazione, anziché di
promozione della linea del massimo inserimento sociale.
Parlar male
del Cottolengo è come parlar male di Garibaldi:
crediamo, tuttavia, che alcune realtà non possano essere taciute e - come
rivendichiamo dagli Enti pubblici l'assunzione delle proprie responsabilità -
così riteniamo che gli Enti privati debbano operare per l'eliminazione di ogni forma di emarginazione.
L'intervista
a due ex ricoverati presso l'Istituto Cottolengo
di Torino, apparsa su Com-Nuovi Tempi del
27 giugno 1982 (che riportiamo integralmente a scopo di documentazione) è un
documento preoccupante che fa luce sulle condizioni di vita all'interno della
struttura, secondo l'esperienza vissuta da Piero e Roberto.
Finora
nessuno è intervenuto. Anzi si è mosso Domenico Carena dello staff
dirigenziale della potente istituzione che ha pubblicato, presso l'editrice
SEI, il libro «Il Cottolengo e gli altri» con
prefazione (guarda un po') di Giulio Andreotti.
Lo scopo del
libro è chiaramente quello di esaltare sia la figura
di Giuseppe Cottolengo sia le attività
assistenziali praticate nell'istituto ieri e oggi.
In primo
luogo l'istituzione sorge con precisi e indiscutibili finalità emarginanti.
Infatti, nella lettera che il canonico Cottolengo
scrive nell'agosto 1833 al re Carlo Alberto per ottenere il riconoscimento
legale della sua opera, è precisato che «da qualche tempo in qua coadunati alcuni
letti a riccovero di taluni di que'
molti miserabili, che altrimenti perirebbero abbandonati, come di condizione
morbosa non ammissibili in alcun venerando ospedale».
Invece di adoperarsi affinché i
«venerandi ospedali» accogliessero anche
i «miserabili», il Cottolengo attua l'emarginazione
dei malati «non ammissibili».
Anzi, nella
stessa lettera, il canonico Cottolengo mette in guardia
il sovrano sul fatto che se non venisse creato un
ricovero per questi «vari generi di persone
povere» esse «altrimenti potrebbero
essere colla loro infelicità il disturbo della pubblica pace ed il peccato in
seno ai sudditi» (1).
Ovviamente
il Cottolengo - poi diventato anche santo -
risentiva della mentalità emarginante diffusa non soltanto ai suoi tempi, ma
che perdura ancora attualmente. Al riguardo si
ricorda la ben nota affermazione del Ministero dell'interno del
1968: «L'assistenza pubblica ai bisognosi (...) racchiude in sé un rilevante
interesse generale, in quanto i servizi e le attività assistenziali
concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari
(...)».
Questo vizio
di origine, tuttavia, ha sempre influenzato
l'istituzione, né è stato corretto dai successori, alla luce dell'evoluzione
sociale e delle positive esperienze degli interventi alternativi.
Ancora oggi
il Cottolengo svolge attività di ricovero assistenziale
(2).
Nonostante
che presso il Cottolengo siano state e siano
ricoverate migliaia di persone (3), mai i dirigenti dell'istituzione sono stati
protagonisti né nella difesa dei diritti degli assistiti, compresa la denuncia
delle carenze di interventi degli enti pubblici, né
nella promozione di servizi alternativi (adozione, affidamenti a scopo
educativo, comunità alloggio, scioglimento enti inutili, inserimento
scolastico e lavorativo degli handicappati, assistenza economica agli anziani,
assegnazione agli stessi di alloggi dell'edilizia economica e popolare, ecc.).
Come
attività diversa dal ricovero a carattere di internato,
solo su un punto il Cottolengo è stato attivissimo:
nella raccolta di voti e preferenze per la DC (4).
La tutela
dei diritti fondamentali delle persone, specialmente
di quelle che a causa delle loro condizioni di salute non sono in grado di
difendersi (anziani malati cronici, handicappati psichici e non
autosufficienti, bambini) è, a nostro avviso, un preciso dovere di tutti i
cittadini ed un obbligo morale (e spesso giuridico) delle organizzazioni anche
private che operano nei vari campi delle attività sociali.
Dai dati
statistici risulta che la diminuzione dei ricoverati
presso gli istituti del Cottolengo di Torino, sia per
quanto riguarda quelli a carattere assistenziale che sanitario, è praticamente
uguale alla riduzione verificatasi presso gli ospedali e le strutture
assistenziali della città.
Si deve però
a questo riguardo, tener conto che, negli anni 60-70, il Cottolengo
ha chiuso quasi 200 sedi periferiche, concentrando a Torino personale, attività
e utenti.
Tutto ciò
dimostra che i servizi alternativi istituiti dagli enti locali riducono l'utenza anche (se non soprattutto) del Cottolengo
che, alla prova dei fatti, non è quell'istituzione
che raccoglie principalmente i casi di cui nessuno vuole occuparsi.
Vi è da
dire, al contrario, che ultimamente l'ente locale, nel caso in esame la
Provincia di Torino, ha accolto un soggetto che il Cottolengo
si era dichiarato incapace di gestire e che, oltre all'alloggio destinato a
Piero e Roberto, il Comune di Torino ha predisposto
una comunità alloggio per accogliere 5-6 handicappati attualmente ricoverati
presso il Cottolengo.
INTERVISTA
A ROBERTO E PIERO (5)
Roberto e Piero sono due
handicappati usciti dal Cottolengo, che ora vivono insieme,
in un alloggio dello Iacp, che il Comune ha assegnato
loro, dopo averlo adattato. Il Comune manda loro, inoltre, una colf per due o
tre ore al giorno. Per il resto si aggiustano.
Frequentano le magistrali.
Com-Nuovi Tempi.
Iniziamo con una brevissima presentazione di voi stessi; soprattutto vi chiediamo:
che cosa vi ha spinto ad uscire dal Cottolengo?
Piero. Mi chiamo Piero De Filippi,
ho 25 anni e sono uscito dal Cottolengo nel settembre
scorso. I miei genitori, dopo la mia nascita, forse
per motivi familiari che io non conosco, mi hanno messo al Cottolengo quando avevo sì e
no un anno. Sono uscito a settembre da questo istituto
per provare una nuova vita, una nuova esperienza, e per adesso sono molto
contento del passo che ho fatto. Nei primi momenti ho avuto un po' di incertezza e di paura, perché uscendo dall'istituto mi
venivano a mancare determinate cose che prima avevo a portata di mano; ma poi
sono riuscito ad ambientarmi, anche perché io ho visto che riuscivo a farmi
accettare dalla gente.
Roberto. Io mi chiamo Roberto Tarditi
e ho 37 anni; sono stato al Cottolengo per 35 anni.
Sono stato messo nell'Istituto per motivi ben chiari, legati ad una cultura
cattolica che ha spinto mia madre a cercare di sbarazzarsi di me. È inutile
accusare la madre perché ha abbandonato il figlio handicappato in un istituto:
l'unica alternativa che aveva per liberarsi dal
peccato era l'eliminazione di un figlio che non era normale e che per di più
era illegittimo. Ecco, questa è la ragione per cui sono entrato in un istituto.
Ho cercato l'inserimento nella realtà esterna in
seguito alla mia lenta maturazione, avvenuta in mezzo a difficoltà incontrate
da parte di preti e suore, che hanno sempre detto che
un handicappato non può vivere al di fuori di quella struttura protettiva. La
mia è stata una scelta di tipo politico, che mi ha aiutato a valutare la mia
personalità, anche se per me è stato molto difficile perché
mi è stato impedito di comunicare questa crescita di coscienza: le persone
all'interno del Cottolengo e alcune esterne con cui
venivamo in contatto erano talmente abituate a ritenere che per gli
handicappati sia meglio vivere in un istituto!
Io sono convinto di essere
persona, quindi sono uscito a fare i primi passi insieme a tutta la gente
normale, a fare le cose che la gente normale fa. Non è vero che io che sono
handicappato trovo tutto più faticoso; no, ho
faticato come tutti a cercare casa, aspettando due anni, perché è una prassi
normale per tutti attendere degli anni!
Piero. Invece nel mio caso purtroppo questa maturazione è
avvenuta solo due anni fa, anche perché fin da piccolo mi era stato inculcato
che un handicappato, per esempio uno come me (senza
mani e senza gambe), non aveva possibilità di vivere fuori di un istituto;
psicologicamente ci buttavano a terra. Solo due anni fa, quando ho ripreso a
frequentare la scuola, una scuola esterna, allora ho
capito veramente il valore che abbiamo dentro di noi, quel valore che lì
dentro era negato. Infatti quando ho detto che volevo
andare a scuola tutti mi dicevano: «Non ce la farai, ti
troverai male, poi in una scuola pubblica ti derideranno tutti».
Andando a scuola ho visto che le persone esterne non erano poi quei mostri che all'interno ci facevano
credere e allora ho cominciato a capire parecchie cose.
Quando tornavo dalla scuola e riprendevo la vita al Cottolengo non mi andava più, mi sentivo come soffocare.
Dopo averci pensato molto, ho deciso che la mia vita sarebbe cambiata
totalmente, se fossi andato a vivere fuori dall'istituto.
Grazie anche al «Coordinamento handicappati» e grazie
ai compagni di scuola, ai quali mi ero affezionato, siamo riusciti a presentare
domanda all'assessorato per la casa. Anche in questo
caso, quando ho detto all'interno del Cottolengo che
sarei uscito mi hanno subito preso per matto «Guarda che non durerai a lungo»; io però ero cosciente e sapevo quello che volevo fare, e
adesso sono qui.
Quando parlo di « oro» parlo dei superiori, delle suore,
anche di qualche compagno stesso, di quasi tutti gli anzianotti, soprattutto
però di suore e preti. I giovani erano più incerti; qualcuno invece ha
appoggiato subito la nostra idea, il nostro progetto.
Roberto. La cosa importante era il rapporto con i compagni:
molti di questi erano dubbiosi, ma dopo, quando sono venuti qui
a casa nostra ed hanno visto come ci eravamo organizzati, allora hanno avuto
uno stimolo a vedere tutto sotto una altra ottica, hanno capito che potevano
«acquistare personalità». Voglio dire che prima eri
in un posto dove le suore pensavano a fare tutto e tu non dovevi pensare a
niente: anche magari una cosa da nulla, per esempio portare un carrello da un
posto all'altro (è un esempio banale, ma è significativo: tu non potevi
portarlo). Noi dovevamo solamente pensare a pregare,
ascoltare la messa, fare tutte le cose di carattere religioso, perché noi
eravamo i privilegiati di Dio. Inoltre, noi eravamo anche creati così
per riparare i peccati fatti da altra gente. È assurdo, ma le cose venivano dette così, correntemente, a noi e agli altri.
Questa frase veniva ripetuta a quel tempo ai visitatori
che venivano, centinaia al giorno, al Cottolengo.
Capite che cosa significa questo per noi? Questa è una cosa allucinante,
proprio; è un gioco psicologico che ancora pesa sugli handicappati.
Com-Nuovi Tempi. Risulta chiaro come voi eravate presentati agli altri. Come
presentavano a voi gli altri, la gente che vive
all'esterno?
Piero. Quando io ho detto che uscivo,
mi hanno subito detto: «Non andarti a drogare o fare cose simili». Ti mettono
tutto il mondo di fuori sotto quella luce buia; invece ho scoperto che se pure
ci sono delle difficoltà, non è poi così brutto e allucinante come ce lo presentavano. In questo modo tanta
gente diceva «Se fuori è così, allora io resto
dentro».
Roberto. Ma quello che è importante
è questo: uscendo dall'istituto tu acquisti una nuova veduta di tutta quella
realtà. E, secondo me, questo è grave per loro anche
dal punto di vista politico o economico. Perché
immaginate un po' che tutti gli handicappati che sono al Cottolengo
escano: che cosa fanno loro? Loro vivono su di noi! Noi siamo quelli che manteniamo quella gente, se no vanno in fallimento sia in
senso proprio che psicologicamente.
Com-Nuovi Tempi.
Non c'era all'interno qualcuno dei preti o delle suore che la pensasse diversamente?
Piero. Io ho conosciuto una suora che mi dava una certa
autonomia, che non accettava che io stessi lì dentro e diceva
che era importante essere stimolati anche dall'interno dell'istituto. Ma
queste persone generalmente vengono trasferite in
provincia, cioè in un posto dove devono solo lavorare e non più pensare.
Com-Nuovi Tempi.
Qual è a vostro giudizio, il livello di assistenza
medica, generica e specifica all'handicap?
Roberto. Quanto all'assistenza medica
generica non c'è nulla da obiettare, perché c'è, in tutti gli aspetti. Al
di fuori dell'ospedale, le altre famiglie sono strutturate in modo che venga il medico ogni giorno, o una volta alla settimana, a seconda
dei casi. Vengono medici dell'ospedale, esterni al reparto. L'assistenza
specifica all'handicap, nel mio periodo giovanile non c'era. Se avessi fatto
della fisioterapia quando ero giovane non sarei ora in
queste condizioni, ma allora mancavano tutte quelle strutture che ora ci sono.
Com-Nuovi Tempi.
Esiste qualche forma di lavoro, o di preparazione
professionale?
Roberto. Sul lavoro c'è da dire un mare di cose. Un primo
caso è costituito da una forma di lavoro protetto. È
un laboratorio di legatoria dove molti editori portano dei fogli stampati che
lì vengono piegati e rilegati, per formare un libro.
Com-Nuovi Tempi. E
il lavoro viene pagato?
Piero. In queste legatorie ci sono alcuni che lavorano con
le macchine, e questi ricevono mi sembra 20-30.000 lire al
mese (parlo della situazione attuale); ci sono altri che lavorano a mano, e
ricevono un po' di meno, non so bene quanto. Io invece ero telefonista e mi
davano 20.000 lire al mese, così, per le sigarette.
Non c'era una busta-paga; ti dicevano: «Essendo ricoverato, non puoi usufruire
dello stipendio». Però eravamo obbligati ad andare a
lavorare tutti i giorni («Devi andare a lavorare, perché oggi mangi» dicevano).
Com-Nuovi Tempi.
Voi avete l'impressione che il Cottolengo guadagnasse sul vostro lavoro?
Piero. Altroché... Quando ero nell'ufficio sentivo a volte parlare dei prezzi: tanti punti di cucitura
tante lire, tante copie tanti soldi. Ultimamente
hanno comprato una macchina da parecchi milioni, in legatoria.
Non c'era nessuna preparazione ad un lavoro esterno.
No, semplicemente devi lavorare perché mangi, e mangi
il pane della divina provvidenza. Dato che tu puoi fare qualcosa devi farlo.
Della pensione di invalidità,
ci tolgono la terza parte. Per cui il pane è della pensione e del lavoro, non della divina provvidenza.
Com-Nuovi Tempi. Di
che tipo è la vita culturale all'interno del Cottolengo
(scuole, letture, spettacoli...)?
Roberto. Nell'interno ci sono le elementari e le medie. Le
medie ora sono statali, prima si trattava di una
«scuola speciale». Dopo hanno cambiato nome, ma l'impostazione della scuola è
rimasta uguale. Quando frequentavo io, c'era la
tendenza a non preparare culturalmente i ragazzi.
Piero. Come giornali c'era L'Avvenire, La Gazzetta del
popolo (che adesso è fallita), ora c'è La
Stampa, altri giornali non li ho visti. La Stampa qualche tempo fa era ritenuta
laica, massonica. Non la ammettevano perché (dicevano) i giovani vanno subito a vedere la pagina degli spettacoli. Poi ci
sono quei settimanali o mensili cattolici, come Famiglia cristiana, Il
messaggero di S. Antonio, Nigrizia,
tutte quelle cose...
Altri erano più censurati. Una volta mi ricordo che
leggevo Topolino; è arrivato il
reverendo e mi ha detto: «Tu quando hai libri o giornali
me li devi far vedere!»; ha preso un timbro e li ha timbrati.
Lì fanno films tutte le
domeniche, ma li revisionano tutti.
Roberto. Vorrei ricordare che anche per la Tv ci lasciavano
vedere solo qualche spettacolo, Rischiatutto, Canzonissima...
Per la Tv si basavano sulla critica data da Famiglia Cristiana. Libri, c'erano solo
quei romanzi di avventure che non impegnano troppo.
Com-Nuovi Tempi.
Una curiosità politica. Sappiamo che al Cottolengo
c'è sempre il seggio elettorale interno. Viene
fatta propaganda elettorale?
Piero. Quando c'erano i
fac-simili, erano tutti crociati sulla Dc. Ci
dicevano: «Votate chi volete, ma votate bene!». I candidati venivano anche a
farsi stampare i volantini; solo democristiani però.
Roberto. Qualche candidato Dc
veniva a farsi propaganda, portando le sigarette più 1.000 lire ad ognuno di
noi. E poi dovevamo andare a prendere il certificato
elettorale dal rettore della «famiglia», e lui dava il certificato più un
biglietto con i nomi dei candidati da votare. E questo ancora
nelle ultime votazioni.
Allegato 1
Dati
statistici sui ricoveri nella città di Torino - Presenti a
fine anno
Ricoveri
presso
Anno Ospedali
cittadini Cottolengo Istituti cittadini Cottolengo
(sanità) (a) (assistenza)
(b)
1960 10.675 1.010 11.087 2.781
1961 10.887 994 11.202 2.789
1962 11.411 1.012 10.952 2.712
1963 11.736 1.010 11.878 2.691
1964 11.472 998 11.932 2.666
1965 11.163 978 12.085 2.640
1966 11.433 982 11.422 2.629
1967 11.039 949 11.499 2.590
1968 11.098 964 11.411 2.527
1969 11.713 957 10.706 2.460
1970 10.554 962 10.403 2.396
1971 10.059 950 9.637 2.289
1972 10.091 939 9.089 2.220
1973 9.808 960 8.919 2.173
1974 9.932 961 8.339 2.101
1975 9.068 934 8.232 2.044
1976 8.979 948 7.794 1.956
1977 8.507 839 7.356 1.932
1978 7.627 751 (c) 7.020 1.911
1979 6.642 190 7.359 2.448
(a)
Fino al 1978 sono compresi i lungodegenti.
(b) Dal
1979 sono compresi anche i lungodegenti.
(c)
Esclusi i lungodegenti, i ricoverati sono 186.
Allegato 2
Elezioni
della Camera dei deputati del 26-27 giugno 1983 - Percentuali
Partiti Comune
di Torino Seggi interni del Cottolengo
PCI 34,27 2,55
DC 19,61 94,89
PRI 10,25 0,24
PSI 9,15 0,24
PLI 6,81 0,30
MSI 6,68 0,59
PR 4,58 0,12
PSDI 3,47 0,18
PN Pens 2,69 0,30
DP 2,13 0,41
Altri 0,36 0,18
Totali 100,00 100,00
Voti di preferenza alla DC
Torino:
preferenze 144.769 su 143.343 voti uguale 1,01%
Cottolengo: preferenze 3.123 su 1.568 voti uguale 1,95%
Dai dati sopra riportati risulta
che l'influenza elettorale del Cottolengo non solo è
enorme (per la DC), ma anche che i votanti DC dei seggi interni del Cottolengo sono «politicizzati» in misura quasi doppia
rispetto ai cittadini torinesi che votano la democrazia cristiana.
(1) È significativo che nel libro «Il Cottolengo e gli altri», Domenico
Carena, il quale afferma di aver avuto «a disposizione migliaia di documenti ai
quali sono stato coscienziosamente fedele», non citi le illuminanti frasi da
noi riportate.
(2) Per la parte di ricovero sanitario,
il Cottolengo, in base alla convenzione stipulata con
la Regione Piemonte, riceve il pagamento delle rette pattuite.
(3) Cfr. l'allegato 1. I dati riguardano solo i ricoveri nella città
di Torino, mentre il Cottolengo ha 128 sedi situate
in varie zone d'Italia e all'estero.
(4) Cfr. l'allegato 2.
(5) Testo integrale dell'articolo
pubblicato su Com-Nuovi Tempi del 27 giugno 1983.
www.fondazionepromozionesociale.it