Prospettive assistenziali, n. 63, luglio - settembre 1983
MARIO TORTELLO
La riforma dell'assistenza non è più una priorità?
L'attesa legge-quadro che, per la prima volta dal 1890 (!) (1), dovrebbe dare
un assetto organico alla materia trova scarse menzioni esplicite nei
programmi dei partiti per la nona legislatura e non compare tra le «emergenze»
indicate dal nuovo governo. Dopo oltre 10 anni di dibattiti (nel paese ed alle
Camere) e di rinvii (2), il provvedimento deve ricominciare ora per l'ennesima
volta il suo cammino parlamentare.
Con la chiusura anticipata della ottava
legislatura, si è nuovamente interrotta la discussione sui progetti di riforma
che - in sede di comitato ristretto delle Commissioni riunite Affari Costituzionali
e Interni di Montecitorio - aveva portato alla
stesura di un testo «unificato», anche se, su alcuni punti, esistevano riserve
di partiti e di governo.
Per la verità, il confronto parlamentare tra le
diverse forze politiche ha registrato la sua ultima grave battuta d'arresto sin
dall'11 febbraio 1982, quando la DC, attraverso gli onorevoli Gui e Vietti (oggi entrambi non
rieletti deputati), ha presentato - sempre in seno
alle commissioni riunite - una serie di emendamenti con i quali si prevede una
massiccia privatizzazione delle IPAB (3). Il «colpo di mano» DC e l'immediata
reazione delle forze di ispirazione laica ha comportato
il trasferimento della discussione in assemblea; ma il ricorso anticipato alle
urne ha impedito che il testo venisse preso in esame ed ha fatto nuovamente
decadere le proposte.
Le attese della nona legislatura
Che cosa capiterà, ora, nella nona legislatura
repubblicana? Tra i problemi che attendono l'intervento del nuovo parlamento e
del nuovo governo:
- l'applicazione della legge di
riforma sanitaria, ed, in primis, il
varo del primo piano sanitario nazionale triennale;
- l'approvazione della legge di riordino del settore assistenziale;
- la riforma delle norme sul collocamento obbligatorio
degli handicappati;
- la riforma delle autonomie locali.
E ciò soltanto per citare alcuni dei provvedimenti che sono da tempo sul tappeto ed attendono
non solo il sì definitivo delle Camere, ma anche di essere inseriti in un
disegno organico ed unitario che ricomponga via via
il quadro istituzionale ed eviti che le norme successive contraddicano le
precedenti. Unitarietà tanto più necessaria proprio
nel momento in cui le risorse disponibili non sono certo abbondanti e non debbono
essere sperperate in una somma di sprechi o di prestazioni non dovute.
Certo, la battaglia per l'applicazione delle leggi già approvate ed il
varo delle altre riforme non è e non sarà facile.
La legge istitutiva del servizio sanitario nazionale
(cui avrebbero dovuto riferirsi le successive riforme) subisce oggi un pesante
attacco da parte dei suoi denigratori che ne chiedono la revisione,
prima ancora di averla attuata correttamente e compiutamente. E, tra l'altro,
va anche tenuto conto che il modo in cui la riforma è stata (o non è stata)
applicata in ampie aree del Paese non ha dato un contributo positivo
alla credibilità dell'ente pubblico (4).
La modifica alla legge sul collocamento obbligatorio
è decaduta in seguito allo scioglimento delle Camere, dopo che - nel corso di
ben tre legislature ed un vasto dibattito che ha interessato tutte le forze
sociali e politiche del paese - la Commissione Lavoro
della Camera aveva predisposto un testo unificato. Ma,
contemporaneamente, con un decreto-legge (poi decaduto in questa parte), si è
tentato di eliminare di fatto gli handicappati dalla vita produttiva del paese
(5).
La riforma delle autonomie locali sembra bloccata
nelle secche dei «vedremo» e da progetti e disegni di legge presentati nella
passata legislatura sembrano emergere indicazioni di fondo
che possono portare, semmai, solo ad «una
amministrazione nuova in panni vecchi» (6).
Ora, se é vero che «il buon giorno
si vede dal mattino», non si può sostenere che le premesse di legislatura siano
di buon auspicio. Ci richiamiamo
alla sola riforma dell'assistenza, anche perché questa consente il riferimento
ed il collegamento con tutte le altre leggi di riordino oggi sul tappeto.
Ebbene, la riforma dell'assistenza nella dimensione
e nella struttura delineate dalle nuove esigenze
sociali è rimasta in ombra nei programmi elettorali dei partiti, spesso
subordinata alla revisione del settore sanitario e previdenziale, quasi a
sottolineare l'equazione: «bisogno» uguale ad «indigenza».
Nemmeno il neo-presidente
del consiglio vi ha fatto esplicito cenno nel discorso in cui ha esposto alle
Camere le linee programmatiche del primo governo a direzione socialista, «un governo che [pure] non sarà e non potrà essere conservatore»
(7).
Assistenza, non assistenzialismo
In generale, l'attenzione prioritaria sembra posta - nei fatti - più al contenimento ad ogni costo del
deficit della spesa pubblica che alle esigenze delle fasce più deboli di
popolazione. Anche se non è poi possibile dimostrare - dati
alla mano - che sia proprio la spesa per l'assistenza a provocare il dissesto
della finanza statale: anzi (fonte Censis), dal '75
all'81 questa è diminuita dall'1,6 all'1,4 per cento (8).
Persino sulla «grande imputata», la spesa sanitaria,
indicata dai mass-media come un «pozzo senza fondo», si tace su due dati
incontestabili: che sia tutt'oggi una delle più basse della Comunità Europea e che il
sistema sia sostanzialmente in equilibrio finanziario grazie ai contributi di
lavoratori e datori di lavoro.
Con ciò, non si vuole ignorare o nascondere la
presenza di vaste aree di privilegio, contro le quali da tempo si batte il
movimento riformatore (9). Tuttavia, non si può confondere o identificare -
come sembra emergere dai programmi di legislatura di molti partiti - assistenza
con assistenzialismo.
L'assistenza
è, e deve essere, una attività rivolta esclusivamente
alle persone che non sono in grado di inserirsi autonomamente nella società o
che non hanno í mezzi sufficienti per vivere. E, sotto
questo punto di vista, occorre che la programmazione e l'organizzazione degli interventi
siano tali:
- da evitare la
segregazione dei cittadini in difficoltà in istituti di assistenza
a carattere di internato;
- da attuare una effettiva prevenzione del bisogno assistenziale,
coinvolgendo anche la sanità, la casa, la scuola, l'assetto del territorio, il
verde pubblico, lo sport, il tempo libero, ecc.
Un approccio frammentario
Purtroppo, a giudicare dal frammentario approccio a
questi temi che si può rilevare nei programmi di molte forze politiche,
l'auspicata visione unitaria dei problemi non sembra presente a livello
parlamentare. Emerge, invece, una linea di «monetizzazione»
dei bisogni sociali (prova ne sia, anche, il fatto che in alcuni programmi non
si parli di una riforma dell'assistenza distinta da quella della previdenza);
una linea che finisce col riproporre soluzioni private ed individuali di quei
problemi che negli anni '70 un ampio schieramento di forze aveva
posto invece come domanda collettiva, alla quale occorre dare una risposta
nella comunità.
Non a caso, infatti, quasi nessun partito associa
nei suoi programmi la riforma delle istituzioni e dei servizi alla partecipazione, indicando la prima come
risorsa della società e la seconda come risorsa fondamentale delle istituzioni
e dei servizi stessi. Non a caso, si pone un problema di fondi per la gestione
della sanità, ma si tace sulla prevenzione
e sulla riabilitazione.
Vediamo, sia pure per cenni, alcune delle contraddizioni più vistose presenti nei programmi di
legislatura.
Organi di
governo. Si è insistito spesso, nel
corso degli ultimi 15 anni, sulla esigenza di superare
la miriade di enti pubblici in cui erano frammentati i poteri relativi ai
servizi sociali, assistenziali, sanitari e di attribuire le competenze ad un
solo organo di governo (il Comune singolo o associato), in modo che i cittadini
abbiano a livello locale un unico riferimento. La legge 833/78
- istitutiva del servizio sanitario nazionale - va in questa direzione
impegnando (con l'art. 15) le Regioni a stabilire «norme per la gestione coordinata ed integrata dei servizi dell'Unità
sanitaria locale con i servizi sociali esistenti sul territorio» (10).
Questa norma fondamentale trova deboli ed isolati
riscontri concreti nella messe di indicazioni e di
proposte di «riforma della riforma sanitaria»; né viene esplicitamente
ribadita come esigenza fondamentale nell'ambito del futuro riordino delle
autonomie locali. E, l'auspicata istituzione di un solo organo di governo per
tutti i servizi sociali (11), in modo che i Comuni singoli e associati
acquisiscano un peso non indifferente direttamente nel campo delle scelte
economiche, sembra allontanarsi non solo nel tempo, ma
anche negli obiettivi.
Integrazione
socio-sanitaria. Analogo discorso
vale per la gestione coordinata ed integrata dei servizi sociali sul
territorio. La citata disposizione dell'art. 15 della
legge 833/78 - che, nel migliore dei casi, è stata sinora interpretata restrittivamente dalle Regioni, intendendo l'estensione
limitata ai soli servizi assistenziali - non solo sembra cadere in oblio, ma a
leggere alcuni «programmi per la legislatura» pare totalmente contraddetta con
il riferimento ad «Unità locali» solo sanitarie o con il tacito ripristino di
quella «binarietà» di competenze che si voleva
eliminare appunto con le riforme.
Altri elementi di turbativa del sistema postregime
mutualistico, possono essere rappresentati dalle proposte presenti in più d'un programma volte a:
- privilegiare, nell'ambito della
programmazione, le sole prestazioni ospedaliere a scapito di quelle di
territorio; cioè, la tradizionale attività di cura, anziché i collegamenti
organici con quelle di prevenzione e di riabilitazione;
- rendere autonoma la
gestione degli ospedali multizonali con «appositi organi di gestione», distinti
da quelli dell'unità locale (12);
- introdurre per
legge il ruolo medico.
Il
personale. Nessun cenno viene fatto nei programmi ai problemi del personale dei
servizi, se si esclude, ancora una volta, il mancato accenno a quello sanitario
e, in particolare, a quello medico. L'istituzione del «ruolo medico» - che, ad
esempio, il Pli ha richiamato con vigore nel suo
programma - è stata prevista nell'ultimo accordo collettivo, il primo del
comparto sanitario.
«Un elemento
dirompente [rispetto al disegno
generale della riforma sanitaria e delle riforme] - osserva M. Severo Giannini, già ministro della Funzione Pubblica - proprio perché ora è apparsa la notizia che
anche gli ingegneri vogliono il ruolo speciale in
tutte le amministrazioni in cui hanno una funzione specifica; è chiaro che poi
avremo la richiesta da parte degli avvocati, dei commercialisti, dei geologi,
eccetera: una volta introdotto il principio questo tende ad espandersi. Quindi,
il futuro è dominato da questo fatto che forse avrebbe dovuto essere valutato
dal Parlamento prima di essere inserito in un accordo
nazionale, così com'è accaduto» (13).
Problema
IPAB. Nessun riferimento alla futura
collocazione delle Istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza, le quali da sempre costituiscono il nodo che blocca la riforma
dell'assistenza: novemila enti, 114 mila assistiti, 35 mila operatori,
patrimoni pubblici per almeno 20 mila miliardi, che qualcuno - proprio in
questo momento di crisi e di difficoltà della finanza statale - vorrebbe
regalare ai privati, sottraendo così agli enti locali rilevanti risorse
finanziarie e umane per i servizi sociali.
No alla attesa
passiva
Pur ribadendo l'esigenza
indilazionabile di una legge-quadro nel settore dell'assistenza (non di una
qualunque legge-quadro, ma di un provvedimento che, giova ripeterlo, deve
inserirsi organicamente nelle riforme già approvate e costituire un punto di
riferimento indispensabile per quelle ancora da varare), occorre tuttavia mettere
in rilievo che già oggi enti locali e Regioni hanno la facoltà di operare
costruttivamente nella linea del riordino istituzionale e dei servizi e contro
l'emarginazione delle fasce più deboli (14).
Quello che preoccupa non è solo l'ulteriore dilazione
dei tempi delle riforme e la mancata unitarietà degli obiettivi. La carenza di volontà politica sinora dimostrata a livello
centrale, si ripercuote negativamente in periferia e vede molti amministratori
regionali o di enti locali in una attesa passiva, quasi «messianica», dei
nuovi provvedimenti, come se «ope legis», questi potessero d'un colpo risolvere tutti i
nodi.
Anche per questo è indispensabile - sia a livello locale che nazionale - una maggiore unità tra tutte
le forze, i movimenti di base, le associazioni disponibili a battersi nei fatti
contro l'emarginazione, sia per sollecitare gli enti preposti ad assumere gli
impegni e gli obblighi di legge, sia perché le riforme passino e rispondano
effettivamente ai bisogni primari delle persone. Su questi temi, infine, non
sembra superfluo richiamare una maggiore attenzione dei sindacati Cgil Cisl Uil.
LE
LINEE DI POLITICA SOCIO-ASSISTENZIALE NEI PROGRAMMI
DEI PARTITI (*)
Democrazia cristiana
La Democrazia cristiana non intende mettere in forse
le grandi conquiste sociali che lo sviluppo economico, soprattutto degli anni
'60 e '70, ci ha consentito. Intende, però, attuare
una «politica sociale responsabilizzata», dove, cioè,
nella gestione delle risorse destinate ai bisogni sociali, accanto alle
responsabilità dei pubblici poteri, si configurino precise responsabilizzazioni
delle persone, delle cooperative, dei gruppi sociali, anche di volontariato,
sui bisogni più propriamente legati a valutazioni di tipo personale e di
gruppo.
D'altro canto, i governanti non possono sottrarsi alla responsabilità di rispettare le compatibilità
finanziarie.
Fino a qualche tempo fa era ragionevole pensare che,
negli anni a venire, si mantenesse alto il tasso di
sviluppo delle economie occidentali, come della nostra. Oggi, nel modificato contesto internazionale, viceversa è possibile presumere
solo una espansione del reddito in misura molto più contenuta. Occorre,
altresì, tener presente la sempre maggiore incidenza della popolazione anziana.
Si tratta, quindi, modificando la quantità e la
qualità e la tipologia degli interventi, di passare da una fase di intervento generale e del tutto gratuito a tutti ad
un'altra fase, caratterizzata da interventi più mirati ed efficaci, capaci di
offrire insieme:
a) una copertura di bisogni di base
per tutti i cittadini italiani;
b) programmi orientati a dare priorità alle fasce di
domanda oggi escluse dalla possibilità di trovare risposta: i giovani, le donne
e gli adulti senza lavoro, senza casa; gli anziani soli, con bassi redditi, le aree di vecchia e nuova povertà e marginalità;
c) una possibilità di scegliere risposte
integrative ai propri bisogni per tutti colora che lo vogliono.
Non si tratta, perciò di diminuire
gli strumenti e le modalità esistenti quanto piuttosto di riconoscere e
identificare procedure e meccanismi nuovi che, accanto al sistema di base,
assicurino una più aderente e personalizzata risposta ai bisogni
collettivi ed individuali. Nei singoli comparti del sistema di sicurezza
sociale, si dovrebbe perciò prevedere:
- nella
previdenza,
la profonda revisione dell'attuale sistema che
favorisca:
a) un più giusto e diffuso
equilibrio tra contributi e prestazioni;
b) la perequazione dei trattamenti a favore dei
pensionati di settori diversi o che hanno cessato
l'attività in annate diverse;
c) una netta separazione tra previdenza ed assistenza;
realizzi: un regime pluralista;
disponga: una pensione minima obbligatoria e pubblica,
integrabile con una seconda fascia previdenziale gestita nella contrattazione
aziendale e categoriale, e ancora ulteriormente
integrabile, fino alla personalizzazione, con le forme di previdenza
integrative presso il settore assicurativo;
- nella sanità:
a) l'affidamento della gestione dei servizi non già
ai politici, cui spettano invece compiti di indirizzo
e di controllo, ma a chi possiede professionalità e competenza gestionale;
b) accanto alle prestazioni di base a carico del bilancio
pubblico, la possibilità di scegliere, da parte del cittadino, fra servizi
gestiti con criteri differenziati eventualmente con
buoni-salute o indennizzi fiscali;
- nella università
(omissis);
- nel campo
abitativo (omissis);
- nell'assistenza
sociale: la creazione di una moderna rete di salvaguardia
e di solidarietà, con il concorso ed il protagonismo attivo di tutte le energie
sociali, capace di evitare lo scivolamento nella marginalità delle molteplici
forme di povertà e di handicaps.
Un passaggio decisivo riguarda la valorizzazione di forme di volontariato, che consolidano il senso di
solidarietà e la capacità di autogoverno delle formazioni sociali.
Partito comunista
Il Pci considera impegno
fondamentale di una azione di governo la difesa dei
diritti dei cittadini e della loro effettiva libertà ed eguaglianza, sia nei
confronti delle ingiustizie di una società ancora profondamente caratterizzata
dallo sfruttamento e dall'oppressione di classe sia nei confronti di
discriminazioni che - come quelle di sesso - hanno radici dure da estirpare,
sia infine nei confronti dell'arroganza e dell'ottusità burocratica di settori
e organi della pubblica amministrazione che troppo spesso operano con
prepotenza nei confronti dei più deboli e dei più indifesi.
Nel perseguire questi obiettivi il Pci considera essenziale il ruolo di tutti quei movimenti -
da quelli delle donne ai vari movimenti di lotta contro le diverse forme di
disuguaglianza e di emarginazione - che sono diretta
espressione di questa volontà di affermare la piena libertà di ciascuno e la
più ampia eguaglianza fra tutti i cittadini.
Per affermare i principi sopra indicati, il Pci propone una «carta dei diritti del cittadino», che promuova e sancisca, anche con le opportune misure
legislative, nuovi diritti individuali e collettivi e garantisca la concreta
possibilità, per ogni persona, di fare valere tali diritti.
Tale carta dovrebbe in particolare contemplare:
- il diritto all'informazione su ogni atto della
pubblica amministrazione:
- il diritto di ottenere risposta - entro un termine
di tempo prestabilito, certo e vincolante - per ogni istanza,
ricorso, o richiesta di autorizzazione rivolta dai singoli cittadini alla
pubblica amministrazione;
- il diritto degli utenti dei vari servizi pubblici
(sanità, trasporti, informazioni, scuola) e l'istituzione di figure di
«difensore civico» o di «tribunale dei diritti» per la tutela dei diritti stessi;
- i diritti degli handicappati a poter fruire, in tutti
i campi, di una reale eguaglianza e la predisposizione
dei servizi, delle strutture e delle garanzie perché ciò effettivamente
avvenga;
- il diritto, da parte di movimenti e associazioni
come quelli femminili, ecologico, dei consumatori,
degli utenti dell'informazione, ecc., di potersi costituire parte civile anche
in procedimenti giudiziari per rivendicare la tutela di interessi diffusi o
l'applicazione di determinate leggi;
- i diritti dei diversi contro ogni forma di emarginazione e discriminazione;
- i diritti delle minoranze etniche
e linguistiche nei vari campi amministrativi e sociali.
In questi anni la lotta di emancipazione
e liberazione delle donne ha assunto in Italia il valore di lotta per il
rinnovamento di tutta la società ed ha segnato di sé la storia, la cultura, le
idee del nostro paese.
Il Pci respinge l'attacco
conservatore della Dc contro i diritti e le
aspirazioni delle donne ed è impegnato in questa campagna elettorale e per la
prossima legislatura a portare avanti in Parlamento e nel paese una politica
che risponda alle aspirazioni e alle speranze delle
grandi masse femminili. In particolare le proposte del Pci
riguardano questi punti:
- l'approvazione in tempi rapidi della legge contro
la violenza sessuale;
- la realizzazione di una
politica dei servizi sociali che risponda ai bisogni vecchi e nuovi delle
donne, delle famiglie, dell'infanzia, degli anziani;
- l'applicazione piena delle leggi
sui nidi, i consultori, la maternità e l'aborto;
- l'avvio di una politica che combatta ogni forma di
discriminazione verso le donne e anzi ne incentivi
l'occupazione;
- un impegno per la piena
applicazione della legge di parità tra uomo e donna nel lavoro e in tutti ì
campi.
Un peso sempre maggiore va assumendo in Italia, come
in altri paesi dell'occidente, il problema degli anziani.
Al riguardo il Pci ha già formulato una serie di precise proposte che
tendono in particolare a:
- promuovere modifiche dell'attuale organizzazione
del lavoro che favoriscano, anche con forme di tempo parziale, un utilizzo
delle competenze e delle capacità professionali degli anziani;
- favorire una loro partecipazione
all'organizzazione e alla gestione dei servizi sociali;
- stimolare la partecipazione alle attività e alle
iniziative culturali.
Una svolta nella politica di governo è assolutamente
necessaria per i problemi della gioventù: problemi che finora, al di là delle chiacchiere, non sono stati neppure
seriamente considerati.
Pertanto il Pci e la
Federazione giovanile comunista propongono oltre alle misure contenute nelle
proposte per il lavoro e per la scuola:
- un piano per la formazione;
- la immediata approvazione
della legge presentata dalla sinistra sui contratti di formazionelavoro;
- un'azione di informazione
e prevenzione contro la droga;
- forme di solidarietà attiva
ai tossicodipendenti.
Particolare rilievo per i giovani hanno
inoltre le proposte, già precedentemente formulate, circa la riforma del
servizio di leva, la promozione dello sport per tutti, la legge contro la
violenza sessuale.
Partito socialista
Indirizzi di
riforma delle politiche sociali - In
questo quadro
- il sistema delle pensioni e dell'assistenza;
- la sanità;
- l'istruzione;
- l'abitazione costituiscono
quattro campi di azione prioritari del programma riformista per la loro
rilevanza economica (come entità di risorse pubbliche assorbite e come capacità
di promuovere uno sviluppo più stabile e avanzato) e per la loro rilevanza
sociale (per garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni primari e
concentrare il massimo delle risorse disponibili su programmi specifici capaci
di combattere efficacemente le povertà vecchie e nuove).
Nel settore delle pensioni
e dell'assistenza è necessario:
- garantire ai lavoratori e ai cittadini anziani
sicurezza nel futuro;
- assicurare l'assistenza a coloro che ne hanno realmente bisogno;
- dare certezza al sistema produttivo circa i carichi
dell'intervento previdenziale;
- responsabilizzare i gruppi
sociali in merito all'evoluzione della previdenza secondo le disponibilità
reali del Paese;
- stabilizzare l'incidenza della spesa sul reddito
nazionale.
Per conseguire questi obiettivi sono necessarie queste linee di riforma:
- separare la spesa previdenziale da quella assistenziale: la prima spetta a chi ha versato i
contributi, la seconda a chi si trova in condizioni di bisogno;
- stabilire una normativa previdenziale omogenea per
tutti i lavoratori dipendenti, e l'articolazione per fasce collegate ai
contributi, per i lavoratori autonomi;
- aumentare i minimi previdenziali
e assistenziali fino a raggiungere i livelli europei;
- riorganizzare l'INPS in fondi autonomi, le cui
gestioni devono realizzare il bilancio annuale, responsabilizzando
le parti sociali per la previdenza e il Parlamento per l'assistenza;
- trasformare l'INPS in azienda pubblica di servizi
con reale autonomia gestionale per la parte operativa;
- prevedere e regolamentare forme
di risparmio assicurativo, individuali e collettive, incentivate dal fisco;
- eliminare privilegi derivanti da
erogazioni di pensioni baby e liquidazioni d'oro.
Nella sanità
è necessario:
- garantire a tutti i cittadini servizi qualitativamente
adeguati ed accessibili;
- responsabilizzare sia gli utenti sia gli operatori
e gli enti erogatori all'evoluzione della spesa
secondo le risorse reali disponibili;
- riequilibrare le strutture sanitarie esistenti a
livello territoriale;
- sostituire ai controlli attuali
moderni sistemi di valutazione dell'efficacia e dell'efficienza dei servizi
prestati;
- avviare programmi selettivi,
soprattutto di prevenzione, per le aree ed i gruppi sociali a più elevato
rischio.
Questi obiettivi potranno essere perseguiti attraverso le seguenti politiche:
- introduzione del bilancio-programma
da assegnare ai servizi sanitari a fronte degli stanziamenti;
- razionalizzazione della spesa incentivando
i medici a ridurre il ricorso alle prestazioni farmaceutiche, diagnostiche e
ospedaliere;
- riequilibrio delle distorsioni esistenti in termini
di strutture ospedaliere e poliambulatoriali;
- selezione degli amministratori
attraverso la scelta diretta dei cittadini non mediata dagli apparati dei
partiti e secondo rigorosi criteri
di professionalità;
- netta separazione, tra apparati e funzioni di controllo e responsabilità tecnico-operative, che
consenta un'adeguata valorizzazione della professione medica;
- maggior partecipazione degli
utenti ai costi inerenti alla soddisfazione di bisogni sanitari non primari;
- forme di assicurazione obbligatoria
ad integrazione del prezzo di beni e di servizi a rischio diffuso e per
attività di prevenzione; ed incentivazione attraverso lo strumento fiscale di
forme ad elevato costo di assicurazione individuale e collettiva, ad
integrazione del servizio sanitario nazionale.
Prevenzione
della devianza minorile - Urge una
difesa più energica della gioventù contro i pericoli che la insidiano e la
portano al delitto, ed in particolare contro la diffusione delle droghe. Vanno
potenziati i corpi specializzati, vanno estesi i centri di accoglienza
e gli istituti di sostegno.
Nel campo della prevenzione e del trattamento della
delinquenza minorile vanno ridotti ulteriormente gli spazi della pena
detentiva e della carcerazione preventiva e vanno potenziati i servizi sociali
per minorenni devianti, gli istituti medicopsico-pedagogici,
i pensionati giovanili, le scuole ed i laboratori speciali, in modo che alle
previsioni di legge cominci a corrispondere una effettività
di strutture.
Vanno inoltre redistribuite
e concentrate le competenze tra i numerosi organi giudiziari e amministrativi
che si occupano, con un sufficiente coordinamento, dei problemi minorili.
Occorre infine rinvigorire le istituzioni di assistenza all'infanzia promuovendo istituzioni idonee
alla protezione morale dei minori ed incoraggiando e coordinando ogni forma di
volontariato.
Partito liberale
La confusione tra aspetti assistenziali
e previdenziali è propria dell'attuale sistema di sicurezza sociale e rischia
non solo di compromettere gli impegni sociali assunti, ma di impedire in modo
determinante la ripresa dello sviluppo.
La futura
legge-quadro sull'assistenza pubblica
è l'occasione per separare in modo definitivo e non eludibile assistenza da
previdenza.
L'assistenza prescinde dal versamento contributivo e
deve riguardare l'intervento dello Stato su accertati bisogni del singolo. Di
conseguenza, a parere dei liberali, devono far parte dell'assistenza:
- le pensioni sociali;
- le integrazioni delle pensioni minime;
- la cassa integrazione guadagni straordinaria;
- i trattamenti economici di disoccupazione e di assistenza antitubercolare.
Il sistema previdenziale, viceversa, dovrà provvedere
unicamente all'erogazione di prestazioni strettamente correlate all'avvenuto
versamento della contribuzione relativa.
I liberali chiedono che i bilanci degli Istituti
pubblici di assicurazione siano certificati.
In particolare i liberali propongono le seguenti, più
urgenti, correzioni:
Per l'area assistenziale. La
cassa integrazione straordinaria dovrà erogare trattamenti economici
decrescenti, su basi legislativamente ben definite,
per tempi ristretti e non eludibili.
Per l'area
previdenziale. La pensione di invalidità deve essere unicamente rapportata alla capacità
di lavoro, escludendo il riferimento al guadagno e a parametri socio-economici
e pertanto
la
prestazione non dovrà più essere corrisposta al soggetto che eserciti una
attività lavorativa, o che abbia altro reddito sostitutivo.
- La cassa integrazione ordinaria, all'atto dell'entrata
in funzione, deve prevedere un aumento della contribuzione per indurre
l'impresa a ricercare soluzioni produttive alternative.
- Nell'ambito di una sostanziale modifica normativa,
va rivista la proporzionalità tra contribuzione e prestazione sia nel settore dell'agricoltura che in quello del lavoro
autonomo.
La sicurezza sociale così ordinata, consentirà ai due
sistemi di rivalutare con autonomia, coerenza e con indici propri, le sue
prestazioni.
Solo le prestazioni obbligatorie devono essere gestite
pubblicamente perché deve essere dato spazio alle
assicurazioni private, integrative e facoltative, fiscalmente agevolate.
Per l'età pensionabile, i liberali, tenuto anche
conto delle tendenze demografiche, propongono di:
- omogeneizzare le discipline vigenti in settori
diversi;
- armonizzare i limiti attuali con quelli europei;
- non escludere l'opportunità di introdurre
meccanismi di flessibilità per il proseguimento del lavoro poiché la utilizzazione di risorse umane, ancora ricche di entusiasmo
e professionalità, possono essere recuperate con forme parttime e consulenza.
Per le pensioni dei pubblici dipendenti, bisogna
evitare le differenze che si sono create nel settore ed occorre perequare ed
allineare le «pensioni d'annata».
Sanità. Le proposte dei liberali sulla Sanità, muovono
dalla convinzione che sia prioritario proteggere adeguatamente il cittadino
dagli alti rischi. A tal fine è necessario gestire e distribuire in modo più
efficiente le esistenti risorse finanziarie ed umane.
In particolare i liberali propongono di modificare
la legge 833 per:
- razionalizzare la spesa sanitaria per riequilibrare
i livelli di assistenza fra le Regioni del nord e del
sud;
- stabilire che i cittadini partecipino al costo
delle prestazioni e dei medicinali in modo da ridurre la spesa pubblica e lo
spreco privato;
- saldare la programmazione nazionale con quella periferica onde sciogliere il nodo dei rapporti
tra i Comuni e le Unità Sanitarie Locali, definendo più rapide procedure per
l'approvazione del Psn;
- imporre ai Comuni l'obbligo di coprire i disavanzi
di gestione delle Usl nei casi in cui spesa e
consuntivo abbiano superato il tetto previsto;
- applicare rigorosamente l'art. 5 della 833 che
stabilisce criteri obiettivi per la individuazione
delle categorie professionali nell'ambito delle quali deve effettuarsi la
scelta dei componenti dei comitati di gestione;
- rendere autonoma la
gestione degli ospedali multizonali con appositi organi di gestione in cui
siano rappresentate adeguatamente le esperienze tecnico-scientifiche ed
amministrative;
- introdurre per legge il ruolo
medico al fine di tutelare adeguatamente la peculiarità di tale professione;
- assicurare ai pazienti bisognosi di
assistenza psichiatrica adeguate strutture che evitino per il futuro i
gravissimi disagi per i malati e le insopportabili condizioni di vita per
migliaia di famiglie di pazienti;
- introdurre come avviene in tutti i paesi della Cee, il numero programmato per la Facoltà di Medicina
collegato ad una moderna riforma della facoltà medesima;
- eliminare il prontuario farmaceutico che condanna
l'industria farmaceutica italiana ad una condizione di inaccettabile
assistenzialismo.
Tossicodipendenze. È merito dei liberali il primo effettivo
intervento del Governo contro il traffico internazionale della droga.
All'interno del Paese, la diffusione del fenomeno
delle tossicodipendenze va combattuto sviluppando gli
strumenti di conoscenza, di prevenzione e di riabilitazione sociale. A tal
fine i liberali ritengono necessario:
- affinare i metodi di rilevazione dell'andamento
del fenomeno;
- ridurre i casi di mortalità
allargando il numero e migliorando la qualità dei Servizi per i
tossicodipendenti attivati presso le Usl;
- approfondire gli scambi culturali tra gli operatori
al fine di mettere a disposizione degli utenti il più ampio spettro di interventi.
Partito socialdemocratico
Per quanto riguarda la politica sanitaria
il Psdi ribadisce la validità delle motivazioni e
delle finalità della legge 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale
e ritiene che debba farsi il massimo sforzo affinché la fase applicativa possa
rispondere alle esigenze della collettività.
Nel riconoscere il carattere essenzialmente pubblico
del S.S.N. va precisato che una sana e corretta integrazione operativa può
realizzarsi tra strutture pubbliche e private, ritenendo i reciproci stimoli
emulativi utili per un migliore servizio al cittadino. Si ravvisa comunque la necessità di significative modifiche legislative
tendenti a:
1) far riassumere da parte dei Comuni un completo
responsabile governo dell'area della sanità, ponendo
fine all'attuale anomalo esproprio da parte delle Usl,
ferme restando per le Regioni le attuali funzioni istituzionali;
2) unificare nella globalità della
finanza locale anche quella sanitaria, attribuendo ai Comuni le quote di
finanziamento per la gestione del
S.S.N. da rendersi disponibili all'inizio dell'anno, e da questi da destinarsi
alle Usl esercitando il controllo politico e budgettario;
3) separare in materia di finanziamento l'attività sanitaria da quella sociale;
4) contrarre il numero dei componenti
degli organi collegiali delle Usl, da prevedersi in
rappresentanza di tutte le autonomie locali interessate, con requisiti di
qualificazione, richiamando l'assemblea generale all'esercizio di un ruolo di
indirizzo più attivo e propositivo.
In relazione agli ospedali e servizi multinazionali le Usl devono tendere a soluzioni organizzative basate su
responsabilità altamente manageriali, con autonomia decisionale, entro precise
linee di indirizzo e di spesa vincolate alla programmazione sanitaria.
Si ritiene inoltre:
1) di difendere la spesa attraverso
un maggior controllo sugli atti e sugli organi e la messa a punto di un sistema
informativo nazionale in grado di
fornire dati reali;
2) di realizzare al più presto i distretti sul territorio;
3) di confermare l'opposizione alla politica del
ticket;
4) di ritenere
improcrastinabile l'approvazione del Piano Sanitario Nazionale e della legge-quadro
di riforma dell'assistenza nonché la ristrutturazione
del Ministero della Sanità;
5) di adoperarsi con il massimo
impegno alla definizione di soluzioni operative da dare ai problemi
riguardanti gli handicappati, i drogati e i malati di mente;
6) di pervenire rapidamente alla istituzione
per legge del ruolo medico nel riconoscimento della peculiare funzione svolta
da tale categoria di operatori nell'ambito della riforma e delle specifiche
responsabilità di ordine vario che gli stessi vi riassumono.
Ciechi, sordomuti, mutilati ed invalidi civili hanno
bisogno della solidarietà degli altri cittadini. Per questo il
Psdi ha visto con favore, ha sollecitato e ha votato
la legge che ha rivalutato a questa sfortunata categoria di cittadini italiani,
estendendo anche alle loro prestazioni la trimestralizzazione
della scala mobile che deve essere anche questa allineata a quella dei
lavoratori in servizio alla pari delle pensioni degli ex lavoratori.
Una serie di modifiche devono
essere apportate altresì alle condizioni richieste per ottenere le pensioni
assistenziali tenendo presente le maggiori necessità di ordine economico ma
anche morale degli handicappati.
Partito repubblicano
Quattro anni di attuazione
del Servizio sanitario nazionale hanno gravemente deluso le aspettative dei
cittadini: ad un costo assai elevato della riforma per le casse dello Stato non
hanno finora corrisposto benefici apprezzabili, sia in termini di servizi
efficienti, sia in termini di giustizia sociale.
I repubblicani hanno sempre considerato il principio
di un efficiente servizio sanitario pubblico, finanziato da ciascun cittadino
in proporzione al reddito ed accessibile a tutti in condizioni di parità, un
passo importante lungo una strada già imboccata da tutte le grandi democrazie
industriali dell'occidente. Ma al tempo stesso hanno
avanzato riserve e critiche a taluni aspetti della riforma, rivelatesi
premonitrici circa i guasti che ne sarebbero derivati, se non si fosse corsi presto ai ripari.
Oggi è necessario ricuperare il tempo perduto
attraverso una coraggiosa azione di risanamento e di correzione delle
distorsioni venute alla luce dal '78 in poi, riformando alcune delle
istituzioni su cui si regge il Servizio sanitario nazionale.
Due interventi sono, a giudizio dei
repubblicani, preliminari a tutto: è necessario da un lato restituire
ai Comuni la responsabilità effettiva dell'amministrazione del sistema e,
dall'altro, impedire che gli organi politici continuino ad invadere ed
inquinare la sfera della direzione tecnica, soffocandone la necessaria
autonomia. Ecco perché i parlamentari repubblicani
presenteranno proposte di legge volte a riformare il complesso dei rapporti tra
i Comuni e le Unità Sanitarie Locali non meno che la composizione e le attribuzioni
dei Consigli di gestione e degli Uffici di Direzione.
È necessaria altresì che leggi chiare prevedano
rapidi ed efficienti meccanismi di controllo della spesa, affinché questa non
debordi dalle previsioni contenute nei Piani Sanitari e nelle leggi
finanziarie, e affinché essa venga destinata realmente
ed unicamente agli impieghi che i Piani stessi hanno prefissato.
Il riordinamento istituzionale è la premessa del
risanamento finanziario del servizio sanitario pubblico
e del suo miglioramento sul piano tecnicoscientifico. Ma il finanziamento
richiederà altresì una revisione radicale del
meccanismo contributivo e fiscale attraverso cui viene alimentato il Fondo
Sanitario Nazionale, affinché tale meccanismo diventi non soltanto più
efficiente ma anche più equo.
A sua volta il miglioramento del sistema sul piano
tecnico-scientifico richiederà leggi che, da una parte, consentano
di garantire una preparazione professionale del personale sanitario finalmente
al passo con il progresso delle conoscenze e, dall'altra parte, consentano di
organizzare il lavoro medico-sanitario sulle basi di una rinnovata disciplina
interna e di una valorizzazione effettiva dell'autentica professionalità.
Perciò i repubblicani non si limiteranno a ripresentare
la loro proposta di legge di riforma degli studi medici, ma ad essa altre se ne affiancheranno per riformare gli studi dei
corsi per infermieri e tecnici, per rendere effettivamente obbligatorio e
sistematico l'aggiornamento culturale-professionale
del personale sanitario e, infine, per vincolare i vari contratti ed accordi
di lavoro del personale medico-sanitario a regole comuni di rispetto di
fondamentali principi di funzionalità e di incompatibilità.
Governo (**)
Il Welfare State è da
qualche tempo un grande imputato di fronte al tribunale delle società occidentali
in crisi, eppure esso rappresenta forse la più grande
conquista della civiltà europea di questo secolo. Lo è anche il Welfare State all'italiana con le sue impostazioni sociali
molto protese in avanti e la sua grande
disorganizzazione pratica ed i suoi diffusi disservizi.
Voler dare tutto a tutti, darlo male e darlo in modo
insufficiente a chi ne ha più bisogno degli altri è
una contraddizione troppo grande per essere lasciata indisturbata.
La mano protettiva deve dirigersi in primo luogo
verso chi ha effettivamente bisogno, verso i gruppi sociali più poveri, le aree
di emarginazione che sono aree di anziani, di
giovani, di emarginazione femminile, i nuovi poveri della società del
benessere. Ci sono problemi di riduzione della spesa
e problemi di riforma degli istituti. Ci sono eccessi nel campo pensionistico,
meccanismi non giustificati, evasioni incontrollate che convivono con stati di
bisogno non adeguatamente riconosciuti. Una struttura di amministrazioni
e di gestione del settore sanitario assolutamente fallimentare e priva di
adeguati controlli è all'origine della spesa disordinata e caotica del settore
che richiede ormai una incisiva riforma della riforma. Rispetto alle risorse
disponibili oggi non solo si spende troppo, ma si spende certamente male, con
una somma di sprechi e di prestazioni non dovute cui si aggiungono
sovente a completare il quadro le cattive organizzazioni e i cattivi servizi
resi al cittadino.
(1) Il quadro normativo nazionale
relativo alla assistenza si presenta praticamente immutato, rispetto alla legge
Crispi del 1890, dinnanzi alla Assemblea costituente nell'immediato dopoguerra e tale resta per il trentennio
successivo. L'unica riforma di un certo rilievo che segue la legge del 1890 è quella del 3 giugno 1937, n. 847, modificata con
R.D. 14 aprile 1944, n. 125, che istituisce gli Enti comunali di assistenza,
mutando il nome delle congregazioni di carità in Eca
e allargando la assistenza a tutti gli individui e le famiglie che si trovano
in condizioni di particolari necessità economiche. Solo con gli Anni '70 e
l'istituzione delle Regioni a Statuto ordinario, le speranze riformatrici
tornano a farsi vive, anche se restano in parte inattuate
o non ancora tramutate in disposizioni legislative.
(2) Uno dei primi progetti di legge di
riforma dell'assistenza è quello presentato alla Camera dei deputati nel 1969
dall'onorevole Foschi e da altri 117 deputati DC. Nel 1972, alle proposte
democristiane, si aggiungono quelle di altri partiti,
specificatamente PCI e PSI.
(3) Cfr.
«Riforma dell'assistenza e privatizzazione delle IPAB», in Prospettive assistenziali, n. 57,
gennaio-marzo 1982, editoriale. Sui tentativi di salvataggio delle IPAB e sui
problemi più generali della riforma dell'assistenza, cfr., inoltre: M. TORTELLO, F.
SANTANERA, L'assistenza espropriata,
Nuova Guaraldi Editrice, Firenze, 1982.
(4) Osserva C. Trevisan:
«Certo, la 833 era equivoca. Ma proprio
perché era equivoca, permetteva - a chi non voleva vivere nell'equivoco e aveva
chiari gli obiettivi da perseguire - di essere interpretata in maniera anche
diametralmente opposta da come è stata volutamente
interpretata da gran parte dei legislatori regionali e - ahimè - da gran parte
delle forze politiche che avevano avviato il processo culturale e politico di
riforma». Cfr. C. TREVISAN, in Atti del convegno di Milano del 29-30
ottobre 1982, promosso dall'ULCES e da «Prospettive assistenziali», Nuova Guaraldi
Editrice, Firenze, 1983.
(5) Cfr. «Il
governo nega agli handicappati il diritto al lavoro», in Prospettive assistenziali, n. 61,
gennaio-marzo 1983, pp. 4-8.
(6) Cfr. F.C.
RAMPULLA, «La riforma delle autonomie locali: l'abito non fa il monaco», in Notiziario giuridico regionale, n.
1-2/1983, Torino, pp. 7-22.
(7) Cfr. Avanti!,
mercoledì 10 agosto 1983, p. 1 e segg.
(8) Cfr.
«Rapporto Censis 1983: la spesa per l'assistenza non
provoca il dissesto della finanza pubblica», in Prospettive assistenziali,
n. 62, aprile-giugno 1983. Si leggano anche le considerazioni iniziali
contenute nell'editoriale di questo numero.
(9) Cfr. l'editoriale di
questo numero.
(10) Sul piano giuridico i servizi
sociali sono definiti dall'art. 17 del Dpr 24 luglio
1977, n. 616: «Sono trasferite alle
Regioni le funzioni amministrative dello Stato e degli enti di cui all'art. 1
nelle materie "Polizia locale urbana e rurale", "Beneficenza
pubblica", "Assistenza sanitaria ed ospedaliera",
"Istruzione artigiana e professionale", "Assistenza
scolastica", "Musei e biblioteche di enti locali",
come attinenti ai servizi sociali della popolazione di ciascuna Regione».
(11) Ai Comuni singoli (nel caso essi
corrispondano al territorio dell'unità locale), ai Comuni associati (quando l'unità
locale ne comprende più di uno), alle Comunità montane (quando l'estensione
coincide con quella dell'unità locale) o agli organi di decentramento nelle
grandi città metropolitane dovrebbero essere attribuite, oltre alle competenze
relative alla sanità ed a quelle inerenti i servizi sociali, i compiti relativi
all'assetto del territorio, alla casa, alle attività sportive e di tempo
libero,... Inoltre, le Regioni potrebbero affidare poteri relativi
all'agricoltura e foreste, all'artigianato, al commercio, al turismo, alla
viabilità, alle fiere e mercati,...
(12) Commenta M. SEVERO GIANNINI: «...
altra fuga dall'apparato delle unità sanitarie locali. [Una
scelta] poco razionale (...) perché questo significa istituire, all'interno
dell'unità sanitaria locale, un centro tangenziale dirompente, in quanto particolarmente
forte nelle sue strutture». Cfr. M. SEVERO GIANNINI, «I Comuni per il governo della sanità», convegno nazionale Anci, Roma, 7-8 aprile 1983, in Il Comune democratico, n. 2, marzo-aprile 1983, p. 164.
(13) Cfr. M.
SEVERO GIANNINI, ibidem, p. 165.
(14) Abbiamo sviluppato questo tema in
M. TORTELLO, F. SANTANERA, cit.,
pp. 142 e segg. Cfr., in
particolare, il paragrafo: «Che cosa si può fare oggi, senza
la leggequadro».
(*) Le indicazioni sono tratte
testualmente dai programmi elettorali per le votazioni del 26-27 giugno 1983.
(**) Le dichiarazioni sono tratte dal
discorso politicoprogrammatico fatto dal presidente del Consiglio alla Camera
il 9 agosto 1983. Cfr. Avanti!, 10 agosto 1983, pp. 2-4.
www.fondazionepromozionesociale.it