Prospettive assistenziali, n. 63, luglio - settembre 1983

 

 

Libri

 

 

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI LECCE, Realtà e proposte degli istituti educativo-assi­stenziali nel Salento, Editrice Salentina, pagg. 83.

 

Presentiamo una pubblicazione dell'Ammini­strazione Provinciale di Lecce, Assessorato ai servizi sociali su «Realtà e prospettive degli isti­tuti educativi assistenziali nel Salento».

La riflessione proposta riguarda la problema­tica dei minori ricoverati in istituto e, avvalendosi di una valida ricerca sul campo, tende a sottoli­neare, ancora una volta, quanto l'istituto sia una risposta emarginante a situazioni di disgregazio­ne familiare.

È interessante e indice di serietà il metodo di lavoro impiegato dall'Amministrazione che, innan­zitutto, esamina la situazione degli istituti (ubi­cazione, tipologia, capacità recettiva...) e poi pas­sa ad analizzare le caratteristiche dei ricoverati, i motivi del ricovero e della loro durata e perma­nenza all'interno dell'istituto.

L'insieme dei dati raccolti, elaborati nello spi­rito di andare verso una reale soluzione alterna­tiva dell'assistenza, porta a riconoscere da una parte la carenza di strutture e la disorganizzazio­ne dei servizi, come alcune delle cause del rico­vero, sovente accompagnato da motivi economici e sociali e, dall'altra, la configurazione di una nuova definizione di stato di abbandono, non solo materiale, ma, sovente morale, che finora non ha mai avuto né riconoscimento né risposta.

«Lo studio analitico condotto sugli istituti del Salento presenta una realtà piatta e scialba»; risulta evidente quanto l'istituto non sia in grado di soddisfare alle nuove esigenze emergenti nel minore e che sono «oggi indiscutibilmente rico­nosciute da tutti»: bisogno di un rapporto affet­tivo, stabile, personale, che gli permetta un nor­male sviluppo psico-fisico e che l'Assessorato vede risolvibile nell'affidamento familiare, in al­ternativa all'istituzionalizzazione, anche se resta pur vero che tale alternativa va comunque inse­rita in un quadro più generale di messa a dispo­sizione dei servizi primari (case, scuole, asili, assistenza economica, sostegno alla famiglia d'origine, ecc.).

L'Assessorato ai servizi sociali conclude e in­dividua nel consultorio familiare il luogo da pri­vilegiare per la formazione di una nuova menta­lità, culturalmente e socialmente più aperta, at­traverso la discussione e la partecipazione del cittadino, ma restano il Tribunale per i minorenni ed i «servizi sociali comunali gli strumenti più qualificati per tutelare i minori e garantire l'orga­nizzazione di strutture alternative al ricovero».

Non ci resta che augurarci che l'Assessorato proceda alla realizzazione, seppur lunga e diffi­cile, dei propri progetti, secondo la buona vo­lontà dimostrata con questa ricerca di «attuare una politica per l'individuo fatta a misura d'uomo, il quale diventa soggetto e oggetto del rinnovato concetto di assistenza».

MARIA GRAZIA BREDA

 

 

GUGLIELMO GIUMELLI, Emarginazione e anziani, Francisci Editore, Albano Terme, 1981, pp. 159, L. 8.500.

 

Una società è a misura d'uomo quando i suoi membri possono condurre una vita umana pro­duttiva in senso globale e quando uomini e don­ne, anziani o handicappati possono essere al cen­tro delle attenzioni esistenziali e non essere sacrificati al sistema produttivo.

La questione anziana non è l'unica zona d'om­bra di questo sistema che dà forza a tali conclu­sioni: porta il maggior contributo e le basi stesse del sistema che la produce.

Esiste, tuttavia, una questione alla quale stu­diosi e operatori sociali devono dare una risposta. È possibile, e in quale modo, adoperarsi per dar vita e migliorare tesi ad alleviare la negatività della condizione di vita di una massa sempre più numerosa di persone (e come non farlo d'altron­de?), mentre si combatte il sistema che la pro­duce? Quanto si può incidere con il meccanismo dei «nuovi» servizi riparatori e mai preventivi, anche perché la prevenzione - nell'ottica di Giu­melli - significa uscire dal sistema?

La ricerca evidenzia come l'intervento di que­sti servizi, rapportato al numero dei potenziali utenti e alla gravità dei bisogni da loro espressi fino a questo momento è di fatto assolutamente incosciente. E allora la battaglia dei « nuovi » ser­vizi sociali è una battaglia fallita a tutti i livelli oppure vale la pena di continuarla, rivedendo tat­tiche e strategie? Sono domande che lo studio di Giumelli provoca e con le quali ogni studioso e operatore sociale si deve confrontare nella ri­sposta.

 

(Dalla presentazione)

 

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