Prospettive assistenziali, n. 64, ottobre - dicembre 1983
IL
GOVERNO INSISTE: GLI HANDICAPPATI NON DEVONO LAVORARE (E IL SINDACATO APPROVA
...)
A distanza di soli sei mesi dal contestatissimo decreto-legge 17/1983, con il cui art. 9 venivano introdotte
norme che - di fatto - comportavano una nuova disoccupazione tra i lavoratori
handicappati e bloccavano la legge vigente sul collocamento al lavoro degli
invalidi (1), il governo (il primo della Repubblica a guida socialista),
accogliendo le tesi più retrive della Confindustria,
ha riproposto queste pesanti modifiche con un nuovo provvedimento. Anche nella rinnovata compagine ministeriale, dunque,
permane la negativa logica di affrontare il problema degli invalidi secondo la
vecchia ed emarginante concezione in base alla quale gli invalidi sono ritenuti
incapaci di svolgere una proficua attività lavorativa.
Il testo dell'art. 9 del nuovo
decreto-legge 463/ 1983 (2), prevede:
«1.
In attesa della riforma della disciplina delle
assunzioni obbligatorie, gli uffici provinciali del lavoro e della massima
occupazione, prima di provvedere all'avviamento al lavoro dei soggetti
beneficiari della legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modificazioni,
provvedono a far sottoporre a visita medica, da parte dell'autorità sanitaria
competente, i soggetti stessi per controllare la permanenza dello stato
invalidante.
«2.
Coloro che non si sottopongono alla visita di cui al
comma che precede sono cancellati dagli elenchi di cui all'articolo 19 della
legge 2 aprile 1968, n. 482.
«3.
I lavoratori assunti tramite il collocamento ordinario e che siano
riconosciuti invalidi per causa di lavoro o di servizio sono considerati, ai
fini della copertura della percentuale di obbligo
complessiva di cui all'articolo 11, primo comma, della legge 2 aprile 1968, n.
482, sempreché l'invalidità sia del grado richiesto
da quest'ultima legge.
«4.
Non si applica la disposizione di cui all'articolo 9, ultimo
comma, della legge 2 aprile 1968, n. 482».
Queste disposizioni - riconfermate
nonostante siano già state respinte una volta dal
Parlamento, anche e soprattutto a seguito della notevole mobilitazione delle
associazioni di invalidi e delle forze sociali più attente e sensibili ai problemi
dell'inserimento sociale e lavorativo degli handicappati - consentono agli
imprenditori di ottenere il blocco totale dell'avviamento al lavoro di migliaia
di persone, contrastando persino la Costituzione italiana che, negli artt. 3 e 4 sancisce il diritto al lavoro per tutti. Non
va inoltre dimenticato che il terzo comma dell'art. 38 della Costituzione recita:
«Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale».
In particolare, se l'art. 9 del decretolegge 463/83 viene
applicato così come è formulato nella stesura governativa:
1) gli invalidi, dopo anni di attesa per ottenere il riconoscimento dalle Commissioni
sanitarie e poi altri anni per maturare il diritto all'avviamento al lavoro,
devono sottoporsi a una nuova visita medica per verificare la permanenza
dell'invalidità. Poiché non sono precisate le modalità ed i tempi della
verifica, si bloccano per un tempo indefinito le assunzioni degli handicappati
senza fare alcun serio tentativo di risolvere lo scandaloso problema dei falsi
invalidi e cioè degli invalidi dichiarati tali per
motivi assistenziali o clientelari;
2) sono conteggiati nell'aliquota
del collocamento obbligatorio i lavoratori dipendenti
già assunti con il collocamento ordinario e diventati invalidi per causa di
lavoro o di servizio, con la scontata conseguenza di riconoscimenti di comodo
di dipendenti che abbiano una qualsiasi minorazione, al fine di non assumere
altri invalidi e di licenziare quelli in soprannumero;
3) si mantiene la divisione tra le
categorie di invalidi, ma, contrariamente a quanto
prevedeva la legge, si impedisce che, esaurita una categoria (es. invalidi di
guerra), la quota di pertinenza per il collocamento obbligatorio al lavoro sia
utilizzata a favore di altra categoria più numerosa (es. invalidi civili).
Solo così in molte province si riusciva ancora a fare avviamenti al lavoro di alcuni invalidi civili.
La protesta degli
invalidi
Evidentemente, la campagna
falsamente moralizzatrice contro i falsi invalidi (e per una riduzione della
spesa sociale) ed i pregiudizi sulla pretesa ma mai provata incapacità
produttiva dei l'handicappato hanno influito anche sul
governo pentapartito a conduzione socialista.
Ma il tentativo di far pagare la
crisi ai più deboli ha sollevato ancora una volta la
giusta reazione delle associazioni di handicappati, di movimenti di base, di alcune
Federazioni sindacali di Cgil Cisl
Uil (in particolare quelle di Bologna, Brescia,
Firenze, Milano e Torino). A Milano, il 13 ottobre 1983 ha avuto
luogo una manifestazione interregionale alla quale hanno partecipato
oltre 10 mila persone: invalidi, rappresentanti di consigli di fabbrica,
responsabili di associazioni e movimenti di base giunti dalla Toscana, dalla
Liguria, dall'Emilia Romagna, dal Piemonte, dal Veneto, dalla Lombardia.
In piazza del Duomo, hanno parlato
Gloria Carboni a nome delle diverse associazioni;
Elio Marcioni, vicepresidente dell'Ente sordomuti;
Mario Sai, per il sindacato lombardo. Ha concluso Franco
Bentivogli, a nome della Federazione Cgil Cisl Uil.
Altre manifestazioni si sono tenute in diverse città italiane; ad esempio, a
Torino, sono state promosse dalla Federazione Cgil Cisl Uil e dal Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base.
La riproposizione
delle norme che limitano drasticamente le possibilità di inserimento
lavorativo obbligatorio impongono una ripuntualizzazione
del problema, per evitare che l'articolo-capestro contenuto nel decreto-legge
463/1983 continui a generare una mistificante ambiguità tra il dovere di
superare lo sfacciato clientelismo dei falsi invalidi e quello di riconoscere
il diritto al lavoro per i veri handicappati.
Come ha ben sottolineato
in un suo documento la Lega nazionale per il diritto al lavoro degli handicappati
(3), l'art. 9 del decreto-legge 463/1983 non colpisce le posizioni di assurdo
privilegio maturato dalla degenerazione dello stato assistenziale, ma sotto
la bandiera della moralizzazione finisce col togliere un posto di lavoro a chi
ne ha bisogno e diritto.
Infatti, la reale portata numerica
dei soggetti cui è rivolta la norma riproposta, non riguarda i cinque milioni e
mezzo di invalidi che cumulano pensione e
retribuzione, ma gli invalidi civili iscritti alle liste di collocamento
obbligatorio. Secondo le cifre aggiornate al giugno 1980 e fornite dal
Ministero del lavoro, questi sono 180.000, cioè il 77
per cento dei 233.000 iscritti alle liste del collocamento obbligatorio nello
stesso periodo. Gli altri 53.000 (23%) appartengono a diverse categorie
protette, alcune delle quali praticamente esaurite (invalidi di guerra,
invalidi civili di guerra), oltre ad «orfani e vedove» non tutelabili
in forza della ridotta capacità lavorativa. Dal 1976 al 1980, sono state
conseguite 49 mila posizioni di lavoro nel comparto
pubblico e privato. Risulta che, ogni anno, siano
stati avviati al lavoro circa 12 mila persone con un'incidenza pari al 5% di
collocati sul totale degli aventi diritto e iscritti alle liste speciali.
Ridimensionata la portata numerica
dei soggetti a cui si rivolge l'art. 9, occorre anche precisare che non tutti
questi invalidi percepiscono la pensione; solo quelli che hanno un
riconoscimento di invalidità superiore ai 2/3
percepiscono un modesto assegno al quale non hanno più diritto nel momento in
cui vengono avviati al lavoro.
È vero che, pure sulle liste del
collocamento obbligatorio, possono essere presenti falsi invalidi: questo
fenomeno si verifica soprattutto nelle regioni dove è
difficile per un disoccupato normale trovare lavoro e quindi la legge del
collocamento obbligatorio diventa uno strumento di scavalcamento del
collocamento ordinario (basta uno sguardo alla tab. 1). Ma il fenomeno degli invalidi fasulli è causato dai criteri adottati dalle
Commissioni sanitarie che, sulla base del decreto ministeriale del 25 luglio
1980 (tabellario Aniasi),
concedono il riconoscimento di invalidità civile anche a persone con
minorazioni minime.
Non offre, però, nessuna garanzia il
fatto che - come prevede il primo comma dell'art. 9 del decreto 463/83 -
sottoponendo gli iscritti al collocamento
obbligatorio ad una seconda visita, si possano individuare gli invalidi
fasulli. Questa verrebbe effettuata dalle stesse
Commissioni sanitarie, le quali adotterebbero i medesimi criteri di
valutazione dell'invalidità. Anzi, c'è da chiedere a
quanti dicono di avere a cuore il contenimento della spesa pubblica, se hanno
considerato che una simile manovra incrementerà ulteriormente (e inutilmente)
la spesa dello Stato: le Regioni saranno costrette a pagare due volte le
Commissioni sanitarie, mentre le famiglie con handicappati si vedranno
costrette dalla riduzione del loro salario sociale, a ricorrere all'assistenzialismo
e all'inevitabile espansione dei ricoveri.
Sarà proprio il secondo comma,
inoltre, a incentivare il fenomeno dei falsi
invalidi. Con il già citato decreto ministeriale 25 luglio 1980 sono state allargate le possibilità per ottenere il riconoscimento
dell'invalidità e potranno essere proprio i datori di lavoro a spingere i loro
dipendenti a ottenere l'invalidità, mirando al doppio risultato di:
- coprire con gli invalidi riconosciuti
in corso di rapporto di lavoro l'aliquota d'obbligo
prevista dalla legge 482 riservata agli invalidi civili iscritti al
collocamento obbligatorio;
- sottrarsi all'obbligo di prevenire
le cause di infortunio e di nocività negli ambienti di
lavoro. Già si è sottolineato che con il terzo comma
la percentuale riservata agli invalidi di guerra, a loro orfani e vedove
(complessivamente la metà del 15% dell'aliquota del personale in servizio) non
è più disponibile per le altre categorie. In questo modo, se all'aliquota
restante del 7,5% per il personale in servizio vanno sottratti gli invalidi
riconosciuti tali in base al comma precedente, la percentuale riservata agli
invalidi civili iscritti al collocamento si ridurrà, a essere
ottimisti, allo 0,005 per cento!
L'intervento del
Cardinale Martini
Tra le iniziative assunte in questi
mesi per sollecitare una modifica alle disposizioni dell'articolo 9 del
decreto-legge 17/1983, prima, e del decreto-legge 463/1983, successivamente,
va registrato anche il convegno promosso a Milano dalla Caritas
Ambrosiana e dall'Ufficio per la vita sociale ed il lavoro della diocesi.
Nella mozione finale dell'incontro «di
riflessione ecclesiale e di impegno civile», si
chiede:
- «lo stralcio dell'art. 9 del d.l.
463 e, contemporaneamente, che
- «nei lavori parlamentari per la
riforma del collocamento obbligatorio attualmente in
discussione, vengano portate le motivazioni e le proposte per modificare lo
strumento del collocamento obbligatorio;
- «nella legge sulla
invalidità, pure in discussione, venga tenuta presente e utilizzata la
classificazione della Organizzazione mondiale della sanità, al fine di
giungere al superamento delle categorie protette, alla auspicata chiarezza terminologica
e delle provvidenze e di evitare l'abuso di doppi riconoscimenti;
- «si vari, in via
definitiva, la legge-quadro sui servizi sociali».
Le posizioni assunte dal convegno
diocesano si rifanno, inoltre, ad una dichiarazione dell'arcivescovo di
Milano, cardinale Carlo Maria Martini, che risale al
febbraio '83 e si riferisce al decreto-legge
17/1983. La riportiamo integralmente.
«Partire
dagli ultimi» è una affermazione estremamente
impegnativa. Significa infatti portare nel contesto
del vivere di oggi la profondità e la ricchezza della carità evangelica.
Significa assumere in pienezza lo spirito del Vangelo che non scende a
compromessi in nessun modo e non transige né sulla giustizia, né sul rispetto
degli altri. Significa appassionarsi, come Cristo ha fatto e testimoniato,
della vita umana, fino a pagare di persona per difenderla dovunque
e promuoverla in dignità.
Per
questo ritengo emblematica la situazione
dell'handicappato per la giusta solidarietà che esige, l'attenzione che
richiede, i bisogni che impone alla società che, se vuole essere a dimensione
umana, non può ignorarli.
L'handicappato
è persona che come tale ha gli stessi diritti di ogni
altro uomo, che vanno qualificati e difesi con tenacia.
Ricorda
la Laborem Exercens: «poiché
la persona portatrice di handicaps è soggetto con
tutti i suoi diritti, essa deve essere facilitata a partecipare alla vita
della società in tutte le dimensioni e a tutti i livelli, che siano accessibili alle sue possibilità. La persona
handicappata è uno di noi e partecipa pienamente alla nostra stessa umanità.
Sarebbe radicalmente indegno dell'uomo, e negazione della comune umanità,
ammettere alla vita della società, e dunque al lavoro, solo i membri
pienamente funzionali perché, così facendo, si ricadrebbe in una grave forma di
discriminazione, quella dei forti e dei sani contro i deboli e i malati».
Anche
sulla base di questa sollecitazione di Giovanni Paolo
li ho più volte richiamato a tenere presente che anche nella crisi attuale del
lavoro gli handicappati non possono essere discriminati. Lo richiamavo nel
messaggio alle comunità cristiane del settembre 1982 quando
dicevo: «La fatica di una loro valorizzazione e recupero umano attraverso il
lavoro può essere vanificata quando l'obiettivo,
anche importante, di una maggiore produttività diventa il predominante criterio
per le liste dei lavoratori da porre in cassa integrazione».
Anche
nel messaggio per la giornata della solidarietà ricordavo che nel territorio di ogni parrocchia vivono coloro che sono coinvolti nella
crisi e ne pagano costi altissimi e tra questi indicavo gli handicappati che
si sentono esclusi. La solidarietà richiesta da questa situazione è un dovere
che investe le comunità cristiane: esse debbono
testimoniare anche così la concretezza della carità. «È ormai tempo di misurarsi
non sul vuoto di tanti discorsi, ma su progetti concreti, che abbiano senso». (Chiesa e prospettive del Paese).
Ho
voluto comunicare questi miei pensieri proprio oggi mentre
siete riuniti per un incontro promosso dalla Caritas
e dall'Ufficio per la vita sociale e il lavoro per richiamare il dovere di
difendere il diritto al lavoro degli handicappati. Da più parti ho ricevuto
messaggi che mi fanno intravvedere la gravità e le
conseguenze dell'art. 9 del D.L. 17 del 29-1-1983. Lo stesso
Ufficio diocesano del lavoro ha emesso un comunicato e la Caritas
é diventata promotrice di iniziative perché si sente
direttamente coinvolta anche per la qualità delle esperienze umane e cristiane
che rischiano di essere compromesse privando o rendendo difficoltoso il
lavoro agli handicappati.
Ribadisco con forza che non
devono pagare i più deboli, gli ultimi che, al contrario, dovrebbero essere
maggiormente difesi. Invito le parti sociali coinvolte
a considerare attentamente le conseguenze di questo articolo e a fare tutto
quanto é nelle loro possibilità per eliminare i negativi effetti dell'articolo
sulla condizione dell'handicappato. A noi come comunità non spetta la soluzione tecnica dei problemi ma certamente dobbiamo dovunque
proclamare il primato dell'uomo su ogni processo sociale. Questi valori non possono essere sacrificati, ricordavo qualche giorno fa ai
lavoratori dell'ACNA, «all'idolo del profitto inteso come qualcosa al quale si
sacrifica tutto il resto dell'impegno dell'uomo».
In
questo momento di tensione e di sofferenza, sono particolarmente vicino ad ogni
handicappato e alla sua famiglia e sono solidale con gli sforzi sinceri di
tutte le persone che operano per una giusta risoluzione dei problemi e delle
difficoltà poste dall'articolo 9. Chiedo a tutti i cristiani presenti ad ogni
livello, politico, economico, aziendale, sindacale, sociale, di operare con responsabilità
e con coraggio per ricercare positive soluzioni alla problematica in
discussione.
Pur
senza disattendere le esigenze di un corretto
dinamismo economico, mi auguro che si eviti di imporre sacrifici soltanto ai più
deboli, ma piuttosto si lavori ad aprire nuove possibilità per un domani di
giustizia, di libertà e di solidarietà a vantaggio di tutti.
Ma
i sindacati sapevano
Sin dalle prime proteste e
manifestazioni promosse nel gennaio '83 dalle
associazioni di invalidi e dai movimenti di base per contestare il decreto-legge 17/1983, si è riscontrata l'adesione delle
organizzazioni sindacali territoriali che in numerose città hanno partecipato
alle iniziative unitarie per rivendicare la non approvazione dell'art. 9 dei provvedimento.
Ma, purtroppo, l'atteggiamento dei
vertici nazionali di Cgil, Cisl,
Uil è stato ben diverso nei patti che hanno dato poi
origine all'inserimento da parte del governo delle contestate norme sul
collocamento degli invalidi al lavoro. Tutto va fatto risalire all'accordo sul
costo del lavoro siglato nel gennaio '83 da sindacati e Confindustria,
su proposta del Ministro del Lavoro Scotti.
Nell'ambito di tale intesa, come Prospettive assistenziali ha scritto sin dal numero 61 (4), sotto il titolo «Assunzioni e mobilità», la Federazione Cgil Cisl Uil
ha rilasciato praticamente una cambiale in bianco al
governo sul problema del collocamento obbligatorio. Ma,
fatto gravissimo, ha sottoscritto una nota a verbale (identificata come «Allegato A») che anticipa e riassume le
disposizioni successivamente inserite dal governo Fanfani nel decreto-legge 17/83 e poi dal governo Craxi nel decreto-legge 463/83.
Ecco il testo dell'Allegato
A:
Dichiarazione sulle misure in materia di assunzioni
obbligatorie
Con
riferimento al punto 9, lett. c), il Governo adotterà le seguenti misure
amministrative o legislative per la:
-
sospensione dell'avviamento obbligatorio per le aziende in stato di crisi o in
ristrutturazione;
-
computo, ai fini dell'aliquota d'obbligo, degli invalidi riconosciuti tali in
corso di rapporto di lavoro;
-
sospensione della possibilità di scorrimento;
-
controllo, da parte degli istituti previdenziali ed
assistenziali competenti, sulla permanenza e le caratteristiche dello stato
invalidante all'atto dell'avviamento al lavoro.
(seguono
le firme delle parti)
Al di là della gravità esplicita del testo siglato
dai vertici nazionali dei sindacati confederali, c'è da aggiungere che la «nota
a verbale» non è mai stata comunicata alle organizzazioni sindacali
periferiche, né è stata allegata all'accordo del 22 gennaio '83 perché fosse
discussa dalle assemblee dì base e queste potessero esprimere il loro parere.
L'allegato A, dunque, a
distanza di tempo, si presenta come una vera e propria «intesa segreta» tra
sindacato, governo e confindustria che gli stessi
dirigenti sindacali periferici hanno condannato (5), ma che non è mai stato
esplicitamente rimesso in discussione dai leader nazionali.
Anzi, nemmeno durante incontri tra
le associazioni dì invalidi e rappresentanti sindacali
a livello nazionale, la «nota a verbale» è stata comunicata (6). Da questi
fatti, si conferma quindi, come già sosteneva Gianni Selleri,
presidente dell'Associazione nazionale invalidi per esiti di poliomielite ed
altri invalidi civili, la «non limpida
coscienza politica e sociale del movimento sindacale, il solo che avrebbe
potuto e dovuto difendere, sia al tavolo della trattativa, sia in linea di
principio, i lavoratori handicappati ed il loro diritto alla occupazione»
(7).
In riferimento al grave episodio del
22 gennaio 1983, alcune associazioni dì tutela dei diritti degli handicappati
(8) hanno inviato alla segreteria generale della Federazione nazionale Cgil Cisl Uil
una lettera in cui «valutano politicamente come ascrivibile alla diretta
responsabilità ed alla subalternità verso la Confindustria
l'attuale situazione di blocco delle assunzioni al lavoro degli invalidi e
degli handicappati».
Le associazioni ritengono questo atto della segreteria generale della Federazione
nazionale Cgil Cisl Uil di «estrema gravità» per le seguenti ragioni:
«1
- l'oggettiva lesione delle istanze sociali di
integrazione e del diritto costituzionale al lavoro di cui sono titolari e
beneficiari gli invalidi ed handicappati,
«2 - il mancato confronto con le associazioni e con i
movimenti di base,
«3 - il mancato confronto con le strutture periferiche
e di base del sindacato (Federazioni regionali, comprensoriali e d'azienda).
«In
una parola, possiamo affermare, con cognizione di causa che Lama, Carniti e Benvenuto hanno venduto il diritto al lavoro
degli invalidi ed handicappati».
Le associazioni e i movimenti di
base si rivolgono perciò «alle strutture del Sindacato che hanno dimostrato di assumere la
problematica dell'emarginazione sociale e che - in particolare - hanno indetto
e partecipato alla manifestazione del 13 ottobre 1983 in Piazza Duomo, a
Milano, affinché cogliendo esse stesse l'offesa del silenzio complice e
colpevole della segreteria nazionale, promuovano una energica azione di
verifica politica dell'operato delle Segreterie confederali, in. quanto tutto
ciò rappresenta un atto di imbarbarimento dei rapporti umani e sociali».
«Queste
associazioni e movimenti di base - continua il documento inviato al sindacato - prendono tuttavia atto che - proprio sulla
base delle indicazioni e della collaborazione avviata tra associazioni e
strutture periferiche del sindacato - la segreteria
generale della Federazione Nazionale Cgil-Cisl-Uil
sembra aver chiesto, almeno all'ultimo momento, al Governo, lo stralcio
dell'art. 9 dal decreto-legge 463/1983 nella sua conversione in legge».
Tuttavia «solo un impegno costante ed incisivo della
segreteria generale della Federazione Nazionale Cgil-Cisl-Uil
riguardo l'integrazione sociale degli handicappati ed invalidi può riaprire un
colloquio costruttivo con un confronto chiaro con gli invalidi e handicappati,
le loro associazioni e gruppi e movimenti».
Con questa lettera si chiede,
perciò, che l'impegno del sindacato si estrinsechi in
particolare:
-
«in una immediata attuazione di tutte le iniziative
che portino all'approvazione in tempi strettissimi della legge di riforma del
collocamento obbligatorio, in cui - nella deprecata ipotesi dell'approvazione
anche di parte dell'art. 9 - tra l'altro recuperare il terreno così
ignobilmente ceduto,
-
«nella considerazione concreta dei problemi sanitari dei lavoratori invalidi
obbligati a trattamenti iterativi indispensabili al loro mantenimento in vita
(come dializzati, talassemici, miodistrofici) difendendo -
nella stipulazione dei contratti collettivi sia nel comparto pubblico sia nel
comparto privato - il loro diritto alla conservazione del posto di lavoro,
promuovendo provvedimenti legislativi che risolvano alla radice il problema
delle inevitabili assenze (permessi retribuiti analogamente al permesso per
allattamento alle madri lavoratrici),
-
«nella promozione di un Convegno Nazionale sul
collocamento e conservazione del lavoro degli invalidi ed handicappati da
tenersi entro e non oltre la primavera del 1984,
-
«nell'immediato avvio del confronto con le autorità regionali sulle piattaforme
avviate da tempo dagli operatori sindacali e dalle associazioni,
-
«nell'istituzione di Uffici "H" presso tutte
le Federazioni Sindacali Regionali, con il compito di collegare gli invalidi ed
handicappati e le associazioni e movimenti che li riuniscono e rappresentano,
alle strutture sindacali periferiche, al fine di promuovere una più stretta
collaborazione per meglio cogliere la significativa realtà di questi
lavoratori».
Le associazioni hanno chiesto,
infine, «che - riassumendo il suo ruolo
istituzionale di difesa di ogni lavoratore senza
discriminazioni - il sindacato, sui grandi temi di riforma della previdenza,
di attuazione della riforma sanitaria, di leggi che impongono tagli al bilancio
della sanità, della legge finanziaria, dei piani sanitari nazionale e
regionali si confronti e raccolga direttamente dai destinatari di tali norme
le istanze, le proposte operative, le possibilità di intervento, convocando a
diretta dibattito i movimenti e le associazioni».
Formulazione
definitiva dell'art. 9
Il Parlamento ha convertito in legge
l'art. 9 del D.L. 463/1983 con alcune modifiche che, pur attenuando la portata negativa delle nuove disposizioni,
ne conservano inalterata l'impostazione emarginante.
Questo è il testo integrale (9):
1)
In attesa della riforma della disciplina delle
assunzioni obbligatorie, gli uffici provinciali del lavoro e della massima
occupazione, prima di procedere all'avviamento al lavoro dei soggetti
beneficiari della legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modificazioni provvedono
a far sottoporre a visita medica, da parte dell'autorità sanitaria
competente,
i soggetti stessi che abbiano un grado di invalidità inferiore a150% per
controllare la permanenza dello stato invalidante. La visita è disposta entro
il quindicesimo giorno dalla decisione di avviamento
al lavoro. In mancanza si procede in ogni caso
all'avviamento, salvo successivo accertamento.
2)
Coloro che non si sottopongono alla visita di cui al comma che precede sono
cancellati dagli elenchi di cui all'articolo 19 della legge 2 aprile 1968, n.
482.
3)
I lavoratori assunti tramite il collocamento ordinario e successivamente
riconosciuti invalidi non per cause di lavoro o di servizio con un grado di
invalidità non inferiore al 60% sono considerati, ai fini della percentuale di
obbligo complessiva di cui all'articolo 11, primo comma, della legge 2 aprile
1968, n. 482.
4)
Non si applica la disposizione di cui all'articolo 9, ultimo comma, della
legge 2 aprile 1968, n. 482.
Tab. 1 - Iscritti al collocamento
obbligatorio fino al giugno 1980
Piemonte 6.470 Valle
d'Aosta 275
Lombardia 3.300 Trentino
A.A. 285
Veneto 3.589 Friuli
V.G. 1.360
Liguria 3.769 Emilia
Romagna 4.956
Toscana 6.977 Umbria 2.275
Marche 3.347 Lazio 34.356
Molise 3.239 Abruzzi 5.386
Campania 71.731 Puglia 10.639
Basilicata 2.984 Calabria 23.483
Sicilia 39.784 Sardegna 4.449
Nord 23.945
Centro 47.405
Sud 117.516
Isole 44.233
ITALIA 233.099
(Fonte: Ministero del
Lavoro. Rielaborazione della Lega
nazionale per il diritto al lavoro degli handicappati)
Tab. 2 - Iscritti al collocamento
obbligatorio divisi per categoria
Invalidi di guerra 249
Invalidi civili di guerra 1.788
Invalidi per servizio 2.736
Invalidi del lavoro 12.554
Invalidi civili 182.769
Sordomuti 2.031
Orfani e vedove di guerra 28.376
Profughi 3.226
Ex malati T.B.C. 370
(Fonte: Ministero del
Lavoro. Rielaborazione della Lega nazionale
per il diritto al lavoro degli handicappati)
(1) Cfr. Decreto-legge 29 gennaio
1983, n. 17, «Misure per il contenimento del costo del lavoro
e per favorire l'occupazione», art. 9, in Gazzetta
Ufficiale 29 gennaio 1983, n. 28. Cfr. anche: «Il Governo nega agli invalidi il diritto al lavoro»,
in Prospettive assistenziali,
n. 61, gennaio-marzo 1983, pp. 4 e segg.
(2) Cfr. Decreto-legge 12 settembre
1983, n. 463, «Misure urgenti in materia previdenziale e
sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari
settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini».
(3) Cfr. Lega nazionale
per il diritto al lavoro degli handicappati, sezione di Milano, lettera ai
membri della Commissione Lavoro e Bilancio della
Camera dei deputati, «Richiesta di stralcio dell'art. 9 del
decreto-legge 463/198», 27 settembre 1983.
Una netta presa di
posizione contro l'art. 9 è stata assunta dal Coordinamento nazionale tra le
associazioni ed i movimenti di base per i problemi dell'emarginazione e
dell'handicap.
(4) Cfr. «Il Governo nega agli invalidi il diritto al lavoro», in Prospettive
assistenziali, n. 61, cit. p. 6. Il testo dell'Allegato A è riportato nella nota 9 dello
stesso articolo.
(5) L'Ufficio del
mercato del lavoro della Cgil, ha definito
l'episodio «allucinante, oltreché scorretto politicamente»
(cfr. Il Mondo,
31 ottobre 1983, p. 52); «Il sindacato non è una mafia. È una realtà
trasparente che non ha mai delegato ai suoi dirigenti, anche se ai massimi
livelli, accordi segreti» (Walter Fossati, coordinatore regionale per Cgil Cisl Uil
per i problemi degli handicappati, in Il
Manifesto, 20 ottobre 1983); sono numerose le Federazioni provinciali del
sindacato che hanno inviato note e richie ste di chiarimento alle Confederazioni nazionali. Finora
non sono stati resi pubblici chiarimenti soddisfacenti da parte dei vertici del
Sindacato.
(6) Si veda, ad
esempio, il documento conclusivo dell'incontro svoltosi il 17 ottobre 1983 tra
la segreteria della Federazione unitaria Cgil Cisl Uil, rappresentata dai segretari
generali aggiunti Marini e Del Turco e dai segretari confederali Bentivogli e Nusi, e la Lega
nazionale per il diritto al lavoro degli handicappati: «Nell'incontro sono
stati affrontati i problemi posti dall'art. 9 del Decreto n. 463 attualmente all'esame del Parlamento esprimendo, per il
merito dei suoi contenuti, un giudizio fortemente negativo in quanto se approvato
rappresenterebbe un elemento grave di regressione civile per l'intero Paese con
la pratica esclusione di qualsiasi possibilità d'inserimento al lavoro degli
handicappati. La Federazione Unitaria ha ribadito il proprio impegno di
portare avanti con forza, unitariamente alle associazioni degli handicappati,
la richiesta di ritiro dell'art. 9 sostenendo tale richiesta con estese
iniziative di mobilitazione, come già avvenuto a Milano il 13 u.s. La delegazione della lega ha illustrato ai dirigenti
della Federazione Unitaria alcuni punti contenuti nella proposta di legge
finanziaria, l'approvazione dei quali, causerebbe gravissime conseguenze per
molte famiglie di handicappati gravissimi e per i servizi socio-sanitari
preposti all'assistenza e alla riabilitazione degli handicappati a causa del
blocco delle assunzioni del personale. La Federazione Unitaria e la
delegazione della Lega per il diritto al lavoro degli handicappati hanno
inoltre concordato nuovi incontri per la definizione delle linee di riforma
generale del collocamento».
(7) Cfr. «Il Governo nega agli invalidi...», cit. p. 6.
(8) Tra i firmatari
della lettera vi sono: l'ANED - Associazione Nazionale Emodializzati;
la Lega per il diritto al lavoro e per l'integrazione sociale degli handicappati;
la Cooperativa lotta contro l'emarginazione; il Coordinamento regionale
lombardo degli operatori sociali dei C.F.P. e C.S.E.; Medicina democratica. Analogo documento è stato
sottoscritto dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base di
Torino.
(9) Cfr. legge 11 novembre 1983 n. 638
in Gazzetta Ufficiale 11 novembre
1983 n. 310.
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