Prospettive assistenziali, n. 64, ottobre - dicembre 1983
Notiziario dell'Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie
TUTELARE
I BAMBINI SOLI
Riportiamo
la lettera inviata dal Presidente dell'ANFAA al Direttore di «Scuola viva» in
data 21 ottobre 1983 in risposta ad un articolo di Virginio Oddone
(1). Il Direttore della rivista ne ha
rifiutato la pubblicazione con motivazioni del tutto pretestuose.
Testo della lettera
Mi riferisco alla nota di Virginio Oddone «Un nuovo ruolo per l'educatore: poliziotto sociale?» sul n. 7-1983
della rivista «Scuola viva».
In tale nota si afferma che l'obbligo per pubblici
ufficiali, incaricati di pubblico servizio, esercenti un servizio di pubblica
necessità, posto dalla L. 184/83 di denunciare (la
legge parla di segnalare, perché denunciare?) all'autorità giudiziaria
(Tribunale per i minorenni) tutti i casi di «stato di abbandono»
di un minorenne di cui «vengano a conoscenza a causa del loro ufficio», pena la
reclusione ad un anno, oppure una multa di 400 mila lire, è una «complicazione»
che significa una cosa sola: la trasformazione di tutti coloro che intervengono
sui minori «difficili» (educatori, psicologi, terapeuti i più diversi, medici)
da «terapeuti» a delatori o, nella migliore delle ipotesi, poliziotti sociali.
Al termine della lettura mi è venuta alla mente
l'espressione che un mio commilitone, tanti anni fa, pronunciava ogni volta che
gli veniva ordinato un qualche servizio sgradevole e che suonava «fregati, tanto è naja», intendendo dire
«fregatene».
Il perché di questa associazione
di idee è presto detto: anche la legge precedente (431/67) poneva questo
obbligo per le citate categorie di operatori ma non prevedeva pene in caso di
inadempienza, e l'esperienza ricavata dai sedici anni di operatività di
questa legge ha dimostrato che la grande maggioranza degli operatori ha ragionato,
nei riguardi dei ragazzini, come il mio commilitone ragionava nei riguardi
della naja, e cioè se ne è sempre fregata.
I motivi della critica rivolta alla «complicazione»
introdotta dalla nuova legge, ed il fatto che questa critica sia stata fatta da
un giudice, onorario di un Tribunale per i minorenni, quale è Oddone, hanno
definitivamente fugato ogni mio dubbio, se mai ne avessi ancora avuti, sulla
opportunità, anzi sulla necessità della norma: e mi spiego.
Infatti se persino un giudice onorario accampa le
argomentazioni riportate nella nota per giustificare il suo atteggiamento
elusivo di fronte all'obbligo della segnalazione, quale mai altro pubblico
ufficiale etc., etc. sarà
mai disposto a farlo se non sotto la minaccia di un robusto sculaccione?
E se la segnalazione non la fa un pubblico ufficiale
etc., etc.,
chi mai è in grado di avere gli elementi conoscitivi per poterla fare? Ben
venga quindi la minaccia dello sculaccione se questa serve ad informare i
Tribunali per i minorenni dell'esistenza di tante situazioni di
abbandono ed a rompere l'assurda cappa di silenzio che le circondano.
Circa le motivazioni di cui sopra, faccio rilevare
che la legge, oltre agli artt. 9 e 70 ricordati
dall'articolista, contiene anche l'art. 10 nel quale si spiega che cosa deve
fare il Tribunale per i minorenni della segnalazione in causa.
Ed il Tribunale per i minorenni è tenuto innanzi
tutto a «disporre d'urgenza tramite i servizi locali e gli organi di pubblica
sicurezza, approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive
ai fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono».
In altre parole, la segnalazione non mette in moto
un'indiscriminata azione di tipo repressivo, ma semplicemente innesca da parte
dell'autorità giudiziaria quel processo di analisi
della situazione del minore, necessaria per poter procedere alla dichiarazione
di adottabilità nel caso in cui sia privo di assistenza materiale e morale da
parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi.
Nel corso della procedura il Tribunale per i minorenni
può prendere tutti gli altri provvedimenti necessari per tutelare il minore. La
segnalazione all'autorità giudiziaria deve essere fatta nei
confronti dei minori che si trovano in situazione di abbandono e non
come scrive Oddone, per i fanciulli che vivono «situazioni pesanti e
difficili».
È quindi assolutamente infondato il parere di Oddone secondo cui «qualunque impostazione terapeutica delle
situazioni di pluripatologia ambientale» diventa
«ipso facto reato».
È anche assurda l'affermazione in base alla quale prima di iniziare una terapia od una educazione «mirata»
occorre denunciare il caso al giudice.
Sull'attività terapeutica la legge 184/83 non attribuisce alcun potere alla magistratura.
Vista sotto questa luce, la «complicazione» della
segnalazione dei minori in situazione di abbandono,
sia ben chiaro, non vuole essere altro che il mezzo per obbligare gli operatori
a non comportarsi come ponzipilati, bensì a
contribuire responsabilmente a portare a galla quella miriade di situazioni in
cui intristiscono e si sgretolano le personalità di tanti bambini senza che
nessuno manco si accorga di loro, a se si accorge di loro e se interviene,
agisce in modo isolato e con possibilità di successo molto limitate.
Precisiamo e ribadiamo che
comunque l'intenzione del legislatore non è stata certo quella di costruire
una rete per catturare bambini da far adottare; questo ben lo capisce chi abbia
letto la legge dal principio (art. 1) ove si afferma «Il minore ha diritto di
essere educato nell'ambito della propria famiglia», e proseguendo nella
lettura, abbia analizzato i persino troppo complessi meccanismi predisposti a
garanzia di questo diritto.
In conclusione siamo certi di poter rassicurare
Virginio Oddone: la legge non ha nessuna possibilità di trasformare i terapeuti in delatori: molto più semplicemente li richiama
con fermezza al dovere, che prima che giuridico, è civile, e che è proprio di
ogni cittadino, indipendentemente dal lavoro che fa, di contribuire alla tutela
dei diritti dei minori in situazione di abbandono. D'altro canto, lo ripeto, se
la segnalazione non la fanno i pubblici ufficiali etc., etc. chi altri ha la possibilità
di farlo?
GIORGIO PALLAVICINI
(1) Estratto dell'articolo di V.
Oddone: «La complicazione della nuova legge
sull'adozione. Molto brevemente, perché se non il
tempo, certo lo spazio a disposizione sfugge. Con la nuova
legge, entrata in vigore il 1° giugno 1983, agli artt.
9 e 70 viene sancito l'obbligo, per pubblici
ufficiali, incaricati di pubblico servizio, esercenti un servizio di pubblica
necessità di denunciare all'autorità giudiziaria (Tribunale per i Minorenni)
tutti i casi di "stato di abbandono" di un minore di cui vengano a
conoscenza a causa del loro ufficio. La pena, per chi non lo faccia, è la
reclusione sino ad 1 anno, oppure 400.000 lire di multa. Inoltre, chi si renda
complice attivo o passivo nella "sistemazione bonaria" di un minore
presso terze persone, senza l'autorizzazione della magistratura rischia, se
genitore, da 1 a 3 anni di reclusione, e tutti gli altri il doppio (da 2 a 6
anni di reclusione).
Cosa significa questo? Che di fatto
qualunque terapeuta od educatore, non appena venga a
conoscenza di una situazione pesante e "difficile" nella
famiglia di un minore, è tenuto non a cercare di intervenire, ma, prima di
tutto, a denunciarlo. Questo vale per handicappati non
seguiti, ragazzi "difficili", e simili. Non solo: ma non è necessario
essere gli insegnanti od i medici curanti del minore. La legge prevede che la
denuncia debba venire fatta da chi "viene a conoscenza"
del fatto a causa del proprio ufficio: perciò, ad esempio, il medico mutualista che è curante dei genitori ma non del minore in
questione; l'insegnante del fratello o del cugino, ma non del minore "in
abbandono", eccetera.
È chiaro che, in una situazione di
tal fatta, qualunque impostazione terapeutica delle situazioni di pluripatologia ambientale diventa ipso facto reato: perché
non si può iniziare una terapia (od una "educazione mirata") avendo
prima denunciato; ma non si può neppure evitare di denunciare, perché la identificazione di una "patologia ambientale"
è il prerequisito logico e necessario che rende necessario l'intervento
terapeutico. II che significa una cosa sola: la trasformazione di tutti coloro che intervengono sui minori "difficili"
(educatori, psicologi, terapeuti i più diversi, medici) da
"terapeuti" a delatori o, nella migliore delle ipotesi, poliziotti
sociali».
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