Prospettive assistenziali, n. 65, gennaio - marzo 1984
ENRICO PASCAL
Viene riportata con alcuni brevi
commenti la legge regionale del Lazio del 14 luglio 1983, n. 49. Si tratta di
un tentativo che sia pure tardivo, cerca, anche se un po' alla disperata e non
senza velleitarismo, di dare pratica attuazione alla «180».
La situazione della Regione
Lazio, e soprattutto quella di Roma, è sin troppo nota,
per quanto concerne polemiche e contestazioni nei confronti della legge «180».
A Roma, più che in ogni altro località italiana, si sono costituite associazioni
di parenti che hanno raccolto decine di migliaia di
firme e sparato a zero, non tanto sulla non applicazione o cattiva applicazione
di detta legge (definita spesso a torto la legge Basaglia!),
ma contro la legge 180 nel suo insieme. Si è fatta colpa alla «180» di aver
scaricato e scaraventato sulle famiglie impreparate e indifese la violenza
degli «ammalati psichici gravi» e sono stati spesso invocati nuovi anche se più
moderni contenitori per le varie fasce di devianti
psichici (acuti, medio-degenti, lungo-degenti, cronici).
Roma (e la Regione Lazio) - si
sa - è anche il luogo dove Basaglia, dopo il
vittorioso smantellamento del manicomio di Trieste, avrebbe dovuto gestire
come responsabile l'allestimento dei servizi territoriali e il superamento del
manicomio, cioè attuare praticamente la «180». Credo
pertanto che non si possa prescindere, nel tentare di
dare una valutazione al documento che pubblichiamo, dal riferire quanto Basaglia stesso scriveva anni orsono,
proprio sul tema della progettazione di servizi per la salute mentale.
«Quando ci si prefigge di
organizzare un servizio sanitario (nel nostro caso
psichiatrico), la difficoltà sta nel trovare risposte concrete che provengono
dalla realtà in cui si agisce. Ma le risposte aderenti
alla realtà dovrebbero insieme trascenderla (attraverso l'elemento utopico),
tentando di trasformarla. In questo senso, nell'ipotizzare un'organizzazione
sanitaria si corre il rischio di cadere in due errori opposti: da un lato
quello di proporre risposte che vanno oltre il livello
di realtà in cui si muovono i bisogni, creandone altri attraverso la
produzione di nuove realtà-ideologie cui le misure
adottate sono pronte a rispondere; dall'altro, quello di restare così aderenti
alla realtà, da proporre risposte chiuse nella stessa logica che produce il
problema che si vuole affrontare. In entrambi i casi la
realtà resta immutata e le risposte si limitano a definire e a circoscrivere la
problematica di ogni settore specifico» (1). Secondo questa analisi
c'è dunque da un lato il pericolo di realizzare una ipotesi ideologica che «non
nasce come diretta risposta a dei bisogni individuati, ma come evoluzione di un
pensiero scientifico che procede seguendo la propria logica», che è ancora la
logica scientifica ed economica che risponde alla malattia mentale colla
segregazione. Contestualmente, chi non risponde ai requisiti dell'efficienza e
della produttività (la norma!) «deve trovare una sua collocazione in uno
spazio in cui non intralci il ritmo sociale». Quindi servizi preventivi che non trasformano il manicomio e la logica
dell'esclusione non fanno che «dilatare il campo della malattia».
D'altro lato c'è il pericolo
di una «aderenza totale alla realtà, senza che elementi utopici intervengano a
trasformarla». Ciò allora «corrisponde alla costruzione di strutture sanitarie
tecnicamente più efficienti, che ovviamente conservano
intatta la logica in cui è inserita la malattia, la sua definizione e
codificazione».
Ciò che Basaglia
indica nelle pagine citate, come elemento di reale trasformazione delle istituzioni
e dei servizi, è il verificarsi di «un nuovo rapporto tra cittadino e società,
nel quale si inserisce il rapporto tra salute e
malattia». Ma questo coincide con una presa di coscienza politica: «capire che
il valore dell'uomo, sano o malato, va oltre il valore della salute o della
malattia; che la malattia, come ogni altra contraddizione umana, può essere
usata come strumento di appropriazione o di
alienazione di sé, quindi come strumento di liberazione o di dominio; che ciò
che determina il significato e l'evoluzione di ogni azione è il valore che si
riconosce all'uomo e l'uso che si vuol farne, da cui si deduce l'uso che si
farà della sua salute e della sua malattia; che in base al diverso valore e uso
dell'uomo, salute e malattia acquistano o un valore assoluto (l'una positivo,
l'altra negativo) come espressione dell'inclusione del sano e della esclusione
del malato dalla norma; o un valore relativo, in quanto avvenimenti,
esperienze, contraddizioni della vita che si svolge fra salute e malattia» (2).
Queste ultime considerazioni alludono appunto all'elemento «utopico»,
generalmente mancante alla progettazione sanitaria. Come si situa la legislazione
della Regione Lazio, tra ideologia, realtà e utopia? Che
significato, politico ed operativo rappresenta la legge promulgata dalla
Regione Lazio?
Un breve esame del documento
che viene pubblicato su questa rivista dimostra che
la legge che organizza il servizio dipartimentale di salute mentale, definito
come l'insieme dei servizi e presidi che svolgono funzioni preventive,
curative e riabilitative in materia di salute mentale, ha due titoli: il primo
detta norme generali e programmatorie, il secondo le
modalità di funzionamento. Merita di essere segnalata l'elencazione sufficientemente
completa dell'arco degli interventi che il servizio dipartimentale di salute
mentale (SDSM) assicura (art. 2) e tra questi le attività ambulatoriali e
domiciliari erogate 12 ore al giorno nei giorni feriali, il pronto intervento
funzionante 24 ore. Per il servizio ospedaliero psichiatrico di diagnosi e
cura (SPDC) viene ipotizzato un posto letto per 10.000
abitanti. Aggiornamento e formazione del personale sono collegati alle
strutture universitarie. Per la riabilitazione di ex-degenti
sono indicate cooperative.
L'art. 3 prevede invece
l'istituzione di una commissione regionale politico-tecnica (assessorato alla
sanità, consiglieri, assessori dei Comuni capofila, esperti, funzionari
regionali) con compiti di coordinamento (e consulenza e controllo) e di una
commissione consultiva regionale, composta a
maggioranza da rappresentanti di associazioni di famiglie e utenti, nonché di
volontariato (che dovrebbe garantire la partecipazione?).
I successivi artt. 4 e 5 impongono una ricognizione preliminare a
livello delle unità sanitarie locali e l'elaborazione da parte della competente
commissione regionale di cui all'art. 3 di un progetto dettagliato, sottoposto ovviamente
a ratifica delle Assemblee generali delle USL, e da realizzarsi entro il 1985.
L'art. 6 prevede che
l'attività universitaria di ricerca, didattica, assistenza, si esplichi anche (il corsivo è nostro) in strutture non
universitarie, quali appunto i SDSM.
L'art. 7 precisa che
coordinatore deve essere un primario psichiatra o neuropsichiatra
coadiuvato da un gruppo interdisciplinare.
Gli articoli successivi,
compresi nel titolo II (modalità di funzionamento) sono una dettagliata
descrizione delle (possibili e potenziali) attività del
SDSM (art. 8-9-10-11).
L'art. 12 stabilisce
l'utilizzazione delle strutture private convenzionate (qui nulla viene definito rispetto al fabbisogno di posti letto, ma si
rimanda alla programmazione regionale, art. 5).
L'art. 13 (strutture
socio-riabilitative) e il successivo art. 14 (superamento degli ospedali psichiatrici)
prevedono la (ovvia) permanenza del blocco dei ricoveri in O.P., la riorganizzazione interna - previo «aggiornamento
immediato dei dati concernenti le strutture psichiatriche esistenti nel
territorio regionale» da parte della Regione stessa - mediante la
identificazione di due aree. La prima socio-sanitaria (per quello che oggi viene chiamato il «residuo» psichiatrico manicomiale), la
seconda socio-assistenziale (per i cosiddetti «auto-sufficienti»). Degne di
nota la volontà dichiarata di riconvertire e assegnare personale ai presidi
esterni territoriali (punti 3 e 4) e il controllo attraverso «commissioni di
vigilanza» del trattamento dei malati (punto 6). Qualificante ci sembra il punto
7 dell'art. 14 che recita: «le norme previste si applicano anche agli istituti
privati che svolgono attività psichiatrica».
L'art. 15 prevede «Regolamenti»
per il funzionamento dei SDSM concertati tra le varie
componenti professionali e rappresentanze degli utenti.
L'art. 16 sul personale evoca
le consuete figure professionali, ma rimanda alla programmazione prevista la
definizione delle piante organiche delle singole
unità operative pluridisciplinari, prevedendo la
mobilità dalle strutture obsolete ai nuovi presidi.
L'art. 17 prevede 150 ore di
formazione annue, da ripartirsi tra partecipazione a seminari e incontri, e
attività di «training» psicoterapeutico nella sede dei servizi mediante
personale dei servizi stessi o personale universitario in regime di convenzionamento, nonché
l'aggiornamento permanente per tutti e l'aggiornamento degli altri operatori dei servizi sociali e
sanitari (quali?).
L'art. 18, fatto non nuovo,
prevede l'inserimento al lavoro (protetto) con la erogazione
di un contributo regionale alle imprese, ecc. che assumono utenti del SDSM
(soprattutto ex-degenti).
L'art. 19 conclude
con un finanziamento vincolato, su tre capitoli: «ristrutturazione delle aree
ex-manicomiali» per L. 1.500 milioni, «personale»
per L. 1.000 milioni e contributi per il reinserimento
al lavoro.
Lasciamo il lettore giudicare
lo scarto enorme tra questa legge, così come è
promulgata nell'estate '83 e l'utopia basagliana di
un mondo dove i servizi siano la risposta ai bisogni reali della gente, e
salute o malattia modalità esistenziali di quello stesso uomo, che in un modo o
nell'altro esprime i suoi bisogni. Certo lo scarto esiste comunque
quando si devono programmare e realizzare servizi sanitari o sociali.
Nella realtà romana, dove i pochi operatori «alternativi» sono stati a torto ritenuti dei «missionari» rispetto allo squallore di
una realtà asilare pressoché intatta e di una realtà
territoriale estremamente tenue e certamente vanificata anche dal netto strapotere
delle cliniche private e dell'attività «psicoterapeutica» libero-professionale,
probabilmente era necessario legiferare. E la legge
in questione appare, sia pur tardiva, un tentativo (a 5 anni dal varo della
«180») di attuarla. Si prevedono interventi di ricognizione, di programmazione, di modifica della realtà manicomiale e
territoriale.
Ma le novità sono poche. I
«pazienti», definiti «malati di mente» sono ancora divisi nelle
tradizionali tre fasce: acuti, medio-degenti
e cronici, e per ognuno sono previsti interventi differenziati, come se si trattasse
di «uomini» diversi.
La «crisi» deve essenzialmente
essere gestita in SPDC, quindi medicalizzata e
impoverita delle sue più ricche problematiche esistenziali, e del suo
significato potenzialmente eversivo (aprire contraddizioni). La partecipazione
è affidata a una commissione, la verifica
dell'attività degli operatori è affidata a «commissioni di vigilanza», non già
alla verifica costante degli stessi utenti, nel ruolo di protagonisti della
loro liberazione. La tecnocrazia, implicita nel rimando per la formazione
professionale all'Università, depositaria di una
cultura che risulta ancora essenzialmente «ideologia» e nella subordinazione
alla Università dei servizi come «campo» di attività universitaria, e non come
verifica paritaria dei nuovi saperi scaturiti dalle lotte antiistituzionali
che hanno smantellato alcune vecchie istituzioni asilari
(purtroppo non a Roma!), il «training» proposto a un certo livello
professionale, sia pure all'interno della sede operativa, sono varie prove
che, in carenza, viene delegato al sapere «scientifico» di sempre, la soluzione
dei problemi della salute mentale. Certo non si può negare una validità
politica a una legge che intende avviare una programmazione.
Ma nel senso della dilatazione della domanda, delle
risposte precodificate, o nel senso della
trasformazione del modo di rispondere ai bisogni, e soprattutto di lasciarli
emergere senza reprimerli?
Francamente ci sembra che la
legge della Regione Lazio non rappresenti altro che
una soluzione tampone, destinata a colmare gravi ritardi e carenze, legati
essenzialmente allo strapotere del settore privato e della clinica
universitaria che ha sinora declassificato e
squalificato, rendendolo velleitario, il servizio pubblico, soprattutto per
quanto concerne la «salute mentale».
TESTO DELLA LEGGE (3)
TITOLO I
NORME GENERALI E
PROGRAMMAZIONE DEI SERVIZI DIPARTIMENTALI DI SALUTE MENTALE
Art. 1 (Servizio dipartimentale di
salute mentale)
Il servizio di salute mentale
di cui alla lettera d) dell'articolo 17 della legge
regionale 6 dicembre 1979, n. 93, inteso come insieme dei servizi e presidi che
svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative in materia di salute
mentale, è organizzato su base dipartimentale ai sensi dell'articolo 34 della
legge 23 dicembre 1978, n. 833.
Art. 2 (Attività del servizio
dipartimentale di salute mentale)
Il servizio dipartimentale di
salute mentale garantisce la continuità e l'omogeneità dei
trattamenti preventivi, curativi e riabilitativi.
A tal fine esso assicura:
a)
attività ambulatoriali e domiciliari articolate a livello distrettuale ed
erogate dodici ore al giorno, nei giorni feriali; le
sedi di distretto saranno istituite tenendo conto delle strutture già
esistenti ed in particolare delle sedi poliambulatoriali,
secondo le indicazioni contenute nel progetto degli interventi di cui al
successivo articolo 5;
b)
pronto intervento funzionante 24 ore su 24;
c)
servizio di diagnosi e cura per i ricoveri di pazienti acuti, sia volontari che in regime di trattamento sanitario obbligatorio, con un
numero di posti-letto non superiore a uno per 10.000 abitanti, da istituire in
aree specifiche di adeguate strutture ospedaliere individuate dalla Regione nel
progetto degli interventi di cui al successivo articolo 5;
d)
comunità protette ubicate possibilmente nel territorio delle unità sanitarie
locali ove insiste il servizio dipartimentale di salute mentale, finalizzate
alla prima risocializzazione degli ex degenti ed al
trattamento di pazienti usciti dalla fase acuta;
e) strutture alloggiative,
quali case famiglia e alberghi o pensioni convenzionali, in numero sufficiente
a soddisfare le esigenze reali degli utenti;
f)
attività di prevenzione del disagio psichico, attraverso adeguati programmi di interventi nelle scuole e negli ambienti di lavoro;
g)
attività di aggiornamento e di formazione specifica
del personale, in collegamento con le strutture universitarie;
h) iniziative finalizzate al recupero degli ex degenti
attraverso cooperative di lavoro artigianale, artistico ed agricolo.
Art. 3 (Commissione di
coordinamento - commissione consultiva regionale per i servizi dipartimentali
di salute mentale)
Presso l'assessorato regionale
alla sanità è istituita una commissione di coordinamento per i servizi
dipartimentali di salute mentale composta da:
l'assessore regionale alla
sanità o un suo delegato, con funzioni di presidente;
cinque consiglieri regionali eletti
dal Consiglio regionale;
gli assessori alla sanità dei
comuni capoluogo di provincia o loro delegati;
sette esperti designati dalla
commissione consiliare permanente per la sanità;
tre funzionari regionali, di cui
uno con funzioni di segretario, nominati dalla Giunta regionale.
La commissione di coordinamento
è nominata con decreto del Presidente della Giunta regionale e dura in carica
per la durata del Consiglio regionale.
La commissione di
coordinamento svolge le seguenti attività:
a)
collaborazione nei confronti degli organi regionali per l'indirizzo e il
coordinamento del lavoro da svolgere nelle singole unità sanitarie locali,
nella fase di progettazione e di realizzazione dei
servizi dipartimentali di salute mentale;
b) consulenza a favore degli organi regionali nella fase
di predisposizione e di realizzazione del progetto degli interventi di cui al
successivo
articolo 5;
c) controllo delle fasi di realizzazione e dei modi di
svolgimento delle attività dei servizi dipartimentali di salute mentale;
d)
consulenza a favore della Giunta regionale per i programmi di formazione e di aggiornamento del personale addetto ai servizi di salute
mentale e per i progetti relativi all'inserimento lavorativo ed alla
sistemazione residenziale degli ex degenti ed in genere degli utenti del
servizio.
Presso l'assessorato regionale
alla sanità è istituita una commissione consultiva regionale per i servizi
dipartimentali di salute mentale composta:
1)
dall'assessore regionale alla sanità o da un suo delegato, con funzioni di
presidente;
2) dal
presidente della commissione consiliare permanente per la sanità o da un suo
delegato;
3) da sette rappresentanti
delle associazioni di famiglie e di utenti del
servizio dipartimentale di salute mentale nonché delle associazioni di volontariato
operanti nel settore designati sulla base delle segnalazioni pervenute dalle
associazioni interessate, dall'assessore regionale alla sanità, sentita la
competente commissione consiliare permanente.
Le funzioni di segretario
della commissione consultiva sono svolte da un funzionario regionale in
servizio presso l'assessorato regionale alla sanità.
La commissione di cui al
quarto comma del presente articolo è nominata con decreto del
Presidente della Giunta regionale per un triennio ed esprime il proprio
parere in ordine alla predisposizione e all'attuazione del progetto degli
interventi di cui al successivo articolo 5 nonché sulle norme per il
funzionamento dei servizi dipartimentali di salute mentale.
Art. 4 (Adempimenti preliminari
per l'elaborazione del progetto degli interventi)
Le assemblee generali delle
unità sanitarie locali entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge trasmettono all'assessorato
regionale alla sanità:
a) una
dettagliata proposta per la istituzione del servizio
dipartimentale di salute mentale a norma della presente legge;
b) una
proposta per la localizzazione e I'attivazione delle
strutture e dei presidi del servizio dipartimentale di salute mentale previa
ricognizione delle strutture esistenti effettivamente
disponibili;
c) una
ricognizione degli operatori, con l'indicazione per ciascuno della qualifica
rivestita, in servizio presso le strutture pubbliche e private convenzionate
che svolgono attività nel settore della salute mentale;
d) una relazione sul numero degli utenti e sugli
interventi richiesti e soddisfatti durante l'anno 1982;
e) una
ricognizione della spesa sostenuta nel 1982, per le attività connesse alla
tutela della salute mentale ed una relazione documentata sulla medesima con
indicazione nominativa dei compensi relativi a
retribuzioni, eventuali consulenze, convenzioni e prestazioni varie erogate a
seguito di incarico specifico.
Art. 5 (Progetto degli interventi)
La Giunta regionale entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sulla base delle indicazioni e proposte fornite dalle
assemblee generali delle unità sanitarie locali ai sensi del precedente
articolo 4, predispone, sentita la Commissione consiliare competente per la
sanità, un progetto dettagliato di interventi per l'istituzione dei servizi
dipartimentali di salute mentale, da realizzare nell'arco di un biennio, in
corrispondenza degli esercizi finanziari 1983, 1984 e 1985. Il progetto è
sottoposto alle assemblee generali delle unità sanitarie locali ed approvato con
deliberazione del Consiglio regionale. Il progetto deve contenere:
a) la individuazione dettagliata dei poli ospedalieri e la
mappa dei posti-letto attualmente in convenzione corredata da un piano che
preveda la riorganizzazione delle strutture per acuti, secondo i requisiti di
legge, che non necessitano di degenza ospedaliera e la utilizzazione di strutture
private convenzionate di cui alla deliberazione della Giunta regionale n. 931
del 24 febbraio 1981, che non svolgano esclusivamente attività psichiatrica ai
sensi dell'articolo 64 della legge 23 dicembre 1978, n. 833;
b) la
localizzazione dei presidi e delle strutture necessari ad assicurare le
attività di cui al precedente articolo 2 in ogni unità
sanitaria locale, fermo restando quanto previsto all'articolo 12 della
legge 23 dicembre 1978, n. 833;
c) la
riorganizzazione interna degli ospedali psichiatrici
finalizzata al graduale superamento degli stessi e la riorganizzazione
di strutture per lungodegenti e cronici in conformità alle norme contenute nel
titolo II della presente legge;
d) la utilizzazione del personale già in servizio presso le
unità sanitarie locali e presso i presidi ospedalieri pubblici e convenzionati,
previa consultazione con le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative in ambito regionale, e con gli ordini professionali dei medici
nonché indicazioni precise per la determinazione delle piante organiche dei
servizi dipartimentali di salute mentale, in conformità a quanto previsto al
titolo li della presente legge;
e) la
previsione della spesa basata sull'uso programmato delle risorse e dei risparmi
conseguibili in relazione a quanto previsto alla precedente
lettera a).
Art. 6 (Convenzioni con le
università)
La Regione, ai sensi
dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, stipula convenzioni con
le università per consentire alle cliniche universitarie psichiatriche e di
neuro-psichiatria infantile ed agli istituti universitari di psicologia, l'espletamento
dei compiti di ricerca, di didattica e di assistenza,
anche in strutture non universitarie.
Per le finalità di cui al
precedente comma, le unità sanitarie locali, competenti per territorio, possono
stipulare convenzioni specifiche con le università, nel rispetto dei relativi
compiti istituzionali e secondo i criteri di collaborazione sanciti dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
Le predette convenzioni dovranno essere conformi a quanto stabilito dai decreti del
Ministero della pubblica istruzione del 9 novembre 1982, concernenti
rispettivamente: «Determinazione dei requisiti di idoneità
per l'utilizzazione delle strutture delle unità sanitarie locali da parte delle
facoltà di medicina ai fini della ricerca e dell'insegnamento» e «Approvazione degli schemi-tipo di convenzione tra Regione e
università e tra università e unità sanitarie locali».
Le convenzioni tra le singole
unità sanitarie locali e le università sono approvate con deliberazione della
Giunta regionale, sentita la commissione consiliare permanente per la sanità.
Gli studenti delle facoltà di
medicina e degli istituti universitari di psicologia e di pedagogia e gli
iscritti alle scuole di specializzazione in
psichiatria e neuro-psichiatria infantile possono frequentare le strutture
convenzionate a norma del presente articolo e, previa autorizzazione da parte
dei responsabili del servizio dipartimentale di salute mentale e delle autorità
universitarie competenti, le strutture degli altri servizi.
D'intesa con le università, il
Consiglio regionale disciplina e coordina, con appositi
atti deliberativi, il diritto alla frequenza dei servizi dipartimentali di
salute mentale da parte degli studenti delle scuole di servizio sociale, delle
scuole di formazione per educatori e degli allievi delle scuole per infermieri
professionali.
Art. 7 (Responsabile del servizio
dipartimentale di salute mentale - coordinamento)
Il responsabile del servizio
dipartimentale di salute mentale è uno psichiatra o un neuropsichiatra
infantile con qualifica di primario ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, nominato dall'ufficio di direzione della unità sanitaria locale, secondo quanto indicato dalla
legge regionale 6 dicembre 1979, n. 93 e successive modificazioni ed integrazioni.
Per il coordinamento tecnico
delle attività il responsabile di cui al comma
precedente è coadiuvato da un gruppo interdisciplinare di operatori in
rappresentanza delle varie strutture del servizio dipartimentale di salute
mentale.
Le unità sanitarie locali
garantiscono la partecipazione, per il tempo necessario, degli
operatori di cui al comma precedente alle attività di coordinamento
tecnico.
L'attività di coordinamento di
cui al presente articolo non comporta la corresponsione di indennità.
TITOLO II
MODALITÀ DI FUNZIONAMENTO DEI
SERVIZI DIPARTIMENTALI DI SALUTE MENTALE
Art. 8 (Funzioni del servizio
dipartimentale di salute mentale)
Il servizio dipartimentale di
salute mentale svolge le seguenti funzioni:
1) Attività di prevenzione:
a)
interventi per l'individuazione precoce delle situazioni di effettivo
o potenziale disagio psichica, da attuarsi nella realtà scolastica, lavorativa
e sociale in collaborazione con il servizio materno infantile, con la scuola
ed i suoi organi collegiali, con il servizio per l'igiene, la prevenzione e la
sicurezza nei luoghi di lavoro e con gli altri servizi socio-sanitari del
territorio;
b)
interventi di promozione e sensibilizzazione sui
problemi dell'igiene mentale dei cittadini, da attuarsi mediante programmi di
educazione sanitaria integrati e concordati con gli altri servizi delle unità
sanitarie locali, in particolare con il consultorio familiare;
c) promozione di ricerche e collaborazione ai piani di ricerca
finalizzati avviati dalla Regione e dagli istituti di ricerca.
2) Attività di diagnosi e
cura:
a)
interventi diagnostici e terapeutici a livello ambulatoriale,
domiciliare e presso centri terapeutici;
b)
pronto intervento psichiatrico;
c)
trattamenti sanitari volontari e obbligatori secondo
quanto stabilito dall'articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n. 833;
d) attività di filtro e controllo dei ricoveri nelle
strutture convenzionate di cui all'articolo 5 della presente legge.
3) Attività di riabilitazione:
a) valutazione della reale disponibilità della famiglia a
riaccogliere il malato dimesso;
b) attività rigorosamente coordinata di deospedalizzazione,
riabilitazione e reinserimento di degenti ancora ricoverati negli ospedali psichiatrici pubblici e negli
istituti privati, secondo i principi fissati dall'articolo 64 della legge 23 dicembre
1978, n. 833 e in conformità alle direttive impartite dalla Regione a norma del
precedente articolo 5;
c) assistenza sociale, sanitaria e riabilitativa di
pazienti psichiatrici lungodegenti e cronici in strutture di ricovero;
d)
attività di riabilitazione e reinserimento sociale del disagiato psichico
attraverso centri sociali, centri diurni, comunità protette e terapeutiche,
adeguate sedi di formazione professionale e di tirocinio di lavoro, nonché attraverso convenzioni con imprese artigiane e con
enti pubblici, finalizzate ad assicurare agli ex degenti attività lavorative
retribuite;
e)
interventi socio-assistenziali volti ad assicurare un'adeguata assistenza e
l'alloggio presso case famiglia, case albergo e centri di ospitalità
protratta per i disagiati psichici incapaci o impossibilitati a provvedere
autonomamente ai propri bisogni.
Le attività di cui al
precedente comma sono svolte, di norma, ai seguenti livelli:
1) a livello distrettuale:
a)
interventi ambulatoriali;
b) interventi
domiciliari;
2) a livello di unità sanitarie locali:
a)
programmazione e controllo degli interventi sanitari, riabilitativi e di occupazione;
b) servizio di diagnosi e cura ospedaliero; c) centri
diurni con funzioni terapeutiche e riabilitative;
d)
pronto intervento psichiatrico;
e) erogazione di provvidenze
economiche;
f)
servizi di assistenza sociale e sanitaria per
lungodegenti e cronici;
g)
case famiglia o centri di ospitalità protratta;
h)
comunità protette;
i)
comunità terapeutiche per trattamenti protratti che non necessitano
di degenza ospedaliera. Il progetto degli interventi di cui al precedente
articolo 5 dovrà prevedere le situazioni in cui le attività indicate al punto
2) del precedente comma saranno organizzate a livello
interzonale purché ricorrano condizioni di comprovata necessità. I posti
ospitalità da riservare alle iniziative di cui alle lettere f), g), h) ed i) del punto n. 2 del secondo comma del presente articolo saranno
definiti sulla base dei risultati delle ricognizioni effettuate dalle unità
sanitarie locali ai sensi del precedente articolo 4.
Art. 9 (Attività ambulatoriale)
I presidi ambulatoriali devono
assicurare interventi di tipo medico-farmacologico e
di tipo psicoterapeutico e socio-assistenziale.
La organizzazione degli
interventi ambulatoriali deve avvenire in stretta collaborazione con le famiglie,
ove possibile, nonché con il servizio materno-infantile
e dell'età evolutiva e per la procreazione cosciente e responsabile ed in
particolare con i consultori familiari e le unità territoriali di
riabilitazione. Nell'organizzare tali interventi devono essere garantiti
servizi adeguati alle esigenze dei bambini e degli adolescenti.
Il presidio ambulatoriale
assicura un'attività continuativa dalle ore 8 alle ore
20 in tutti i giorni feriali mediante unità operative pluridisciplinari.
Le indicazioni per gli
organici da assegnare ad ogni presidio presso le unità sanitarie locali saranno
contenute nel progetto degli interventi di cui al precedente articolo 5.
Nei piani delle unità
sanitarie locali potranno essere previsti presidi aggiuntivi in
relazione a specifiche esigenze del territorio connesse all'esistenza
nel territorio stesso di ospedali, fabbriche, scuole ed altri insediamenti
collettivi.
Art. 10 (Servizio di pronto
intervento)
Il servizio di pronto
intervento funziona 24 ore su 24, risponde a richieste di intervento
urgente nel luogo in cui esso si è reso necessario, fornisce una risposta
adeguata alle crisi, contribuisce ad evitare il ricorso alla ospedalizzazione
e la cronicizzazione del disturbo.
Il servizio di pronto
intervento opera in coordinamento con il servizio di pronto intervento di cui
alla legge regionale 27 dicembre 1979, n. 101.
Nel servizio di pronto
intervento è utilizzato, a rotazione, il personale assegnato al servizio dipartimentale
di salute mentale.
Il servizio di cui al presente
articolo attua:
a) gli interventi domiciliari immediati assicurando per
il tempo necessario la presenza degli operatori presso il paziente;
b)
l'avvio all'ambulatorio dei pazienti;
c) il ricovero volontario presso l'ospedale generale e
le altre strutture a ciò abilitate a norma del successivo articolo 11;
d) il
ricovero in regime di trattamento sanitario obbligatorio.
Nel progetto degli interventi
di cui al precedente articolo 5 saranno contenute
indicazioni per la determinazione del numero delle unità operative pluridisciplinari e dei mezzi di trasporto di cui dovrà
essere dotato il servizio previsto dal presente articolo.
Art. 11 (Servizi di diagnosi e
cura - Ricoveri volontari e trattamenti sanitari
obbligatori)
I ricoveri in regime di
trattamento sanitario obbligatorio sono effettuati, ai sensi dell'articolo 34
della legge 23 dicembre 1978, n. 833, in aree specifiche presso i servizi di
diagnosi e cura individuati dalla Regione, anche a livello interzonale, nel
progetto degli interventi di cui al precedente
articolo 5 presso le unità sanitarie locali nell'ambito degli ospedali
pubblici, di quelli dipendenti da enti ed istituti ecclesiastici civilmente
riconosciuti e delle cliniche universitarie.
I ricoveri volontari sono
effettuati oltre che nelle strutture di cui al precedente comma anche nelle
strutture private convenzionate di cui alla lettera a) del secondo comma del
precedente articolo 5.
In via eccezionale, in
mancanza delle strutture indicate al precedente primo comma, rispetto a
specifiche esigenze territoriali, il progetto degli interventi di cui
all'articolo 5 della presente legge può individuare le strutture private polispecialistiche convenzionate
nelle quali sono consentiti ricoveri per trattamenti sanitari obbligatori, nel
rispetto dell'articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e nei limiti
fissati dalla Regione nel progetto stesso.
I trattamenti sanitari obbligatori
sono disposti dal sindaco a norma degli articoli 33, 34 e 35 della legge 23
dicembre 1978, n. 833.
I ricoveri volontari sono
subordinati al parere motivato del servizio dipartimentale di salute mentale.
Il servizio dipartimentale di
salute mentale esercita la vigilanza sui ricoveri volontari e su quelli in
regime di trattamento sanitario obbligatorio, con particolare riguardo ai
ricoveri di cui al precedente terzo comma, nonché
sugli interventi curativi nell'ambito dello specifico progetto terapeutico.
Gli operatori del servizio
dipartimentale di salute mentale garantiscono
l'assistenza nel servizio di diagnosi e cura nonché la necessaria consulenza
psichiatrica a tutti i reparti ospedalieri.
La Regione, sulla base delle
indicazioni delle unità sanitarie locali, predispone, nell'ambito del progetto
degli interventi di cui al precedente articolo 5, la
mappa dei posti disponibili ed utilizzabili per le finalità del presente
articolo.
I servizi ospedalieri di
diagnosi e cura non potranno comunque avere un numero
di posti-letto superiore a quindici.
Presso i presidi di cui al
primo comma del presente articolo, devono essere organizzati spazi idonei per
la vita dei ricoverati, quali corsie, soggiorni, spazi esterni, sale per
colloqui, e deve essere utilizzato personale particolarmente qualificato.
I trattamenti sanitari
obbligatori sono effettuati in stretto collegamento con i servizi sociali del
territorio e con l'ambiente familiare e sociale del ricoverato.
I trattamenti sanitari
obbligatori devono essere limitati al tempo strettamente necessario e sostituiti
con progetti terapeutici da attuare con la collaborazione volontaria del
ricoverato e, ove possibile, con la partecipazione dei familiari.
Al momento della dimissione,
il servizio deve accertare che il paziente abbia una
sistemazione autonoma ovvero una sistemazione presso la famiglia, se
consenziente, o presso altre strutture curative o residenziali protette.
Art. 12 (Strutture private
convenzionate)
L'utilizzazione
delle strutture private convenzionate è effettuata con le modalità e nei
termini previsti nel progetto degli interventi di cui al precedente articolo 5.
Fino all'approvazione del
predetto progetto restano ferme le disposizioni impartite in materia dalla
Regione.
Art. 13 (Ricoveri volontari per
lungodegenti - Strutture di assistenza sociale e
sanitaria)
Per i malati di mente che necessitano di un trattamento socio-sanitario prolungato la
Regione definisce, nell'ambito del progetto degli interventi di cui al
precedente articolo 5, delle strutture di assistenza sociale e sanitaria sia di
ricovero che di tipo alternativo, quali comunità terapeutiche, comunità
protette, case famiglia e centri diurni nel rispetto di quanto disposto
dall'articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con il divieto di
effettuare nelle strutture predette trattamenti sanitari obbligatori.
Art. 14 (Superamento degli
ospedali psichiatrici)
Il superamento degli ospedali
psichiatrici, di cui all'articolo 64 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dovrà
avvenire attraverso:
1) la
permanenza dell'attuale blocco dei ricoveri ed il superamento della
specificità psichiatrica dell'istituzione;
2) la riorganizzazione interna
attraverso la costituzione di aree omogenee di
patologia e di ospitalità residenziale, con possibilità di assistenza
specifica, destinate all'assistenza di situazioni psichiatriche gravi
cronicizzate, di gravi invalidità o forme patologiche anche nei confronti
dell'utenza del territorio;
3) la riorganizzazione degli
ospedali psichiatrici in presidi generali per
l'assistenza sociale e sanitaria e per la riabilitazione della lungodegenza psichiatrica e non prevalentemente psichiatrica.
Tali presidi dovranno integrarsi e coordinarsi anche nel servizio
dipartimentale di salute mentale, al fine di garantire la continuità terapeutica
per i malati psichiatrici.
A tal fine la Regione:
1) provvede all'aggiornamento
immediato dei dati concernenti le strutture psichiatriche esistenti nel
territorio regionale di cui alla deliberazione della Giunta regionale del 23
dicembre 1980, n. 7107;
2) provvede
ad identificare, nel progetto degli interventi di cui al precedente
articolo 5, due distinti livelli assistenziali che portino alla costituzione
delle seguenti aree di intervento:
a)
un'area socio-sanitaria per situazioni psichiatriche gravi cronicizzate con
prevalenti caratteristiche di riabilitazione destinata a:
pazienti con prevalenti disturbi
psichiatrici ed istituzionali, per i quali non è obiettivamente prevedibile, in
breve tempo, la dimissione dall'ospedale, nel rispetto dell'articolo 35 della
legge 23 dicembre 1978, n. 833, ricercando soluzioni terapeutiche alternative,
con un programma di progressivo inserimento sociale;
i ricoveri istituzionalizzati
per una patologia di grave «handicap» psico-motorio.
Il personale
che opera nella predetta area è costituito da: infermieri professionali,
fisioterapisti, assistenti sociali, psicologi, medici internisti, geriatri, fisiatri, psichiatri. Nell'area stessa potranno essere organizzate attività
ambulatoriali di riabilitazione motoria per i cittadini del territorio;
b)
un'area socio-assistenziale destinata a:
degenti con prevalenti necessità di
carattere sociale che, avendo già recuperato un discreto livello di autonomia e
di socializzazione, sono in attesa di fruire di possibilità alloggiative
e lavorative esterne;
anziani autosufficienti, senza
prevalenti problemi psichiatrici ed istituzionali, che non necessitano di una
assistenza sanitaria permanente.
Tale area sarà utilizzata
anche da anziani senza precedenti di ospedalizzazione
psichiatrica.
La predetta area sarà gestita
dalla circoscrizione in cui si trova la struttura, in
stretto collegamento con le unità sanitarie locali bacino di utenza della
struttura stessa, secondo modalità definite dalla Regione in sede del progetto
degli interventi di cui al precedente articolo 5;
3) provvede
ad impartire alle unità sanitarie locali direttive per la distribuzione
degli ospiti e del personale sanitario e tecnico dell'ospedale psichiatrico tra
i servizi dipartimentali di salute mentale, favorendo la formulazione di
programmi concreti, con l'indicazione dei mezzi e dei tempi di realizzazione
dei progetti di dimissione e la riconversione ed assegnazione del personale ai
presidi esterni territoriali;
4) fissa i criteri di assegnazione del personale alle unità sanitarie locali a
norma del successivo articolo 16;
5) eroga alle unità sanitarie
locali finanziamenti finalizzati alla deospedalizzazione
in proporzione al numero dei relativi degenti da
reinserire nel territorio;
6) controlla attraverso
commissioni di vigilanza che il trattamento dei malati, in qualsiasi struttura,
risponda a criteri di rispetto della dignità della persona; le norme per la
composizione ed il funzionamento delle predette commissioni
sono stabilite nei regolamenti di cui al successivo articolo 15;
7) stabilisce, entro e non
oltre il 30 giugno 1985, con deliberazione del Consiglio regionale, la
definitiva destinazione delle strutture di cui al presente articolo sulla base di una valutazione dei risultati conseguiti
attraverso le trasformazioni previste nei precedenti commi.
Le norme previste dal presente
articolo si applicano anche agli istituti privati che
svolgono attività psichiatrica secondo le norme previste dal regio decreto 16
agosto 1909, n. 615 (ospedale psichiatrico «Santa Maria
Immacolata della Casa Divina Provvidenza» sito in Guidonia; «San Giovanni di Dio» sito in Genzano; «Villa degli Ulivi» sito in Castrocielo; «San Francesco di Alatri» sito in Alatri; istituto
«San Pio X» sito in Viterbo).
Il personale degli istituti di
cui al precedente comma sarà destinato alle strutture del servizio sanitario
nazionale secondo quanto disposto dalla legislazione vigente.
Art. 15 (Regolamenti)
Il Consiglio regionale, contestualmente
all'approvazione del progetto degli interventi di cui al precedente articolo
5, emana, previa consultazione con le organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative in ambito regionale, con gli ordini
professionali dei medici nonché con le forze sociali e con i rappresentanti
delle associazioni delle famiglie degli utenti, i regolamenti per il
funzionamento dei servizi dipartimentali di salute mentale, per
l'organizzazione ed il funzionamento delle strutture alternative ai ricoveri
quali i centri sociali, i centri diurni, le comunità alloggio, le comunità
protette e quelli per la composizione ed il funzionamento delle commissioni di
vigilanza di cui al precedente articolo 14.
Art. 16 (Personale)
L'organizzazione del personale
deve prevedere la costituzione di unità operative pluridisciplinari, composte da psichiatri, da psicologi, da
assistenti sociali, da infermieri e da terapisti della riabilitazione.
L'organico complessivo del
servizio dipartimentale di salute mentale è fissato in
relazione alle unità necessarie per assicurare il funzionamento del
servizio stesso e sarà determinato secondo i parametri fissati nel progetto
degli interventi di cui al precedente articolo 5. In casi particolari, in presenza di specifiche esigenze, potranno essere previste
ulteriori unità di personale o altre figure professionali nell'ambito di quelle
previste dalla normativa vigente ed in particolare dal decreto del Presidente
della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, anche con riguardo alle qualifiche
funzionali di cui all'ultimo comma dell'articolo 1 dello stesso decreto.
Per il funzionamento dei
servizi dipartimentali di salute mentale verrà
utilizzato il seguente personale:
a) unità già operanti nei presidi e nei servizi per la
salute mentale, creati in attuazione della legge 13 maggio 1978, n. 180, e
della legge
23 dicembre 1978, n. 833;
b) unità di nuova assunzione, ai sensi della legge 26 gennaio
1982, n. 12;
c)
unità già inserite negli organici degli enti disciolti o di enti
che abbiano cessato le loro funzioni relative alla tutela della salute mentale
e che non abbiano ancora provveduto integralmente al trasferimento del
relativo personale alle strutture del servizio sanitario nazionale;
d)
unità già addette ad ospedali ed istituti psichiatrici pubblici e privati, che
in relazione al progressivo esaurimento delle
funzioni di questi ultimi, si siano rese o si rendano successivamente
disponibili per una mobilità verso gli altri presidi e servizi dipartimentali
di salute mentale; a tal fine la Regione, d'intesa con le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative in ambito regionale, fissa i criteri per la
distribuzione del predetto personale sul territorio.
Il personale addetto al
servizio dipartimentale di salute mentale è distribuito nei presidi e servizi,
con provvedimento dell'ufficio di direzione delle unità sanitarie locali, su proposta dei responsabili del servizio stesso, sentite
le organizzazioni sindacali.
Il personale del servizio
dipartimentale di salute mentale opera preferibilmente con rapporto di lavoro
a tempo pieno.
Art. 17 (Formazione e
aggiornamento del personale)
Il diritto all'aggiornamento
ed alla formazione del personale dei dipartimenti di salute mentale viene garantito dalle unità sanitarie locali per un totale
di 150 ore annue destinate a:
a)
seminari interni ed esterni, partecipazione a convegni
ed attività di ricerca, scambi con operatori di altri servizi;
b)
frequenza di attività di «training» psicoterapeutico
svolta presso le sedi dei servizi dipartimentali di salute mentale all'uopo
opportunamente attrezzate, utilizzando per la didattica il personale dei
servizi stessi, idoneo allo svolgimento di tali attività e, mediante
convenzione, personale universitario e degli istituti di ricerca.
Le attività di formazione ed
aggiornamento professionale di cui al comma precedente sono
intese ad assicurare una migliore qualificazione del personale dei servizi
dipartimentali di salute mentale.
La Regione promuove
l'aggiornamento permanente del personale dei servizi di salute mentale
attraverso la continua verifica e rielaborazione dei
metodi e delle tecniche adottati, nonché l'analisi epidemiologica dell'attività
dei servizi stessi.
La Regione promuove, altresì,
l'aggiornamento degli altri operatori dei servizi sociali e sanitari sui
problemi, sui metodi terapeutici e sulla organizzazione
dei servizi dipartimentali di salute mentale.
Art. 18 (Inserimento nel lavoro)
In attuazione di quanto
stabilito dalla lettera d) del punto
n. 3 del primo comma del precedente articolo 8, la Regione eroga un contributo
annuo alle imprese artigiane, alle cooperative ed alle aziende che, nelle
condizioni previste dalle leggi vigenti per l'avviamento al lavoro, assumono in
qualità di lavoratore dipendente con un contratto di lavoro a tempo
indeterminato un soggetto dimesso dagli ospedali psichiatrici o un paziente
dimesso dai servizi di diagnosi e cura per i quali il
responsabile del servizio dipartimentale di salute mentale certifichi la
difficoltà di inserimento.
Le modalità ed i criteri per
la richiesta e l'erogazione dei contributi di cui al
precedente comma nonché le modalità per la realizzazione di iniziative di
recupero da attuarsi, in via sperimentale ed in numera definito, attraverso le
cooperative di lavoro di cui alla lettera h) del secondo comma del precedente
articolo 2, sono stabilite in sede di progetto degli interventi previsti dall'articolo
5 della presente legge.
Art. 19 (Finanziamenti)
In attesa che il progetto degli
interventi di cui al precedente articolo 5, precisi, insieme ai programmi,
anche le somme necessarie per realizzarli, per l'anno 1983 e per ciascuno dei
due anni successivi, sulla quota assegnata alla Regione Lazio sul fondo
sanitario nazionale saranno vincolate le somme di L.
1.500 milioni per la ristrutturazione delle aree ex manicomiali e di L. 1.000 milioni per il personale.
A partire
dall'esercizio
finanziario 1984 è istituito nel bilancia regionale per far fronte all'onere
finanziario derivante dall'applicazione del precedente articolo 18, un
apposito capitolo denominato: «Contributi alle imprese artigiane, alle
cooperative ed alle aziende per l'inserimento sul lavoro di dimessi dai servizi
di diagnosi e cura e dagli ospedali psichiatrici» il cui stanziamento è
stabilito annualmente con la legge di bilancio.
(1) FRANCO BASAGLIA, Scritti, Vol.
II, pag. 342 e segg. (cfr. anche
pag. 252 e segg.), Einaudi, Torino, 1982.
(2) Ibidem,
pag. 344.
(3) Legge della Regione Lazio 14 luglio
1983 n. 49, «Organizzazione del servizio dipartimentale di salute mentale».
www.fondazionepromozionesociale.it