Prospettive assistenziali, n. 65, gennaio - marzo 1984
LO STATO GIURIDICO DELLE IPAB DOPO
LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
(*)
GIUSEPPE UGO RESCIGNO
1
- I punti fermi stabiliti dalle sentenze
173 e 174 del 1981 della Corte costituzionale
Non è questa la sede per riesaminare criticamente le
sentenze n. 173 e n. 174 del 1981 della Corte costituzionale in materia di IPAB. Poiché ci proponiamo di esaminare le conseguenze
prodotte da tali sentenze e lo stato normativo da esse
determinato, l'oggetto e gli scopi di questa relazione consigliano di
considerare tali sentenze come punti fermi. Ciò non vuol dire naturalmente che
condividiamo in tutto i punti di diritto affermati in
tali sentenze: semplicemente li assumiamo come un dato di fatto per il momento
immodificabile, che non conviene in questa sede contestare, ma viceversa
assumere come premessa maggiore a cui collegare tutto il ragionamento.
Neppure vuol dire che i
punti di diritto affermati dalle citate sentenze sono tutti egualmente chiari
e incontrovertibili: alcuni lo sono, perché dichiarati nel dispositivo in modo
non equivocabile, ma altri, che si ricavano per ragionamento, lo sono molto
meno, come è ovvio. D'altra parte sono proprio questi i punti più importanti se
vogliamo chiarire la situazione normativa determinata
dalle sentenze. Vediamo dunque tutti questi punti, per quanto contestabili
alcuni possano apparire.
2
- Primo punto fermo
Il primo punto fermo, inconfutabile perché apertamente
detto nella sentenza 174/81, è quello secondo cui la
materia «beneficenza» di cui parla l'art. 117 Cost. possiede tutta l'ampiezza
indicata dalla definizione contenuta nell'art. 22 del D.P.R.
616/77 (1). La Corte, su questo punto, corregge,
dichiarandolo apertamente, la precedente sentenza n. 139 del 1972, che faceva
distinzione tra assistenza, spettante allo Stato, e beneficenza, spettante
alle Regioni (2).
3
- Secondo punto fermo
Il secondo punto fermo è quello per
cui le IPAB infraregionali non possono essere
soppresse sulla base dell'art. 25 5° comma (e delle norme connesse dichiarate
conseguentemente incostituzionali dalla Corte). Notare che il dispositivo
della Corte non dice che le IPAB non possono essere
soppresse in assoluto o dichiarate estinte o comunque trasformate; non si
possono raggiungere tali risultati in base alle norme citate dichiarate
incostituzionali, nulla escludendo che sia possibile raggiungere quei risultati
per un'altra via legittima.
Questo punto va meglio chiarito, giacché ciò che
l'art. 25, 5° comma, imponeva (e non semplicemente permetteva) era la
soppressione, salvo una eccezione, di tutte le IPAB, e
la devoluzione ai Comuni delle loro funzioni, beni e personale, cosicché la
dichiarazione di incostituzionalità di tale articolo impedisce proprio questo
risultato. In altre parole, si ritiene, come ritiene
la dottrina e la giurisprudenza, che prima del D.P.R. 616/1977 il legislatore regionale non poteva sopprimere
tutte le IPAB, giacché il legislatore del 1972 aveva trasferito le funzioni
amministrative rispetto alle IPAB infraregionali, e
dunque la esistenza e permanenza di esse doveva ritenersi principio della
materia; con la sentenza della Corte si è tornati su questo punto alla
situazione esistente prima del D.P.R. 616/77 (almeno per le IPAB già esistenti:
diverso il problema e la soluzione, come vedremo, per le eventuali IPAB di
nuova istituzione).
4
- Terzo punto fermo
Terzo punto fermo, collegato al precedente: poiché la
sentenza n. 173 dichiara viziato per eccesso di delega l'art. 25, 5° comma,
resta impregiudicata la possibilità di procedere alla
soppressione di tutte le IPAB, ma questa decisione,
salvi i limiti e le modalità adombrate dalla stessa Corte, spetta comunque al
legislatore statale.
5
- Quarto punto fermo
Quarto punto fermo: la Corte costituzionale, che pure
nella sentenza n. 173 ha fatto uso della possibilità offerta dall'art. 27, 1°
comma della legge 11 marzo 1953, n. 87 dichiarando la illegittimità
conseguenziale di altre norme contenute nell'art. 25
e connesse a quella impugnata e dichiarata incostituzionale in via principale,
non ha invece dichiarato la illegittimità conseguenziale
dell'art. 25, 1° comma, che attribuisce ai Comuni
tutte le funzioni amministrative di organizzazione e erogazione dei servizi
assistenziali pubblici.
Eppure questa disposizione poteva essere messa in
dubbio nella sua costituzionalità per almeno due aspetti, il secondo dei quali
collegato direttamente col thema decidendum su cui la Corte si è pronunciata e quindi
passibile di dichiarazione di incostituzionalità conseguenziale.
Anzitutto la totale attribuzione ai Comuni delle
funzioni di organizzazione ed erogazione dei servizi
di assistenza non si giustifica facilmente con l'art. 118, 1° comma della
Costituzione. Rileggiamo questa norma: «Spettano alla Regione le funzioni
amministrative per le materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite
dalle leggi della Repubblica alle Province, ai Comuni e ad altri enti locali».
È sicuramente difficile, e forse impossibile, stabilire
il limite tra funzioni amministrative di interesse
esclusivamente locale (attribuibili alle Province, ai Comuni o ad altri enti
locali) e quelle non di interesse esclusivamente locale, riservate alla
Regione, ma non c'è dubbio che, nelle parole e nelle intenzioni del
costituente, le funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale
costituiscono sempre una parte, grande quanto si vuole, delle complessive
funzioni amministrative relative alle materie elencate nell'art. 117.
È vero che nel caso di specie le funzioni attribuite
ai Comuni sono quelle di organizzazione ed erogazione
dei servizi, e si può con ragione sostenere che alle Regioni restano pur
sempre altre funzioni amministrative, ad es. quella di indirizzo e
coordinamento e quella di controllo.
Ritengo che questa sia una strada percorribile per
giustificare e fondare costituzionalmente l'art. 25, 1° comma: sta di fatto però che in questo modo la distinzione tra
funzioni amministrative regionali e funzioni amministrative di interesse esclusivamente
locale non opera più secondo una ripartizione orizzontale della medesima
materia, ma secondo una ripartizione verticale, per cui competenza della
Regione e competenza degli enti locali si sovrappongono totalmente per quanto
riguarda l'oggetto disciplinato e si diversificano per quanto riguarda le
funzioni e la qualità dell'intervento (nel caso di specie: amministrazione
attiva in capo ai Comuni; indirizzo e coordinamento e controllo in capo alle
Regioni).
Comunque questa questione, che pure è la più importante e
interessante, a rigore non rientrava nell'oggetto del giudizio della Corte, e
si può giustificare che la Corte non se ne sia occupata neppure in
motivazione.
Non così stanno le cose però
per il secondo aspetto sotto cui considerare il 1° comma dell'art. 25.
Se tutte le funzioni di organizzazione
ed erogazione dei servizi in materia di beneficenza sono attribuite ai Comuni,
delle due l'una: o il divieto di sopprimere le IPAB infraregionali
è incostituzionale, oppure è incostituzionale tale attribuzione ai Comuni.
Qualcuno potrebbe cercare di salvare la coerenza della sentenza della Corte,
facendo notare che la necessaria sopravvivenza delle IPAB infraregionali
è oggi dovuta solo all'errore tecnico del legislatore
delegato (o delegante, secondo il punto di vista), e dunque costituisce una
situazione puramente transitoria e provvisoria, e non un fatto di principio:
questa salvezza dunque può coesistere con l'affermazione di principio dello
stesso legislatore per cui l'assistenza pubblica spetta tutta e solo ai
Comuni. Questo tentativo di salvare la coerenza interna della sentenza della
Corte svela per la verità un'altra e più grave contraddizione contenuta in essa (contro le troppo facili e maggioritarie esaltazioni
della correttezza argomentativa di tale sentenza): se
infatti il principio affermato nell'art. 25, 1° comma non è incostituzionale né
per eccesso di delega né per altro motivo, allora il 5° comma dell'art. 25 non
è che la logica e necessaria conseguenza del principio affermato nel 1° comma:
la organicità della riforma che riunifica in capo ai
Comuni tutte le funzioni della assistenza pubblica esige, prima ancora che
permettere, lo scioglimento delle IPAB infraregionali
o quanto meno la soppressione del loro carattere di enti pubblici, in tutto o
in parte (3). Ma tant'è, la Corte
ha deciso diversamente, e non vale la pena ora di ridiscutere la cosa.
Sta di fatto però che in tal
modo nel nostro ordinamento, accanto alla necessaria salvezza delle IPAB infraregionali in attesa di una organica ed esplicita
riforma del legislatore statale, resta in vigore il principio affermato nell'art.
25, 1° comma, secondo cui «Tutte le funzioni amministrative relative
all'organizzazione ed alla erogazione dei servizi di
assistenza e di beneficenza... sono attribuite ai Comuni...» (4). A mio avviso
la contemporanea vigenza di queste due norme per un verso genera una situazione
che comunque, qualunque scelta facciano le Regioni, diventa o resta
illegittima; per un altro verso offre alcune indicazioni minime di
comportamento obbligatorio. Ma di questo dopo.
Questi sono i punti fermi che si ricavano da quelle
due sentenze della Corte e che stanno alla base delle considerazioni
successive.
Vediamo ora le conseguenze di tali sentenze.
6 - La sorte
delle leggi regionali entrate in vigore prima della sentenza della Corte e le
IPAB non disciolte o che avevano impugnato la procedura di scioglimento
La prima domanda a questo proposito riguarda la sorte
delle leggi regionali che alcune Regioni avevano approvato
sulla base dell'articolo 25 del D.P.R. 616/77 (5), prima delle sentenze della
Corte e dopo che era scaduto l'accordo tra Governo e Presidenti delle Regioni
secondo cui le Regioni si sarebbero astenute dal legiferare in materia per
tutto il 1979, come pure avrebbero potuto in base al D.P.R. 616/77 (6).
Dal punto di vista strettamente giuridico non pare
contestabile la tesi che esse sono divenute invalide, ma come tutte le leggi
incostituzionali non (ancora) dichiarate tali dalla Corte costituzionale,
restano in vigore (a meno che ovviamente non vengano
abrogate, o appunto, dichiarate incostituzionali) (7). A stretto diritto le
Regioni avrebbero potuto dar seguito a tali leggi, esponendosi ovviamente alle
impugnative da parte delle IPAB che intendevano resistere e alla prevedibile dichiarazione
di incostituzionalità da parte della Corte
costituzionale. Sul piano della opportunità non c'è
dubbio quindi che bene hanno fatto le Regioni a sospendere (e in realtà a
troncare definitivamente) tutte le procedure allora in corso (8). Resta la
curiosa situazione per cui una legge formalmente in
vigore viene disapplicata perché è soggettivamente
certa (o prevedibile) la dichiarazione della sua incostituzionalità. Come ha
sottolineato qualcuno, meglio avrebbe fatto la Corte a dichiarare essa
direttamente la incostituzionalità conseguenziale delle leggi regionali applicative, che pure
la Corte conosceva e ha citato nelle sue sentenze.
Non sembra da approvare un meccanismo che rende la
stessa pubblica amministrazione arbitra di decidere se applicare o no una
legge formalmente in vigore per il timore (o la certezza, ma una certezza pur
sempre soggettiva) di una futura dichiarazione di incostituzionalità.
Comunque sia, di fatto le leggi regionali in materia sono
state disapplicate, eccettuate le norme di
salvaguardia che esse contenevano. Conseguentemente tutte le IPAB infraregionali non ancora disciolte o che comunque avevano impugnato l'eventuale atto di scioglimento
sono rimaste nella medesima situazione giuridica che esse già possedevano
(salvo eventuali misure nei loro confronti adottate legittimamente in base
alla legge Crispi).
7
- Le IPAB già disciolte
Altra questione, legata
strettamente alla precedente: quale la sorte delle IPAB infraregionali
eventualmente già disciolte prima della sentenza della Corte costituzionale sulla base delle
leggi regionali attuative dell'art. 25 del D.P.R. 616/77. Non so se casi del
genere esistono, ma qui la cosa ha importanza. Inoltre si deve presupporre che
tutta la procedura di scioglimento si sia esaurita prima della sentenza della
Corte senza che gli interessati abbiano impugnato alcun atto di tale procedura:
solo in questo caso infatti, secondo i principi, si
può parlare di una questione esaurita. Se questo è il caso, non c'è dubbio,
sempre in base ai principi, che le sentenze della Corte non sono retroattive e
dunque non travolgono i casi esauriti, che restano fermi quand'anche applicativi
di norme successivamente dichiarate incostituzionali
(9).
8
- L'applicazione della legge Crispi alle IPAB infraregionali
Del pari non c'è dubbio che le Regioni, come minimo,
possono e anzi debbono, fino ad abrogazione,
applicare la legge Crispi sulle IPAB e quindi
possono avvalersi degli strumenti che tale legge offre, in particolare negli
articoli da 54 a 71, che compongono il titolo VI - «Delle riforme dell'amministrazione
e delle mutazioni nel fine» (10).
Sembra che di questo si siano accorte le Regioni, le quali, attraverso una applicazione attenta
e rigorosa della legge Crispi, possono raggiungere
alcuni dei risultati perseguiti dal D.P.R. 616/77. In particolare usando i
meccanismi del concentramento della riunione in gruppi, della fusione, del
consorzio d'ufficio, della federazione e della trasformazione, per usare la
terminologia della legge Crispi, le Regioni possono
proporsi una organizzazione e una erogazione più
razionale ed efficiente dei servizi assistenziali, superando quelle situazioni
in cui la pochezza dei mezzi, la eccessiva frammentazione, la disomogeneità producono
sperperi e scarsa efficienza.
9
- Il concentramento delle IPAB presso
gli ECA e, oggi, presso il Comune
Se il punto precedente è esatto, e poiché la legge Crispi prevedeva l'istituto della
concentrazione delle IPAB presso le congregazioni di carità divenute poi ECA,
è da chiedersi, una volta disciolti gli ECA in base al D.P.R. 616/77 (norma
non dichiarata incostituzionale dalla Corte) (11), se i Comuni, in quanto
succeduti agli ECA, diventano anche gli enti in capo ai quali procedere al
concentramento delle IPAB nei casi e con le modalità previste dalla legge Crispi.
La risposta non pare dubbia: se prima era possibile
il concentramento delle IPAB presso gli ECA, sia pure con i limiti e le
modalità della legge Crispi, e se successivamente
il legislatore ha ritenuto non più opportuna la gestione della assistenza
pubblica mediante lo strumento degli ECA e più opportuna la gestione diretta
del Comune, ciò vuol dire che quello che prima si poteva fare attraverso gli
ECA, si può fare oggi attraverso i Comuni che sono succeduti a titolo
universale a quelli (12).
10
- Modificazioni delle
IPAB secondo la legge Crispi e Comuni
In realtà è da chiedersi se le
Regioni non solo possono, in base alla vigente legge Crispi,
ma addirittura debbono operare tutte le trasformazioni ammesse delle IPAB a
vantaggio sempre dei Comuni. Qui entra in gioco il significato e la portata
dell'art. 25, 1° comma, del D.P.R. 616/77. Prima
della sentenza della Corte costituzionale vi sono state significative
sentenze di altri giudici che, in applicazione del principio sancito dall'art.
25, 1°comma, negavano la possibilità di costituire nuove IPAB (13), e negavano
la possibilità di contributi statali alle vecchie IPAB(14), con l'argomento
che ormai la funzione della assistenza pubblica spettava solo ai Comuni.
È da chiedersi allora se tutte quelle modificazioni previste dalla legge Crispi
le quali comportano la estinzione di IPAB e la riorganizzazione dei loro beni,
funzioni e personale in capo ad altre IPAB (tali ad es. la fusione e la
trasformazione del fine), alla luce dell'art. 25, 1° comma del D.P.R. 616/77 non
debbano essere reinterpretate e applicate come
modificazioni che, nei casi e per le ragioni previste dalla legge Crispi, operano sempre e necessariamente come estinzione
di vecchie IPAB e trasferimento di beni, funzioni e personale in capo ai
Comuni. Reciprocamente è da chiedersi se i Comuni non possano impugnare i
provvedimenti delle Regioni che violano tale regola, con la prevedibile conseguenza
che i giudici investiti da tale impugnazione rinvieranno alla Corte
costituzionale affinché si pronunci sulla costituzionalità della legge Crispi sotto questo profilo. Certamente si tratta di una ipotesi oggi molto improbabile giacché tutti gli interessati,
Regioni, IPAB e Comuni, sembrano accomunati dal desiderio di smuovere il meno
possibile la situazione in attesa di decisioni nazionali; ma sul piano della
ammissibilità secondo diritto non avrei dubbi sulla percorribilità della strada
indicata.
11
- Le Regioni e le possibili
modificazioni alla legge Crispi
Queste questioni ci conducono immediatamente ad un
altro problema: è possibile che le Regioni con
proprie leggi modifichino la legge Crispi? o si deve ritenere che tutta la legge Crispi
costituisca principio inderogabile per le Regioni? Intanto va sottolineato che le Regioni hanno già modificato la legge Crispi: tutte le norme di salvaguardia nei confronti delle
IPAB e altre leggi recentemente approvate da alcune regioni sono tutte norme
che modificano in parte la legislazione statale precedente. D'altra parte non
è seriamente sostenibile che, trasferendosi una competenza amministrativa
alle Regioni, tutta la normativa statale già vigente rispetto ad essa costituisce principio fondamentale della materia:
scomparirebbe ogni distinzione, pure voluta dalla Costituzione, tra norme
fondamentali di principio in una determinata materia regionale e norme
regionali attuative dei principi.
Inoltre, a conferma, l'art. 13 del D.P.R. 616/77 stabilisce
che: «Le funzioni amministrative relative alla materia "ordinamento degli
enti amministrativi dipendenti dalla Regione" concernono l'istituzione, i
controlli, la fusione, la soppressione e l'estinzione di enti
pubblici locali operanti nelle materie di cui al presente decreto »; poiché
esiste parallelismo tra funzioni amministrative e funzioni legislative, non si
vede perché escludere le IPAB dalla sottoponibilità a
nuove norme regionali sui punti indicati dall'art. 13.
La Regione quindi può con sua legge modificare la
legge Crispi, salvi i principi da questa desumibili:
salvo in particolare il principio stabilito anche dalla sentenza della Corte per cui la Regione non può sopprimere puramente e semplicemente
le IPAB e neppure raggiungere il medesimo risultato attraverso vie indirette.
Ma se le Regioni modificano la legge Crispi, esse debbono allora, in
attuazione del principio stabilito dall'art. 25, 1° comma, del D.P.R. 616/77, prevedere
norme coerenti col fine di accorpare in capo ai Comuni tutte le funzioni di
assistenza pubblica, e quindi, se prevedono forme nuove di trasformazione
delle IPAB inefficienti o non più rispondenti a bisogni reali, debbono farlo
sempre a vantaggio dei Comuni.
12
- Si possono riconoscere nuove IPAB?
Sempre proseguendo in quest'ordine
di problemi, è da chiedersi se le Regioni possano riconoscere come IPAB nuove
organizzazioni di assistenza. La risposta, in forza
sempre del principio sancito nell'art. 25, 1° comma, e considerato che la Corte
si è pronunciata per la salvaguardia delle vecchie
IPAB, e per di più in termini provvisori, non mi pare dubbia; non è possibile
riconoscere nuove IPAB, e se le Regioni volessero farlo i Comuni sarebbero
legittimati a impugnare tali provvedimenti (e forse, per tale via, di nuovo si
tornerebbe alla Corte perché finalmente dica se l'art. 1 della legge Crispi è o non è conforme a Costituzione).
13
- Organizzazioni private di assistenza e personalità giuridica di diritto privato
Se quanto detto è corretto, e se le Regioni si
adegueranno, nasce inevitabilmente un altro problema: come trattare quelle
iniziative private di assistenza e beneficenza che
chiedono la concessione della personalità giuridica? Non c'è dubbio che oggi,
come del resta è sempre stata possibile, i privati
possono svolgere attività di assistenza e beneficenza attraverso le associazioni
di fatto. Ma ritengo sarebbe incostituzionale precludere ai privati lo
strumento della persona giuridica, in quanto
ingiustificata penalizzazione della assistenza privata pure garantita dall'art.
38 della Costituzione. Non resta che ammettere la possibilità per le Regioni
di concedere il riconoscimento della personalità giuridica di
diritto privato, in forza del combinato disposto dall'art. 25, 1°
comma, che vieta la istituzione di nuove IPAB e dall'art. 14 del D.P.R. 616/77 che
attribuisce alle Regioni il potere, sia pure delegato, di concedere la
personalità giuridica alle organizzazioni che operano in ambito regionale
nelle materie regionali. Che se poi dovessero nascere
controversie, o dei privati contro le Regioni che negano la concessione della
personalità giuridica di diritto privato in materia di assistenza e beneficenza,
oppure di altri interessati contro le Regioni che hanno concesso tale
riconoscimento, o deciderà il giudice, o di nuovo, essendo la questione
rilevante e non manifestamente infondata, si andrà davanti alla Corte affinché
si pronunci sulla costituzionalità dell'art. 1 della legge Crispi
(se si ritiene ancora in vigore, nonostante il D.P.R. 616/77, la norma della
legge Crispi che impone di trattare come IPAB tutte
le persone giuridiche rispondenti ai requisiti in quella legge indicati).
14
- IPAB e finanziamenti pubblici
È da chiedersi se le vecchie IPAB possono essere
destinatarie di finanziamenti pubblici. Se tutte le
cose fin qui dette sono esatte, mi pare si debba rispondere negativamente: i
finanziamenti pubblici, da chiunque provenienti, spettano ai Comuni (fino a
modifica del principio sancito dall'art. 25, 1° comma, tante volte ricordato),
e le IPAB, che con i loro mezzi non sono più in grado di svolgere le loro
funzioni statutarie, per ciò solo vanno assoggettate a quelle trasformazioni a
vantaggio dei Comuni che danno concreta attuazione al principio dell'art. 25,
1° comma. Ciò non vuol dire che i Comuni, a loro
volta, non possono, mediante convenzioni, esercitare compiti di assistenza e
beneficenza attraverso le IPAB esistenti e in tal modo assicurare ad esse nuovi
proventi. Ma, come è evidente, una cosa è lasciare ai
Comuni la valutazione sulla opportunità e possibilità di utilizzare le IPAB
esistenti, altra cosa è permettere che siano le Regioni, mediante finanziamenti
diretti, a compiere tale valutazione.
Il fatto che nessuno oggi abbia interesse a sollevare
queste questioni e che per opportunità vengano attuate
soluzioni, come vedremo, contrarie al principio sancito dal D.P.R. 616/77, non
toglie appunto che si tratti di violazione di norma vigente.
15 - Se le
IPAB esistenti possano richiedere il riconoscimento della personalità
giuridica di diritto privato
Un ultimo punto interessante, anche se oggi
accademico, mi interessa sollevare: se le attuali IPAB
possono chiedere la trasformazione da enti pubblici in enti privati,
sviluppando quegli indirizzi che avevano già avuto un principio di attuazione
con due decreti-legge non convertiti (15) e con leggi regionali poi disattese
in forza della sentenza della Corte. Ho già sostenuto che le nuove leggi
regionali possono attribuire la personalità giuridica di diritto privato a organizzazioni private di assistenza e beneficenza, e
quindi, possono o imporre o consentire tale nuova collocazione anche alle
vecchie IPAB. Qui la domanda è diversa: è se le vecchie IPAB, anche in assenza
di esplicite norme regionali, possono rivendicare
tale trasformazione davanti alle Regioni e/o ai giudici.
Mi pare estremamente
significativo che di questo non si parli più: finché faceva comodo, gli oppositori
della riforma sostenevano che in realtà le IPAB, o almeno molte di loro, solo formalmente
erano enti pubblici, e in realtà erano soggetti privati; ora che vinta la
battaglia, non fa più comodo divenire privati e resta invece molto comodo
godere i vantaggi del regime pubblico, nessuno di quei paladini ha sollevato
dinanzi ai giudici, come sarebbe ora moralmente doveroso, la questione della
incostituzionalità della legge Crispi nella parte in
cui impone la natura pubblica a tutte le organizzazioni di assistenza e beneficenza;
oppure (secondo una diversa tesi se la si ritiene più corretta) nessuno ha
rivendicato dinnanzi alle autorità regionali e ai giudici la natura privata
che alcune organizzazioni a suo tempo considerate IPAB avrebbero oggi dopo la
Costituzione repubblicana a causa della avvenuta abrogazione dell'art. 1 della
legge Crispi sul punto (16).
La questione però è stata a suo tempo sollevata e
resta aperta; è ammissibile che restino pubbliche
organizzazioni sostanzialmente private? Solo il fatto che dopo la
sentenza della Corte non siano state sollevate
controversie sui punti qui trattati consente la continuazione di questa
situazione illegale o comunque incerta e ambigua: a mio avviso la questione
potrebbe oggi essere risollevata da chiunque vi abbia interesse, dalla Regione
se intende togliere la natura pubblica a organizzazioni che ritiene private,
da tali organizzazioni se ritengono necessario scrollarsi di dosso questa
situazione di incertezza, dai Comuni, se vogliono contestare la permanenza
della IPAB in quanto enti pubblici e rivendicare la piena e coerente
attuazione del principio ancora in vigore sancito dall'art. 251, 1° comma.
Quello che comunque appare chiaro è che la forma IPAB
è morta e sopravvive solo per inerzia del legislatore e compromesso politico
tra tutti gli interessati.
16
- Le leggi regionali successive alle
sentenze della Corte
Mi resta da trattare delle
leggi recenti che alcune Regioni hanno approvato in tema di assistenza e
beneficenza, per vedere come esse hanno disciplinato alcune delle questioni
qui sollevate.
Le leggi regionali che possono darci indicazioni significative sugli indirizzi attualmente perseguiti
da alcune Regioni sono, secondo l'ordine cronologico:
1) legge Lombardia 28 dicembre 1981, n. 92 -
Abrogazione e modifiche alla I.r.
7 marzo 1981 n. 13, nonché modalità per l'estinzione ed il trasferimento di
IPAB ai sensi della legge 17 luglio 1890, n. 6972;
2) legge Veneto 15 dicembre 1982, n. 55 - Norme per
l'esercizio delle funzioni in materia di assistenza
sociale;
3) legge Valle d'Aosta 25 ottobre 1982, n. 71 -
Interventi per opere pubbliche destinate all'assistenza
delle persone anziane, inabili e handicappate;
4) legge Valle d'Aosta 15 dicembre 1982, n. 93 -
Testo unico delle norme regionali in materia di promozione di
servizi a favore delle persone anziane ed inabili;
5) legge Toscana 31 dicembre 1982, n. 96 - Procedure
amministrative per l'estinzione delle istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza;
6) legge Lombardia 3 febbraio 1983, n. 11 - Piano
pluriennale per la realizzazione delle opere di
ristrutturazione e riconversione delle strutture socio-assistenziali;
7) legge Emilia Romagna 9 maggio 1983, n. 15 -
Contributi in conto capitale per l'attivazione di strutture
socio-assistenziali;
8) legge Regione Emilia Romagna 2 settembre 1983, n.
35 - Amministrazione delle istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza già concentrate o amministrate dai disciolti enti comunali di
assistenza.
In totale 8 leggi per 5 Regioni, di
cui una speciale e quattro ordinarie. Anche se non garantisco che la mia ricerca sia esauriente e che non
mi sia sfuggita qualche legge regionale promulgata
dopo le sentenze della Corte e attinente alla materia, si tratta comunque di un
campione estremamente ridotto. a testimonianza delle
difficoltà con cui si muovono le Regioni su questo tema.
Il campione peraltro, per quanto ristretto, ci offre
alcune indicazioni degne di interesse.
Di queste leggi le più significative,
perché le più organiche sul nostro tema, sono anzitutto la legge Veneto e poi
quella della Toscana.
17
- La legge del Veneto
La legge del Veneto, come dice il titolo, intende
essere una legge generale e organica in materia di assistenza
sociale. Essa, per quanto riguarda i temi che qui ci interessano,
proclama in linea di principio che la assistenza sociale spetta o all'USL o ai
singoli Comuni (artt. 5 e 6). A questo proposito la
legge impone una nuova denominazione delle USL, che da ora in poi in Veneto si chiamano Unità locali socio-sanitarie, e
attribuisce a queste alcuni compiti in materia di assistenza nominativamente
elencati (art. 5 e art. 6, 1° comma). Tutti gli altri compiti assistenziali sono genericamente assegnati ai Comuni, anche
se la legge esemplificativamente ne elenca alcuni
(art. 6) e prevede che i Comuni possono, se vogliono, gestire alcuni di tali
compiti assistenziali a loro spettanti attraverso le ULSS (art. 6). Sembra
dunque una legge del tutto conforme al principio stabilito nell'art. 25, 1° comma del D.P.R. 616/77. In realtà le cose sono più
complicate.
Anzitutto si prevede (art. 17) che le IPAB già
concentrate nei disciolti ECA, e provvisoriamente amministrate secondo una
precedente legge regionale veneta, tornino alla normalità con
consigli di amministrazione normali secondo le tavole statutarie
(salvo alcune possibilità di modificazioni previste dallo stesso articolo): si
è scelta in questo modo la strada di restituire piena autonomia alle IPAB già
concentrate presso gli ECA, anziché assegnarle in amministrazione ai Comuni,
sia pure come persone giuridiche distinte (questa, del resto, è la scelta
compiuta dalla legge dell'Emilia Romagna n. 35/83).
Inoltre nell'art. 12 tra i compiti della Regione si
prevede il riconoscimento giuridico delle istituzioni aventi finalità
socio-assistenziali di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972 (legge Crispi) e cioè, bisogna
concludere, si ammette che si possono istituire nuove IPAB.
Infine nell'art. 23 si prevede che la Regione, con
regolamento, possa imporre una normativa uniforme rispetto a determinati
oggetti, quali ad esempio gli standards organizzativi
e gestionali, alle Istituzioni pubbliche e private di
assistenza e beneficenza, e quindi si dà per pacifica la esistenza e la
attività di strutture di assistenza pubblica (oltre che privata) che non sono
riconducibili né ai Comuni singoli né alle ULSS.
Peraltro l'ultimo comma dell'art. 23 prevede che í
Comuni promuovano il coordinamento per la migliore utilizzazione di tutte le
Istituzioni di assistenza e beneficenza pubbliche e
private, cosicché, almeno per questa via e sotto questo aspetto, anche la
legge del Veneto riconferma la preminenza dei Comuni nella gestione della assistenza,
sia pure attraverso strutture differenziate non riconducibili al Comune.
Inoltre l'art. 20, dopo aver garantito correttamente
la libertà della assistenza privata, prevede che questa possa collaborare con
le istituzioni pubbliche incaricate della assistenza (e cioè Comuni e ULSS),
però in tal caso a) le istituzioni private debbono essere iscritte ad un
registro gestito dalla Regione (art. 21), e b) debbono stipulare con Comuni e
ULSS
convenzioni apposite secondo una convenzionetipo predisposta dalla Giunta
regionale.
Molto importante ai nostri fini è il n. 2 dell'art.
12 ove si prevede: «il riconoscimento giuridico delle associazioni e fondazioni
disciplinate dall'art. 12 del codice civile (e cioè
quelle private: ndr) le cui finalità si esauriscono
nell'ambito della Regione e operano nella materia di cui all'art. 22 del
D.P.R. 616/77, e il controllo sugli organi, sul coordinamento e sull'unificazione
delle amministrazioni di più fondazioni, sulla trasformazione delle stesse,
sulle variazioni patrimoniali, sulle estinzioni e sulle devoluzioni dei beni...».
La tesi prima avanzata su questo punto, e cioè la possibilità di istituire persone giuridiche private
in tema di assistenza e beneficenza trova conferma in una legge regionale in
vigore (la quale, oltre tutto, ha superato il controllo governativo).
Possibilità del resto confermata dall'art. 20 ove si dice: « In conformità
all'art. 38, ultimo comma, della Costituzione è garantita la libertà di
costituzione e di attività delle associazioni,
fondazioni e altre istituzioni, dotate o meno di personalità giuridica, che
perseguono finalità di assistenza e di servizio sociale ».
Significativo anche il n. 1 dell'art. 12, nel quale si richiama
bensì la legge Crispi ma con formulazioni che
sembrano costituire anche una innovazione: in particolare ricorre la parola
estinzione, e non è chiaro se in tal modo la legge Veneto intende introdurre
una ulteriore figura di trasformazione delle IPAB rispetto a quelle già
previste dalla legge Crispi (che, come è noto, non
parla di estinzione).
18
- La legge della Toscana
Qualunque sia la tesi su
questo punto nei confronti della legge Veneto, è chiarissima invece la volontà
del legislatore della Toscana che esplicitamente modifica la legge Crispi: già il titolo «Procedure amministrative per
l'estinzione delle Istituzioni pubbliche di assistenza
e beneficenza» è significativo.
L'art. 1 nel primo comma stabilisce che le IPAB che
si trovano nelle condizioni previste dall'art. 70 della legge Crispi vengono estinte con le procedure
e le conseguenze previste nella stessa legge Toscana; inoltre nel 2° comma si
prevedono altre ipotesi di estinzione. Si tratta, come è
evidente, di una modificazione non piccola della legge Crispi
su un punto essenziale.
L'art. 4 poi prevede che «con il provvedimento di estinzione di cui al precedente art. 1, il Consiglio
regionale individua l'Ente pubblico, e di norma il Comune, al quale sono
trasferiti il personale e la proprietà dei beni». Come si vede l'ente a cui
devolvere beni e personale è il Comune, ma solo di norma: qui la legge Toscana
in parte si adegua ad D.P.R. 616/77, in parte permette
una sua violazione (a mio avviso illegittimamente).
19
- Le altre leggi regionali
Le altre leggi regionali, anche se non così organiche
come quella del Veneto, ci danno informazioni ugualmente preziose. Anzitutto
quelle della Valle d'Aosta, perché esse riconoscono come enti gestori della assistenza pubblica, o meglio di quella assistenza
pubblica disciplinata dalle due leggi citate, solo gli enti locali, e più
precisamente, come chiarisce la legge 93/82, solo i Comuni, i consorzi di
Comuni, la associazione dei Comuni: solo ad essi la Regione assegna i
contributi finanziari per la istituzione, il potenziamento e la gestione dei
servizi previsti dalle leggi in questione.
Diverso invece il principio affermato sia nella legge Lombardia 11/83 che nella legge dell'Emilia
Romagna 15/83. In ambedue queste leggi i contributi per le opere ivi previste
possono essere dati sia ai Comuni sia agli enti pubblici (leggi IPAB) e
privati.
Peraltro nella legge Emilia Romagna si prevede (art.
4) che gli enti assistenziali pubblici o privati e le
associazioni di volontariato costituite con atto pubblico, senza fini di lucro
e con sede nel territorio regionale, ricevono i contributi previsti solo se
essi si convenzionano con i Comuni o le Unità sanitarie locali nel cui
territorio sono ubicate le strutture medesime. Inoltre nell'art. 5, ultimo
comma, è previsto che i Comuni e le USL esercitino la vigilanza anche sulle
istituzioni di assistenza pubbliche e private;
nell'art. 11 si stabilisce che le strutture immobiliari costituite con i
finanziamenti della legge in questione sono vincolati per 20 anni ai fini della
assistenza e nell'art. 5, 2° comma si prevede che i Comuni possono gestire
l'assistenza sia direttamente, sia assegnando le proprie strutture a forme di
autogestione o ad enti assistenziali pubblici e privati convenzionati, ma
anche associazioni di volontariato e cooperative.
Insomma, sia pure limitatamente agli oggetti
specifici e limitati delle due leggi, che riguardano opere di costruzione o
ristrutturazione di immobili, le Regioni Emilia
Romagna e Lombardia riconoscono un ruolo preminente
ai Comuni nella organizzazione ed erogazione della assistenza pubblica,
preminente ma non esclusivo.
La tendenza viene confermata
dalla legge Emilia Romagna 35/83 che però, per altro
aspetto, va contro il principio enunciato nell'art. 25, 1° comma del D.P.R.
616/77: infatti da un lato si restituisce piena autonomia a quasi tutte le
IPAB non estinte o in via di estinzione che erano concentrate o amministrate
dagli ex-ECA, stabilendo che non i Comuni direttamente,
ma consigli di amministrazione nuovamente eletti dirigeranno tali IPAB;
dall'altro si stabilisce che tali consigli di amministrazione saranno eletti
dai Consigli comunali, cosicché la direzione delle IPAB qui disciplinate
(persone giuridiche pubbliche) trova un momento istituzionale di collegamento
con i Comuni attraverso la elezione degli amministratori disposta dai Consigli
comunali. Per le IPAB che non gestiscono strutture assistenziali
(e cioè, se ho ben capito, che consistono nel solo patrimonio e nella sua
amministrazione) è previsto invece che esse siano governate direttamente dai
Comuni, mantenendo però la separazione della gestione amministrativa e
finanziaria.
20
- Conclusioni
In sostanza, esaminando e le leggi e i molti decreti regionali in tema di IPAB (vedi ad es. il Bollettino ufficiale della Regione Emilia Romagna), sembra si stiano affermando queste tendenze:
a) potenziare i compiti assistenziali dei Comuni e delle USL, o direttamente, o indirettamente attraverso la attribuzione a questi enti di funzioni di coordinamento;
b) estinguere le IPAB minori non più in grado di svolgere i propri compiti, devolvendo patrimonio e personale ai Comuni;
c) mantenere in
vita le IPAB maggiori e stabilire forme di collegamento e coordinamento con i
Comuni. Queste tendenze in parte rientrano ancora nel principio dell'art. 25,
1° comma del D.P.R. 616/77 (laddove assegnano ai Comuni
posizione preminente sia nella organizzazione e gestione dei servizi
assistenziali pubblici sia nel coordinamento svolto da altri enti
assistenziali), in parte correggono tale principio (laddove mantengono, e
magari potenziano, le vecchie IPAB e addirittura prevedono la istituzione di
nuove IPAB).
Si tratta di una situazione, come ho cercato di
dimostrare, di dubbia legittimità, che potrà resistere solo se nessuno degli
interessati vorrà rompere il compromesso che ciascuna
Regione sta realizzando. Se e quanto durerà tale compromesso, quali tendenze
prevarranno definitivamente, se la concentrazione presso i Comuni di tutte le
funzioni assistenziali pubbliche e il progressivo
smantellamento delle IPAB, o invece il rafforzamento delle IPAB e magari la
creazione di nuove IPAB, queste sono domande che non spettano al giurista.
Certo è che, giuridicamente, qualunque soluzione
adottata dalle Regioni si presta oggi a critiche di legittimità, fino a che il
legislatore nazionale non si deciderà a scrivere norme di principio chiare e
univoche in tema di assistenza pubblica.
(*) Relazione tenuta dal Prof. Giuseppe Ugo Rescigno,
Docente di Istituzioni di Diritto pubblico della Facoltà di economia e
commercio dell'Università di Modena, al convegno «Le istituzioni di assistenza e beneficenza a Modena», tenutosi a Modena il
25 e 26 novembre 1983.
(1) Art. 22
del D.P.R. 616/77: «Le funzioni amministrative
relative alla materia "beneficenza pubblica" concernono tutte le
attività che attengono, nel quadro della sicurezza sociale, alla
predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento, o di
prestazioni economiche, sia in denaro che in natura, a favore dei singoli, o di
gruppi, qualunque sia il titolo in base al quale sono individuati i
destinatari, anche quando si tratti di forme di assistenza a categorie
determinate, escluse soltanto le funzioni relative alle prestazioni economiche
di natura previdenziale».
(2) Contrario su questo punto alla
posizione della Corte D'ATENA A., La ridefinizione legislativa della «beneficenza pubblica»,
in Giur. cost. 1981,
I, 1534. Per l'opinione invece favorevole anche prima della sentenza della
Corte e quindi critica verso la sentenza n. 139 del 1972 vedi RESCIGNO G.U., Profili costituzionali del trasferimento delle funzioni in materia di
assistenza e beneficenza, in GIANOLIO, GUERZONI e STORCHI (a cura di), Assistenza e beneficenza tra pubblico e
privato, Angeli Milano, 1980, 83 ss.; vedi anche
RESCIGNO G.U., Le
Ipab infraregionali dopo le
sentenze 173 e 174, in Quaderni del
pluralismo, 1983, 1, 236 ss.
(3) La Corte cioè poteva con una
sentenza interpretativa di accoglimento, anziché far cadere l'intero 5° comma
dell'art. 25, correggere gli aspetti incostituzionali che esso, ad avviso della
Corte, presentava. In questo senso CAVALERI P., La recente giurisprudenza della Corte costituzionale sulla riforma del
sistema assistenziale, in Giur, cost. 1981,
I, 1635.
(4) Che l'art. 25, 1° comma sia ancora
in vigore si può provare attraverso un argomento controfattuale:
se esso non fosse in vigore, le funzioni amministrative relative
all'organizzazione ed erogazione dei servizi assistenziali spetterebbero alle
Regioni, cosicché queste o potrebbero direttamente organizzare ed erogare
servizi assistenziali o potrebbero delegare tali compiti ai Comuni (o ad altri
enti locali), che li eserciterebbero non più a titolo proprio ma appunto a titolo
delegato. Una simile pretesa delle Regioni credo che
oggi verrebbe decisamente contestata sia in sede regionale che in sede locale
e nazionale. I Comuni oggi hanno una competenza generale in materia di assistenza sociale a titolo proprio, in forza di leggi
dello Stato, e non a titolo derivato; questa competenza generale viene limitata
dalla transitoria permanenza delle Ipab, ma resta
generale anche in senso tecnico, perché potenzialmente illimitata.
(5) Sono legge Emilia-Romagna
25/80, Piemonte 20/80, Umbria 46/80, Marche 33/80, Lazio 60/80, Campania 65/80,
Lombardia 13/80, Calabria 3/81, Basilicata 14/81; vedi anche PALMA R., Le sentenze della corte costituzionale sulle
Ipab, in Nuova
Rassegna, 1982, 1925.
(6) Su di esso vedi CAVALERI, La recente giurisprudenza, cit., 1638.
(7) Così anche CAVALERI, La recente giurisprudenza, cit., 1648; PEDETTA M., La Corte costituzionale sull'assistenza pubblica: nuove certezze e
problemi non risolti, in Giur, cost. 1981,
I, 2032. Opinioni diverse in AMORTH A., POTOTSCHNIG U., e altri in Impressioni sulle sentenze concernenti le Ipab, in Le
Regioni, 1981, 1325 ss.
(8) Vedi ad es. la circolare 7 agosto
1981 (prot. n. 6174/ 2703)
dell'assessore ai servizi sociali dell'Emilia-Romagna
e la circolare 25 settembre 1981 n. 19/81/ASS dell'assessore all'assistenza e
sicurezza sociale della Lombardia.
(9) Così anche CAVALERI, La recente giurisprudenza, cit., 1648; PEDETTA, op. cit., 2032; Comm.
controllo Bologna, 8 ottobre 1981, n. 40943, in Regione e governo locale, 1981, 6, 96.
(10) Così GUERRA M.P.,
Il problema delle Ipab
dopo la sentenza 31 luglio 1981, n. 137 della Corte costituzionale, in Il
diritto ecclesiastico, 1981, n. 3, p. 248.
(11) Sulla incoerenza della sentenza
della Corte rispetto a questo aspetto vedi CAVALERI, La recente giurisprudenza, cit., 1636.
(12) Così PALMA R., Le sentenze, cit., 1926; SATTA F., Le opere pie tra la Corte costituzionale e
la legge sulla finanza locale, in Foro
am., 1982, li, 861.
(13) Vedi TAR Toscana 27 marzo 1981 n.
150 in Trib. am. reg. 1981, I, 1751; vedi anche nello stesso Com. contr. Lombardia, 4 marzo
1980, in Riv. Corte dei conti, 1980, 649.
(14) Vedi Corte dei conti, sez. contr., 26 marzo 1981, n. 1136, in Cons. Stato, 1981, li, 937; sul principio per cui, dopo il D.P.R. 616/77,
ai Comuni spetta una generale attribuzione in materia di assistenza e
beneficenza, vedi Cons. Stato, V, 12 marzo 1982, n.
230 in Foro am.,
1982, I, 398.
(15) Vedi d.l. 29 marzo 1979 n. 113 e
d.l. (di eguale contenuto) 19 giugno 1979 n. 209.
Da ricordare il D.P.R. 348/79 che
trasferisce alla regione Sardegna le funzioni in materia di assistenza
e beneficenza e che, riprendendo i criteri già fissati nei decreti-legge non
convertiti prima citati, modificava l'art. 25, 5° comma del D.P.R. 616/77
almeno per quanto riguarda la Sardegna.
(16) Ciò non vuol
dire che io aderisco alla tesi secondo cui tutte o molte delle Ipab sono in realtà o debbono diventare enti privati: a
mio avviso, come ho già sostenuto nel mio articolo Profili costituzionali, cit., le Ipab erano e restano
tutte enti pubblici. Ciò che non mi pare tollerabile è però questa situazione di incertezza e ambiguità per cui quando fa comodo ci si
dichiara enti pubblici, e quando non fa comodo si pretende di essere trattati
come privati.
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