Prospettive assistenziali, n. 65, gennaio - marzo 1984
Notiziario dell'Unione per la lotta
contro l'emarginazione sociale
RISPOSTA
ALLA «LETTERA SULL'EMARGINAZIONE» (1)
La nostra associazione (Unione per la lotta contro
l'emarginazione sociale) ha preso attentamente in visione la «lettera
sull'emarginazione», apparsa su «Il Regno documenti» n. 492 del 1° ottobre
1983.
Crediamo, innanzitutto, sia
giusto sottolineare come molto positivo il fatto che - ad anni di distanza
dalle indicazioni conciliari e dai primi documenti del magistero pontificio ed
episcopale - i problemi dell'assistenza e dell'emarginazione vengano
riaffrontati proprio dal punto di vista sociale e politico, con l'obiettivo di
individuare e rimuovere anche le cause che generano il bisogno assistenziale.
Sinora, infatti, nonostante i documenti del Concilio Vaticano II (si rivedano, ad esempio, la Gaudium et Spes,
Ad Gentes, L'apostolato dei laici) e importanti prese
di posizione dell'episcopato o di organismi ecclesiali (si leggano, fra gli
altri: «Una conferenza stampa promossa dalla Cei sull'assistenza
sociale oggi in Italia», in L'Osservatore Romano, 15 luglio 1972, pp. 4 e segg.; «La pastorale
dell'assistenza», documento della Commissione diocesana di Torino per la
pastorale dell'assistenza, gennaio 1973;
«Evangelizzazione e promozione umana», atti del
convegno, Ave, Roma, 1977) persiste, proprio fra i cattolici la tendenza a
coprire e a tamponare situazioni di bisogno, perseguendo una linea che
considera ancora come «assistenza» la soddisfazione delle esigenze umane
fondamentali.
Ora, come veniva già opportunamente sottolineato nel
1975, «se continueremo a definire azione caritativa
l'azione assistenziale (...) saremo responsabili del permanere di quella
mentalità che sacralizza le strutture e quindi
sacrifica persone e mezzi per salvare le istituzioni e non per attuare risposte veramente liberatrici di chi è vittima del
bisogno; sminuisce o rifiuta il valore dell'impegno politico-sociale,
accettando di supplire senza compiere azione di denuncia e di responsabilizzazione
nei confronti di chi ha il dovere di intervenire e dimenticando che l'amore più
intelligente è quello che previene ed elimina le cause di un problema» (Cfr. G. Pagliarello, «Assistenza, emarginazione e lotta di classe», pp. 171-172).
Voi, a distanza di anni,
avete sentito la necessità di ribadire questi stessi concetti: purtroppo, dal
Concilio ad oggi, è stata fatta poca strada su questo tema ed è ancora lungo il
cammino da percorrere prima che tutti gli uomini di buona volontà si ritrovino
impegnati su questa linea.
La lettera sull'emarginazione è sicuramente frutto di
un'esperienza molto seria, segno di un effettivo coinvolgimento in prima
persona e per questo una testimonianza senz'altro valida
che deve circolare nell'ambito del mondo cattolico purtroppo ancora chiuso a
certe verità.
Voi chiedete perché «il mondo cattolico non
intervenga, stenti ad intervenire, sulle cause di emarginazione».
Proprio per questo, noi crediamo che il vostro documento non possa chiudersi con l'invito generico a prendere ognuno il
proprio fardello, lasciando al singolo, alla coscienza di ognuno, la libertà di
agire secondo quanto ritiene giusta fare.
È necessario a nostro avviso fare seguire ora, per
ogni capitalo affrontato nella vostra lettera, proposte reali e precise di intervento che, come giustamente sottolineate anche voi,
mirino a denunciare con nome e cognome le responsabilità e le mancanze di chi
non opera in favore degli ultimi, e continua invece a mantenere integro
l'arcipelago dell'emarginazione.
Occorre, cioè, a nostro avviso,
sollecitare ancora di più il ruolo promozionale del volontariato e la nascita
e la crescita di gruppi di volontariato promozionale aventi lo scopo di
rivendicare i diritti della fascia più debole della popolazione: non che quest'ultimo sia da porre su uno scalino più alto del
volontariato gestionale, cioè dell'intervento diretto sui singoli. Ma i dati
di fatto dimostrano che gli assistiti ed i gruppi che operano nel campo della assistenza diretta sono facilmente ricattabili. Il
volontariato promozionale - che per sua natura è molto meno condizionabile da
parte degli enti e delle amministrazioni - può far avanzare la prevenzione del
bisogno e, nello stesso tempo, migliorare le condizioni di vita degli
assistiti. È un discorso ampio e complesso che ci auguriamo di poter
approfondire con voi in seguito.
Tornando al contenuto della vostra lettera, apprezziamo
molto, inoltre, lo sforzo con il quale vi siete
impegnati nel ribadire la necessità di superare la superficialità tipica di
chi, spesso, finora agiva per fare delle opere buone, accontentandosi di
qualunque cosa.
La denuncia, anche dura, è uno strumento indispensabile
(se non il principale) per ottenere il riconoscimento effettivo dei diritti dei
più deboli. Va anche aggiunto che non sempre una motivazione
positiva porta a risultati positivi. Anche i «disastri»
compiuti in buona fede sono e restano «disastri».
Restiamo, invece, alquanto perplessi sulla vostra proposta conclusiva.
Se da un lato la condivisione «fisica» con gli
ultimi, può più facilmente permettere una comprensione tangibile di quelle che
sono le loro necessità, d'altro canto questa non può essere considerata una
proposta di intervento alternativo, così come ci
sembra di leggere, quale sola soluzione realmente efficace.
Ci pare molto più importante dare maggior rilevanza a
quello che precisate circa il metodo, gli impegni e
gli strumenti, lasciando pertanto la scelta della «condivisione» in un ambito
più ristretto, a far parte cioè di una delle tante opportunità di intervento
(e non la sola) che il singolo può perseguire.
Condividere la mia vita con un disoccupato, un ex
carcerato, un bambino in stato di abbandono è una
soluzione parziale e temporanea del problema, che supplisce in parte alle
conseguenze di una società incapace di risposte positive per tutti, ma che deve
mirare a ridare ad ognuno la possibilità di vivere, libero, autonomo, indipendente
da me, la propria vita.
Il mio compito primo non è «condividere il male,
fisico o morale che sia», perché l'avrò solo diviso e
non risolta, bensì prevenirlo e battermi per estirparlo alla radice.
Altrimenti, la condivisione non ci sembra un mezzo, uno strumento di lotta, ma
solo una risposta/tampone se resta fine a se stessa.
Ci rendiamo conto, comunque,
che non è semplice comprendere i messaggi e le linee che si intendono
percorrere, fin quando si resta nel generico; quindi, riteniamo buona la
proposta di un incontro a Torino, per poter realmente operare per far sì che vi
siano sempre meno assistiti; crediamo sia necessario rifiutare compromessi e
cogestioni con gli organi di governo, le istituzioni ed i partiti, al fine di
mantenere quella autonomia che sola rende possibile la promozione e la denuncia.
Crediamo pertanto che - in preparazione del convegno
che si terrà a Torino - possa essere utile giungere al dibattito con progetti e
bozze di lavoro per ognuna delle «categorie» menzionate
(bambini, anziani, handicappati, ...) in modo da non fare nuovamente solo
parole, in cui tutti saremo sempre d'accordo, né lasciare spazi vuoti o
confusione predisponendo anche un confronto rispetto alle esperienze già
attuate a livello nazionale, regionale e locale.
Ringraziamo ancora per la importante
opportunità di confronto offerto e ci auguriamo di poter trovare terreni
comuni di intervento.
(1) Testo inviato il 12 gennaio 1984 al
Direttore de «Il Regno», ivi pubblicato nel n. 501 del 15.2.84, pp. 102-103.
www.fondazionepromozionesociale.it