Prospettive assistenziali, n. 65, gennaio - marzo 1984
VALORIZZAZIONE DELLE IPAB ED EMARGINAZIONE DEGLI
ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI IN EMILIA ROMAGNA
FRANCESCO SANTANERA
Un convegno sul tema «Le istituzioni di assistenza e beneficenza a Modena», promosso dalla
Amministrazione comunale, si è tenuto nella città emiliana il 25 e 26 novembre
1983.
Vi è da notare innanzi tutto che nel titolo del convegno
non compariva la parola «pubbliche», quale specificazione
del tipo di istituzioni a cui il convegno si rivolgeva, nonostante che si sia
parlato solo ed esclusivamente di IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza) e non di enti privati.
Altra particolarità del convegno: il ridottissimo
spazio riservato al dibattito. Infatti, di fronte a 15
relazioni e interventi preordinati per un totale di 9 ore, lo spazio lasciato
al pubblico è stato complessivamente di 45 minuti (5 interventi).
Sia nella introduzione del
Sindaco di Modena, che nelle relazioni, negli interventi preordinati e nelle
conclusioni dell'Assessore all'assistenza della Regione Emilia Romagna, mai
sono stati affrontati i temi delle prevenzioni del bisogno assistenziale e
della partecipazione dei cittadini e delle forze sociali.
Si aveva l'impressione che le parole «prevenzione» e
«partecipazione» fossero state cancellate dal
vocabolario dei politici e dei tecnici intervenuti.
Il convegno aveva chiaramente lo scopo non di
esaminare le esigenze della fascia più debole della
popolazione e, quindi, indicare i possibili interventi a breve, medio e lungo
termine; la finalità era esclusivamente quella di valorizzare le IPAB e di
sollecitarne la collaborazione.
Solo la relazione del professor Giuseppe Rescigno («Lo stato giuridico delle IPAB dopo i recenti
interventi legislativi e la sentenza della Corte
costituzionale», pubblicata in questo stesso numero di Prospettive assistenziali),
non ha seguito il filone della strumentalizzazione. Per questo motivo e per i
suoi contenuti, la relazione stessa non è stata gradita agli organizzatori come
abbiamo avuto occasione di rilevare più volte.
Il Presidente dell'IPAB «Istituto Charitas»,
già «grande
deposito dove 1'handicappato vegeta... Si parla di celestini a Modena» (1),
ha avuto l'onore di presiedere la prima mattinata dei lavori. Lo stesso, nel
pomeriggio, poi, ha svolto una relazione ed un altro
intervento è stato tenuto da un secondo esponente dell'istituto in cui attualmente
sono ricoverati ben 52 portatori di handicap grave.
L'Assessore all'assistenza del Comune di Modena ha
così riassunto lo scopo del convegno: «L'intento
con cui abbiamo preparato questa iniziativa è stato
quello di riprendere un confronto comune animati da uno spirito costruttivo sui
temi dell'assistenza e dei servizi sociali di cui le IPAB hanno svolto e
svolgono tuttora un impegno concreto».
È vero che le IPAB «hanno svolto e svolgono
un impegno concreto» nel settore dell'assistenza. Ma la loro attività, salvo
casi del tutto eccezionali, è sempre stata rivolta alla emarginazione,
se non alla segregazione dei più deboli. Case di riposo, cronicari, istituti di
ricovero di bambini e handicappati provenienti non importa
da dove purché la retta venisse pagata da qualcuno: questo l'impegno degli
anni scorsi e odierno.
Che cosa hanno fatto le IPAB quando
si è trattato di modificare la legge sull'adozione dei bambini senza
famiglia; quali iniziative hanno assunto per valorizzare l'affidamento
familiare a scopo educativo; quante sono le comunità alloggio gestite da
questi enti; che cosa hanno fatto in materia di prevenzione delle situazioni
di bisogno e per una assistenza accettabile? E pensare
che le 9000 IPAB, come abbiamo detto più volte, hanno 30-40 mila miliardi di
patrimoni e 35 mila dipendenti!
Le IPAB sono state e restano nel loro complesso un
formidabile apparato per l'esclusione sociale dei più deboli. La loro valorizzazione risponde non a motivi tattici, ma costituisce
l'asse strategico per il rilancio dell'emarginazione. Purtroppo anche la
Regione Emilia Romagna attua questa linea.
«La legge
regionale 1° settembre 1979 n. 30 il cui intervento fondamentale è quello di
trasformare le case di riposo in strutture protette, ha finanziato 30
programmi di cui 21 IPAB per un importo di 8 miliardi su 21 da assegnare» (2).
In base alla legge regionale 6 settembre 1982 n. 44,
gli stanziamenti per le case protette sono stati incrementati di L. 6.545 milioni per il biennio 1984-1985.
Altri 8,5 miliardi sono stati destinati alle IPAB,
agli enti locali ed ai privati dalla legge della Regione
Emilia Romagna 9 maggio 1983 n. 15 (3), soprattutto per la creazione di case
protette.
L'On. Adriana Lodi, responsabile nazionale del PCI
per il settore assistenziale, ancora una volta ha
dichiarato nel corso del convegno di Modena di concordare sulla necessità di
dare attuazione all'accordo Andreotti del 1979 che
prevedeva una massiccia privatizzazione di IPAB (4).
Una forte spinta alla gestione separata delle IPAB è stata compiuta
dalla Regione Emilia Romagna con la legge 2
settembre 1983, n. 35, «Amministrazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza già concentrate o amministrate
dai disciolti enti comunali di assistenza». La riportiamo integralmente.
Art. 1
Fino
all'entrata in vigore della legge di riforma dell'assistenza pubblica, le
istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza già
concentrate nei disciolti Enti comunali di assistenza o amministrate dagli
stessi, attualmente in gestione commissariale a norma degli articoli 8 e 9
della Legge regionale 17 febbraio 1978 n. 10, per le quali non siano in corso
procedure di estinzione all'atto dell'entrata in vigore della presente legge,
sono amministrate:
- se
gestiscono strutture assistenziali, da un unico
Consiglio di amministrazione eletto dal Consiglio comunale in cui le
Istituzioni stesse hanno sede legale. Il Consiglio di amministrazione,
composto da 5 o 7 membri in modo da assicurare la presenza della
rappresentanza delle minoranze, a seconda che si tratti di Comuni con
popolazione inferiore v superiore a 5.000 abitanti, è eletto con voto limitato
rispettivamente a 3 o 4 membri e dura in carica quanto i1 Consiglio comunale
che lo ha eletto. I componenti del Consiglio di amministrazione
eleggono nel proprio seno il Presidente e possono essere riconfermati;
- se non
gestiscono strutture assistenziali, dal Comune in cui
hanno sede legale, fermo restando la separazione della gestione amministrativa
e finanziaria della attività di assistenza di ciascuna IPAB.
Art. 2
La Giunta
regionale individua, con deliberazione da pubblicare
sul Bollettino Ufficiale regionale, le Istituzioni di cui al precedente art. 1.
Art. 3
Entro
novanta giorni dalla data di pubblicazione del provvedimento di cui al
precedente art. 2, il Consiglio comunale provvede all'elezione del Consiglio di amministrazione delle Istituzioni che gestiscono
strutture assistenziali.
Entro trenta
giorni dalla data del decreto con cui il Presidente della Giunta regionale
costituisce il Consiglio di amministrazione, il
Commissario provvede ad effettuare le consegne amministrative mediante
apposito verbale da redigersi in contraddittorio con il Presidente del
Consiglio di amministrazione subentrante.
Art. 4
Entro trenta
giorni dalla data di pubblicazione del provvedimento di cui al precedente art.
2, il Commissario delle Istituzioni che non gestiscono strutture assistenziali provvede ad effettuare le consegne
amministrative mediante apposito verbale da redigersi in contraddittorio con
il Sindaco del Comune interessato.
Art. 5
Sono abrogati
gli articoli 8 e 9 della Legge regionale 17 febbraio 1978 n. 10.
È significativo il
capovolgimento di linea: nel 1978 (5) la Regione Emilia Romagna trasferisce
funzioni, personale e patrimoni ai Comuni; nel 1983, invece, crea i consigli di
amministrazione (e cioè, in pratica, nuovi enti aventi la stessa strutturazione
dei disciolti enti comunali di assistenza) per le IPAB che gestiscono
strutture assistenziali (6).
Con molto cinismo il professor Carlo Hanau (7) ha individuato un metodo sicuro per accrescere i
patrimoni delle IPAB (8): «Per garantire
la permanenza al domicilio degli anziani può essere necessario fare
interventi edilizi e migliorie orientate al superamento dell'eventuale handicap
motorio, molto frequente nella terza e quarta età; le IPAB potrebbero effettuare a loro spese queste opere, assicurandosi tuttavia
la proprietà dell'immobile ristrutturato; quando le condizioni dell'anziano
rendessero impossibile la permanenza a domicilio ed imponessero il ricovero,
l'appartamento dovrebbe essere utilizzato per altri assistiti.
«Non ci si
nasconde le implicazioni che questa politica comporterebbe sugli aventi diritto all'eredità: a questo proposito ci pare
necessario ricordare che in base al codice vigente i parenti tenuti agli
alimenti sono quelli di grado prossimo e lontano, ma l'assistenza pubblica non
si vale sempre di tutte le possibilità concesse dalla normativa per recuperare
le spese della retta. Se può essere politicamente difficile far pagare
centinaia di migliaia di lire ad un pronipote
lontano, nessuna remora deve sussistere per decurtare dall'asse ereditario
tutte le spese sostenute dall'ente pubblico per assisterlo e curarlo.
«Pur essendo
una misura di carattere antiegualitario, si può anche accettare la politica di
una IPAB che, per carenza di mezzi, privilegi fra più
domande di assistenza quella di colui che apporta beni il cui valore compensi
in tutto o in parte le uscite correnti a fronte della assistenza erogata.
L'anziano stesso può preferire donare il suo patrimonio contro l'assicurazione
di un'assistenza vitalizia, la cui durata può essere corta o lunga (nel qual
caso anche ingenti averi si potrebbero dimostrare insufficienti). D'altra parte
non ha mai destato scandalo che le case di riposo pubbliche accettassero
in corsia preferenziale gli ospiti paganti la retta, in proprio o con
l'intervento dei familiari; premesso che riteniamo un valore sociale il fatto
che anziani di diverse condizioni economiche si ritrovino nella stessa casa,
si tratta di equilibrare le percentuali affinché non si creino i ghetti dei
poveri.
«Ovviamente
sarebbe causa di una distribuzione perversa del
reddito quella assistenza che privilegiasse, a spese dell'integrazione
pubblica, coloro che possiedono qualche disponibilità economica. Di fatto la
scelta fra più domande presentate deve tener conto di
parametri diversi: il bisogno in primo luogo, ma anche la possibilità soggettîva
di coprire in tutto o in parte le spese di assistenza».
Si tratta di un sistema già messo in atto dall'IPAB
Giovanni XXIII, che accoglie nelle sue quattro case di riposo 650 anziani. Il sistema che ha avuto gli onori della cronaca nei giorni scorsi a
seguito delle accuse rivolte all'ente da alcuni anziani, da tempo
inseriti nella lista d'attesa, ma che, con il passare del tempo, invece di
avanzare verso i primi posti, erano retrocessi.
Hanno indagato e scoperto che la priorità per
l'ammissione era data agli anziani proprietari di un appartamento (o di un
congruo libretto di risparmio) donato all'istituto in cambio del posto letto.
Il presidente dell'IPAB, un comunista, ha candidamente
confermato: «Lo facciamo per incrementare
il patrimonio dell'istituto e per gestire nella maniera migliore i nostri beni.
I soldi che ricaviamo dagli affitti di questi appartamenti
contribuiscono alla realizzazione (in corso) di una nuova casa di riposo» (9).
Da notare che l'IPAB Giovanni XXIII possiede un
notevole patrimonio: 200 alloggi, 700 ettari di terreno agricolo, negozi,
uffici, magazzini, un cinema.
La casa protetta
In occasione del convegno di Modena del 25-26 novembre 1983, ho visitato le case protette «Ramazzini» e «San Giovanni Bosco».
Si tratta di due strutture scarsamente funzionali a
causa della presenza di barriere architettoniche (nella seconda addirittura
non è possibile alle persone in carrozzella spostarsi da un piano all'altro).
La struttura edilizia della prima è spiccatamente
sanitaria: tale era infatti la destinazione per cui
era stata costruita. Gli interventi svolti nelle due case protette sono
finalizzati in primo luogo alla attivazione e
mobilizzazione dell'anziano. Si tratta, quindi, di
interventi che nulla hanno a che fare con gli interventi assistenziali.
Le indicazioni del trattamento a cui sono sottoposti
gli anziani ricoverati nelle case protette (10) sono fornite
dai medici (o dell'USSL o della stessa casa protetta); nelle case protette,
inoltre, deve operare personale infermieristico (11).
Infine, non c'è nessuna attività
svolta nelle due case protette visitate, che non possa essere assicurata in un
ospedale.
Certamente è necessaria una profonda revisione del concetto di ospedale ed una radicale riorganizzazione
delle strutture in modo da rendere i nosocomi idonei alla cura e riabilitazione
di tutti i malati compresi gli anziani cronici non autosufficienti. Queste
iniziative di riadattamento sarebbero molto semplici da attuare nelle zone in
cui il numero dei posti letto ospedalieri è
esuberante. Va anche rilevato - e questo è un aspetto di fondamentale
importanza - che la prevenzione della cronicità - di cui non si parla mai o
quasi (12) - può essere resa possibile solo quando il
servizio sanitario non potrà più scaricare gli anziani sul settore
assistenziale con dichiarazioni di cronicità prive, oltretutto, di qualsiasi
validità tecnica e scientifica (13).
La retta di ricovero nelle case protette di Modena è
di lire 28 mila al giorno (14); un gigantesco «ticket»
che non solo non solleva obiezioni da parte di organizzazioni quali il
Tribunale per i diritti del cittadino malato e il Tribunale per i diritti degli
anziani che dovrebbero agire prima di tutto a difesa dei più deboli, ma è
pienamente condiviso dal sindacato (15).
A nostro avviso, questo «ticket» (16) è una vera e
propria «truffa» nei confronti degli anziani malati. Come malati hanno diritto
ad un'assistenza ospedaliera gratuita e completa.
Come anziani, vengono invece cacciati dagli ospedali
(o se ricoverati, non hanno una adeguata assistenza) e debbono pagare di tasca
propria le rette di ricovero.
Questa «truffa » è ancora maggiore nei
confronti degli anziani autosufficienti, ricoverati in casa protetta,
ai quali viene fatto pagare un importo uguale a quello dei cronici non
autosufficienti.
Una quota non indifferente della retta viene addebitata ai parenti nei casi in cui gli anziani ricoverati
non possano provvedere con i loro mezzi.
Le conseguenze sono a volte disastrose: «Abbiamo
l'esempio di due anziani che per non fare pagare delle cifre così grosse ai
parenti, si sono lasciati morire, hanno smesso di
mangiare e a un certo punto se ne sono andati» (17).
(1) MIRELLA BARBIERI, Le Opere Pie a Modena, Edizioni del
Comune di Modena, 1983. Da notare che nella prefazione del Sindaco di Modena viene precisato che, mentre si riteneva che le IPAB fossero
703 di cui 32 presenti nel territorio comunale come emergeva da un censimento
del 1978, dall'indagine svolta (e di cui la pubblicazione in oggetto riporta i
dati) «risulta che le IPAB del solo
Comune di Modena sono invece 78» (e non 32!).
La classificazione delle 160 IPAB
esaminata è la seguente:
- 22 sono amministrate da Enti locali
- 16 sono amministrate da Enti locali
e da autorità religiose
- 19 sono amministrate da Parrocchie
- 12 sono di tipo familiare
- 5 sono israelitiche.
Inoltre «risultano estinte 36 IPAB: altre 31 si
presume siano estinte, benché non si sia reperito l'atto dell'estinzione
stessa» (sic!).
Lo stato patrimoniale, presentato da
36 IPAB, risultava, nel 1978, essere il seguente:
- patrimoni in titoli di Stato,
libretti di banca, ecc.: lire 2.574.480.920;
- immobili e mobili: lire
14.620.601.539.
(2) OSANNA MENABUE, Assessore
all'assistenza del Comune di Modena, Bisogni
emergenti: ruolo degli enti locali e delle IPAB, relazione tenuta al
Convegno di Modena del 25-26 novembre 1983.
(3) Cfr. Prospettive assistenziali,
n. 63, pp. 50 e 51.
(4) Dalla lettura degli atti del
convegno di Milano del 29-30 ottobre 1982 (cfr. La riforma dell'assistenza - Nuova Guaraldi Editrice, 1983) risulta
che l'On. Lodi è stata più favorevole alla privatizzazione delle IPAB di quanto
non siano stati i rappresentanti della DC e del PSI.
(5) Cfr. la legge della Regione Emilia Romagna 17 febbraio 1978 n.
10 «Attribuzione ai Comuni delle funzioni, dei beni e dei rapporti patrimoniali
dei disciolti ECA ai sensi dell'art. 25 del DPR 24
luglio 1977, n. 616 e delle funzioni di organizzazione ed erogazione dei
servizi di assistenza previste dal DPR 15 gennaio 1972, n. 9».
(6) Va osservato che in altre Regioni
le funzioni, i beni, il personale delle IPAB già amministrate dagli ECA sono
stati da anni trasferiti ai Comuni.
(7) Cfr. la relazione «Evoluzione delle IPAB:
passato e futuro nella programmazione degli interventi», Convegno di Modena del
25-26 novembre 1983.
(8) Il professor Hanau
ha anche proposto «la locazione delle autorimesse nei centri urbani, che le
IPAB potrebbero costruire sfruttando il sottosuolo delle aree pubbliche, concesso
dai Comuni nei luoghi dove l'indagine di mercato e la programmazione
urbanistica consigliano».
(9) Molto contestata è stata la
destinazione di un alloggio di 200 metri quadrati, incamerato a seguito di una
donazione di una ricoverata, affittato dall'IPAB Giovanni XXIII al segretario
generale dell'IPAB stessa.
(10) Cfr.
Comune di Modena, Conferenza
d'organizzazione delle case protette per anziani,
ottobre 1982 e Regione Emilia Romagna, Le
residenze protette per gli anziani - Atti del convegno di Modena del 28, 29 e
30 ottobre 1982, 1983.
(11) La delibera della Giunta della
Regione Emilia Romagna n. 4735 del 19 ottobre 1982
stabilisce che nelle strutture protette che ricoverano in prevalenza anziani
non autosufficienti deve essere prevista «una
adeguata presenza di personale infermieristico durante le ore diurne tale da garantire
sei ore di assistenza infermieristica giornaliera ogni venti anziani ospitati».
Per il periodo notturno la circolare
regionale n. 9 stabilisce quanto segue: «Per
l'assistenza notturna si indica la necessità di una
presenza continuativa dell'infermiere in strutture che ospitano oltre 70
anziani non autosufficienti».
(12) È significativo che nemmeno una
parola al riguardo sia stata pronunciata nel convegno di Modena del 28, 29 e 30
ottobre 1982 sulle case protette.
(13) Cfr. AA.VV., Il malato dichiarato cronico in ospedale e nel territorio - Indagine
conoscitiva sulla situazione di Roma e Provincia, Edizione a cura della USL
Roma 9, 1983. «La discrezionalità e la
superficialità riscontrate nella compilazione delle diagnosi al momento del
ricovero ospedaliero e nella dichiarazione di cronicità, dimostrano come esse servano soltanto a mettere in moto il meccanismo
burocratico necessario per allontanare dall'ospedale il degente con problemi
di dimissioni» (Ibidem, pag. 65).
(14) Non si capisce in base a quale
norma di diritto, il Comune non faccia pagare il costo reale che è di L. 44.000 al giorno. A nostro avviso si tratta di una
riduzione avente scopi esclusivamente di natura elettorale. Un contributo più
alto scatenerebbe le ire dei cittadini.
(15) Cfr. l'accordo sulla politica sociale per gli anziani, stipulato
in data 25 gennaio 1982 dalle Federazioni CGIL, CISL, UIL, dal Comitato
unitario regionale dei pensionati, dall'Anci
regionale e dalla Regione Emilia-Romagna, in Regione e società, n. 13, Bologna,
settembre 1982.
(16) In altre Regioni il «ticket» arriva
fino a 50-60 mila al giorno per il ricovero in istituti spesso squallidi; la
retta di degenza invece, in una casa di cura può anche superare le 200.000 lire
giornaliere.
(17) Cfr.
Regione Emilia Romagna, Le residenze protette per anziani, ... op. cit., p. 222.
www.fondazionepromozionesociale.it