Prospettive assistenziali, n. 66, aprile - giugno 1984
Libri
ANNAMARIA
DELL'ANTONIO - EZIO PONZO, Bambini che vivono in ospedale, Borla,
Roma, 1982, pp. 128, L. 5.000.
«Vedere un bambino di pochi anni che piange in
ospedale perché soffre o perché la sua mamma è lontana fa pena a tutti». «Vedere
un bambino in ospedale come più spesso succede, tranquillo nel suo letto e che
non fa niente tutto il giorno ci commuove molto meno».
Gli adulti poco esperti in materia di psicologia
evolutiva preferiscono di gran lunga il secondo dei
due comportamenti, perché non crea troppo disturbo. Gli autori, invece, si
preoccupano di mettere in evidenza con la loro ricerca
i notevoli danni psicologici dovuti a lunghe degenze ospedaliere, di cui la
tranquillità, l'apatia, la mancanza di gioco e movimento, non sono che alcuni
dei segni, i più facilmente visibili, di uno stato di sofferenza psicologica
generale, molto più grave, dovuto innanzitutto alla separazione dalla madre o
chi per essa.
Il bambino spesso non comprende il motivo per cui è ricoverato; i suoi ritmi abituali sono sostituiti
dalle esigenze dell'ospedale; il genitore, specie la madre, viene «ingabbiato»
dalla struttura ospedaliera con orari, spazi limitati e, sovente, con ordini
precisi circa il comportamento da tenere nei confronti del figlio.
Il bambino percepisce la dipendenza del genitore e non si sente più protetto. Inoltre «il personale
non ha tempo per occuparsi di cose estranee» e si limita alla cura fisica. La
madre, deprivata dal suo potere di genitore, finisce per restare succube e
funzionale all'istituzione senza svolgere alcun ruolo
attivo. Al bambino viene così a mancare la possibilità di sviluppare qualsiasi
interazione profonda con una figura adulta, indispensabile per «conservare e
sviluppare un'immagine positiva di sé e della
realtà».
Dalla documentazione raccolta (composta dai disegni
dei bambini ricoverati per lungo tempo confrontati con un gruppo paritetico, di
controllo, non ricoverato) emergono i segni caratteristici del bambino solo:
«impotenza, passività, depersonalizzazione» che dimostrano,
una volta di più, quanto sia deleterio il distacco dai genitori, conseguente
al ricovero.
Per questo la ricerca si propone di evidenziare «sia
le carenze e i limiti dell'attuale modello di
intervento fornito dalle strutture ospedaliere sia di contribuire ad un modello
di ristrutturazione dei servizi più aderenti ai bisogni dell'infanzia».
MARIA GRAZIA BREDA
CARLO
SERRA, Marginalità, emarginazione, Ed. Kappa, Roma, 1983, pp. 110, L. 9.000.
Diversamente dalla copiosità che contraddistingue
studi, analisi e valutazioni concernenti il carcere a livello istituzionale o
nella sua dimensione socio-ambientale, non esistono, in pratica, fino ad oggi
e soprattutto nel contesto culturale italiano, indagini
e ricerche incentrate sui «vissuti» personalistici dei detenuti e degli
internati.
La qualcosa, come agevolmente si ricava da qualsiasi
disamina sulla letteratura più diffusa ed affermata in materia, dipendendo da
talora eccessive settorializzazioni euristiche,
costituisce, contestualmente una rimarchevole carenza
di approcci specifici ed una sorta di frattura prospettica, fungente da
ostacolo alla predisposizione di schemi integrati per l'approfondimento delle
multiformi componenti e dinamiche che definiscono l'«universo» tematico
dell'istituzione totale detentiva.
Non sembra pertanto esagerato attribuire allo studio
di Serra il merito di aver colmato, sia in senso metodologico che contenutistico, una grave lacuna, con l'affrontare -
mediante l'impiego di peculiari strumenti e parametri epistemici
- propriamente l'area della fattorialità individuale
formata, deformata e «filtrata» dalle varie interazioni personologiche
«attive» nel determinare il «prodotto finito» costituito dal «condannato» o dal
«recluso».
Con accortezza descrittiva (abbinata ad un'apprezzabile
sinteticità e ad una chiarezza di sinossi che nulla
toglie alla complessità scientifica dell'argomento) la ricerca «sul campo»
diretta ad enucleare i tratti salienti delle «storie» individuali è preceduta,
in questo volume, dalla focalizzazione - e quasi
potrebbe dirsi, dalla catalogazione sistematica - dei principali costrutti
teorici elaborati fino al momento presente, a riguardo degli elementi,
essenziali e coessenziali, che presiedono ai diversi
processi emarginativi e criminalizzanti.
Ne deriva così un paradigma,
complessivamente esauriente, sulle caratterizzazioni del rapporto devianza/normalità,
fisiologia/patologia, trasgressione/stima, formulate, nel corso degli anni
dalla psicologia, dalla sociologia della devianza e dagli approcci
istituzionali, con il risultato di offrire altrettante «chiavi di lettura»,
spesso rappresentate solo parzialmente o addirittura sottoposte a
singole censure.
D'altronde, come permette di ravvisare ogni tentativo
volto ad individuare le effettive linee di tendenza di quella che potrebbe
denominarsi «ricerca sul carcere», è ben difficile assumere corrette
applicazioni del dato teorico alla specificità delle realtà particolari e subiettive, posta la scarsa - ed ormai piuttosto
conosciuta - inscrivibilità di condizioni soggette a
continuative trasformazioni e ad una «mobilità» generale, in un ambito
interpretativo originatosi in tutt'altra situazione
ed in base ad istanze sostanzialmente estranee
all'area che si pretenderebbe di adeguamento scientifico.
Pertanto, sotto tale profilo, la prima parte del
testo di Serra non andrebbe assimilata ad una mera, quanto convenzionale, «
premessa », dovendosi invece essa collocare quale tramite logico e di
presupposto, nello svolgimento di un discorso analitico che dalla latitudine
del macrosistema inerente ai significati della «norma», del «conformismo»,
dell'«organizzazione/controllo sociale» e della dialettica
«mete/aspettative», transiti negli «oggetti» della socializzazione
(nonché della de-socializzazione e della ri-socializzazione)
e delle «risposte» conflittuali ivi producentisi.
La parte dedicata a «Rapporto dal carcere: analisi
descrittiva di popolazione penitenziaria-tipo»
manifesta, infatti, l'esattezza dell'impostazione la quale, articolandosi entro
la «cornice» epistemologica suddetta, rende fattibile un riscontro qualitativo
fra le ipotesi di «status», identità, autopercezione e ruolo e l'insieme degli aspetti
personalistici desumibili dal gruppo dei soggetti osservati.
Quantitativamente consistente, il campione
(duecentottanta detenuti esaminati nell'arco temporale 1978-81 in un carcere
circondariale ed in un carcere penale) permette così di ricostruire
livelli-standard di «carriere criminali» e di «devianze secondarie» (per dirla
con Lemert) attraverso la valutazione di
caratteri/tipo, serializzati e considerati con le loro modalità (luogo di
nascita, età, località di residenza, stato civile, numero figli, precocità
riproduttiva, numero fratelli, status parentale,
status professionale, livello di istruzione, interessi
prevalenti ed abituali, tipi di reato, precocità delinquenziale, pena
comminata, attività in carcere, rapporti con la famiglia, precedenti
familiari, vissuto del fatto criminoso, personalità e disturbi psicologici e
comportamentali collegati).
A commento conclusivo dell'opera, l'Autore afferma
di non pretendere l'equivalenza della rilevazione compiuta ad ipotesi di
lavoro, segnatamente in una visuale di trattamento risocializzativo e delle eventuali modifiche ai programmi attualmente
seguiti dall'amministrazione penitenziaria; v'è tuttavia da ritenere che
propriamente da verifiche ed indagini di questo tipo possano elaborarsi
soluzioni necessariamente diversificate, per l'avvenire, rispetto alle
disfunzioni ed alle discrasie che gli interventi sul o nel pianeta carcere
denunciano anche e soprattutto dalla promulgazione della legge 354/75.
Sull'argomento segnaliamo altresì:
- C. SERRA (a cura di), Devianza e difesa sociale, Angeli, Milano,
1981, pp. 305, L. 15.000;
- N. COCO e C. SERRA, Devianza, conflitto, criminalità - La ricerca psicosociologica
italiana 1950-80, Bulzoni, Roma, pp. 290, L. 16.500.
Sordo-ciechi con
comportamento autistico, Atti della sesta settimana
estiva nazionale, 1983, Edizioni del
Servizio di consulenza, Via Druso
7, Trento, pp. 72, L. 6.000.
La sesta settimana estiva è stata organizzata dal
Servizio di consulenza di Trento per i genitori con bambini colpiti da sordità
e cecità, sovente anche con disturbi del comportamento di tipo autistico.
I vari interventi offrono un buon contributo non solo
a livello teorico, ma anche pratico. Gli operatori,
dopo una breve introduzione, che facilita lo inquadramento del discorso,
affrontano i problemi dei bambini pluriminorati o con
disturbo del comportamento, a partire dalla loro esperienza: metodo adottato,
difficoltà incontrate, successi ottenuti.
Gli atti sono pertanto consigliabili a tutti i genitori
che cercano informazioni e consigli per rapportarsi ai propri figli in maniera
corretta e costruttiva.
www.fondazionepromozionesociale.it