Prospettive assistenziali, n. 66, aprile - giugno 1984
Notizie
COMUNICATO
DEI GIUDICI MINORILI
L'Associazione Italiana dei Giudici per i minorenni si propone di assumere ogni opportuna iniziativa
volta ad evitare la caduta di tensione sui problemi dei minori soprattutto in
un momento nel quale si avvertono pericolose tendenze che contestano la
validità della legge sull'adozione, strumento fondamentale di tutela del
minore, e si assiste a sempre più preoccupanti fenomeni di devianza
adolescenziale, in particolare criminalità e tossicodipendenza.
Lo ha deciso a Roma il nuovo Consiglio direttivo dell'Associazione composto da Gilberto Barbarito,
Giorgio Battistacci, Nicoletta Cecere,
Alfio Cocuzza, Luisanna Del Conte, Paolo Dusi, Angiolina Freda, Franca Mazzola,
Federico Palomba, Angelo Vaccaro
e Paolo Vercellone, che ha proceduto al rinnovo
delle cariche eleggendo presidente Federico Palomba,
giudice del Tribunale per i minorenni di Milano, e Paolo Dusi,
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Venezia;
segretaria Angiolina Freda,
componente privato del Tribunale per i minorenni di Roma.
Il Consiglio direttivo intende richiamare l'attenzione
sull'urgenza dell'adeguamento della legislazione alle nuove esigenze della
giustizia per i minori con speciale riferimento alla riforma della legge
minorile ed all'emanazione dell'ordinamento
penitenziario per i minorenni, nonché sui problemi di ordinamento e di
formazione del giudice minorile. A questo fine si propone di stabilire gli
opportuni contatti con le sedi parlamentari, il Ministero di grazia e
giustizia ed il Consiglio Superiore della Magistratura.
Intende, inoltre, dare maggiore
sviluppo ai rapporti con gli
Enti locali, sempre più chiamati a compiti di protezione del minore, e con le
sedi internazionali.
Ha rilevato, infine, la grande importanza della
stampa e della televisione per la presentazione di una corretta cultura
dell'infanzia e dell'adolescenza, auspicando una maggiore e più appropriata attenzione ai problemi dei minori.
17 gennaio 84
INIZIATIVE
DEL COORDINAMENTO NAZIONALE PER IL DIRITTO AL LAVORO DEGLI HANDICAPPATI
Il Coordinamento nazionale tra associazioni, gruppi e
movimenti spontanei per i problemi dell'emarginazione e dell'handicap (Roma,
Via Borelli 7) ha
denunciato la Stato italiano al Comitato dei diritti dell'Uomo dell'ONU per
violazione del diritto al lavoro degli handicappati a seguito dell'approvazione
dell'art. 9 della legge 638/83.
A sostegno della denuncia sono state raccolte oltre
120.000 firme.
In merito riportiamo il testo
dell'ordine del giorno approvato dall'Assemblea del Coordinamento tenutasi
il 13.3.84 a Roma: «Il Coordinamento
nazionale tra associazioni, gruppi e movimenti spontanei per i problemi
dell'emarginazione e dell'handicap, nel sottolineare
il grande risultato ottenuto con la raccolta di oltre 120.000 firme per
l'abrogazione dell'art. 9 della legge 638/1983 e per riaffermare il diritto al
lavoro degli handicappati, ribadisce la volontà di ottenere dal Parlamento
l'immediato ripristino della normativa precedente ed il contestuale avvio
della discussione di una nuova legge di riforma ispirata ai principi
dell'uguaglianza e della partecipazione, anziché all'assistenzialismo ed ai
privilegi corporativi.
Denuncia il
sempre più negativo andamento dei dati sul collocamento obbligatorio con la
perdita di oltre 10.000 posti negli ultimi tre anni ed una progressiva paralisi
a partire dall'entrata in vigore dell'articolo 9.
Preso atto
delle volontà positive espresse dalle forze politiche
e sindacali nel corso dell'Assemblea, chiede ai Partiti di tradurre in atti
parlamentari ufficiali le volontà espresse in queste settimane, presentando
una proposta di legge unitaria abrogativa del terzo e quarto comma dell'art. 9
della legge 638/83 da approvare in tempi rapidi.
Si impegna a proseguire la mobilitazione a partire dalla
consegna nei prossimi giorni delle 120.000 firme al Ministro del lavoro Gianni
De Michelis costituendo una Delegazione di Parlamentari,
Sindacalisti, rappresentanti delle Associazioni».
LA
PROTESTA DEI GENITORI DI HANDICAPPATI GRAVI DI SESTO
S. GIOVANNI
Pubblichiamo
il testo integrale della lettera che un gruppo di genitori di handicappati
gravi in data 10 febbraio 1984 ha inviato agli Assessorati all'assistenza e
alla sanità della Regione Lombardia, al Comitato di gestione dell'USSL n. 65,
agli Assessorati alla pubblica istruzione e ai servizi sociali del Comune di
Sesto S. Giovanni, al Consiglio unitario di zona
CGIL-CISL-UIL di Sesto-Cologno - Milano zona 10,
alle sezioni locali dei Partiti DC, DP, PCI, PLI, PRI, PSDI, PSI e alle redazioni
di alcuni giornali e riviste specializzate.
Siamo un gruppo di genitori di handicappati gravi che
con amici che da tempo si impegnano con noi, vogliamo
segnalare all'opinione pubblica la nostra situazione, perché tutti insieme tentiamo
di rompere la rassegnazione e il senso di impotenza che spesso ci prende quando
siamo costretti (e lo siamo ogni giorno) ad affrontare gravissimi problemi e
quasi sempre da soli.
Abbiamo scelto questa strada della lettera perché siamo convinti (anche se spesso siamo assaliti dal
dubbio) che quanto viviamo non riguarda solo noi: è una lotta per una vita
diversa, per una resistenza al dolore e al non senso, alle strutture sbagliate
(soprattutto nel campo della salute) che riguarda un po' tutti gli uomini che
vogliono vivere con profondità la loro esistenza e con progetti di giustizia.
Quanto ci è capitato, che
noi viviamo con sofferto amore, non è da affidare a un destino sfortunato:
molti di noi hanno un figlio in gravi condizioni perché non c'era informazione
adeguata, perché c'erano strutture e personale non adeguato. Molti di noi hanno
scoperto troppo tardi che il consiglio ricevuto di tenere in casa il figlio
perché era una sfortuna capitata a noi era sbagliata.
Noi sperimentiamo una grande
verità con il nostro amore di genitori, che scopriamo sempre più calpestato
nella società: tutti siamo uguali, tutti coloro che vengono al mondo hanno
diritto alla dignità e solidarietà umana.
Questa uguaglianza per noi è lotta quotidiana perché
spesso, troppo spesso è tutta affidata a noi.
Seguire sempre costantemente un figlio grave, non
accettare di abbandonarlo all'istituto, sperare sempre in un miglioramento,
costruirgli attorno quotidianamente un amore grande: è un compito che con
ansia assolviamo ogni giorno.
Ma quando il cammino è lungo e si è soli si crolla,
non ce la si fa più. Infatti
si tratta quasi di annullarsi per il figlio, di rinunciare a tutto, di
identificarsi con i problemi quotidiani che il figlio pone.
Molti di noi non sanno più cosa significa tempo libero, serenità familiare, tranquillità economica.
Abbiamo poi una frustrazione continua perché gli
aiuti ci sono elemosinati, non dati come diritti ma come assistenza.
Spesso ci offrono soldi, quando noi invece chiediamo
servizi.
Siamo costretti a portare un peso troppo grosso: non
ce la facciamo più.
Cosa dobbiamo fare?
Rassegnarci ed istituzionalizzare il figlio?
Noi abbiamo paura di questo ritorno di mentalità: a
scuola ci si dice che è difficile, al lavoro non se ne
parla, i servizi sociali sono ridotti e spesso taglieggiati.
Eppure con questa lettera vogliamo costruire insieme a tutti una proposta che può riguardare le nostre famiglie,
la nostra città.
A Sesto possiamo, dobbiamo
fare qualcosa di più. Noi pensiamo che il nostro problema può aiutare a
cambiare in meglio questa nostra società, il nostro
modo sociale di vivere. Non ci rassegniamo, ma insieme vogliamo
costruire attorno ai nostri bisogni solidarietà e strutture .
Vogliamo che si dia priorità anche economica a questa
scelta: non soldi in elemosina ma scelta di servizi
sociali adeguati.
Per questo come genitori, apprezzando lo sforzo che
si sta compiendo sul territorio, ci stiamo
organizzando perché queste richieste diano coraggio e speranza al nostro spesso
drammatico amore per i nostri figli.
Chiediamo per questo:
- che durante il giorno i nostri
figli possano essere inseriti in spazi educativi e socializzanti adeguati. Questa richiesta riguarda il tempo (tale da
permetterci una serena vita lavorativa) e i progetti (non vogliamo assistenza
ma tentativo comune di migliorare le condizioni dei nostri figli).
Per questo il centro Socio Educativo può essere il
punto di partenza per questo nostro obiettivo, ma esso va meglio adeguato alle
nostre esigenze.
Chiediamo per questo che si possa
veramente progettare insieme, essere aiutati, criticati e sostenuti nel nostro
compito educativo. Per noi i nostri figli non sono un peso,
ma soggetti da educare e con i quali fare un cammino di vita.
Su questa base di partenza dobbiamo lavorare: il
Centro Socio Educativo va discusso e rivisto;
- che alle famiglie venga
dato un adeguato sostegno e in alcuni casi momenti alternativi. Individuiamo
nelle comunità alloggio e nel servizio di assistenza
domiciliare due obiettivi irrinunciabili.
Ci interessa però discutere di queste esperienze,
estenderle in modo adeguato.
Sono certamente servizi che costano
ma è giusto forse privilegiare questi interventi ad altri certamente
importanti ma non indispensabili.
Per questo diciamo a tutti i genitori che hanno i
figli gravi di organizzarsi, di non rassegnarsi, di estendere la nostra
solidarietà e lotta.
Si tratta di chiedere servizi sociali adeguati, di
reagire ai tagli alla spesa pubblica che colpiscono soprattutto le fasce più
deboli.
Si tratta per alcuni di verificare meglio tutto il
problema della fisioterapia e del conseguente problema
del trasporto.
A Sesto ci sono numerosi interventi di natura diversa
e non coordinati che spesso creano disorientamento.
Non è possibile avere un momento pubblico di
coordinamento anche per discutere e verificare la qualità del servizio?
Si tratta di affrontare con serietà il problema
dell'inserimento scolastico. Sappiamo che il problema è grave
ma si risolve affrontandolo non facendo finta che non esista e al
contrario mettendo continuamente noi genitori in difficoltà. Non è nostro
compito giustificare o difendere la presenza dei nostri figli a scuola: noi
chiediamo e con diritto i progetti educativi adeguati.
Concludendo questa lettera-appello ci rivolgiamo ai genitori di
figli gravi che hanno già «gettato lo spugna» o che sono stati costretti a
mandarli in istituto.
Non è una loro colpa, ma appunto per questo noi
genitori vogliamo organizzarci per iniziare un nuovo
compito di solidarietà e di giustizia.
Per questo li invitiamo a partecipare ai nostri
incontri che terremo mensilmente presso la sede della Cooperativa Lotta Contro
l'Emarginazione in Via Parpagliona 41, Sesto S.
Giovanni.
Seguono 17 firme
VIA
LE BARRIERE ARCHITETTONICHE DALL'EDILIZIA PRIVATA
Con la deliberazione 19 dicembre 1983 n. 1090, il
Consiglio regionale dell'Umbria ha approvato il regolamento edilizio tipo.
Nella deliberazione in oggetto viene «ravvisata l'opportunità di favorire una
omogeneizzazione della normativa regolamentare in materia edilizia, suggerendo
ai Comuni, nell'ambito dei poteri di indirizzo e coordinamento e nel rispetto
dell'autonomia comunale, l'adozione di un testo coordinato delle varie disposizioni
legislative succedutesi nel tempo nella materia in argomento, tenendo presente
lo schema predisposto con il presente atto».
L'art. 58 del regolamento tipo, avente per oggetto «Scale
e abbattimento delle barriere architettoniche» è così redatto: «Gli ambienti per uso di abitazione
devono essere muniti di scale dalla base alla sommità della larghezza non inferiore
a mt. 1,20 per scalino.
Per edifici
di carattere commerciale, industriale o destinati a
scopi particolari e per particolari tipologie residenziali il numero e la
larghezza delle scale, in base al numero dei piani e degli ambienti sono
stabiliti di volta in volta, anche in conformità delle disposizioni di legge.
Dalle scale
non possono ricevere luce ambienti di abitazione,
cucine, latrine e bagni.
Le scale
devono ricevere aria e luce direttamente dall'esterno ad ogni piano.
Negli
edifici unifamiliari, costituiti da non più di due piani, la larghezza delle
scale può essere ridotta a centimetri 90.
È vietato
costruire scale in legno, quando queste debbano
servire per appartamenti.
Dal vano scale si deve accedere agevolmente all'eventuale
sottotetto e al tetto sovrastante, indipendentemente dal tipo e dal materiale
usato per la copertura.
Il vano scale non deve avere alcuna comunicazione con i negozi,
depositi, autorimesse pubbliche o private, officine, o comunque con locali non
destinati ad abitazione od uffici, salvo deroghe da richiedere caso per caso
al Comando provinciale dei vigili del fuoco.
Ai fini
dell'abbattimento delle barriere architettoniche, negli edifici a carattere plurifamiliare o dove siano previste destinazioni sociali,
la realizzazione o il dimensionamento delle scale, degli accessi, degli
ascensori e degli apparecchi elettrici di comando e di segnalazione, devono essere conformi a quanto previsto dagli artt. 7, 9, 15 e 16 del D.P.R. 26 aprile
1978, n. 384».
Ricordiamo infine che il secondo comma dell'art. 46
stabilisce quanto segue: «Gli edifici pubblici
di nuova costruzione o già esistenti nel caso siano soggetti a
ristrutturazione, che riguardino in particolare strutture
di carattere collettivo-sociale, devono rispettare le norme previste dal
D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384».
www.fondazionepromozionesociale.it