Prospettive assistenziali, n. 67
bis, luglio - settembre 1984
N.
1, GENNAIO-MARZO 1968
Già nel primo numero di Prospettive assistenziali vi è una presa di posizione contro i ricoveri.
Infatti, nell'articolo «Sono validi i grossi istituti di assistenza?»
viene mossa una critica al nuovo istituto provinciale per la protezione e
l'assistenza di Quarto (Genova), avente una capienza di 400-500 posti letto,
inaugurato dal Presidente della Repubblica Saragat.
Nell'articolo viene ricordata la tavola rotonda indetta dall'Unione per la
lotta contro l'emarginazione sociale per contrastare
la realizzazione di un altro istituto di 500 posti, quello progettato dalla
Provincia di Torino per i minori sub-normali.
N.
5-6, GENNAIO-GIUGNO 1969
Nella proposta di legge di iniziativa
popolare «Interventi per gli
handicappati psichici, fisici, sensoriali ed i disadattati sociali» i
trattamenti sono elencati all'art. 9 come segue:
«a) prestazioni
abilitative e riabilitative;
b) assistenza
familiare;
c) affidamenti
adottivi e educativi;
d) accoglimento
in istituto o in colonie;
e) frequenza di istituzioni prescolastiche, scolastiche e di
preparazione professionale;
f) inserimento nel lavoro o nel lavoro protetto; g) assistenza economica
permanente;
h) assistenza
economica temporanea».
Per quanto riguarda i ricoveri, da disporre quando
non siano attuabili o consigliabili l'assistenza
familiare (art. 11) e gli affidamenti adottivi ed educativi (art. 12), l'art.
13 precisa che «si provvede alla destinazione degli handicappati e dei disadattati in
istituti, preferibilmente e sempre che non sia sconsigliabile, di non
handicappati». Viene inoltre stabilito che devono
essere «preferiti in ogni caso: a) in primo luogo i focolari. I focolari sono
istituzioni ad indirizzo familiare con sistematica partecipazione alla vita
sociale esterna e con un numero massimo di otto soggetti».
La proposta di legge di iniziativa popolare è stata
presentata al Senato della Repubblica in data 21 aprile 1970 con oltre 220 mila
firme.
N.
7, LUGLIO-SETTEMBRE 1969
Nell'articolo intitolato «Indagine conoscitiva sugli istituti di rieducazione per minorenni esistenti
in Italia», è sostenuta la necessità di «soluzioni
differenziate, che non abbiano in comune la rigidità
dell'internamento, ma siano dettate dalla validità pedagogica
dell'intervento». Pertanto, in alternativa agli
istituti di rieducazione, viene proposta fra l'altro «la costituzione di focolari, in cui i ragazzi possano vivere a stretto
contatto con l'ambiente esterno, frequentandone le scuole, i laboratori
professionali, i luoghi di lavoro e di divertimento».
N.
8-9, OTTOBRE 1969 - MARZO 1970
In questo numero è riportato il testo della proposta
di legge n. 1676 «Organizzazione del
settore dell'assistenza sociale e interventi per, le persone in condizione o
situazione di incapacità e, in particolare, per i
disadattati psichici, fîsici, sensoriali» presentata alla Camera dei
deputati in data 7 luglio 1969 dall'On. Foschi e da altri parlamentari. L'art.
13, fra i tipi di istituto, indica in primo luogo i
focolari definiti «comunità educative
per minori, aventi caratteristiche familiari che possono accogliere un massimo
di otto soggetti, le cui attività si svolgono tutte e sistematicamente
nell'ambito sociale esterna». Sono quindi previsti i pensionati quali «comunità destinate ad
adulti o ad anziani, ospitanti un massimo di 12 soggetti, i quali partecipano
sistematicamente alla vita sociale esterna».
N.
10, APRILE-GIUGNO 1970
Il tema dei focolari è ripreso nel «Pre-documento
della Commissione del Ministero della sanità sui servizi
sociali», Commissione costituita con D.M. 21 gennaio 1970 e presieduta
dall'On. Foschi. Nel pre-documento, fra i servizi per
i disadattati e gli handicappati, è previsto il focolare.
La stessa struttura viene
indicata dai rappresentanti dell'Unione italiana per la promozione dei diritti
del minore (Cfr. articolo a
pag. 58) alla Commissione giustizia della Camera dei deputati in occasione
dell'indagine conoscitiva sugli istituti di prevenzione e pena. Per il settore
rieducativo è fatta presente la necessità di «ridurre l'istituzionalizzazione
dei minori, limitandola, ove veramente indispensabile, all'inserimento in focolari
con conseguente eliminazione degli istituti tradizionali».
A pg. 59 c'è una notizia
riguardante il convegno di Sestri Levante, organizzato dai Lions
Club delle Cinque Terre di Levanto, Rapallo e Sestri
Levante, tenutosi nei giorni 2-3 maggio 1970. Nel corso del convegno è stato
richiesto che, nei casi in cui non sia possibile intervenire con aiuti economici
e sociali alla famiglia d'origine, né siano attuabili l'adozione e
l'affidamento familiare a scopo educativo, venga
prevista la «creazione di focolari (con
7-8 minori) inseriti nelle comuni case di abitazione quale alternativa al
ricovero nei tradizionali internali, i quali dovrebbero essere
progressivamente soppressi».
N.
13, GENNAIO-MARZO 1971
Con il titolo «Note sul disegno di legge n. 2040» (1)
è riportato un documento redatto dagli operatori della rieducazione minorile in
cui sono citati come esempio di interventi alternativi
«i servizi aperti a tutti i cittadini a
cui, naturalmente, possono accedere anche i giovani (focolari, pensionati, servizi
ricreativi, ecc.)».
(1) II disegno di legge n. 2040 g
Istituzione della Direzione generale per la tutela e il riadattamento dei minori
presso il Ministero di grazia e giustizia », è stato presentato il 24 novembre
1970 dal Ministero di grazia e giustizia.
N.
14, APRILE-GIUGNO 1971
Il primo comma dell'art. 4 della «Legge 30 marzo 1971 n. 118 - Conversione in
legge del decretolegge 30 gennaio 1971 n. 5, e nuove norme in favore dei
mutilati ed invalidi civili» il cui testo è riportato integralmente,
prevede quanto segue: «Il Ministero della
sanità, nei limiti di spesa previsti dalla presente legge per l'assistenza
sanitaria e in misura non superiore ai due miliardi di lire, ha facoltà di
concedere contributi a enti pubblici e a persone
giuridiche private non aventi finalità di lucro per la costituzione, la
trasformazione, l'ampliamento, l'impianto e il miglioramento delle attrezzature
di riabilitazione, nonché di altre istituzioni terapeutiche quali focolari,
pensionati, comunità di tipo residenziale e simili».
L'articolo «Per
una riforma dell'assistenza nel quadro di una politica
regionale dei servizi sociali» riferisce in merito al convegno svoltosi a
Milano il 17 aprile 1971, organizzato dal Comitato lombardo per i problemi
degli handicappati. La relazione su «Istituto
e alternative all'istituto», contiene fra l'altro
la proposta di «sperimentare e avviare
comunità, gruppi familiari locali, seguiti dalle équipes
zonali, che possano sostituire in modo adeguato la famiglia carente o mancante».
L'ordine del giorno conclusivo prevede quanto segue: «All'interno del processo di riforma generale dei servizi assistenziali e sociali, chiediamo in particolare: (...) 2)
abolizione degli istituti chiusi e creazione di istituti aperti con ospitalità
temporanea legata a situazioni di emergenza, che ripetano il più possibile il
clima ed il ritmo familiare; (...) 11) sostegno alle sperimentazioni sociali
in tutti i campi del disadattamento facilitando la costituzione di piccole
comunità e di gruppi familiari locali».
N.
15, LUGLIO-SETTEMBRE 1971
Una critica ai cosiddetti gruppi-famiglia (che spesso
sono una struttura nettamente diversa dalle comunità alloggio) è contenuta nell'articolo «La conferenza episcopale italiana e gli
istituti di assistenza». Nel documento della CEI,
pubblicato dalla Editrice AVE con il titolo «Gli istituti educativo-assistenziali per minori normali», Roma,
1971, viene consigliata la suddivisione dei ragazzi ricoverati in istituto in
gruppi di «6-7 soggetti possibilmente di età
diverse» per i bambini dai 3 ai 6 anni e di «circa 10-12 bambini» per quelli dai 6 ai 12 anni.
Nello stesso numero di Prospettive assistenziali, è inserito l'articolo
«I villaggi SOS: ghetti di lusso» in
cui viene criticata l'iniziativa diretta alla
costituzione di un villaggio vicino a Roma nei seguenti termini: «I villaggi SOS accolgono solamente bambini
orfani e abbandonati e per questi bambini sono necessari interventi non
emarginanti quali, a seconda delle situazioni, l'aiuto
economico e/o sociale alle famiglie d'origine, l'adozione, l'affidamento
familiare a scopo educativo e, nei casi in cui dette soluzioni non siano
effettivamente possibili, i focolari inseriti (...) nelle comuni case di abitazione».
N.
16, OTTOBRE-DICEMBRE 1971
Nell'articolo
«Servizio di affidamento familiare della Provincia di
Torino», è riportata la deliberazione approvata dal Consiglio provinciale
di Torino il 17 maggio 1971, istitutiva del servizio di affidamento familiare.
Nella delibera è precisato fra l'altro che «L'affidamento familiare si pone così come
indicazione di scelta fra le indicazioni alternative
(inserimento in istituto, in comunità, in focolare)».
Il n. 16 riporta anche la «Bozza di proposta di legge sull'affidamento a scopo
educativo» elaborata dall'Associazione
nazionale famiglie adottive e affidatarie e dall'Unione
italiana per la lotta contro l'emarginazione sociale. Nella premessa, fra le alternative al ricovero in istituto, è indicato «l'inserimento in focolari, istituiti in
alloggi sparsi nelle comuni case di abitazione».
Ancora nel n. 16, nel dare notizia
circa la costituzione a Torino del
«Collettivo intersindacale e interassociativo
sull'assistenza» viene riportata una presa di posizione del
suddetto organismo in cui viene criticato l'acquisto di «ville collinari (come quella di strada del Mainero)» e denunciato il fatto che «nello stesso momento in cui
l'Amministrazione provinciale investe centinaia di milioni nell'acquisto di
questi stabili, di per sé inidonei, è stata bloccata la già promessa creazione
di una serie di focolari nei quartieri»
N.
17, GENNAIO-MARZO 1972
Nell'articolo «Ristrutturazione
dei servizi della Provincia di Torino» viene
riportato il documento presentato dall'Unione per la lotta contro
l'emarginazione sociale al gruppo di lavoro istituito dal Consiglio
provinciale di Torino con deliberazione del 18 maggio 1971 con lo scopo di
provvedere alla «individuazione di nuove
esigenze e dei mezzi per farvi fronte» nel campo sanitario e
assistenziale. In detto documento viene proposta «la creazione di focolari inseriti in modo
sparso nelle comuni case di abitazione, specialmente di quelle dell'edilizia economica,
per i minori, gli anziani e gli handicappati» per i quali non siano
attuabili l'aiuto economico e sociale e, per i minori, l'adozione e
l'affidamento familiare a scopo educativo.
Nello stesso articolo è trascritto il documento
presentato dai Sindacati CGIL, CISL, UIL che indica
la necessità di «realizzare soluzioni
alternative alle attuali forme di istituzionalizzazione, tenendo in
particolare considerazione la sperimentazione di comunità di tipo familiare».
Sempre sul n. 17, nell'articolo «Appunti sulle nuove leggi della casa e degli asili nido» è trascritto
un altro documento dell'ULCES in cui viene auspicato
che la legge 22 ottobre 1971 n. 865 sia attuata tenendo conto di quanto segue: «In ciascuna casa, comprese quelle costruite da cooperative, dovrebbero essere previsti
alloggi per lavoratori insieme ad appartamenti per anziani (alloggi singoli o
piccoli pensionati di 8-10 posti), per invalidi (idem come sopra), per
profughi, ecc., senza isolare, anche in questo caso, le persone più deboli a
causa dell'età o dell'invalidità. L'aliquota di alloggi
destinati agli anziani non dovrebbe essere inferiore al 5%, quella dei focolari
per invalidi, minori e anziani dovrebbe essere non inferiore al 2%».
Ancora sul n. 17 con il titolo «Comitato di quartiere di Vanchiglia-Vanchiglietta
di Torino», è riportato il documento approvato
dall'Assemblea promossa dal locale Comitato di quartiere il 7 marzo 1972. Fra
le varie alternative al ricovero in istituto degli
handicappati è indicato «l'accoglimento
in focolari per 6-8 persone, siti in alloggi sparsi nelle comuni case di abitazione».
Inoltre nel n. 17, nell'articolo «Collettivo intersindacale e interassociativo» sono trascritti sette documenti approvati da detto organismo riguardanti la
situazione dell'Istituto di riposo per la vecchiaia di Torino. Nel documento n.
6 è previsto quanto segue: «In
prospettiva bisogna evitare il ricovero in istituto anche per gli anziani
cronici oggi considerati "irrecuperabili". Per essi
la soluzione va seconda noi ricercata nell'ambito di piccale comunità o di
piccoli pensionati in case normali».
Nello stesso documento, per prevenire il ricovero
degli anziani autosufficienti, viene richiesta «la costituzione di case adatte ad essere
abitate da anziani soli o in comunità».
Nel documento n. 7 viene
affermato che il Comune di Torino «deve
incominciare a far funzionare propri servizi decentrati per gli anziani autosufficienti
o cronici in moda che essi possano restare nella loro abitazione o almeno in
piccoli pensionati di quartiere (al massimo di 15-20 posti) inseriti nelle
comuni case di abitazione». Inoltre è precisato che «i patrimoni degli istituti pubblici di assistenza
(quello di C. Unione Sovietica è di 20 miliardi) siano utilizzati per mettere
a disposizione del Comune alloggi e piccoli pensionati per anziani».
N.
18, APRILE-GIUGNO 1972
Nella copertina del n. 18 vi è la fotocopia di una casa
con la seguente dicitura «In questo stabile
di Octeville (Francia) vi
sono due focolari per insufficienti mentali», il cui funzionamento è
descritto nell'articolo «Esperienza
francese di focolare per insufficienti mentali adulti» che viene integralmente riportato nella seconda parte di questo
numero.
Nello stesso numero vi è anche l'articolo
«Politica emarginante delle Regioni»,
in cui viene affermato che nella legge della Regione
Trentino-Alto Adige 4 agosto 1971 n. 26 «in
nessun conto è tenuta la recente legge nazionale sulla casa (legge 30 ottobre
1971 n. 276) che consente la creazione nelle comuni case di abitazione di focolari
per minori e di piccoli pensionati per anziani, focolari e pensionati che
dovrebbero essere l'ultima soluzione in quanto sono evidentemente preferibili
gli interventi che consentono la vita autonoma nella propria famiglia o nella
propria casa».
Nel n. 18 ci sono altri riferimenti al tema delle comunità
alloggio nell'articolo «Iniziative della Regione Piemonte in materia di assistenza
e decreto delegato sulla beneficenza pubblica», che riporta il documento
approvato dalle Segreterie regionali piemontesi CGIL, CISL, UIL. In detto documento,
fra le altre iniziative immediate avanzate nei confronti della Regione
Piemonte, compare la «applicazione non
emarginante delle nuove leggi (casa, asili nido,
ecc.) prevedendo focolari per minori e pensionati per anziani inseriti in modo
sparso nelle comuni case di abitazione».
A sua volta nell'articolo «Per la chiusura dell'istituto provinciale per l'infanzia» redatto dalla Amministrazione provinciale di Modena, è avanzata,
fra l'altro, in sostituzione della struttura attuale, la seguente proposta: «Istituzione di una sezione
notturna straordinaria presso un asilo nido di quartiere, dove ospitare a tempo
pieno, per brevi periodi, i minori la cui situazione deve essere segnalata al
tribunale per i minorenni o diversamente risolta. L'esiguo numero dei minori e la durata del loro soggiorno non
rendono più necessaria l'esigenza di un vero e proprio istituto, ma rileva che
è sufficiente una più limitata sede di accoglimento».
Fra le notizie pubblicate nel n. 18, quella intitolata «La
politica di emarginazione dell'Amministrazione
provinciale di Torino», riporta il testo di un volantino, sottoscritto da
numerosi movimenti di base di cui riproduciamo le parti aventi attinenza con
il problema delle comunità alloggio.
Che cosa
chiediamo
3. Focolari per
6-8 ragazzi siti in alloggi sparsi nelle comuni case di abitazione
per minori per i quali non è effettivamente possibile evitare il ricovero.
4. Controllo
democratico di tutti i servizi sociali, compresi quelli della
Provincia di Torino.
5 Massima utilizzazione del denaro pubblico.
7
Applicazione non emarginante della recente legge sulla casa per
creazione di focolari per minori e di piccoli pensionati per le persone dimesse
dagli ospedali psichiatrici (in gran parte anziani mai stati malati di mente o
guariti). Inserimento sparso di queste strutture nelle comuni case di abitazione.
Come risponde 1'Amministrazione Provinciale di Torino
3. Acquisto di
due ville in collina per un ghetto di lusso per i 50 ragazzi già ricoverati a
Villa Azzurra.
4. Le due
ville, ad esempio, sono situate a due km. dall'ultima
fermata dell'autobus per cui è addirittura difficile arrivarci.
5. Le due ville
(per 50 ragazzi) sono costate oltre 600 milioni. Con la stessa spesa si
potevano fare in Torino dei focolari per 150 ragazzi.
7. Nessun
impegno dell'Amministrazione provinciale al riguardo della politica che sarà
portata avanti dai suoi rappresentanti nel Consiglio di amministrazione
dell'istituto autonomo per le case popolari.
Sono anzi
tenute in piedi, e fatte passare per moderne, istituzioni come il Centro di igiene mentale, l'Istituto provinciale per l'assistenza
all'infanzia e il Servizio di medicina scolastica.
N.
19, LUGLIO-SETTEMBRE 1972
Nell'articolo «Alcuni
interrogativi pastorali sul recente documento della CEI riguardante l'assistenza sociale» viene ricordato che l'Amministrazione
dei Pii istituti educativi, dopo aver gestito fino al 30.11.1970 il collegio
del Barracano in Bologna, che ospitava 90 minori di sesso femminile, ha
istituito quattro focolari «alloggiati in
appartamenti presi in affitto in vari punti della città ». In ciascuna comunità
alloggio era ospitato « un numero medio di otto
bambine o ragazze». A seguito dell'iniziativa, tutte le ragazze, meno
una, sono state affidate alle famiglie d'origine.
Nel «Rapporto
preliminare del piano di sviluppo del Piemonte»
redatto dall'IRES, per quanto riguarda l'assistenza ai minori, viene affermato
che occorre «mutare radicalmente il
sistema di organizzazione del ricovero collettivo per tutti gli eventi in cui
non risulti possibile, per vari motivi, il ricorso all'assistenza presso
famiglie. Si tratta in questo caso di passare dai grandi organismi collettivi
isolati dal contesto sociale ad un sistema di micro organismi integrati nel tessuto sociale (comunità,
focolari, ecc.) che mantengano l'assistito nella vita della collettività.
Questo orientamento operativo esige una totale trasformazione dell'impianto infrastrutturale, richiedendo in-fatti
un supporto di microstrutture ricettive appositamente allestite, fisicamente
inserite ed integrate nelle unità residenziali, o meglio all'interno delle
normali strutture abitative. Per questi nuovi organismi sostitutivi degli
attuali istituti di ricovero, viene normalmente prospettata una dimensione
comunitaria di 8-15 unità ed un campo d'azione vincolato ad un determinato
ambito territoriale».
Per quanto riguarda invece gli adulti (18-59 anni)
assistiti presso istituti di ricovero a causa delle loro condizioni di inabilità o di invalidità «in linea indicativa, l'entità delle infrastrutture ricettive apposite,
di tipo comunitario, è stata stimata equivalente alla metà dei casi che attualmente
costituirebbero l'insieme degli "adulti" ricoverati; 1500 unità circa».
Per gli anziani, fra l'altro, è proposta dall'IRES l'«allestimento di strutture residenziali con servizi domestici centralizzati:
"alloggi collettivi". Anche questo tipo di
strutture ricettive da destinare a persone autonome o parzialmente autosufficienti,
deve far parte delle strutture edilizie previste per la normale domanda di abitazione».
Nella rubrica «Notizie» del n. 19 con il titolo «Collettivo intersindacale e interassociativo sull'assistenza» viene riportato il documento redatto nel luglio 1972 «Alcune proposte per avviare servizi
alternativi per anziani», in cui alla lettera c)
vi è la seguente frase: «Applicazione non
emarginante della nuova legge sulla case prevedendo
focolari per minori e pensionati per anziani inseriti in modo sparso nelle
comuni case di abitazione».
Ancora nel n. 19, nella stessa rubrica in merito al
tema «Disadattamento e delinquenza
minorile a Torino», c'è la seguente richiesta «Al posto delle case di rieducazione proponiamo (...) servizi di
quartiere per ragazzi e famiglie, affidamento familiare o focolari di
semilibertà per i ragazzi», richiesta contenuta nel documento presentato in
occasione del dibattito sull'argomento svoltosi a Torino il 13 giugno 1972.
Nel notiziario dell'ULCES, sempre nel n. 19, è riportata
la lettera indirizzata in data 14 agosto 1972, dal
segretario dell'ULCES stessa a Mons. Pisoni, Presidente della Fondazione Pro Juventute
Don Gnocchi. Nella missiva viene fatto presente che,
in un incontro svoltosi nel mese di maggio, era stato concordato che la Pro Juventute «avrebbe
preso contatti con la Regione Piemonte in merito alla progettata istituzione da
parte della Fondazione Pro Juventute di focolari di
quartiere che avrebbero gradualmente sostituito il ricovero in istituto.
Inizialmente i focolari (2-3 per il 9972) avrebbero accolto solo i minori
handicappati, preferibilmente di Torino e zone limitrofe. In seguito sarebbe
stata esaminata la proposta avanzata che i focolari accogliessero insieme
minori handicappati e non handicappati del quartiere
in cui ciascun focolare era inserito».
Invece di istituire i focolari, la
Fondazione decideva in data 30.8.1972 di licenziare tutti i 58 dipendenti
della sede torinese.
N.
20, OTTOBRE-DICEMBRE 1972
Nell'articolo
«La nave riformatorio Garaventa e proposte
alternative», è inserito un documento, sottoscritto da oltre 2000 persone,
elaborato da un gruppo di lavoro sul disadattamento minorile, costituito a
seguito del dibattito svoltosi a Torino il 13 giugno 1972 concernente «Prime
richieste di interventi relativi alla Sezione di
custodia preventiva al Ferrante Aporti di Torino e
nelle misure cosiddette rieducative» In detto
documento è indicato il seguente obiettivo a breve termine: «Programmazione da parte delle Regioni
Piemonte e Valle d'Aosta di focolari per 6-8 ragazzi in alloggi sparsi nelle
comuni case di abitazione in sostituzione delle
cosiddette case di rieducazione e attuazione dei focolari stessi da parte dei
Comuni e transitoriamente anche da parte delle Province del Piemonte».
Allegato al suddetto articolo vi è altresì il testo
della lettera, indirizzata al Ministro di grazia e giustizia e ad altre
autorità in data 11 dicembre 1972 dal Comitato spontaneo del quartiere Lingotto
Ippodromo di Torino, lettera a cui era stato unito il
documento sopra citato. Nella missiva si precisa che «le istituzioni per minori in attesa di
giudizio o condannati, pur essendo chiuse, per tutti gli altri aspetti devono
rispondere alle esigenze formative dei minori ed essere adattabili a comunità
aperte».
Ne consegue che le «comunità di quartiere, devono avere un numero limitato di posti
(15-20), essere site nel vivo del contesto sociale per
consentire all'interno rapporti umani e sociali validi e una presa a carico da
parte della comunità esterna per rendere inoltre possibile l'inserimento
sociale e lavorativo dei minori appena dimessi. Ovviamente queste istituzioni
non dovranno essere istituite in tutti i quartieri,
ma il loro numero dovrà essere limitato allo stretto indispensabile, nella
considerazione della necessità e dell'urgenza di ridurre gli interventi
repressivi e di realizzare gli interventi di prevenzione oggi pressoché
inesistenti o comunque carenti sul piano quantitativo e soprattutto
qualitativo».
Nell'articolo «Chiediamo
un centro di servizi sociali e sanitari per il nostro quartiere», è riportato
il testo del volantino, predisposto in 6.000 copie dal Comitato spontaneo del
quartiere Mercati generali di Torino, dalle sezioni della zona del PCI, PRI,
PSI, dall'ULCES, dal Consiglio dei delegati dell'Istituto di riposo per la
vecchiaia e dal Centro psico-medico-sociale di Torino
Sud in cui viene sostenuto che «all'anziano deve essere garantita la possibilità di vivere in casa sua
o in piccole comunità e che l'assistenza sociale e sanitaria deve arrivare
fino a lui coni un servizio domiciliare, che del resto il Comune ha iniziato a
creare in alcuni quartieri, ma non nel nostro dove pure esiste il più grande
ricovero della città. 1 ricoveri devono essere man mano svuotati e aboliti in
quanto non garantiscono l'assistenza all'anziano ma
solo la sua emarginazione dalla società».
Ancora nel n. 20, con il titolo «Documento dell'ANIEP», sono riprodotte le conclusioni dell'Assemblea
nazionale della succitata associazione, svoltasi il 24 settembre 1972, in cui
viene denunciata «la mancata attuazione di istituzioni terapeutiche (focolari, pensionati, ecc...)
alternative rispetto ai tradizionali istituti-caserma, dove si continua a
concentrare la massa degli invalidi recuperabili e irrecuperabili, bambini ed
adulti».
N.
21, GENNAIO-MARZO 1973
Nell'editoriale «Comprensori
e servizi di vasta area», viene richiesto alle
Regioni di predisporre interventi per incentivare sia «affidamenti familiari a scopo educativo e comunità alloggio (6-8
posti al massimo) per i minori in situazione di abbandono non adottati e per
quelli che non possono continuare a vivere nel proprio nucleo familiare»,
sia «comunità alloggio per anziani (10-12
posti al massimo) inserite in modo sparso nelle comuni case di abitazione».
Nel documento della Sezione
piemontese della Lega per le autonomie e i poteri locali, riportato con il
titolo «Servizi per handicappati fisici, psichici e sensoriali», viene proposta «la
progressiva deistituzionalizzazione degli
handicappati ricoverati in istituto e la creazione di piccole comunità di
quartiere (8-10 posti) inizialmente solo per handicappati e poi con
l'inserimento anche di non handicappati».
L'articolo «Decentramento
dei servizi proposto dal Comune di Torino» contiene anche una piattaforma
rivendicativa elaborata dal Comitato spontaneo del quartiere Vanchiglia-Vanchiglietta di Torino insieme ad altri movimenti di base. In detto documento viene richiesto al Comune di Torino di predisporre «alloggi individuali e per piccole comunità
per anziani, per minori privi di sostegno familiare, inseriti nel normale
contesto abitativo».
Nel n. 21 è riportato anche il testo della «Legge Regione Umbria 23
febbraio 1973 n. 12» avente per titolo «Norme per
l'assistenza a favore di minori, anziani e inabili al lavoro». Fra gli
interventi previsti dall'art. 4 si segnala la «formazione e finanziamento di piccoli nuclei comunitari».
Con il titolo «Norme
concernenti l'affidamento familiare di minori a scopo educativo» sono trascritti
la relazione ed il testo della proposta di legge n. 750 presentata alla Camera
dei deputati in data 17 agosto 1972 dagli On. Foschi e Cassanmagnago.
L'art. 1 prevede quanto segue: «È equiparato
all'affidamento familiare a scopo educativo il
collocamento in focolari. Essi devono accogliere un massimo di
atto soggetti, avere caratteristiche familiari e svolgere
sistematicamente tutte le attività nell'ambito sociale esterno. I focolari non possono sorgere in località isolate o prive di
servizi e devono avere personale idoneo. Essi devono inoltre assicurare
costanti rapporti personali fra il minore ed i suoi familiari, salvo diversa
disposizione dell'autorità giudiziaria».
Nella rubrica «Non siamo i soli a dirlo», compare l'articolo «Coerenza
cattolica», in cui viene riportata una nota di
Don Piero Gallo, il quale, dopo aver premesso che «le opere assistenziali della Chiesa devono essere esemplari per la società
civile» e che «questo comporta la
croce continua di indagare, di discutere, di mettersi in crisi, di rimetterci
anche finanziariamente», afferma quanto segue: «Come si può pensare che questo sia stato fatto dai responsabili
dell'Opera (Fondazione Pro Juventute Don
Gnocchi, n.d.r.) che,
a maggio prospettano contatti con la Regione, per
concordare la costituzione di focolari e ad agosto chiudono í battenti?».
N.
22, APRILE-GIUGNO 1973
Nell'articolo «Una
proposta alternativa: il gruppo Abele», fra le
varie attività, è precisato che il gruppo «ha
creato ed intende creare "comunità" maschili e femminili. In esse vivono ragazzi e ragazze del gruppo in comunione umana
di beni, di interessi e di lavoro con ragazzi e ragazze privi di appoggio e di
famiglia, ricreandone un'altra, per quanto è possibile ricca di valori da
scoprire, di modelli e anche di tensioni da superare. È una esperienza
comune valida di coeducazione per la crescita di
tutti i membri della comunità nella misura in cui ciascuno sia disposto a
mettersi in discussione e ad imparare dagli altri».
Nel commento redazionale all'articolo «Una falsa alternativa
alla "fabbrica" della follia. L'espediente gattopardesco della
Provincia di Torino», viene affermato che «nessun appoggio è stato dato alle tre
comunità-alloggio istituite dalla Provincia di Torino; una di esse ha
addirittura da tanto tempo parte del proprio personale senza alcun lavoro»
e che «nessuna iniziativa è stata assunta
per aiutare le comunità alloggio spontaneamente istituite da privati; solo una
di esse, dopo molte pressioni, è stata inserita nel servizio di affidamento familiare».
Nel «Documento
sull'assistenza psichiatrica» elaborato dai Sindacati CGIL, CISL, UIL di
Torino, viene sottolineata l'esigenza di «bloccare la costruzione e l'acquisto di
nuovi istituti tradizionali per minori, anziani, handicappati (gerontocomi, psico-gerontocomi, convitti per spastici, per subnormali,
per ciechi)» e viene richiesta «l'applicazione
delle nuove leggi: casa, asili nido, ecc., in modo che siano previsti focolari
per minori, anziani, nei comprensori di case di comune abitazione».
Inoltre per quanto riguarda il settore psichiatrico, viene
proposto che l'attività della Provincia di Torino sia rivolta alla «risocializzazione
dei lungodegenti, premessa indispensabile per la loro dimissione o il loro
affidamento a strutture esterne ed intermedie (comunità alloggio, centri
occupazionali, ecc.)».
Un altro documento dei Sindacati CGIL, CISL, UIL del
Piemonte è riportato nel n. 22 con il titolo «Documento sul piano di sviluppo dell’IRES». Vengono
ricordate le richieste presentate dalle Organizzazioni sindacali alla Regione
Piemonte in data 11 aprile 1972 in cui era scritto quanto segue: «applicazione non emarginante delle nuove
leggi (case, asili nido, ecc.) prevedendo focolari per minori e pensionati per
anziani, inseriti nelle comuni case di abitazione».
Identica richiesta è stata formulata dai Sindacati
CGIL, CISL, UIL di Trento nella relazione presentata in occasione della «Tavola rotonda di Trento
del 24.3.1973 sull'emarginazione».
Nella nota «Approvazione
del disegno di legge per la creazione dell'istituto-centro regionale di servizio
psico-medico-pedagogico», è riportata la lettera
inviata dall'ULCES ai Consiglieri regionali della Valle d'Aosta in cui viene giudicata negativamente la istituzione del ricovero
per handicappati e si propone «per i
minori che hanno difficoltà a rimanere nella propria famiglia o che devono
essere allontanati, soluzioni alternative all'istituto quali, a seconda dei
casi, 1'aiuto economico e sociale alla famiglia d'origine, l'adozione,
l'affidamento familiare a scopo educativo, le micro-comunità
alloggio di 6-8 posti».
N.
23, LUGLIO-SETTEMBRE 1973
Le comunità alloggio e le
case di dimissioni sono comprese fra i servizi para-ospedalieri previsti nel «Regolamento speciale», regolamento che
fa parte dello «Accordo Sindacati -
Provincia di Torino sull'assistenza psichiatrica di zona».
Le comunità alloggio sono,
inoltre, più volte indicate fra i servizi proposti nel «Contributo della Regione Toscana alla
programmazione dei servizi sanitari e sociali».
N.
24, OTTOBRE-DICEMBRE 1973
Nel n. 24 riferimenti alle comunità alloggio sono contenuti nei seguenti articoli:
a) «La Regione
Lombardia vuole emarginare gli anziani?». Viene
criticato il progetto di legge della Giunta della Regione Lombardia, presentato
il 26.4.1973, ed è fatto presente quanto segue: «Si ritiene che le comunità alloggio, di 8-10 posti,
inseriti in modo sparso in comuni case di abitazione o nelle case albergo di un
quartiere, in cui personale faccia regolarmente parte dei servizi pubblici comunali,
gestite analogamente agli altri servizi del quartiere stesso, possano
costituire una soluzione che rispetta nei limiti del possibile la dignità
dell'anziano che non può continuare a vivere da solo; soluzione che andrebbe
quindi privilegiata per sostituire gradualmente gli ospizi.
Tali
comunità potrebbero naturalmente essere realizzate anche mediante l'utilizzo di alcuni piccoli appartamenti singoli con servizi
ausiliari comuni; in tal modo la persona anziana potrebbe mantenere la propria
logica indipendenza di abitudini e ritmi di vita».
b) «Documenti
sugli handicappati». Nel primo documento delle Segreterie provinciali
torinesi CGIL, CISL, UIL del 7 giugno 1973, fra le «rivendicazioni da portare avanti come obiettivo intermedio» è
inserita la seguente: «Assegnazione di alloggi individuali e di piccole comunità alloggio in
applicazione dell'art. 27 della legge 30.3: 1971 n. 118. Gli alloggi e le
comunità alloggio (per 6-10 posti al massimo) dovranno
essere inseriti in modo sparso nelle comuni case di abitazione».
Nel secondo documento delle suddette Segreterie,
anch'esso del 7 giugno 1973, viene richiesto che «una quota degli alloggi (individuali o per
piccole comunità) dell'edilizia economica siano predisposti per le persone e
gruppi che intendano usufruirne. In particolare gli alloggi per gli anz6ani,
per gli handicappati, le comunità alloggio (6-10
posti) per anziani, per minori privi di sostegno familiare, per le persone che
intendono vivere comunitariamente devono tutti essere
inseriti nelle normali case di abitazione. Le comunità ed anche una quota
degli alloggi individuali dovranno avere servizi
collettivi per pasti, per lavaggio biancheria, ecc...».
Nel suddetto articolo è riportata altresì la delibera
del Consiglio provinciale di Torino del 24.7.1973 «Linee
programmatiche per l'assistenza a favore dei subnormali psichici», in cui in
merito alle comunità alloggio, è scritto quanto segue: «Da considerare non come unico possibile surrogato alla famiglia, ma
come alternativo, da valutare caso per caso, all'affidamento a famiglie o a
comunità educative di tipo spontaneo, basato cioè su
rapporti di tipo non professionistico.
Da strutturare in unità differenziate a seconda dei diversi
tipi di compiti, e cioè:
- Centri
base, con caratteristiche di pronto soccorso sociale, per situazioni che
richiedono un inserimento immediato con carattere di provvisorietà, in attesa di soluzioni definitive sia nell'ambito della
famiglia naturale, sia mediante collocazione eterofamiliare;
- Strutture sostitutive del nucleo familiare (quindi per l'inserimento a
tempo illimitato).
In sede di
coordinamento fra comunità della stessa zona o di zone diverse, deve essere individuata
la dislocazione di strutture differenziate in
relazione a queste diverse esigenze, e deve essere possibile il trasferimento
di soggetti da una comunità all'altra in relazione a condizioni oggettive e
soggettive più favorevoli ad un inserimento positivo.
Deve essere
anche prevista la possibilità di rotazione di personale da un servizio all'altro (v. precedente punto 6).
In linea di
massima è da evitarsi la comunità per soli subnormali, ed in ogni caso deve
essere esclusa la dipendenza da Centri di lavoro protetto o da altri servizi
settoriali, che potrebbe costituire una condizione
limitativa rispetto alle finalità educative e di reinserimento in ambiente
normale.
La
composizione numerica ottimale sembra doversi individuare in un minimo di 5 ed
in un massimo di 10 soggetti, a seconda delle
caratteristiche dei soggetti stessi.
Si dovrebbe
tendere alle comunità miste (maschi e femmine); questa condizione è legata ad
un abbassamento dei limiti di età per l'accesso alle
comunità.
Ciascuna
comunità dovrebbe essere destinata a servire la popolazione della zona in cui è
inserita, prevedendo però la riserva di una percentuale di pasti ai casi da
risolvere con criteri diversi da quelli della residenzialità.
Nella fase
attuale, in cui si prevede la costituzione di nuove
comunità (considerando anche quelle necessarie al decentramento degli istituti
di Ceres e del Mainero),
dovrebbero essere adottati i seguenti criteri:
- evitare la
concentrazione di più unità nella stessa zona;
- scegliere una ubicazione vicina ad altri servizi complementari
(scolastici, di tempo libero, ecc.);
- per quanto
concerne l'uso dei locali già disponibili in via Vian, via Baracca di Grugliasco, ecc.
si propone di adibirne non più di uno per edificio a comunità alloggio,
destinando gli altri a servizi di tipo diverso (ambulatori, centri occupazionali,
ecc.); nell'intesa già richiamata nell'ultima parte del 6° comma della lett. a)
dell'art. 7 del presente documento;
- stabilire
un collegamento immediato tra ciascuna comunità e la zona corrispondente (via Vian: Torino sud, via Giolitti e via dei Mille: Torino-Centro,
ecc.).
Anche per le
comunità alloggio, come per i servizi riabilitativi e di assistenza
familiare, la consulenza tecnica deve essere assicurata dalle équipes di zona».
Per quanto riguarda gli organici delle
comunità alloggio «deve essere
previsto un minimo di 5 unità di personale ciascuna (4 con funzioni di
educatori, ed uno con funzioni di governante, con la precisazione che quest'ultima non è la "donna delle pulizie", ma
una persona che, pur avendo il compito di provvedere a tutte le incombenze
materiali: pulizia, cucine, ecc., ha anch'essa un rapporto con i soggetti
assistiti, rapporto che deve essere di tipo educativo e richiede quindi
specifiche caratteristiche professionali assimilabili a quelle delle
"collaboratrici domestiche").
Questo numero
minimo di personale è necessario per garantire, con i turni di presenza dei
singoli operatori nell'ambito dell'orario lavorativo
regolamentare per ciascuno di essi, la copertura dell'orario settimanale
complessivo di 168 ore».
c) «Il
nuovissimo istituto psico-pedagogico della Provincia di Torino è già superato». Nella piattaforma
della Sezione CGIL, CISL, UIL della Provincia di Torino viene
richiesta, in alternativa all'istituto Mainero, la «entrata in funzione entro i primi tre mesi
del 1974 delle prime comunità da tempo previste (Via Baracca, Via Vian)». Nel commento redazionale è inoltre scritto che «la Provincia di Torino è disponibile a
spendere molti soldi (ricordiamo che l'Istituto Mainero
è costato oltre un miliardo per 42 bambini), ma è nettamente
contraria agli interventi che favoriscono l'inserimento sociale anche se meno
costoso (per 42 bambini erano sufficienti 5-6 focolari con una spesa
complessiva non superiore ai 200-250 milioni».
d) «Convegno di Aosta contro la costruzione di un istituto medico-psico-pedagogico, dell'ospedale geriatrico
e di una casa di riposo». Nelle conclusioni del
convegno è proposta la costituzione di «micro-comunità alloggio, in appartamenti di comune
abitazione, per 5-6 handicappati, afflitti da forme anche molto gravi, per i
quali non sia effettivamente possibile evitare il ricovero per cause familiari
e fisiche. Gli stessi criteri potrebbero essere usati
per i dimessi dagli ospedali psichiatrici e da altri istituti nell'ambito di
apposite comunità. Alle comunità dovrà essere garantita, oltre alla presenza
degli educatori interni alla comunità stessa, l'assistenza di
operatori sociali, di personale medico e paramedico specializzato».
e) «Tenda di denuncia e proposte sul disadattamento e sulla delinquenza
minorile». Fra gli
obiettivi a breve termine, vi sono le seguenti
richieste:
a) «creazione
da parte di Comuni e Province di comunità chiuse per 15 ragazzi al massimo che
sostituiscano l'attuale sezione di custodia preventiva del Ferrante Aporti e i carceri minorili. Tali comunità, pur essendo
chiuse a causa delle leggi vigenti, devono essere inserite nel contesto sociale e avere una conduzione non repressiva ma
educativa;
b) «provvedimenti
legislativi della Regione per il finanziamento di affidamenti
familiari a scopo educativo e di comunità alloggio per 6-8 ragazzi in
sostituzione delle case di rieducazione. Promozione e attuazione di affidamenti a famiglie e a comunità alloggio da parte
dei Comuni (e transitoriamente anche delle Province);
c) «finanziamento a sostegno tecnico delle comunità alloggio
"volontarie" oggi esistenti da parte degli Enti locali».
Va segnalato inoltre la recensione della
pubblicazione della Commissione diocesana per la pastorale
dell'assistenza a Torino: «Nuove iniziative
assistenziali per bambini e adolescenti: l'affidamento
familiare, la comunità alloggio, il Centro base».
N.
25, GENNAIO-MARZO 1974
Nella «Proposta
di legge regionale di iniziativa del Comune di Settimo
torinese sui servizi sanitari e sociali» l'art. 22 stabilisce che le comunità
alloggio «sono destinate ad accogliere minori,
handicappati e anziani che non sono in grado di condurre una esistenza autonoma
o sono privi di sostegno familiare.
Le
comunità-alloggio accolgono un massimo di 8 soggetti, hanno una conduzione di
tipo familiare e favoriscono la partecipazione sistematica dei soggetti alle
attività dell'ambiente sociale esterno. Le comunità-alloggio sono uno dei servizi
di zona, pertanto devono essere inserite nelle comuni case di
abitazione, non possono essere raggruppate in uno stesso stabile né
sorgere in località isolate o prive di servizi. Il collocamento dei minori
nelle comunità-alloggio è equiparato ad ogni effetto all'affidamento a
famiglie e persone».
A sua volta l'art. 23 è così formulato: «Le comunità di quartiere sono destinate
alle persone non autosufficienti che non possono essere assistite presso il
loro domicilio e non necessitano di assistenza
ospedaliera. Le comunità accolgono esclusivamente le persone residenti nel
quartiere in cui sono istituite. Resta salvo il diritto
degli utenti di essere accolti in altra comunità di loro scelta. Le
comunità hanno una capienza massima di 20 posti letto».
Infine l'art. 30 stabilisce che il fondo regionale
per gli interventi previsti dalla proposta in oggetto siano
assegnati nella misura del 5% alle comunità alloggio e del 6% alle comunità di
quartiere.
Nell'articolo «Cresce
l'opposizione ai carceri minorili» è riportato, fra l'altro, il documento
approvato dal 28° convegno dei Giovani della Pro-Civitate
Christiana (Assisi, 27-31 dicembre 1973). In detto documento. «per quanto concerne il settore minorile si ravvisa la necessità del raggiungimento dei
seguenti obiettivi: (...) promuovere interventi alternativi mediante la
realizzazione dei servizi aperti che consentano la permanenza del minore nel
suo ambiente di origine e che mobilitino le risorse delle comunità locali: affidamenti
familiari, focolari, pensionati, comunità alloggio, trattamenti in libertà,
ecc...».
N.
26, APRILE-GIUGNO 1974
Nell'analisi redazionale «Leggi e proposte di leggi regionali» viene
osservata l'assenza di previsioni circa «la
creazione di piccole comunità per l'assistenza di tipo collettivo».
A sua volta l'articolo «Forze politiche, sindacali e sociali contro
l'emarginazione degli anziani» che riporta la relazione introduttiva del
convegno tenutosi a Torino il 6.5.1974, contiene una richiesta analoga a
quella precedente: «creazione di piccole
comunità e di case albergo a disposizione di tutti i cittadini che ne abbiano
bisogno».
L'inserimento dei bambini in comunità è uno dei punti
dello «Accordo Sindacati - Provincia di
Torino sul brefotrofio».
Nella seconda parte di questo numero è riportato
integralmente l'articolo «Un esempio di servizio non emarginante» di A.
Brambilla e D. Barlassina
che illustra l'esperienza di una comunità alloggio istituita a Desio.
N.
27, LUGLIO-SETTEMBRE 1974
Si segnala che l'articolo «I gruppi appartamento (o comunità alloggio): una alternativa
reale e valida» è riprodotto nella seconda parte.
Nella nota «I
diritti del minore, la giustizia e l'esperienza rieducativa»
viene riferito in merito al secondo convegno nazionale
di studi giuridici, tenutosi a Taranto dal 23 al 26.5.1974. In una comunicazione
presentata dall'ULCES viene richiesto alle Regioni di finanziare gli
interventi in materia di «affidamenti a
famiglie e comunità alloggio» e, per quanto riguarda gli aspetti penali,
si auspica, la creazione «da parte di
Comuni e Province di comunità chiuse per 15 ragazzi al massimo che
sostituiscano l'attuale sezione di custodia preventiva del Ferrante Aporti e i carceri minorili. Tali comunità, pur essendo
chiuse a causa delle leggi vigenti, devono essere inserite nel contesto sociale e avere una conduzione non repressiva, ma
educativa».
N.
28, OTTOBRE-DICEMBRE 1974
Nell'articolo «Convegno
di Genova», convegno organizzato dall'ULCES,
tenutosi a Genova il 15 giugno 1974, è riportato il documento «Proposte per
l'attuazione delle unità locali dei servizi socio-sanitari
nei quartieri» in cui viene affermato che, quando non sia possibile risolvere i
problemi mediante prestazioni che consentano agli interessati di rimanere
nella loro famiglia o presso il loro domicilio, «si può intervenire con l'affidamento familiare dei minori o con
comunità alloggio di quartiere in normali condomini, sia per i minori che per
gli anziani e gli handicappati».
Nel notiziario dell'ULCES è riportata la «Lettera inviata il 29.9.1974 al
Presidente e ai Membri del Consiglio di amministrazione
dell'ECA di Torino». Premesso che l'ULCES, «ha appreso con vivissima preoccupazione che il Consiglio di amministrazione dell'ECA di Torino avrebbe deliberato
l'acquisto di due ville a Pegli e a Latte per
destinarle a soggiorni per anziani, ragazzi e invalidi», viene richiesto «al Presidente e agli Amministratori
dell'ECA di Torino di voler riesaminare fa destinazione dei fondi suddetti,
utilizzandoli per costruire in Torino comunità alloggio di quartiere per
minori, per anziani, per handicappati, ampliando in questa direzione il
programma già adottato dall'ECA stesso».
Nel n. 28 è riportata una «Nota in risposta alla lettera del Ministro di
grazia e giustizia del 18.9.1974 concernente il Ferrante Aporti».
In detta nota, redatta da numerosi movimenti di base, viene
ribadita «la necessità che il Ministero
di grazia e giustizia stipuli una convenzione con la Provincia di Torino, la
quale da tempo si è dichiarata disponibile ad inserire minori attualmente
assistiti dal Ministero di grazia e giustizia nel proprio servizio di
affidamento a scopo educativo a persone, famiglie e comunità alloggio». Viene inoltre precisato che «la stipula di questa convenzione e l'adozione di provvedimenti civili
da parte del Tribunale per i minorenni consentirebbe la chiusura a brevissimo
termine della casa di rieducazione "Ferrante Aporti"».
La nota prosegue, segnalando che «l'ECA di Torino ha già deliberato l'istituzione di alcune
comunità alloggio nell'ambito dell'utilizzo del lascito Frassati
ed ha allo studio la possibilità di mettere a disposizione del Comune di Torino
gli alloggi per quattro comunità in quattro quartieri:
- una per
ragazzi fino ai 14 anni circa;
- una per
ragazze fino ai 14 anni circa;
- una per
ragazzi di età superiore ai 14 anni;
- una per
ragazze di età superiore ai 14 anni».
N.
29, GENNAIO-MARZO 1975
Gli articoli riguardanti le
comunità alloggio sono i seguenti:
- «Programmazione
dell'unità locale dei servizi e degli interventi alternativi», in cui viene segnalato che «nuovi
servizi sorgono (...) a volte addirittura per avere la "prova" che
essi non funzionano. In questi caso i nuovi servizi
vengono fatti "scoppiare", come è successo per le comunità alloggio
alle quali erano stati affidati solo minori con gravi disadattamenti»;
- «Dibattito
sulle comunità alloggio a Milano», il cui testo è
integralmente riprodotto nella seconda parte di questo numero.
N.
29 BIS, GENNAIO-MARZO 1975
Questo numero speciale di Prospettive assistenziali, dedicato alla proposta di legge di iniziativa popolare «Competenze
regionali in materia di servizi sociali e scioglimento degli enti assistenziali»,
contiene riferimenti alle comunità alloggio alle pagine 15, 21 e 27 (2).
(2) La proposta di legge di iniziativa
popolare è stata presentata alla Camera dei deputati l'8 marzo 1976 con oltre
100 mila firme.
N.
30, APRILE-GIUGNO 1975
Gli articoli contenenti i riferimenti alle comunità
alloggio sono i seguenti:
- «Prime
iniziative in merito alla proposta di legge di iniziativa
popolare», in cui è citato il comunicato stampa emesso dagli organizzatori
del corteo di protesta (Torino 11 aprile 1975), in cui viene precisata che «la stragrande maggioranza dei ricoveri è
dovuta alla carenza di servizi (asili nido, scuole materne, scuole dell'obbligo
a tempo pieno, alloggi e comunità alloggio dell'edilizia economica, ecc.);
- «Organizzazione
dei servizi sanitari e sociali dell'Unità locale e
proposta di regolamento per un servizio di prevenzione sanitaria e sociale, di
cura, di riabilitazione e di promozione sociale» il cui art. 2 prevede gli «affidamenti a famiglie, persone e comunità
alloggio di minori, anziani e handicappati»;
- «Convegno
sui servizi sanitari e sociali di quartiere», svoltosi a Torino il 12-13
aprile 1975, in cui viene denunciato che la Provincia
di Torino ha un servizio «che potrebbe
essere positivo se non fosse boicottato e fermo da quasi due anni: quello
relativo all'affidamento a scopo educativo di minori a famiglie, persone e
comunità alloggio». Inoltre, nella mozione conclusiva viene richiesto al Comune di Torino la stipula di convenzioni
per «l'utilizzazione dei patrimoni delle
Opere pie per realizzare servizi di base alternativi (abitazioni di edilizia
economica, comunità alloggio per minori o anziani, centri socio-sanitari di
quartiere, ecc.»);
- «Interventi regionali per favorire l'inserimento sociale degli
handicappati fisici, psichici e sensoriali». Si tratta di una bozza di proposte di legge predisposta dalla
redazione di Prospettive assistenziali, in cui, all'art. 5, è prevista la «formazione di nuclei comunitari»;
- «Sul licenziamento di sette educatori della comunità del Giambellino», comunità gestita dalla Società Abetina
con la partecipazione del Comune di Milano.
N.
31, LUGLIO-SETTEMBRE 1975
Legge della
Regione Emilia-Romagna n. 27 del 7.5.9975 «Concessione
di contributi in conto capitale a Comuni per la costruzione, l'acquisto ed il
riadattamento di appartamenti polifunzionali», il
cui testo è riportato integralmente nella seconda parte di questo numero.
Nella «Nota sull'affidamento
a scopo educativo di minori a famiglie, persone e comunità alloggio»
redatta dall'ANFAA e dall'ULCES, viene fatto il punto della situazione e sono
specificate le richieste avanzate alla Regione Piemonte, ai Comuni e alle
Province.
N.
32, OTTOBRE-DICEMBRE 1975
Nell'editoriale «Inserimento
di volontari nei servizi dell'unità locale», premesso che fra i volontari «possono e debbono
essere considerati coloro che adottano bambini o li accolgono in affidamento
familiare a scopo educativo», viene affermato che «le comunità alloggio dovrebbero essere equiparate agli affidamenti in
quanto si tratta in realtà di un affidamento vero e proprio, fatto invece che
a famiglie o a persone singole a un gruppo di persone non unite in matrimonio.
L'esistenza di comunità alloggio di volontari non
esclude, anzi postula, la presenza di comunità alloggio gestite con proprio
personale dall'ente locale.
Si può anche
ipotizzare la presenza di volontari in comunità alloggio pubbliche,
specialmente per assicurare ai ragazzi una vita più collegata con la realtà
sociale. In questi casi i volontari potrebbero essere persone che svolgono una loro attività (studenti, lavoratori, artigiani) e che
vivono nella comunità stessa con il vantaggio anche della copertura del
periodo notturno».
L'articolo «la
lotta per la pubblicizzazione dei servizi di riabilitazione
per spastici di Torino» di Alberta Dragone riporta
il documento «Proposte sui servizi per spastici» in cui, fra l'altro, è scritto
quanto segue: «Si chiede la progressiva deistituzionalizzazione degli spastici ricoverati in
istituto e la creazione di piccole comunità di quartiere (8-10 posti)
inizialmente solo per spastici e poi con l'inserimento di ragazzi non handicappati».
Nell'articolo suddetto è anche riportata la proposta fatta dai movimenti di
base al giornale «La Stampa» che aveva lanciato una sottoscrizione per la
costruzione di un centro spastici. Fra le proposte alternative c'è la istituzione di una «comunità
alloggio per spastici privi di sostegno familiare».
Fra le attività di distretto previste nella «Piattaforma presentata dai Sindacati alla
Regione Piemonte, alle Province e ai Comuni sui problemi della sanità e
dell'assistenza» ci sono gli «affidamenti
a famiglie, persone e comunità alloggio di minori,
anziani e handicappati».
Nell'articolo «Iniziative
regionali in materia di affidamento di minori a scopo
educativo» sono riportate le deliberazioni:
- della Regione autonoma della Valle d'Aosta n. 4103
del 7.8.1975 che prevede anche «la concessione
di contributi regionali periodici a favore di enti o
persone idonee e qualificate per la conduzione di gruppi familiari (micro-comunità o focolari)»;
- della Regione Piemonte del 26.9.1975 che stabilisce
che «verrà rimborsata
in tutto o in parte la spesa sostenuta per affidamenti a famiglie o gruppi
famiglie».
N.
33, GENNAIO-MARZO 1976
Nella rubrica «Non siamo i soli a dirlo», con il
titolo «Casa: un diritto anche per gli
anziani» è riportato un articolo di L. Porzio
pubblicato su «Il Pensionato d'Italia». In detto articolo le comunità alloggio
sono indicate fra le strutture da approntare per le
persone anziane.
La «Nota
sull'adozione e sull'affidamento di minori a scopo educativo» inviata
dall'ANFAA e dall'ULCES ai magistrati del Tribunale e della Procura per i
minorenni di Torino in data 28 gennaio 1976 sollecita «l'appoggio del Tribunale per i minorenni per la stipulazione di
convenzioni fra da una parte i Comuni, loro Consorzi e
Comunità montane e d'altra parte il Ministero di grazia e giustizia per la
gestione da parte dei Comuni, loro Consorzi e Comunità montane, nell'ambito dei
servizi comunali o consortili, di affidamenti educativi a famiglie, persone e
comunità alloggio di quei minori per i quali è inevitabile l'intervento rieducativo».
Inoltre viene richiesto che «il Tribunale per i minorenni di Torino non
disponga più affidamenti di minori a persone e famiglie (esclusi beninteso i
genitori e in certi casi i parenti) ed a comunità alloggio, bensì agli enti di
assistenza competenti».
Questa richiesta è motivata come segue: «In tal modo, fra l'altro, si eviterebbe non
solo che il Tribunale per i minorenni eserciti di
fatto competenze non sue, ma anche che gli affidatari
siano privati sia del sostegno tecnico indispensabile per la buona riuscita
dell'affidamento, sia dei contributi economici erogati dagli enti stessi».
N.
34, APRILE-GIUGNO 1976
Il tema delle comunità alloggio è trattato nei
seguenti articoli:
- «Obiettivi
intermedi per il superamento dell'assistenza, preconcetti e
iniziative clientelari». Viene ricordato
che «per la messa in atto di servizi
alternativi (affidamenti e inserimenti e comunità alloggio) (...), il Comune e
la Provincia di Torino hanno istituito un apposito gruppo di lavoro che ha
assunto come linee direttive le seguenti:
-
riferimento a volontari (persone e non enti) per gli affidamenti assistenziali di interdetti, inserimenti di anziani e di
handicappati adulti presso famiglie, persone singole, nuclei parafamiliari
composti da due o più volontari. Riconoscimento ai volontari
di una loro autonomia operativa nell'ambito delle esigenze di un servizio
pubblico;
- riferimento al Comune per l'istituzione dei servizi tecnici necessari
per gli affidamenti e gli inserimenti di cui sopra e per la costituzione e la
gestione diretta di comunità alloggio;
-
convenzione con la Provincia di Torino (e successivamente
con altri enti pubblici) per la gestione da parte del Comune di Torino delle attività
di cui ai punti precedenti anche per le persone assistite dalla Provincia
stessa; inserimento nei servizi comunali di personale della Provincia;
definizione dei rapporti economici fra i due enti»;
- «La comunità
alloggio» di Sandra Rocchi, che viene
integralmente riportato nella seconda parte di questo numero;
- «Problemi
aperti e proposte circa la politica locale dei servizi - Contributo alla
seconda legislatura regionale» in cui viene
affermato che «circa i servizi di base,
si ritengono prioritarie (...) le soluzioni comunitarie alternative all'istituzionalizzazione
(comunità alloggio, affidamenti, ecc.)».
N.
35, LUGLIO-SETTEMBRE 1976
Si segnalano i seguenti articoli:
- «Approvata
dalla Regione Toscana la prima legge delega in materia di assistenza».
Fra le modalità di intervento, l'art. 3 prevede la «formazione di nuclei comunitari»;
- «Delibera
del Comune di Torino sugli affidamenti di minori e
sugli inserimenti di adulti handicappati e di anziani». Nella delibera in
oggetto (una identica è stata approvata dalla
Provincia di Torino), sono definite le seguenti priorità di intervento:
- messa a disposizione dei servizi primari;
- assistenza domiciliare;
- assistenza economica;
- affidamenti educativi di minori, affidamenti assistenziali di interdetti, inserimenti di handicappati
adulti e di anziani presso volontari (famiglie, persone singole, nuclei
parafamiliari);
- istituzione di comunità alloggio.
In merito a queste ultime, la deliberazione in
oggetto prevede quanto segue:
«Le comunità
alloggio, gestite direttamente dal Comune di Torino, devono soddisfare i
criteri generali di cui alla presente delibera; per esse,
inoltre, valgono le seguenti norme generali:
le comunità alloggio possono avere funzioni di pronto
intervento e/o di permanenza prolungata e devono essere ubicate in zone del
territorio cittadino che consentano l'effettiva partecipazione alla vita
sociale, evitando ogni forma di raggruppamento e di emarginazione.
Il personale
addetto è dipendente del Comune di Torino; nella fase iniziale, dietro
convenzione, si prevede anche l'impegno di personale della Provincia di Torino
e di altri enti pubblici. Il personale è educativo, di animazione, infermieristico e di collaborazione
domestica ed opera collegialmente con esclusione di ogni rapporto gerarchico.
Il personale
delle comunità alloggio fa parte integrante dell'équipe socio-sanitaria del
territorio in cui la comunità alloggio ha sede, e quindi partecipa alle
riunioni dell'équipe stessa, compatibilmente con le esigenze dei servizi. L'équipe di zona, nel cui ambito è presente la comunità
alloggio, deve garantire assistenza costante e sollecita ai soggetti in ordine
ai problemi che hanno determinato l'accettazione in comunità. Le ammissioni e
dimissioni degli ospiti delle comunità alloggio sono concordate
dall'équipe sociosanitaria del territorio in cui la comunità ha sede, con gli
utenti stessi e gli esercenti la patria potestà (se gli utenti sono minorenni
o interdetti). Prima del provvedimento definitivo di dimissione è previsto un
periodo di esperimento della raggiunta autonomia dell'utente;
durante tale periodo, lo stesso, pur vivendo fuori della comunità, è seguito
dagli educatori ed è considerato in carico al servizio. Nel caso in cui le
persone da inserire provengano da altre zone, le
ammissioni e le dimissioni sono concordate dall'équipe socio-sanitaria del
territorio in cui la comunità alloggio ha sede con l'équipe socio-sanitaria
della zona di provenienza.
Le comunità alloggio di pronto intervento devono accogliere tutti i
casi urgenti del quartiere o dei quartieri ai quali esse fanno riferimento.
Ad ogni
comunità verrà messo a disposizione un fondo per spese
di gestione ordinaria da amministrare direttamente dagli operatori della comunità
stessa. L'entità di tale fondo, che potrà variare in
relazione alle esigenze ed al numero delle persone presenti in comunità,
verrà determinato con successivo provvedimento istitutivo di ogni singola
comunità.
Presso
ciascuna comunità può essere ammesso, a scopo di
tirocinio, un allievo di una scuola di formazione per educatori.
L'attività
di tirocinio si svolge con le modalità convenute con la scuola, sotto la
diretta responsabilità degli educatori; in ogni caso tale attività non può
svolgersi per più di 20 ore settimanali ed il tirocinante non può mai
sostituire un educatore. Il tirocinante può partecipare alle riunioni del
personale, formative ed informative, ed a quelle delle équipes
socio-sanitarie del territorio.
Il Comune di
Torino provvederà a stipulare un'assicurazione per la
responsabilità civile derivante da danni cagionati dai soggetti ospitati in
comunità a se stessi, ad altri utenti, agli operatori ed a terzi.
In
particolare per le comunità alloggio dei minori valgono
i seguenti principi:
Nelle
comunità alloggio per minori possono essere ospitati minori in rapporto massimo
di due a uno rispetto agli adulti educatori. Il gruppo
degli educatori è orientativamente formato da almeno
4 persone; in ogni comunità inoltre opera, in collaborazione con educatori e
minori, un'assistente domiciliare che fa parte dell'équipe di zona. Il gruppo degli
educatori opera, come già indicato, collegialmente,
con esclusione di ogni rapporto gerarchico per l'attuazione del processo
educativo terapeutico.
La
realizzazione di queste finalità ed il funzionamento della comunità alloggio secondo le direttive collegiali degli educatori,
possono essere garantiti da uno di essi eletto a tempo determinato.
Specifiche
attribuzioni di responsabilità in ordine a particolari esigenze funzionali
sono attribuite a singoli educatori indicati collegialmente
da tutto il personale educativo.
È compito
specifico dell'équipe socio-sanitaria di zona assicurare il mantenimento e
l'eventuale promozione di tutti i rapporti significativi
dei soggetti ospitati con le famiglie e le strutture sociali interessate,
anche in vista del ritorno dei soggetti stessi nei nuclei di origine o del
loro affidamento o inserimento presso volontari o del loro autonomo inserimento
sociale.
È prevista
la rotazione, in altri servizi del Comune, del personale delle comunità alloggio.
In
considerazione della delicatezza o della specificità del compito degli
educatori, ad essi si richiedono particolari doti
culturali di formazione personale. È pertanto richiesto per l'assunzione il
possesso di un diploma conseguito presso una scuola di formazione per
educatori, che sia articolata in almeno 3 anni di
attività didattica e formativa - oppure in un biennio più un anno di
formazione speciale - che si concludano con una tesi di diploma.
In mancanza
di tale diploma, potranno essere assunti come educatori coloro che posseggano una precedente esperienza di lavoro di almeno due
anni, in iniziative assistenziali di enti od associazioni pubbliche o private
nella gestione di gruppi che presentino caratteristiche analoghe alle comunità
alloggio, oppure in altre attività educative (tempo libero, assistenza sociale,
ecc.); a tale personale dovrà essere richiesta durante il primo anno di
servizio, la frequenza a corsi integrativi di qualificazione. Il Comune con apposito provvedimento istituirà il ruolo di educatore
specializzato.
In relazione alle particolari dinamiche educative e terapeutiche,
attuate con il servizio della comunità alloggio in ciascuna di esse si formerà
una tabella relativa all'orario settimanale di servizio degli educatori che
risponda alle seguenti esigenze:
- continua
disponibilità al servizio di almeno un educatore nelle 24 ore;
- presenza
in comunità di almeno due educatori nei momenti principali della giornata (risveglio, pasti, tempo libero, ecc.).
Per ciascun
soggetto ospitato nella comunità di zona, presso la sede dell'équipe
socio-sanitaria del territorio sarà tenuta una cartella psicomedico-sociale
che dovrà essere costantemente aggiornata a cura di tutti gli operatori competenti.
In
particolare per le comunità alloggio per handicappati adulti e comunità alloggio per anziani valgono í seguenti principi:
- il numero
degli ospiti non deve essere superiore alle 10 unità;
- nelle
comunità alloggio opera personale di aiuto domestico,
personale infermieristico e di animazione, appartenente all'équipe di
territorio. Il numero, le modalità ed i tempi di impiego
di questo personale verranno stabiliti a seconda delle esigenze degli utenti,
delle risorse della zona, dell'équipe del territorio;
- si
applicano anche a queste comunità, compatibilmente con quanto detto nei punti
precedenti, le disposizioni previste per le comunità alloggio
per minori»;
- «Convenzione
fra il Comune e la Provincia di Torino in materia di servizi sanitari e socioassistenziali decentrati». Con questa convenzione «il Comune di
Torino si impegna a mettere a disposizione degli assistiti di competenza della
Provincia di Torino i propri servizi alternativi». A sua volta «la Provincia di Torino si
impegna a mettere a disposizione del Comune di Torino le proprie
strutture e attrezzature socio-sanitarie; si impegna inoltre a stanziare i
mezzi finanziari previsti per la realizzazione dei servizi in questione»;
- «Delibera della Giunta regionale del Piemonte sugli affidamenti e
inserimenti del 13.4. 1976». La delibera disciplina gli interventi regionali in materia di «affidamento a scopo educativo di minori, affidamento assistenziale di
interdetti ed inserimento di invalidi adulti e di anziani presso famiglie,
persone e comunità alloggio». È inoltre previsto che «le comunità alloggio non accolgano di regala
più di otto soggetti ed abbiano caratteristiche para-familiari»;
- «L'istituto Villa Perla e l'Unità». Viene riportata una lettera inviata dall'ANFAA e dall'ULCES al
direttore dell'Unità ed agli assessori alla sicurezza sociale della Regione
Liguria e del Comune di Genova per protestare contro la manifestazione indetta
per il 30° anniversario della fondazione dell'istituto Perla. Fra le proposte
alternative al ricovero è indicata la istituzione «di affidamenti a scopo educativo a famiglie
e persone, di comunità alloggio inserite nel normale contesto abitativo»;
- «Assistenza
educativa domiciliare per gli handicappati» in cui viene
sostenuta la necessità della «attribuzione
al personale (del servizio di assistenza educativa domiciliare, n.d.r.) di un ruolo
educativo prevedendo la possibilità di un interscambio delle mansioni con altri
educatori presenti nel territorio (comunità alloggio, ecc.)».
N.
36, OTTOBRE-DICEMBRE 1976
Nella «Proposta
di interventi nel campo dei servizi sanitari e
socio-assistenziali», documento presentato dal Coordinamento sanità e assistenza
fra i movimenti di base al convegno di Torino del 18.12.1976, viene richiesto
alla Regione ed agli Enti locali di assumere iniziative che «consentano la messa a disposizione di
servizi non assistenziali, tali da ridurre le richieste di assistenza». Fra
i servizi suddetti sono indicati gli «alloggi
dell'edilizia economica e popolare per nuclei familiari, per singoli, per piccole
comunità, per anziani, minori, handicappati adulti». Inoltre è rivendicata
«l'istituzione di servizi per affidamenti
educativi di minori, affidamenti di interdetti,
inserimento di handicappati adulti e di anziani presso volontari e presso
comunità alloggio gestite da Comuni, Consorzi di Comuni e Comunità montane».
Nel documento redatto da CGIL, CISL, UIL di Milano «Per l'integrazione sociale degli handicappati»
viene affermato che «i servizi diurni e le comunità alloggio sono le strutture intermedie
favorenti, in questo momento storico, il processo di integrazione». Le
comunità alloggio sono «intese quale presidio transitorio, per alcuni casi, di soggetti tolti
dalle istituzioni totali e che si vogliono inviare in forma definitiva alla
famiglia e, per altri casi, quale presidio cui ricorrere in carenza momentanea
della famiglia o in assenza del benché minimo riferimento parentale».
Nella «Ricerca
degli studenti di Aosta sull'emarginazione» viene
sostenuto che «la creazione della
comunità casa-famiglia per anziani, sita in viale Europa (...) costituisce una
valida alternativa al ricovero in istituto». Un giudizio positivo è dato
anche al «Centro base per minori di Via Martinet, creato da un gruppo di cittadini, in attesa che il Comune intervenisse ad assumere le sue
competenze in materia. Esso consiste in un servizio che fa fronte a situazioni
improvvise di abbandono di minori, senza sradicarli
dal loro ambiente».
Nel n. 36 è anche inserita la recensione della
pubblicazione di F. Garugati,
F. Emiliani, A. Palmonari,
Il possibile esperimento, Edizioni
AAI, Roma, 1975, pp. 325, una importante ricerca sulle
comunità alloggio.
N.
36 BIS, DICEMBRE 1976
Nel n. 36 bis, libro bianco sull'operato
della Regione Piemonte in materia di sanità, assistenza e formazione di base,
aggiornamento e riqualificazione degli operatori sono contenuti riferimenti
alle comunità alloggio nello «Schema degli orientamenti politici ed operativi esistenti nei settori
della sanità e dell'assistenza», e nelle pagine 29 e 36.
N.
37, GENNAIO-MARZO 1977
Riferimenti al tema delle comunità alloggio sono contenuti nei seguenti articoli:
- «Adozione
o affidamento?»;
- «Analisi e proposte sull'Istituto provinciale per l'infanzia di
Torino»;
- «Emarginazione
assistenziale e linee di intervento dell'ANFAA e
dell'Unione».
N.
39, LUGLIO-SETTEMBRE 1977
Il tema delle comunità alloggio è trattato nei
seguenti articoli:
- «Situazione
dei servizi socio-assistenziali a Torino»;
- «Dibattito
sul carcere minorile». Viene richiesto che «come soluzione intermedia e transitoria, la gestione da parte del
Comune di Torino di un gruppo famiglia di ragazze nei confronti
delle quali il tribunale per i minorenni ha deciso una misura rieducativa». Inoltre viene
chiesto «l'immediato intervento del
Comune di Torino affinché gestisca l'attuale comunità maschile (attualmente
gestita dal Ministero di grazia e giustizia)».
N.
40, OTTOBRE-DICEMBRE 1977
Nella «Bozza
di proposta di legge regionale di iniziativa popolare
"Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e costituzione
delle Unità locali di tutti i servizi"», le comunità sono previste
dall'art. 8.
L'articolo di Oluf Gream «Abitazioni indipendenti per adulti insufficienti mentali: una esperienza danese» fornisce la seguente informazione:
«Abbiamo delle
case dove gli assistiti trascorrono un periodo per imparare a cavarsela da
soli in vista di un eventuale inserimento in "comunità alloggio".
Chiamiamo così degli appartamenti (per esempio cinque camere, dove vivono
quattro clienti), posti sotto la responsabilità di un
operatore sociale che supervisiona 4 0 5 di queste "famiglie"».
La «Proposta
di legge DC sull'affidamento educativo e sull'adozione», presentata alla
Camera dei deputati in data 17.6.1977 dall'On. Cassanmagnago
e da altri parlamentari, stabilisce all'art. 2, primo comma,
quanto segue: «Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo ad
assicurargli un adeguato sviluppo psico-fisico, può essere affidato ad
un'altra famiglia, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo
familiare, al fine di ottenere il mantenimento, l'educazione e l'istruzione».
L'articolo «Un
servizio di avanguardia destinato ad estinguersi?»
è pubblicato in veste integrale nella seconda parte di questo numero.
N.
41, GENNAIO-MARZO 1978
Anche l'articolo di E. Pascal «Comunità
alloggio per ex ricoverate in manicomio: dal progetto alla realizzazione
nel Comune di Settimo Torinese» è integralmente riportato nella seconda
parte.
Riferimenti alle comunità alloggio sono contenuti
negli articoli:
- «I servizi sanitari
e assistenziali a Cuba», di F.
Gobetti;
- «Contro la
discriminazione dell'assistenza psichiatrica»;
- «La chiusura
del Mainero».
N.
42, APRILE-GIUGNO 1978
I seguenti articoli contengono riferimenti al tema
delle comunità alloggio:
- «Esigenze degli assistiti e tentativi di salvataggio degli enti e
delle IPAB»;
- «Piattaforme regionali e locali del Sindacato su sanità, assistenza e
psichiatria»;
- «Ricerca
sull'emarginazione coatta in manicomio nella Provincia di Torino», di E. Pascal;
- «Iniziativa
della Sezione Lombarda» in cui è riportata una sintesi delle proposte
emerse dal Seminario di aggiornamento
sull'emarginazione minorile, tenutosi a Milano il 17-18 giugno 1977. In merito
alle comunità alloggio, il documento si esprime nei seguenti termini:
«L'affidamento
a comunità-alloggio, a gruppi-appartamento a centri-base o pensionati di quartiere
e così via, si presenta come una alternativa
interessante nella prospettiva di una politica sociale di prevenzione, sia per
affrontare situazioni estreme di disgregazione e conflittualità familiare che
situazioni in cui il modello familiare tradizionale di socializzazione non
regge alle difficoltà del minore.
Le proposte
sulle quali operare:
1) Programmazione
e istituzione da parte dell'ente pubblica locale, in forma diretta, di servizi
di comunità-alloggio, di gruppi-famiglia e pensionati di quartiere alternativi
alle attuali strutture emarginanti, sia in via preventiva che
riparativa, integrati con i servizi di zona e di
quartiere.
2)
Sollecitare strutture sia pubbliche che private
tradizionali a riconvertirsi in strutture più piccole e decentrate, con un
totale mutamento di sistemi organizzativi, che non sia solo un trasformarsi
per sopravvivere, ma preveda la reale ristrutturazione di molti istituti in
servizi di quartiere, mentre i minori possano essere collocati in
gruppi-famiglia, micro-comunità o altre soluzioni
alternative.
3) Fermo
restando la verifica e il controllo da parte dell'ente pubblico, garantire alle
sperimentazioni in corsa aiuti fondamentali, quali: gli alloggi (stanti le
gravi difficoltà a trovare privati disposti ad affittare i propri a questo
scopo), sostegno finanziario, sostegno medico e psico-pedagogico
e assistenza legale e assicurativa».
N.
43, LUGLIO-SETTEMBRE 1978
L'articolo «Presentata
la proposta di legge regionale piemontese di iniziativa
popolare "Riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali e
costituzione delle unità locali di tutti i servizi"», illustra i
motivi in base ai quali è stata assunta questa forma di pressione. Uno di essi è la deistituzionalizzazione. Al riguardo, fra gli
interventi alternativi al ricovero previsti dall'art.
8, vi sono gli «affidamenti educativi di
minori, affidamenti assistenziali di interdetti, inserimenti di handicappati
adulti e di anziani presso famiglie, persone e nuclei parafamiliari composti da
due o più volontari o in comunità alloggio gestite dalle Unità locali o autogestite».
L'articolo «Modificata
la legge della Regione Toscana sull'assistenza» contiene il testo della
nuova legge regionale in cui, come nella precedente, fra gli interventi
previsti, c'è la «formazione di nuclei
comunitari».
Un riferimento alle comunità alloggio è contenuto nell'articolo «Situazione
dei servizi assistenziali di Salerno. Rilevazioni e proposte».
Altri riferimenti vi sono nella
nota dal titolo «Alloggi e comunità alloggio per minori, anziani e handicappati» che tratta
in particolare il problema delle leggi vigenti «che rendono concretamente possibile l'assegnazione di alloggi e di
comunità alloggio».
Altri riferimenti ancora sono contenuti nella «Piattaforma per gli
handicappati psichici ultraquattordicenni» predisposta dai Comitati spontanei
di quartiere di Torino Mirafiori Nord, Sud-Ovest
e Città Giardino nell'aprile 1978.
Infine il tema è presente nella notizia «Iniziative della Sezione toscana»
dell'ANFAA.
N.
44, OTTOBRE-DICEMBRE 1978
Nell'articolo «Indicazioni
programmatiche degli interventi a favore degli handicappati in età superiore
ai 14 anni», che riproduce il testo della deliberazione del Consiglio
comunale di Torino del 12 settembre 1978, viene
riconfermata la scelta della deistituzionalizzazione
e la predisposizione, fra l'altro, di comunità alloggio per minori,
handicappati, adulti, anziani. In particolare viene
segnalata la prossima «istituzione di una
prima comunità alloggio per 5 handicappati adulti in Via Monginevro 49».
Il tema della comunità alloggio è presente anche nell'articolo «Proposta
di riorganizzazione del servizio di affidamento
educativo di minori».
N.
45, GENNAIO-MARZO 1979
Nell'articolo «Regione
Emilia-Romagna. Direttive per la vigilanza degli
istituti e servizi per minori e per i rapporti dei consorzi con gli organi
dello Stato e con la giustizia minorile», è riportato il testo integrale
della deliberazione del Consiglio regionale dell'Emilia-Romagna n. 1728 del 14 settembre 1978. Le norme
riguardano non solo gli istituti ma anche le comunità alloggio (denominate
gruppi, appartamento). Al riguardo riportiamo integralmente il capitolo III -
Gruppi appartamento:
«1) Premessa
I Consorzi
socio-sanitari eserciteranno il controllo e la vigilanza anche in relazione ai gruppi appartamento, con riferimento alle
direttive generali e alle prescrizioni fin qui riportate, in quanto
applicabili a tale forma di intervento, che dovrà costituire entro 5 anni la
risposta ai bisogni residenziali di minori.
In
considerazione delle specifiche caratteristiche dei
gruppi appartamento si applicheranno le seguenti ulteriori direttive.
I
"gruppi appartamento", devono tendere principalmente ad evitare la istituzionalizzazione dei minori nel territorio e a
favorire contemporaneamente la deistituzionalizzazione
di quelli già ricoverati.
Essi non debbono rispondere a bisogni non risolti ad altri livelli e
da altri servizi.
Deve essere
esclusa la predeterminazione di modelli e di standards
generalizzabili per i "gruppi appartamento- da parte dei Consorzi sociosanitari:
sarà consentita solo la indicazione di tendenze, quali
desumibili anche dalle specifiche prescrizioni che seguono.
2) Utenza
dei gruppi appartamento
Nella
costituzione, gestione e funzionamento dei "gruppi appartamento" deve
essere assicurato il rispetto della territorialità dell'intervento. I
"gruppi appartamento" di regola possono ospitare solo minori
provenienti dal territorio del Consorzio o del comprensorio in cui è ubicato l'appartamento.
La deroga
alla territorialità può essere consentita solo dietro
espressa richiesta dell'autorità amministrativa o giudiziaria del territorio di
provenienza, con il consenso del Consorzio in cui è ubicato il "gruppo
appartamento".
3)
Formazione dei gruppi
Il numero
massimo dei minori per ogni gruppo non deve essere superiore a sette.
La
composizione del gruppo, possibilmente disomogenea per età e sesso, deve
essere fatta dopo un esame della situazione concreta
dei minori, tenendo conto delle loro esigenze e delle richieste espresse dalla
famiglia, o da chi la rappresenta o la sostituisce.
4) Personale
Si deve
favorire l'utilizzazione di personale che garantisca
la massima stabilità e la continuità del rapporto educativo.
5) Gestione
economico-finanziaria
La gestione
del gruppo appartamento deve seguire criteri di semplicità amministrativa e di
partecipazione dei componenti.
6) Struttura edilizia
L'ubicazione
logistica del gruppo appartamento deve favorire l'inserimento sociale e
facilitare scambi e rapporti dei minori con il contesto
sociale.
Gli
appartamenti devono altresì essere dotati di accessi e
di interni funzionali e privi di barriere architettoniche, per renderli
facilmente usufruibili da chiunque».
L'articolo «Verifica
e proposte delle comunità alloggio per minori della
Amministrazione provinciale di Modena», è riportato integralmente nella
seconda parte di questo numero.
Riferimenti alle comunità alloggio sono contenuti
negli articoli:
- «Gli anziani
rifiutati anche dagli ospedali»;
- «Indagine
conoscitiva del Senato sulle modifiche alle leggi dell'adozione speciale e
ordinaria e dell'affidamento»;
- «Destinazione dei patrimoni ex ECA e IPAB».
N.
46, APRILE-GIUGNO 1979
Il tema delle comunità alloggio è trattato nell'articolo «Sei
piattaforme sugli interventi per gli handicappati», piattaforme predisposte dal Coordinamento
sanità e assistenza fra i movimenti di base. Prima della piattaforma, è
riportato il testo del volantino del CSA, distribuito in occasione della
manifestazione di protesta dell'11 novembre 1978 in
cui sono contenute, fra l'altro le seguenti richieste:
«Sia aperta
la comunità di Via Monginevro - Sia aperta la comunità alloggio
di Via Sostegno 37, dopo averne modificato il progetto in modo da renderla
idonea per gli handicappati gravi che non possono camminare».
Nella «Piattaforma sui problemi della sanità e dell'assistenza
riguardante gli handicappati» è scritto quanto segue:
«Anzitutto
si richiede da parte delle Amministrazioni l'impegno a soddisfare almeno il
50% delle nuove richieste di inserimento in tali strutture
con posti gestiti da Comuni o loro Consorzi a partire dal giugno 1979.
Pertanto si
richiede:
che, oltre ai 55 posti programmati per la città di
Torino e ufficialmente annunciati nel comunicato alle Associazioni ed alla
stampa del 10.11.1978, come primo immediato intervento, siano istituti entro il
mese di aprile 1980:
n. 50 posti in Torino
n. 100 posti in Provincia di Torino;
e inoltre, che, in sede di programmazione, sia
prevista la ulteriore possibilità di collocazione entro giugno 1981 di:
n. 50 soggetti in Torino e n. 100 soggetti in
Provincia, mediante deliberazione da assumere entro il giugno 1979».
Nella «Piattaforma sui problemi della casa per gli
handicappati, loro famiglie e altri assistiti e sull'eliminazione delle
barriere architettoniche» viene richiesto «che la convenzione con gli IACP sia
modificata introducendo la percentuale minima (8%) degli alloggi per anziani e
invalidi prevedendo anche alloggi per comunità e per handicappati, anziani,
minori e altri casi sociali».
Si segnala anche l'articolo «Il Comune di Torino ha completato le linee
di intervento nel campo dell'assistenza» che contiene il testo della
deliberazione approvata dal Consiglio comunale di Torino in data 14 marzo 1979
riguardante, «Contributi a carico degli utenti e dei parenti delle persone
assistite dal Comune mediante affidamenti,
inserimenti, comunità alloggio e ricovero in istituti. Approvazione dei criteri».
L'articolo di Karl Grunewald «Comunità
alloggio per insufficienti mentali in Svezia», è riportato integralmente
nella seconda parte di questo numero.
Riferimenti alle comunità alloggio sono contenuti
nella «Mozione
dell'Assemblea nazionale» inserita nel notiziario dell'ANFAA e nella nota
«Linee programmatiche e di intervento della Sezione provinciale di Salerno»
dell'ULCES.
N.
47, LUGLIO-SETTEMBRE 1979
L'articolo «Linee
programmatiche ed educative del gruppo appartamento di
Via Sorsi - Mestre» è pubblicato integralmente nella seconda parte di
questo numero.
Il tema delle comunità alloggio è anche trattato nell'articolo «No a
nuovi istituti di ricovero per bambini», che riproduce il comunicato stampa
del 3.8.1979 per mezzo del quale l'ANFAA prende posizione
contro la notizia che attribuisce a Madre Teresa di Calcutta l'intenzione di aprire
un istituto a Roma per «contribuire a
combattere l'aborto tramite l'adozione».
N.
48, OTTOBRE-DICEMBRE 1979
Il tema delle comunità alloggio è trattato nei
seguenti articoli:
- «Inaccettabile
l'attuale riorganizzazione del settore assistenziale»;
- «Adozione e
affido: analisi delle proposte di legge presentate da
DC, PCI e PSI»;
- «Piattaforma
sui problemi dei non vedenti»;
- «Proposta di
legge del PSI su adozione e affidamento».
N.
49, GENNAIO-MARZO 1980
Fra i problemi affrontati nella «Manifestazione di protesta degli handicappati» svoltasi a Torino
il 1° dicembre 1979 vi è quello relativo alle comunità
alloggio. Infatti nel volantino predisposto in
occasione della manifestazione suddetta, in merito alla situazione degli
insufficienti mentali gravi e gravissimi, è scritto quanto segue: «Mancano soprattutto fuori Torino centri
diurni di attività, assistenza domiciliare, comunità
alloggio per i privi di famiglia, con posti disponibili per i casi di pronto
intervento. Per questo si possono anche utilizzare gli ingenti patrimoni delle
istituzioni assistenziali (IPAB e ex ECA) trasferiti
ai Comuni e che sovente vengono - illegalmente - utilizzati per altri scopi».
Il tema delle comunità alloggio è anche affrontato nell'editoriale «La
riforma dell'assistenza nuovamente all'esame del Parlamento».
N.
49 BIS, MARZO 1980
Il tema delle comunità alloggio è emerso nel corso
del seminario «Interventi sanitari e
assistenziali per gli autosufficienti e cronici nelle Unità
locali dei servizi» svoltosi a Jesolo il 5-6-7 ottobre
1979, i cui atti sono riprodotti nel n. 49 bis.
N.
51, LUGLIO-SETTEMBRE 1980
Nell'articolo
«Proposta di legge quadro sull'assistenza», che riproduce il testo della
proposta di legge n. 1670 presentata alla Camera dei deputati dall'On. Maria Luisa Galli e da altri parlamentari del Partito radicale,
all'art. 2 è previsto quanto segue: «e)
istituzione e gestione di comunità alloggio con un massimo di
otto soggetti».
L'art. 6 della «Proposta di legge "Norme per l'abrogazione delle disposizioni che
sono causa di discriminazione nei confronti delle persone handicappate e per il
superamento delle barriere architettoniche. Istituzione del servizio d'aiuto personale"», proposta di
legge n. 1656 presentata alla Camera dei deputati in data 7.5.1980 dall'On. Molineri e da altri parlamentari del PCI, stabilisce
quanto segue: «Nell'assegnazione di alloggi di nuova costruzione o ristrutturati dell'edilizia
residenziale pubblica una quota non inferiore al 10 per cento è riservata
prioritariamente agli handicappati con gr-avi difficoltà motorie, agli anziani
ed a comunità alloggio per interventi predisposti dai comuni singoli o
associati ai fini di assistenza residenziale di minori, handicappati e di
anziani, fermi restando i requisiti richiesti dalle leggi vigenti per
l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica».
Si segnala che la «Legge della Regione Emilia Romagna "Interventi per favorire
l'autonomia economica e sociale di cittadini portatori di handicap"»
(Legge 29.12.1979 n. 48) prevede all'art. 10 la concessione di contributi «ai Comuni che, in forma singola o
associata, realizzino interventi rivolti a:
a) costruire, acquistare o riattare appartamenti o altre strutture
immobiliari destinate a servizi per handicappati gravi;
b) gestire
in forma diretta o convenzionata con enti pubblici o privati,
e associazioni di volontariato, strutture diurne e residenziali che
richiedano una alta intensità assistenziale ed ospitino un numero di utenti
non superiore a 10, preferibilmente residenti nel territorio del Comune o della
associazione di Comuni. Dette strutture dovranno comunque
essere differenziate con riferimento all'età degli utenti».
N.
52, OTTOBRE-DICEMBRE 1980
Nel n. 52, che raccoglie «Atti del
seminario di studio e scambio di esperienze
sull'affidamento di minori a scopo educativo e sull'adozione», organizzato
dall'ANFAA e dall'ULCES (Pianezza, Torino, 29 febbraio - 1° marzo 1980), si
trovano riferimenti al problema delle comunità alloggio.
N.
53, GENNAIO-MARZO 1981
L'assegnazione di una quota di appartamenti
dell'edilizia economica e popolare da destinare a comunità alloggio è una delle
richieste contenute nell'articolo «Inserimento
lavorativo degli handicappati gravi e interventi per i gravissimi», che
contiene le conclusioni dei gruppi di lavoro istituiti in occasione del
seminario svoltosi a Jesolo dal 17 al 19 ottobre
1980. Le comunità alloggio sono indicate come un
intervento necessario nel documento elaborato dal Gruppo A «Problema dei
gravissimi».
N.
54, APRILE-GIUGNO 1981
Nel «Testo
unificato per la legge di riforma dell'assistenza» approvato dall'apposito comitato ristretto della Camera dei deputati,
all'art. 2 è previsto l'inserimento «in
ambienti parafamiliari o comunitari sostitutivi».
Riferimenti alle comunità alloggio sono contenuti
negli articoli:
- «La cruda
realtà di un istituto di assistenza all'infanzia -
Documenti e testimonianze su "Casa Benefica"»;
- «Affidamenti
educativi di minori e inserimenti di handicappati
adulti presso parenti» (deliberazione del Consiglio comunale di Torino del
10.9.1980);
- «Legge della
Regione Basilicata "Riorganizzazione dei servizi
socio-assistenziali"», il cui art. 9 prevede quanto segue: «Gli enti gestori dei servizi di cui alla
presente legge possono realizzare comunità alloggio per dare ospitalità in
particolare:
- a ragazze madri che non possono permanere presso la loro famiglia;
- a minori comunque privi di idonea assistenza;
- ad altri soggetti che non abbiano una diversa possibilità di
sistemazione.
Per i fini
di cui al precedente comma, gli enti gestori possono avvalersi anche di case
alloggio a gestione privata».
N.
55, LUGLIO-SETTEMBRE 1981
Nel «Programma
del Comune di Torino per la deistituzionalizzazione
dei minori di età inferiore ai sei anni» vi sono i
seguenti riferimenti al tema delle comunità alloggio:
a) «Si può
prevedere di sviluppare accordi con l'edilizia convenzionata ed agevolata, per
la messa a disposizione di alloggi da destinare a
comunità alloggio. Una tale collaborazione è già in atto e continua con
l'Istituto autonomo case popolari ed ha permesso di reperire
alloggi già destinati a comunità alloggio (due) e che sono in corso di
ristrutturazione (sei)»;
b) «Comunità alloggio di pronto intervento. Vengono
così denominate le comunità alloggio per piccoli fino ai 10 anni. La specificazione
"pronto intervento" sta a significare la
volontà di limitare nel tempo, il più possibile, la permanenza dei bambini in
comunità alloggio, considerato che comunque si tratta di un servizio di tipo
assistenziale, non prioritario nella scala delle risposte da dare ai
cittadini, dovendo invece dare precedenza a soluzioni di tipo familiare.
Via Massena 11 (Quartiere Crocetta): 0-10 anni. Dal gennaio
1979 al dicembre 1980 sono stati ospitati 73 minori con una permanenza media di
40-50 giorni. L'organico è composto da 7 educatori
(comprendendo anche puericultrici) e 2 colf.
La comunità
ha rappresentato per i 3/4 dei minori la possibilità di ricercare soluzioni più
idonee quali il rientro in famiglia, l'affidamento 0 l'adozione
e per 114 la possibilità di ricercare con più oculatezza un istituto
maggiormente adatto.
La comunità
ha funzionato fino ad oggi esclusivamente come filtro al ricovero in istituto
e non come possibilità di deistituzionalizzazione.
Via Moncrivello 5 (Quartiere Regio Parco): 0-6 anni. È in
funzione dal dicembre 1980 come decentramento di un reparto I.P.I.M. (9 bambini) con 10 puericultrici provenienti dall'I.P.I.M. (personale provinciale quindi) e due colf del Comune. Sino ad oggi sono stati ospitati 16 minori
di cui 10 dimessi: 3 in adozione, 1 in affidamento, 6 tornati in famiglia.
Questa
struttura ha quindi per ora funzionato anche in
direzione della deistituzionalizzazione (i nove bambini
da anni presenti all'I.P.I.M.).
Entrambe le
comunità accolgono per ora bambini da tuta la città, fatta salva la priorità
di accogliere i bambini del quartiere in cui sorgono e
i limitrofi.
Una stima
approssimativa conta un centinaio di richieste di ammissione
inevase in oltre due anni, determinate oltre che dalla mancanza oggettiva di
posti liberi dalla natura del caso che faceva prevedere una permanenza di mesi
e di anni in comunità.
È chiaro
che, con l'aumento del numero di comunità alloggio si potrà venire incontro
anche a queste richieste, ed una loro maggiore presenza sul territorio permetterà
più aderenza ai bisogni dell'utente ed un maggior collegamento con il
quartiere, le sue risorse (scuola e tempo libero) e con gli operatori.
In apertura:
Via Lodi, 10
- Via Dina, 37 (decentramento
I.P.I.M.)
In
allestimento:
sedi individuate: C.so Cadore: deve essere definita con
il quartiere Vanchiglia la fascia di età. In corso di
ristrutturazione:
Via Vespucci
Corso
Matteotti, 15
Via Verolengo, 113»;
c) «Per le
fasce basse di età funzionano inoltre comunità aperte in
convenzione con le cooperative di volontari che usufruiscono di contributi
finanziari del Comune e che ospitano soltanto bambini del quartiere:
Via Bellardi, 76 - Quartiere Parella
Via Cattolengo, 26 - Quartiere Aurora
Via degli
Ulivi - Quartiere Falchera
Sono inoltre
in apertura, sempre in convenzione con cooperative:
Via Bianco,
11 - Quartiere Parella
Via Cernaia, 30 - Quartiere San Donato
(solo provvisoriamente)»;
d) «Un problema
serio per le comunità pubbliche gestite interamente
dal Comune con propri dipendenti è l'alto numero di personale impiegato
(dovendo garantire i turni in compresenza), con conseguenti problemi di
identificazione affettiva del bambino, omogeneità di intervento pedagogico,
rischi di confusione di ruoli tra educatori, puericultrici e colf.
I problemi
sopraelencati, se è vero che si ridimensionano quando
si verifica una presenza limitata nel tempo del bambino, diventano invece di
più seria portata e di difficile soluzione al momento di ipotizzare una
permanenza più lunga, e quindi se si accentua per la comunità alloggio il ruolo
di ambiente sostitutivo della famiglia e non di semplice appoggio».
Le comunità alloggio sono
indicate come una soluzione alternativa concreta nell'articolo «I villaggi SOS: una
vecchia forma di beneficenza» di Don Michele Abrate.
L'inserimento in «piccole
comunità alloggio» è una delle proposte avanzate in occasione della «Campagna contro il ricovero
in istituto», promossa dal CSA di Torino.
N.
56, OTTOBRE-DICEMBRE 1981
Riferimenti al tema delle comunità alloggio sono contenuti nei seguenti articoli:
- «Proposta di
una organizzazione specifica dell'assistenza a livello
locale»;
- «Progetto
per la riduzione della istituzionalizzazione degli
handicappati gravissimi», redatta dall'USL di Parma «Bassa
Est». In merito alle comunità alloggio è scritto quanto segue: «Si ritiene indispensabile che, anche
secondo le indicazioni contenute nel progetto obiettivo regionale, il
territorio sia dotato di un adeguato numero di comunità alloggio per
gravissimi: non è infatti aleatoria l'ipotesi di una
impossibilità da parte della famiglia a gestire, temporaneamente o
definitivamente, il soggetto handicappato gravissimo.
È chiaro che
il ricorso alla comunità alloggio deve essere l'ultima ed estrema risorsa, in
assoluta assenza di alternative, e come tale deve essere
considerato da chi lo propone.
Se mai va
fatta qualche considerazione sul rischio di "istituzionalizzazione"
di questa struttura (e in ciò si coinvolgono anche gli attuali servizi): il
fatto che una persona viva in una comunità di questo genere, non implica che
egli stesso non abbia le stesse necessità, problemi,
richieste, di quando viveva in famiglia. Può sembrare una constatazione
ovvia, tuttavia è necessario che, perché siano veramente rispettati questi
diritti, l'organizzazione della comunità (di questa specifica comunità) sia attentamente valutata.
In sostanza
si deve fare in modo che la comunità non diventi una "istituzione
totale", sia pure ridotta ai minimi termini.
L'ospite deve vivere al suo interno solo una parte della sua giornata, fruendo
per la restante parte, dei servizi, territoriali o no, destinati ad altri
gravi, delle possibilità di socializzazione ecc., con
l'aiuto di operatori che non siano gli stessi della comunità alloggio, per
evitare, da parte di essi, comportamenti totalizzanti.
In parole
povere, l'ospite dovrà potere, durante il giorno, affrontare le proprie
necessità fuori dall'appartamento, nell'ottica del
soddisfacimento individuale delle proprie necessità, al di fuori il più possibile,
delle necessità dell'istituzione».
Segnaliamo anche l'articolo di B. Finzi
«Un esempio antico e attuale di intervento per gli anziani: gli "ospedaletti" di Venezia», una forma di intervento
molto simile alle attuali comunità alloggio.
N.
57, GENNAIO-MARZO 1982
Gli articoli contenenti riferimenti alle comunità alloggio sono i seguenti:
- «Riforma dell'assistenza e privatizzazione delle IPAB»;
- «Progetto
parlamentare di riforma dell'assistenza» (art. 2
parla di «ambienti parafamiliari o comunitari
prescelti»);
- «Interventi
per minori handicappati gravi», di F. Nardocci in cui viene citata la
comunità di Via del Pozzo di Modena;
- «L'assistenza sociale all'infanzia in Francia» (circolare del Ministero della sanità e della
sicurezza sociale del 23.1.1981). In particolare viene affermato quanto segue: «Onde evitare l'inutile moltiplicazione del numero dei ricoveri verranno ampliate le competenze dei focolari e dei
pensionati per minori. Essi non devono più essere considerati sistematicamente
come istituzioni per il primo accoglimento del bambino, prima
dell'avvio ad una sistemazione più stabile. Senza rinunciare, quando è
necessario, alla loro funzione di pronto intervento i focolari ed i pensionati
per minori devono provvedere alle medie e lunghe permanenze come gli istituti
assistenziali per l'infanzia. Anche questi ultimi
svolgeranno un ruolo più ampio accogliendo i casi urgenti delle zone di
competenza».
N.
57 BIS, GENNAIO-MARZO 1982
Alcuni accenni alle comunità alloggio sono contenuti
nel n. 57 bis in cui sono pubblicati gli «Atti del convegno "Adozione, adozione internazionale, affidamento familiare: a che punto
siamo con la riforma legislativa"», convegno svoltosi a Milano il
25.9.1981 e organizzato dall'ANFAA e dal CIAI con il patrocinio della Provincia
di Milano.
N.
58, APRILE-GIUGNO 1982
Un riferimento alle comunità alloggio è contenuto
nell'articolo di E. Pascal «Dal manicomio al servizio di salute
mentale territoriale».
N.
59, LUGLIO-SETTEMBRE 1982
Nell'articolo di G. Pagliarello
e M. Tortello «IPAB, riforma
dell'assistenza e ruolo della comunità cristiana», fra le iniziative
alternative al ricovero in istituto è indicato «il volontariato in comunità alloggio».
Le comunità terapeutiche sono comprese (Cfr. l'articolo «Attuazione della riforma sanitaria
nell'USSL 67 della Lombardia») «fra
le prestazioni relative alla diagnosi e alla terapia di
patologia neuro-psichica (cerebropatie infantili, epilessia, psicosi, caratteropatie, patologie della famiglia, disadattamento
sociale, ecc.)» per quanto concerne l'area dell'età evolutiva: 0-18 anni.
L'art. 21 della «Legge
della Regione Umbria per il riordino dei servizi assistenziali»
(L.R. 31.5.1982 n. 29) prevede fra l'altro, le
seguenti prestazioni: «b) gruppo
appartamento che si caratterizza come comunità destinata a minori ed adulti
con particolari problemi personali e sociali ed è inserito in normali case di
abitazione situate in zone residenziali; accoglie un numero limitato di
persone tra le quali sia possibile la convivenza e si struttura come comunità autogestita o gestita con la partecipazione della
popolazione locale e con la presenza stabile di operatori sociali e di
volontari;
c) comunità educativo-assistenziale destinata ad accogliere minori per
i quali non sia stato possibile provvedere
diversamente e sia necessario un particolare sostegno educativo diretto ad evitare
o a riparare un eventuale disadattamento ed a favorire lo sviluppo di efficaci
rapporti interpersonali. In essa è prevista la
presenza stabile di un numero sufficiente di operatori appositamente
qualificati;
d) comunità
terapeutica finalizzata in particolare a trattamenti di riabilitazione di
soggetti portatori di disturbi di natura psichica o fisica e caratterizzata
dall'integrazione tra operatori e soggetti assistiti».
Nell'articolo «Approvata
dal Senato la nuova disciplina in materia di adozione
e di affido» è trascritto il testo che, con alcune modifiche marginali,
diventerà il contenuto della legge 4 maggio 1983 n. 184.
Il testo prevede (1° comma dell'art. 2) quanto segue:
«Il minore che sia
temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad
un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o
ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento,
l'educazione e l'istruzione».
La «costituzione
di almeno un servizio alloggiativo in tutte le Unità
locali» è previsto nell'articolo che riporta il «Documento base del Coordinamento nazionale tra le associazioni ed i
movimenti di base per i problemi dell'emarginazione e dell'handicap». Nel
documento in oggetto è previsto che «ciascuno
di questi servizi non deve superare gli 8-10 posti».
Nell'articolo «Manifestazione
di protesta», è riportato il testo del documento redatto in occasione del
corteo di protesta organizzato il 26 giugno 1982 dal Coordinamento sanità e
assistenza fra i movimenti di base di Torino. In detto documento è scritto
quanto segue: «A causa della drammatica
situazione esistente, chiediamo alla Regione (Piemonte, n.d.r.) di
predisporre un piano di emergenza, da attuarsi entro
il 1984, per la costituzione in ciascuna delle U.S.L. che ne sono prive: -
almeno una comunità alloggio di 8-10 posti per handicappati gravi...».
Inoltre viene sottolineato
che fra «i più importanti problemi
irrisolti» vi è la «grave mancanza
di comunità alloggio pubbliche e private n, per cui il n ricovero viene
praticato anche in istituti del tutto inidonei».
N.
60, OTTOBRE-DICEMBRE 1982
L'articolo «Indagine
sull'istituto provinciale per l'assistenza all'infanzia di Milano» contiene
in premessa una critica alle conclusioni della commissione incaricata di
esaminare la situazione dell'IPPAI. In detta nota critica viene
affermato che «per l'avvio di un corretto
processo riformatore ci sembra necessario (...) promuovere soluzioni che
realizzino il decentramento zonale dei servizi, favorendo la costituzione di
poli di servizi polifunzionali di zona che consentano risposte non emarginanti
(comunità alloggio di zona per minori e adulti, affidi educativi, ecc.)».
La «Legge
della Regione Piemonte per il riordino dei servizi socio-assistenziali» (L.R. 23 agosto 1982 n. 20) prevede, fra i servizi
residenziali tutelari, la comunità alloggio quale struttura «destinata ad ospitare un ristretto numero
di soggetti autosufficienti o parzialmente non
autosufficienti, che per particolari motivi non possono vivere autonomamente o
presso loro familiari o essere affidati a famiglie o gruppi parafamiliari o
persone singole».
È inoltre previsto che «le comunità alloggio possono essere inserite in normali strutture abitative
oppure, in un numero massimo di quattro e organizzate in modo da rispettare la
privacy individuale, in strutture in cui vi siano servizi rivolti a tutta la
popolazione, quali mense, luoghi di incontro e di
socializzazione» e che «l'inserimento
in comunità alloggio (...) deve essere limitato al tempo per cui perdura
l'impossibilità di effettuare interventi presso il domicilio del soggetto, ed
essere effettuato con il consenso del soggetto stesso, quando in grado di esprimere
la propria volontà o con il consenso di chi esercita su di esso la potestà genitoriale o la tutela o la curatela, ovvero in attuazione
di un provvedimento dell'autorità giudiziaria».
N.
61, GENNAIO-MARZO 1983
Un cenno alle comunità alloggio quale alternativa al
ricovero è contenuto nell'articolo di F. Santanera «L'istituto
Prinotti conferma la sua funzione emarginante».
Nella nota «Abbandono
di bambini da parte del Comune e della Provincia di Milano», sono proposte
fra l'altro «soluzioni che realizzino il decentramento zonale dei
servizi favorendo la costituzione di servizi non emarginanti (comunità di
pronto intervento di zona per minori e adulti, affidi educativi, ecc.)».
N.
61 BIS, GENNAIO-MARZO 1983
Nel supplemento al n. 61 di Prospettive assistenziali, che reca il
titolo «L'assistenza psichiatrica in
Valle d'Aosta - Immagini di ieri e di oggi dalla Mostra-documentazione organizzata dall'Unione per la lotta
contro l'emarginazione sociale, Sezione di Aosta» é contenuta, fra l'altro,
la proposta di realizzare «comunità
alloggio per i dimessi e dimissibili dagli ospedali
psichiatrici». Inoltre, fra gli «esempi
di idee alternative» sono citate le seguenti
realizzazioni del Comune di Settimo Torinese: «Comunità residenziali di 9 posti» e «Comunità terapeutica (centro crisi) di 6
posti + 2». Infine fra le
attività dell'ULCES di Aosta è indicata la «collaborazione con un gruppo di persone
interessate al problema dei minori per l'istituzione di una comunità alloggio -
centro base per minori in situazione di abbandono temporaneo».
N.
62, APRILE-GIUGNO 1983
Nell'articolo «Gli
operatori sociali di Firenze denunciano un acuto malessere» sono segnalate in particolare «carenze nelle attuali residenze assistite (gruppi
appartamento) per le sedi abitative e per il personale non preparato e stabile».
Il primo comma dell'articolo 2 de
«La nuova legge sull'adozione e
sull'affidamento» (Legge 4 maggio 1983 n. 184) è
redatto come segue: «Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo
può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad
una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di
assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione».
Riferimenti alle comunità alloggio sono contenuti
nella nota «Ancora violenze in un istituto
di assistenza ai minori» e nella segnalazione «Ricerca su adozione, affidamento
familiare e comunità alloggio».
N.
63, LUGLIO-SETTEMBRE 1983
Riferimenti al tema delle comunità alloggio sono
contenuti nei seguenti articoli:
- «Diritti dei cittadini: ruolo dei servizi pubblici e privati e del
volontariato»;
- «La riforma
dell'assistenza non è più una priorità» di M. Tortello;
- «Piattaforma
sui problemi degli handicappati»;
- «Il Cottolengo: un pilastro dell'emarginazione»;
- «Bloccate all'orfanotrofio "Le Stelline" di Milano le
esperienze innovative»;
- «Legge della Regione Emilia-Romagna per
l'attivazione di strutture socio-assistenziali»;
- «Proposte per l'applicazione della nuova legge sull'adozione e
l'affidamento».
N.
64, OTTOBRE-DICEMBRE 1983
Gli articoli che trattano il tema delle comunità alloggio sono i seguenti:
- «Il ruolo
del volontariato nel campo delle alternative al
ricovero in istituto» di M. Tortello e F. Santanera;
- «La
vigilanza sulle strutture assistenziali; una funzione
essenziale» di F. Santanera.
N.
65, GENNAIO-MARZO 1984
L'articolo di A. Migliasso «Gli
interventi del Comune di Torino per i minori: il progetto 0-6 anni» tratta
anche il tema delle comunità alloggio nei seguenti termini: «Le Comunità alloggio aperte in questi anni
(dal 79 ad oggi) per i minori sono 22 di cui:
5 di pronto intervento per minori da 0 a 6 anni (2 accolgono in casi
particolari anche bambini più grandi, fino ai 10 anni); di queste, 2 sono
gestite dal Comune e 3 dalla Provincia di Torino;
8 per minori
in età scolare (1 gestita dal Comune, 7 gestite da
Cooperative in convenzione con il Comune);
9 per
adolescenti (4 gestite dal Comune e 5 gestite da Cooperative
in convenzione con il Comune).
Ogni
comunità ospita da 6 a 8 minori. Nelle comunità di pronto intervento vengono ospitati ogni anno circa 25/30 minori, con una permanenza
che va da pochi giorni fino ad un anno. Le comunità di pronto intervento si
caratterizzano come una valida risposta ai bisogni dei bambini più piccoli se
si riesce a garantire che la loro permanenza sia temporanea. Vengono
pertanto inseriti in queste comunità i minori le cui famiglie si trovano in
difficoltà per un breve periodo di tempo (es. malattie, ricoveri ospedalieri,
ecc.) o i minori per i quali è necessario realizzare un approfondimento della
situazione (del minore e della sua famiglia di origine), prima di definire un
efficace piano di intervento. Si tratta in questi casi per lo più di minori per
i quali: o si ipotizza o si attende o c'è un
provvedimento del Tribunale per i minorenni. Dall'esame dei dati, si verifica che sono questi i minori che restano più a
lungo in comunità».
Riferimenti alle comunità alloggio sono contenuti nell'articolo «La
legge della Regione Lazio sul servizio di salute mentale» di E. Pascal. Si vedano in
particolare gli articoli 2 e 8.
Alcuni cenni sulle comunità alloggio sono contenuti
anche nell'articolo «Valorizzazione delle IPAB ed emarginazione
degli anziani non autosufficienti in Emilia Romagna» di F. Santanera.
N.
66, APRILE-GIUGNO 1984
Il tema della comunità alloggio è trattato nei
seguenti articoli:
- «Tentativi
di rilancio della segregazione dei più deboli» in
cui sono riportati i costi giornalieri della comunità alloggio di Settimo
Torinese per ex degenti psichiatriche, costo giornaliero procapite di L. 8.126 per il 1981;
- «Legge 780 e
progetti di revisione: riforma di quale riforma?»
di E. Pascal;
- «Il minore in affido: problemi affettivi, psicologi e sociali» di
G. Cattabeni;
- «La comunità
alloggio di Ivrea», il cui testo è riportato
integralmente nella seconda parte di questo numero.
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