Prospettive assistenziali, n. 67, luglio - settembre 1984
Editoriale
ANZIANI CRONICI:
OBBLIGHI DEL SERVIZIO SANITARIO E L'ALIBI DEI «FIGLI INGRATI»
«Prospettive
assistenziali» ha affrontato ripetutamente, negli ultimi dieci anni,
il problema degli anziani malati cronici non autosufficienti, che - nonostante
abbiano ancora bisogno di cure sanitarie non praticabili a domicilio o in
ambulatorio - vengono dimessi dagli ospedali, oppure non sono neppure ammessi
(1).
In questi mesi, è stata avviata a
Torino una campagna di denuncia e di informazione sul
diritto alle cure sanitarie degli anziani non autosufficienti (2), iniziativa
che, ci auguriamo, possa essere intrapresa anche in altre realtà locali.
Infatti, le leggi vigenti -
frequentemente ignorate e violate - prevedono il diritto a ricevere le prestazioni
sanitarie in ospedale «senza limiti di durata».
Eppure, nonostante che le norme abbiano alcuni lustri di vita alle spalle, esse sono ancora
in gran parte disapplicate e, soprattutto, la prassi
di delega totale del vecchio malato alla famiglia - purtroppo praticata da
molti ospedali, senza che le autorità amministrative e politiche muovano un
dito a difesa dei diritti degli assistiti - non ha contribuito a quel cambio di
mentalità che sarebbe necessario a livello di opinione pubblica.
Le «ferie in ospedale»
Scrive Anna Maria
Mori: «Da anni se ne parla, soprattutto
in occasione delle vacanze estive, e se ne parla sempre negli stessi termini:
"vade retro" alle
famiglie egoiste, per non dire assassine, che pur di
fare le loro vacanze di ferragosto non esitano ad abbandonare i vecchi in parcheggio
negli ospedali (...). La famiglia italiana è "brutta, sporca e
cattiva": è quanto emerge, in particolare sul problema degli anziani, da
pacchi di ritagli di giornali» (3).
Gli anziani «parcheggiati». Se ne è parlato puntualmente anche quest'anno,
sulla stampa, in TV. Ripetendo vecchi stereotipi non
suffragati dai dati; oppure, accampando risposte in cui si dicono cose non
veritiere sapendo di dirle. Come il direttore sanitario delle Molinette di Torino, il quale sostiene che «il vecchietto ci è
già scaricato tutto l'anno. Entra in ospedale per essere curato, una volta guarito continua a rimanerci, la famiglia non
vuole più riprenderselo e s'ostina a parcheggiarlo da noi in attesa di trovare
un letto in un istituto di riposo» (4).
La, realtà
sembra ben diversa, come si rileva dagli atti della seconda seduta pubblica del
Tribunale del malato (Torino, 18
febbraio 1984), in cui il direttore sanitario della Casa geriatrica
Carlo Alberto dichiara che una parte non trascurabile degli anziani arrivano
dagli ospedali «denutriti, disidratati e
anchilosati».
Purtroppo anche l'Unità ha avallato la tesi dell'anziano abbandonato affermando,
senza portare alcun elemento di prova, che vi sarebbero
«tanti ricoveri inutili e mortificanti
cui spesso ricorrono i parenti degli anziani in partenza per le vacanze per
sentirsi tranquilli» (5).
Ma «sugli
anziani - osserva ancora Anna Maria Mori - la colpevolizzazione
resiste». Anche se, «si tratta di
andare a vedere la realtà dietro i luoghi comuni e le frasi fatte. E questa
realtà di cui nessuno parla, chi sa perché, è che esiste all'interno del
problema anziani, il dramma di quelli malati e non
autosufficienti e le strutture pubbliche che polemizzano con le famiglie sono
spesso disposte a offrire un ricovero temporaneo all'anziano "sano e
autosufficiente", ma di fronte a quello che chiede un'assistenza costante
e faticosissima, dicono e sono autorizzate a dire di no (...). E, le stesse
strutture pubbliche che fanno propria l'esigenza reale o presunta, ma comunque pubblicitaria, del ballo liscio degli anziani
mentre la malattia, che è brutta, triste, e non fa notizia, è considerata una
"questione privata": della famiglia, appunto» (6).
Un epistolario
eloquente
Nel panorama abbastanza omogeneo della informazione scritta e radiotelevisiva che - come
ogni anno - ha insistito sui luoghi comuni dei «figli ingrati» e dei genitori
«parcheggiati in corsia», si è distinta Repubblica,
che ha pubblicato un primo scambio di lettere polemiche tra un lettore
direttamente coinvolto dal problema e alcuni operatori sociali. Ne é nato un
dibattito a più voci, che merita riproporre per la
eloquenza del rapporto epistolare.
Su Repubblica del 5-6 agosto '84, un lettore di Brescia, Mario Rossi,
denuncia: «Sono uno
dei tanti che devono rinunciare a passare le ferie fuori città per assistere un
anziano non autosufficiente.
«Quello
che mi irrita terribilmente, in questo periodo
dell'anno, è il gran parlare che Tv, stampa, Chiesa eccetera fanno dell’“incoscienza”
di chi "abbandona" gli anziani per le vacanze.
«Innanzitutto mi chiedo: è davvero da condannare, dal punto
di vista morale, chi dopo aver assistito un genitore per 340 giorni dedica 25
giorni a se stesso e alla propria famiglia, anche in previsione di altri 340
giorni di apprensioni, depressioni, fatiche ben note a chi assiste un anziano
o un handicappato?
«E poi, cosa fa lo Stato per risolvere questo problema? Non
sarebbe il caso che un ente pubblico si facesse carico di assistere per 15-20
giorni l'anno gli anziani, in modo da dare la possibilità di un po' di relax
a coloro che hanno fatto da infermieri per il resto
dell'anno? Oppure essere figli significa, per la legge
e per la Chiesa, rinunciare alla famiglia e allo svago?
«Cordiali
saluti e buone vacanze a chi può farle».
Replicano Sergio Germano e Stefano Sorrentino (Repubblica,
8 agosto '84): «Siamo due laureandi in
Legge ed Economia e commercio e da tempo ci sentiamo toccati dal problema di
chi non è più giovane e spesso non autosufficiente, da quella che crediamo sarà
la nostra condizione fra alcuni anni.
«Scriviamo
in risposta alla lettera pubblicata domenica 5 agosto
"L'altra faccia del problema anziani" a firma Mario Rossi.
«Ci
permettiamo di muovere alcune obiezioni all'autore ed a tutti
coloro, in vero non pochi, che si riconoscono nelle sue opinioni. Innanzitutto vorremmo osservare che il problema degli anziani
in famiglia non si pone in termini di assistenza infermieristica. Questa è
semmai una necessità derivante dalla condizione del singolo anziano e solo
logica conseguenza di una attenzione complessiva verso la
vita di chi è anziano, sia esso il proprio genitore, un parente o un
amico.
«Parlare
di necessità di "ferie" è come ammettere di aver dovuto svolgere una
prestazione “professionale” del tutto incompatibile con un rapporto di affetto e di stima. Ci chiediamo se il
signor Rossi sente lo stesso bisogno di "ferie" nei confronti
della propria moglie e dei figli. Poiché pensiamo che
il distacco dai propri affetti sia sempre spiacevole e mai un modo per
liberarsi dalla "depressione" e dalla "fatica" ci sentiamo
autorizzati a pensare che forse quei 25 giorni di sospirata assenza dalla vita
dell'anziano siano in realtà 365.
«Anche noi vorremmo mandare i nostri saluti, ma ci si
permetta di rivolgerli innanzi tutto a chi le vacanze non può farle davvero: ai
tanti anziani rinchiusi in ospedale per l'Estate».
Ancora su Repubblica (9 agosto '84), un «gruppo di
medici, assistenti sociali, insegnanti e operatori culturali» di Roma: «Abbiamo letto la lettera
a firma del sig. Mario Rossi di Brescia, pubblicata da Repubblica il 5-6
agosto 1984.
«Crediamo
di conoscere bene “le varie e vere facce del problema degli anziani". Per
questo ci siamo sentiti colpiti dalle affermazioni della lettera
e in dovere di rispondere.
«Leggiamo
quotidianamente la stampa e seguiamo la Tv e non ci sembra che si faccia un
"gran parlare" dell’“incoscienza di chi abbandona gli anziani per le
vacanze”. Ma anche se ciò fosse vero, questo non
cancellerebbe la realtà oggettiva: famiglie in vacanza, anziani lasciati soli.
La famiglia ha diritto ai 15-20 giorni di relax? Certo! Ma i genitori non fanno
parte della famiglia? A quale età non si ha più
diritto alla compagnia dei figli anche durante l'estate?
«Non
vogliamo negare l'esistenza delle difficoltà oggettive di cui il signore di
Brescia parla, ma non vogliamo che si dimentichi chi è veramente in
difficoltà: i figli o i genitori malati? I sani o gli handicappati?
«Può
essere che si parli dell'abbandono degli anziani soprattutto nel periodo estivo
e questo non ci sembra giusto, perché troppo spesso questo abbandono non si
limita ad una sola stagione: chi nutre dei dubbi può recarsi a visitare uno
qualunque dei nuovi "cronicari" che circondano le città, e Roma in
particolare, non luoghi di riposo e cura, ma veri e
propri lager in cui la vita e la dignità dell'uomo non contano nulla».
Inoltre, su Repubblica, 10 agosto '84, è pubblicata la seguente lettera
firmata «gli operatori dell'Agosto anziani USL 10/A di
Firenze»: «Abbiamo
letto su Repubblica di domenica 5
agosto la lettera del signor Mario Rossi di Brescia sul problema
dell'assistenza agli anziani in
particolare nel periodo estivo.
«Oltre
a concordare con quanto viene detto, informiamo che
qualcosa a Firenze già da tre anni viene fatto: la USL 10 A ha istituito per il
mese di agosto un numero telefonico (210075) dove possono telefonare tutti gli
anziani o le persone che ne hanno cura, per chiedere servizio di consulenza,
pronto intervento socio sanitario e prestazioni varie.
«Auspichiamo
che questo tipo di servizi non solo si apra nelle altre città, ma che possa essere
effettuato in tutto l'arco dell'anno».
Ancora due lettere, dalla parte del
signor Rossi. Su Repubblica, 24
agosto 1984, Carlo Ventova di Treviglio
scrive: «Ho delle domande da porre a proposito del problema anziani. Ho passato tutta la mia
vita di adulto con un genitore, perché, a tre anni dal
mio matrimonio, mia madre, rimasta vedova, non voleva più vivere sola.
«Non
recrimino nulla, ma chiedo: tutte quelle persone che hanno risposto, più o meno dolcemente, alla lettera del sig. Mario Rossi,
hanno un anziano in casa? Sanno quali e quante rinunce comporta
una tal presenza? Quanti momenti di intimità rintuzzati e
perduti con il proprio compagno? Che cosa vuol
dire non essere mai veramente "noi due soli"? Cosa vuol dire
condurre spesso una vita da anziano, mentre si è ancora giovani, perché
l'anziano tende a imporre i suoi ritmi, i suoi
parametri, le sue esigenze? Sanno quante mediazioni? E
questo per tutta una vita?
«Tutti
abbiamo diritti e doveri, ma mi sembra che solo chi
non ha mai vissuto il problema sulla propria pelle metta tutti i diritti da una
parte e tutti i doveri dall'altra».
E Franca Damian
da Roma (Repubblica, 26 agosto
1984): «Seguo con interesse il dibattito
a distanza sull'altra faccia del problema anziani, e
vorrei esprimere comprensione e solidarietà al sig. Mario Rossi in virtù di una
semplice considerazione. Mi auguro di non essere costretta, un domani da anziana,
a vivere con la famiglia di mia figlia, per rispetto della libertà e
dell'intimità di tutti; ma, qualora ciò non fosse
possibile, sarei la prima io a convincere i familiari della necessità di una
loro vacanza per non sentirmi di peso! Mi sarebbe insopportabile infatti l'idea che per causa (anche se non per colpa) mia
essi, dopo un anno di studio lavoro aria inquinata routine, non avessero la
possibilità di riposare, fare esperienze nuove, cioè ritrovare quell'equilibrio psico-fisico indispensabile ad affrontare
un altro anno di stress, impegni e doveri.
«Da
che parte sta il vero egoismo? È inutile farsi ipocriti portavoce dei diritti
della famiglia quando non si creano le condizioni
psicologiche (con ingiuste colpevolizzazioni) e le
strutture sociali (casa, occupazione giovanile, assistenza domiciliare etc.)
atte a favorire rapporti familiari liberi e sereni».
Al giornale ha scritto anche l'Unione
per la lotta contro l'emarginazione sociale: «Vogliamo ringraziare "Repubblica" per aver dato spazio, in
queste ultime settimane, al problema dell'assistenza agli anziani malati e non
autosufficienti, che molti fingono di ignorare o relegano nella sfera del
"privato familiare".
«L'immagine
stereotipata e falsa dei "figli ingrati" che, d'estate, parcheggerebbero
i genitori in ospedale o al cronicario per
"godersi le ferie" è, purtroppo, dura a morire. Non neghiamo che possano esistere casi del genere, ma - a nostro avviso - non
si tratta di un fenomeno generalizzabile.
«Semmai,
va detto chiaramente che - mentre le leggi in vigore prevedono il diritto a
ricevere cure ospedaliere complete e gratuite per tutto il tempo necessario -
migliaia di anziani ancora bisognosi di prestazioni
sanitarie non praticabili a domicilio o in ambulatorio vengono dimessi
abusivamente dagli ospedali. Le famiglie sono così costrette ad accollarsi il
gravoso impegno dell'assistenza 24 ore su 24, oppure a pagare rette che
possono superare le 50-60 mila lire al giorno per il
ricovero in un cronicario.
«Un
"ticket" sanitario improprio che non solleva, però, le proteste di
nessuna forza politica e sociale.
«Occorre
anche aggiungere che assistere in casa un anziano malato comporta spesso un pauroso
carico di lavoro - quasi sempre assegnato alla donna -
e che quasi mai le famiglie ricevono dagli enti locali un aiuto concreto (vedi
colf) o un sostegno economico per contribuire alle forti spese sostenute.
«La
nostra associazione ha avviato nei mesi scorsi a Torino una campagna di sensibilizzazione sui diritti degli anziani malati. Ci
auguriamo che l'iniziativa possa essere intrapresa anche in altre realtà locali».
Grandi assenti nel dibattito aperto dal quotidiano romano sono rimasti gli amministratori
pubblici. Più fortunata sotto questo punto di vista,
la signora che ha scritto a Stampa Sera
(2 luglio 1984): «Ho 58 anni e la mamma
più vecchia di 25 che vive con me in casa. Tre anni fa ho lasciato il lavoro
per stare con lei e curarla. Mamma non è più autosufficiente. Ha bisogno di una assistenza continua, 24 ore su 24: Aiuti?
«Non
ne ricevo da nessuno e, tanto meno, dai servizi pubblici. Una colf mi servirebbe, eccome. Ma il
nostro reddito è superiore al minimo previsto e non possiamo sperare
nell'intervento del Comune. Il problema vero, tuttavia, non è quello dei soldi.
Non navighiamo nell'oro, ma riusciamo a tirare avanti. Il sogno sarebbe quello
di poter essere un po' alleviati nelle fatiche di casa e nell'assistenza. Con
un marito e un figlio non è certo facile mandare avanti la famiglia.
«Tuttavia
è di un problema particolare che voglio parlare. Anche quest'anno, come altre
volte, le "ferie" mie e di mio marito saranno in città, accanto a
mamma. Non mi dica che sono una figlia ingrata, che
pensa solo a "parcheggiare" la madre da qualche parte per andarsene
in giro per il mondo. Ho ben altri "grilli" per la testa, da qualche
tempo a questa parte. Ma quindici-venti
giorni di riposo, sì, li vorrei proprio fare. Di riposo, ripeto. Senza trovarmi giorno e notte alle prese con un problema che getta
scompiglio in una famiglia, non solo e non tanto perché c'è una persona cara
che soffre, ma perché i servizi pubblici non ci sono e quelli privati o non
danno garanzia o hanno rette d'oro. Non è possibile dare una mano alle
nostre famiglie?».
Alla lettera ha risposto l'assessore
alla sanità della Regione Piemonte (Stampa
Sera, 16 luglio 1984), il quale sostiene che «la signora ha certamente diritto alle ferie ed al meritato riposo,
senza tema di essere considerata figlia ingrata che pensa solo a parcheggiare
la madre da qualche parte».
«Gli
interessati -
informa l'Assessore - debbono rivolgersi
alla USSL di appartenenza (o, nel caso di Torino,
all'assessorato all'Assistenza), chiedendo per il proprio caro il ricovero
temporaneo. Sarà compito del servizio socio-assistenziale territoriale
ricercare la soluzione più idonea. Attualmente
funzionano soprattutto strutture di tipo tradizionale, cioè le classiche case
di riposo (32 mila posti letto in Piemonte), ma la grande innovazione che
stiamo portando avanti consiste proprio nel creare strutture flessibili quali
le case protette che permettono ai non autosufficienti la sistemazione più
adatta a ciascuna esigenza, senza essere sradicati in modo definitivo dal
proprio ambiente. Per fare un esempio: d'inverno, queste strutture potranno accogliere
gli anziani che abitano in luoghi montani disagiati (e che, invece, con la
bella stagione, preferiscono tornarvi), mentre
d'estate ospiteranno coloro che non possono restare con la famiglia di
origine, la quale può volere giustamente un po' di riposo. In modo graduale e
tenendo conto della realtà esistente la Regione sta operando con leggi e
scelte programmatiche per trasformare le strutture
assistenziali».
L'Assessore, dunque, non nega il
problema e capovolge i termini della questione, riconoscendo esplicitamente il
diritto ad avere un sostegno degli enti pubblici, anche se propone una soluzione che coinvolge impropriamente i servizi assistenziali e
non - come sarebbe logico - quelli sanitari; non fa cenno, inoltre a come
affrontare il problema degli anziani non autosufficienti al di là dei 15-20
giorni di «riposo» (7).
Un pregiudizio
smentito dai fatti
Lo stereotipo dei «figli ingrati»
che, d'estate, a Natale e a Pasqua, abbandonerebbero gli anziani nelle corsie
di un ospedale pur di fare la loro vacanza, è comunque
smentito dai fatti.
Ad esempio, le assistenti sociali
dell'Ospedale Addolorata dell'USL RM 9 della capitale, documentano nella loro «indagine
conoscitiva sulla situazione di Roma e provincia» che: «L'esame dei dati relativi all'andamento
stagionale dei ricoverati ha evidenziato l'inconsistenza dell'aumento
numerico degli anziani presenti in ospedale nei mesi estivi. Questo dato, quindi, contrasta con l'opinione superficiale e
purtroppo diffusa del "ricovero sociale estivo" come "scarico"
e deresponsabilizzazione
della famiglia.
«L'esperienza professionale di lunghi anni porta ad
una maggiore prudenza nella valutazione degli atteggiamenti della famiglia
verso l'anziano malato. Chi ha
in casa un anziano non autosufficiente, con gravosi problemi di assistenza
continuativa, vive in una condizione di tale drammaticità da non poter essere
condizionato dal problema "vacanze estive".
«Le
eccezioni che pur esistono non sono sufficienti a generalizzare questa diffusa
tendenza alla colpevolizzazione della famiglia» (8).
E
gli altri 350 giorni?
Tuttavia, pur sottolineando
che il mito dei «figli ingrati» (fatto che purtroppo si verifica ma non è così
generalizzato come alcuni affermano) finisce con l'essere un alibi per
scaricare sul privato, sulle famiglie, quei compiti che le leggi vigenti
attribuiscono agli enti pubblici (9), occorre ricordare che il problema più
importante degli anziani malati e dei loro familiari non è certo quello
relativo ai 15-20 giorni di n vacanza », ma quello dei restanti 345-350
giorni, quando - dimessi a forza e in violazione di legge dagli ospedali - si
tratta di garantire loro una assistenza adeguata spesso 24 ore su 24.
Ciò è bene evidenziarlo, per non
spostare verso un obiettivo secondario l'attenzione della campagna di
denuncia e di informazione sul diritto degli anziani
malati non autosufficienti alle cure sanitarie.
«Le
famiglie (e sono migliaia) cosiddette "brutte, sporche e cattive", si
dividono a questo punto in due categorie:
-
quelle ricche, che possono permettersi una infermiera
per il giorno e una per la notte (la cifra da spendere in questo caso è di
almeno cinque milioni al mese);
-
quelle povere, o quanto meno quelle che si sostengono
su uno o due stipendi che assommati, non arrivano a formare questa cifra.
Queste famiglie, vogliano o non vogliano, sono
costrette a vivere, in silenzio, una tragedia che a volte dura mesi o anni,
chiedendo aspettative sul lavoro, con una donna (la "famiglia", in
questi casi, è sempre e solo una donna) che si sobbarca nelle ventiquattro ore
un tipo di assistenza che negli ospedali prevede l'alternarsi di quattro persone» (10).
Dove sono i posti letto?
Si potrebbe obiettare che allo stato
attuale mancano i posti letto negli ospedali. Ma, a questo riguardo ricordiamo che la legge 12 febbraio
1968 n. 312 all'art. 29 (tuttora vigente), stabilisce: «Ciascuna Regione provvede a programmare i
propri interventi nel settore ospedaliero (...) ed indica la previsione degli
interventi regionali all'impianto di nuovi ospedali, alla trasformazione,
ammodernamento o soppressione degli ospedali esistenti in relazione al
fabbisogno di posti letto distinti per acuti, cronici, convalescenti, lungodegenti».
Va detto tuttavia, che, non tenendo
in alcun conto le esigenze sanitarie degli anziani malati
cronici non autosufficienti, i posti letto degli ospedali hanno subito,
in questi ultimi anni, una netta riduzione. A Torino, ad esempio, le presenze a fine anno negli ospedali cittadini sono passate da 11.433
del 1966 a 6.642 del 1979. Attualmente sono
inutilizzati:
- 400 posti letto dell'ospedale di
Via Farinelli;
- 200 posti letto del Birago di Vische;
- 50 posti letto
dell'Omeopatico e altrettanti del S. Vincenzo e dell'Astanteria Martini di Via
Cigna.
All'Assessorato alla sanità di Roma
ammettono che «il numero dei posti letto nelle strutture pubbliche per anziani
malati e non autosufficienti è sicuramente di gran lunga
inferiore alla necessità» (11).
Quali proposte
avanzare?
A nostro avviso, occorre prevedere
un certo numero di camere, con relativi posti letto, per gli anziani cronici
non autosufficienti nei normali reparti ospedalieri, in particolare nelle
medicine. In questo modo, è possibile dare attuazione al principio «ogni
reparto si tiene i suoi cronici», principio che
costringe in concreto le strutture ospedaliere a curare adeguatamente ed a
riabilitare tempestivamente gli anziani.
I reparti che non assicureranno cure
e riabilitazione, avranno infatti un maggior numero
di cronici e quindi più gravosi carichi di lavoro. Oggi invece gli ospedali
hanno una convenienza reale a cronicizzare gli
anziani, poiché una volta diventati cronici, i pazienti vengono
dimessi.
L'ospedalizzazione
a domicilio
L'informazione fornita da buona
parte dei massmedia, ancora legata ai vecchi stereotipi, comporta, anche, che
- mentre molti restano pronti a sputare sentenze sul dovere dei parenti ad assistere
gli anziani cronici non autosufficienti - pochi, purtroppo, sono disponibili a
muovere un dito per sollecitare gli enti pubblici ad assolvere
al loro dovere.
Tra l'altro, vi é da ritenere che
una parte - anche piccola - del problema degli anziani malati possa essere
risolta con l'aiuto dei familiari (e a volte anche di non parenti) se le unità
sociosanitarie locali si organizzassero per istituire un servizio di ospedalizzazione a domicilio.
La proposta non ha certo lo scopo di
giungere a monetizzare il parente anziano malato. Ma
muove dalla convinzione che, in certi casi, può evitare al paziente i
problemi di una lunga degenza in ospedale o in istituto, e può assicurare ai famigliari
i) sostegno del servizio sanitario nazionale. Inoltre, potrebbe avviare una
forma concreta di collegamento fra ospedale e territorio, nell'ottica della prevenzione; una dei cardini della
riforma sanitaria del 1973, oggi spesso non solo disatteso, ma dimenticato.
Infine, questa forma di intervento sarebbe - a nostro avviso - più conveniente
anche dal mero punto di vista economico.
In concreto, il servizio di ospedalizzazione a domicilio potrebbe prevedere:
- le prestazioni del medico di base,
così come sono stabilite dalla legislazione vigente;
- l'intervento,
occorrendo anche a domicilio, dei medici specialisti e del personale infermieristico
e riabilitativo;
- la corresponsione ai familiari di
una somma sufficiente a coprire le spese da essi
sostenute per ottenere i necessari aiuti da parte del personale non
specializzato (soprattutto colf);
- adeguati controlli per evitare
abusi.
La richiesta del contributo nasce
dalla constatazione che ai familiari non può essere
chiesto di essere presenti 24 ore su 24; d'altra parte, ad esempio, per
sollevare il paziente anziano allettato molto spesso occorre la presenza di
due persone.
Il contributo potrebbe aggirarsi
sulle 700-800 mila lire al mese, corrispondenti al
compenso giornaliero di 4-5 ore di colf. E ciò, anche tenendo presente che il
ricovero in un ospedale costa circa 6 milioni al mese
e in casa di riposo un milione e mezzo.
Alla istituzione del servizio non si
frappongono, dunque né problemi economici, né ostacoli giuridici. Fin dal
febbraio 1981, ad esempio, l'attuale «difensore civico» della Regione Piemonte
aveva ampiamente motivato «la possibilità
di assicurare, alla luce della vigente normativa, una assistenza
domiciliare ai cronici dimessi dagli ospedali».
(1) Per una rassegna
degli interventi pubblicati su questo tema, cfr. Prospettive assistenziali,
n. 66, aprile-giugno 1984, nota 1, pag. 29.
(2) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 66, aprile-giugno 1984, pp. 29-34.
(3) Cfr. A.M. Mori «Quei poveri vecchi,
abbandonati dalle famiglie», in Repubblica,
15 agosto 1984, p. 5.
(4) Cfr. «L'ospedale non si ferma», in La Stampa, 9 agosto 1984.
(5) Cfr. A. Lombardi «Anziani a Milano, nel
deserto una voce amica» in l'Unità
del 7 agosto 1984.
(6) Cfr. A.M. Mori, cit.
(7) Occorre ricordare,
comunque, che l'Assessore alla sanità della Regione Piemonte, ha inviato nel
febbraio '84 una circolare ai presidenti delle USSL per ricordare il diritto
dei malati cronici non autosufficienti ad essere curati in ospedale. Per quanto
è dato a conoscere si tratta della prima direttiva del
genere in Italia.
(8) Cfr. AA.VV.,
Il malato dichiarato cronico in ospedale
e nel territorio, edito a cura della USL RM 9, Roma, 1983, pag. 32.
(9) L'eventuale
mancato assolvimento degli obblighi da parte dei parenti tenuti agli alimenti,
nulla muta rispetto ai compiti che la legge attribuisce agli enti locali.
(10) Cfr. A.M. Mori, cit.
(11) Cfr. A.M. Mori, cit.
www.fondazionepromozionesociale.it