Prospettive assistenziali, n. 67, luglio - settembre 1984
Libri
MICHELE
ZAPPELLA, Non vedo, non sento, non parlo
- Autismo infantile: come i genitori possono guarire
da soli i propri figli, Arnoldo Mondadori,
Milano, 1984, pp. 191, L. 12.500.
Il libro è rivolto ai genitori di bambini autistici, ma la sua lettura può essere consigliata a tutti
coloro che si occupano di bambini che presentano
disturbi relazionali.
Nel testo viene analizzato
l'importante ruolo svolto dal genitore e l'enorme potere che egli ha nella
determinazione della crescita del bambino. Il disturbo mentale, che va sotto il
nome appunto di autismo infantile, non è infatti
dovuto a lesioni organiche, ma è purtroppo il risultato di una errata
impostazione del rapporto genitore/figlio e per questo il problema può
diventare di interesse generale.
Sovente la relazione faccia/faccia
dei primi mesi, il coinvolgimento emotivo, la capacità di contenimento delle
angosce infantili, non hanno trovato spazio affettivo e risposte
conseguenti nel genitore.
Il bambino è incapace di trovare da solo una forma di
conoscenza della realtà che limiti il suo senso di onnipotenza
e lo aiuti nella percezione di sé. Finisce invece per entrare in contatto con
il mondo solo attraverso brevi rapporti, frammentari e distorti, mentre
dall'altro difende accanitamente un nucleo di personalità (tra l'altro poverissimo) erigendo un muro tra sé e gli altri.
Ma esiste un modo per penetrare al
di là della barricata? Dalle esperienze riportate dall'Autore con
chiarezza e semplicità - che rendono il libro di facile lettura e comprensione
- sembra che ciò sia possibile.
Condizione essenziale su cui si basa il metodo
applicato da Zappella - la «holding»
- è il coinvolgimento fisico ed emotivo dei genitori che provoca stati e
situazioni di forte tensione ed aggressività «tra il
bambino mantenuto immobile, e costretto a misurarsi con la forza e la prevalenza
altrui, e gli adulti che gli stanno intorno».
Il racconto delle vicende dei diversi bambini
sottoposti a tale trattamento, oltre ad aprire nuovi spiragli in questo campo
così ancora paco definito della psicosi, si pone senz'altro come un'ottima
occasione di riflessioni per ogni genitore rispetto al rapporto affettivo coi propri figli e ai relativi metodi educativi adottati.
MARIA GRAZIA BREDA
AA.VV., Organizzazione dei servizi sociali nelle
unità sanitarie locali, Franco Angeli Editore, Milano,
1981, pp. 228, L. 9.000.
È molto preoccupante constatare che, dopo anni di
ricerche, di dibattiti, di esperienze sull'assistenza
e sui servizi sociali, vi è ancora una profonda confusione di idee.
Anche gli Autori del libro «Organizzazione dei servizi
sociali nelle unità sanitarie locali» cadono nell'errore di ritenere che il
settore assistenziale rientri nell'ambito dei servizi
sociali e cioè dei servizi che sono o devono essere estesi a tutti i cittadini.
Ne consegue che la lotta contro l'emarginazione non è ritenuta un problema politico, ma un semplice fatto
organizzativo.
Scrivono infatti gli Autori
«Il superamento del modello assistenziale e del
modello specialistico-tecnicistico
nell'organizzazione dei servizi sociali deve condurre, tramite l'assunzione di
un modello che è stato definito “a rischio”, ad unificare dal punto di vista
gestionale e funzionale i servizi stessi, centrando l'organizzazione a livello
di unità minime territoriali, su servizi di base polivalenti articolati
rispetto alle priorità ed all'attivazione di progetti-obiettivo individuati
come prioritari» (pag. 14).
Dalla confusione concettuale fra assistenza e servizi
sociali, deriva l'attribuzione al settore assistenziale di funzioni che mai ha
svolto e che, a nostro avviso, non sarà mai in grado di svolgere:
ad esempio le attività del servizio sociale di base dirette a «promuovere il
superamento degli stati di disadattamento e di favorire il massimo inserimento
sociale degli individui socialmente più deboli» (pag. 51). Che cosa può fare il servizio sociale di base per dare il lavoro ai disoccupati,
per mettere a disposizione un alloggio a chi ne è privo, per aumentare la
pensione insufficiente? Finora ha potuto fare nulla e, a nostro parere, nulla
potrà fare in futuro, salvo segnalare agli organi competenti queste e altre
esigenze.
Inaccettabile diventa quindi, secondo noi, la
proposta di inserimento del servizio sociale professionale
«nei settori del lavoro, dell'alloggio» (pag. 51). È un vecchio ed assurdo
sogno ritenere che i problemi politici della casa, del lavoro, delle pensioni,
si possano risolvere o semplicemente avviare a soluzioni con l'assunzione di
qualche assistente sociale.
Il misero fallimento dell'ISSCAL dovrebbe aver
insegnato qualcosa.
Anche le velleitarie posizioni di certi assistenti
sociali che credevano di poter «socializzare» la sanità
sono fallite sotto tutti i punti di vista. È raro, oggi, ad esempio, trovare
servizi sociali ospedalieri che non abbiano
soprattutto il compito di buttare fuori gli anziani malati cronici non autosufficienti.
Altro che umanizzare gli ospedali!
FRANCESCO SANTANERA
SINDACATO
PENSIONATI CGIL-CISL-UIL, Gli anziani, la salute e la qualificazione della spesa sanitaria,
SEUSI, Roma, 1983, pp. 222, L. 5.000.
Sia pur con un notevole e
preoccupante ritardo, i Sindacati pensionati CGIL, CISL, UIL hanno avviato iniziative di studio e di confronto sul
problema della salute degli anziani.
Una di esse è il convegno
nazionale, che ha avuto luogo a Roma il 10-11 maggio 1983, le cui relazioni ed
interventi sono raccolti nel volume in oggetto.
Al convegno hanno partecipato sindacalisti e medici geriatrici. I contenuti risentono dei ritardi accumulati
dal Sindacato. Infatti, dalla relazione introduttiva di Arvedo Forni, Segretario Pensionati SPI-CGIL, appare
evidente quanto siano ancora ampiamente indeterminate le proposte riguardanti
gli interventi concreti da mettere in atto per una effettiva prevenzione delle
malattie e degli handicaps, per cure adeguate e per
una riabilitazione tempestiva. Nemmeno sfiorati sono
i numerosi e fondamentali problemi della casa, del lavoro, della cultura.
Sono invece ripetute le solite affermazioni non
documentate: «Secondo ricerche fatte da esperti
(quali? n.d.r.), fatte cento
le giornate di ospedalizzazione, il 30% di queste potrebbe essere sostituito
con le altre prestazioni in ospedali diurni, in ambulatori, in case protette o
con forme assistenziali».
Queste affermazioni, che non tengono in nessun conto
le esigenze e i diritti degli anziani, sono contraddette, ad esempio da Elio Boldoni, primario geriatra dell'ospedale di Monza, il
quale, in merito ai ricoveri ospedalieri inutili, afferma: «Al
di là di facili affermazioni demagogiche, specialmente stagionali, va
detto che è possibile che esistano, ma non sono a mio parere così incidenti
come si vuol far credere. Né è il problema principale
della medicina geriatrica. Basterebbe constatare
come le liste di attesa per i ricoveri ospedalieri e
non ospedalieri per gli anziani sono di tutto l'anno, per rendersi conto come
queste richieste di ricovero siano omogenee nei vari periodi e continui
permanentemente (...). Il giudicare al momento del ricovero un paziente mai conosciuto
portatore di una sintomatologia, nella quale uno stato di cronicità può
sembrare prevalente, non è, ripeto, né semplice né facile. E
neppure si può affermare che quella richiesta di ricovero sia sicuramente
inutile. Questo lo si può dire a posteriori» (p. 62).
Puntuali, invece, le affermazioni di Forni sulle
inadempienze del Governo, sulle assurde disparità di
contribuzione delle varie categorie di lavoratori dipendenti e autonomi, sulla
mancata approvazione del piano sanitario nazionale, sulla inaccettabile
politica del ticket.
Il Forni - finalmente - critica i centri di incontro
riservati agli anziani: «Vi sono altre esperienze che tendono - con i centri di attività - ad aggregare gli anziani fra di loro, il che è
un passo avanti rispetto all'isolamento individuale, ma non è una soluzione se
consideriamo l'uomo sempre come tale a qualunque età. Poi, infatti, nei centri
dedicati esclusivamente agli anziani si creano più o meno
rapidamente delle situazioni insostenibili».
Da segnalare quanto ha affermato Bruno Ricci,
segretario generale del Sindacato pensionati CISL: «Non sono rari purtroppo gli
esempi di anziani che l'ospedale rifiuta di curare
perché vecchi, perché cronici, perché irrecuperabili; nei fatti si annulla la
conquista ottenuta con la riforma ospedaliera del '68, la 132, che sostituisce
l'idea di cronicità con quella di lunga degenza, eliminando il diritto del
lungo degente alla cura e alla riabilitazione all'interno delle strutture
ospedaliere ordinarie. Bisogna quindi contestare l'idea semplicistica e
strumentale che ogni ricovero di anziano sia
improprio per affermare il diritto dell'anziano malato a essere curato come
ogni cittadino nei luoghi in cui sono curati tutti ì cittadini, senza
segregazioni e senza espulsioni, che oggi sono perpetrate e che vedono tanti anziani
dopo brevissimi periodi di degenza classificati cronici e indirizzati nelle
istituzioni per lungo degenti, vere e proprie anticamere della morte».
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