Prospettive assistenziali, n. 67, luglio - settembre 1984
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NON BASTA (1)
La nostra Associazione - che già aveva risposto alla
«Lettera sull'emarginazione» apparsa su «Il Regno documenti», n. 492, del 1°
ottobre 1983 (v. Prospettive assistenziali n. 65) - richiama da anni l'esigenza di
un diverso impegno dei singoli e dei gruppi sui problemi dell'assistenza,
sottolineando la necessità di una azione soprattutto promozionale e di
prevenzione.
Anche da, parte della Chiesa cattolica sono stati
prodotti dal Concilio Vaticano II ad oggi numerosi documenti in cui si ribadisce l'urgenza di non dare per «carità» ciò che è già
dovuto per «giustizia» e di non identificare la «carità» con le sole opere
assistenziali (intese come istituzioni).
Siamo molto preoccupati però che a questi periodici
richiami da parte di gerarchia e comunità cattolica sulla necessità di mettersi
dalla parte degli ultimi non seguano poi coerenti
azioni, per concretizzare quella «battaglia politica» che nella vostra lettera
presentate come improrogabile.
Chiunque si sia trovato in contatto con realtà di emarginazione, si è sicuramente scontrato con situazioni
cui la semplice «assistenza diretta» non poteva soddisfare interamente le esigenze
né di quella persona, né di quelle altre che si fossero trovate nella stessa
condizione.
Crediamo ci si debba interrogare su che cosa è stato
fatto per affrontare alla radice e come si può operare - mettendo da parte
l'affanno di «fare» - per preparare e realizzare un programma di intervento.
Molte delle conquiste degli ultimi anni nel campo dell'emarginazione trovano origine proprio nel lavoro,
promozionale, svolta da varie associazioni, non solo per i propri soci, ma per
tutta la comunità. Aiutare quel bambino che ha problemi scolastici, quell'anziano che vive solo, quel
ragazzino handicappato, non basta, se non si opera
affinché sia garantito il servizio per tutti e non si debba attendere e sperare
nell'aiuto casuale (e non garantito) di qualche «anima buona».
Secondo noi, non si può continuare a tamponare le
situazioni, senza sollecitare rimedi capaci di soddisfare pienamente quelle
che sono le esigenze umane fondamentali e, quel che è
peggio, a tacere e subire soprusi di enti e a volte anche di operatori, magari
arrabbiandosi o criticandoli, ma non denunciando queste situazioni e lasciando
tutto nell'ambito del privato. Non si può continuare a privilegiare
l'intervento personale rivolto alle singole situazioni («se non facciamo così,
nessuno interviene») senza preoccuparsi di richiamare gli organi competenti ad
assolvere al loro dovere.
Ciò va detto, anche perché spesso può essere più
gratificante «soccorrere il bisogno», che documentarsi
sull'operato degli amministratori, oppure contrastare scelte politiche che
penalizzano i deboli, proporre nuove leggi o regolamenti, sollecitare la
promozione dei diritti alla casa, al lavoro, alla scuola, alla famiglia, alla
salute per tutti.
Lavorare perché ci sia sempre meno bisogno di assistenza, in modo da assistere bene i pochi che restano
significa, a nostro parere, lavorare prioritariamente a livello di prevenzione.
Occorre cioè che il volontariato non si limiti a
supplire alle mancanze degli enti con interventi rivolti alle persone che si
trovano in stato di bisogno, ma agisca anche perché siano istituiti adeguati
servizi non assistenziali (sanità, scuola, casa, cultura, lavoro, pensioni,
ecc.) e assistenziali (alternativi alla segregazione in istituto), e pretenda
che essi funzionino.
È quindi importante per chi interviene nel settore assistenziale, rendersi conto che non tutti i problemi
possono essere risolti con interventi in questo campo (interventi che vanno
comunque migliorati) e che l'impegno promozionale va diretto anche verso gli
altri settori, verso gli altri interlocutori, perché ognuno agisca e intervenga
per garantire servizi per tutti.
Ad esempio, non sempre sono utili improvvisati
«doposcuola» per i ragazzi «a rischio» del quartiere, se non si fa nulla per far sì che la scuola venga dotata, di quegli strumenti che
consentono l'organizzazione di attività scolastiche integrative e per
denunciare il disinteresse di certi insegnanti.
Lo stesso vale per certe attività ricreative «imbastite»
solo per questi ragazzi, mentre non si interviene nei
confronti dei centri di incontro istituiti dai Comuni come momento ricreativo
per tutti, ma ora organizzati in modo altamente selettivo per una «élite» di
persone nei casi in cui i centri stessi non si preoccupano dei «ragazzi di
borgata». Può, inoltre, essere pericoloso istituire cooperative per
handicappati inseribili nel mondo del lavoro se non si fa nulla perché venga garantito loro l'inserimento negli enti pubblici o
nelle aziende private.
Vogliamo ricordare, poi, i bambini, gli anziani non
autosufficienti, gli handicappati psichici gravi e gravissimi: questi non
hanno alcuna forza contrattuale, le loro condizioni di vita dipendono da come
gli altri cittadini vorranno che siano trattati.
Riteniamo, quindi, che occorra spostare l'attenzione dal campo puro e semplice dell'intervento
diretto (il quale resta pur sempre indispensabile) alle azioni concrete volte
ad assicurare la massima autonomia possibile e ad evitare l'emarginazione dei
più deboli.
A questo fine, senza alcuna presunzione ma nell'ottica di mettere a disposizione informazioni ed
esperienze, frutto di un cammino condotto in vent'anni
di volontariato promozionale, proponiamo i punti seguenti, da noi considerati
fondamentali per difendere i diritti dei più deboli:
- riconoscere ad ognuno il diritto alla propria
autonomia, operando pertanto affinché questa non gli venga
tolta con l'assistenzialismo prima e la istituzionalizzazione poi;
- promuovere e rivendicare dagli
enti preposti (Parlamento, Regioni, Comuni, singoli e associati) una politica
che miri a garantire i servizi primari. Alcuni esempi: il diritto al lavoro per tutti e quindi anche per gli
handicappati; il diritto alla casa con la messa a disposizione di abitazioni adeguate, prive di barriere architettoniche,
anche per anziani ed invalidi; l'adeguamento delle pensioni alle esigenze
reali della vita d'oggi; la richiesta di un servizio sanitario che non si
limiti a curare ma operi anche per la prevenzione e la riabilitazione del
malato, senza limiti di età (pensiamo al problema della dimissione dagli
ospedali di anziani cronici non autosufficienti, che spesso non sanno dove
andare); impedire situazioni di abbandono di minori con interventi che aiutino
innanzitutto la famiglia e, qualora ciò non sia sufficiente, offrire al bambino
la possibilità di un ambiente in cui poter crescere (affidamenti, comunità
alloggio e adozioni a seconda delle situazioni personali);
- promuovere ovunque una battaglia culturale che
contrasti con la logica del sistema attuale teso al massimo profitto, alla
competitività, all'arrivismo, logica che automaticamente scarta i più deboli,
costringendoli di fatto ai ricorso all'assistenza e
alla reclusione in istituto dove non disturbano più «l'occhio e la quiete
pubblica».
Alcuni esempi di iniziative
promozionali assunte da movimenti di base:
- legge
sull'adozione speciale - Dal 1967 ad oggi sono oltre
30.000 i bambini adottati;
- lotta contro
il ricovero in istituto - Dal 1962 ad oggi sono oltre
100.000 i minori che, a seguito della creazione di servizi alternativi,
sono usciti dagli istituti;
- affidamento
familiare a scopo educativo - Solo nella città di Torino, dal 1971 ad oggi,
sono più di mille i minori affidati a famiglie a scopo educativo;
- inserimento
scolastico, lavorativo e sociale degli handicappati - Migliaia sono gli
handicappati che si sono positivamente inseriti nella società.
Moltissimo resta ancora da fare per un effettivo inserimento sociale degli
invalidi e per adeguati servizi per i non autosufficienti.
Per finire vogliamo citare il caso di Piero (privo degli arti inferiori e delle mani) e Roberto (con gravi
difficoltà motorie) che hanno potuto lasciare il Cottolengo
dopo rispettivamente 20 e 30 anni di ricovero a seguito dell'assegnazione da
parte del Comune di Torino di un alloggio senza barriere architettoniche e
della messa a disposizione del servizio di aiuto domiciliare.
REGIONI
FRIULI-VENEZIA GIULIA E LOMBARDIA: PER GLI ISTITUTI I
SOLDI CI SONO
Con la legge 21 novembre 1983, n. 82, la Regione Friuli-Venezia Giulia
ha stanziato la somma di 1 miliardo per la concessione di contributi «ad istituti privati operanti nel campo
dell'assistenza ai minorati fisici e psichici, vincolati alla costruzione, al
completamento; all'ampliamento e all'ammodernamento di edifici destinati ad
attività socio-assistenziali e riabilitative a favore dei minorati, nonché
all'acquisto di impianti, attrezzature e arredamenti per gli edifici
medesimi».
Nella legge non c'è alcuna indicazione
tecnica per cui tutti gli istituti, compresi quelli peggiori, potranno ricevere
i contributi.
Anche la Regione Lombardia ha deciso di erogare nel biennio 1983-84 la somma di 16 miliardi per il
finanziamento di «opere di
ristrutturazione o altre migliorie, di immobili, finalizzate a obiettivi di
riconversione funzionale ovvero lavori di completamento e ampliamento di
strutture preesistenti».
In parole povere, anche in questo caso, i soldi
serviranno per rendere più accettabili i tradizionali istituti di assistenza.
Invece, per i servizi alternativi al ricovero in
istituto, i soldi non ci sono.
ASSUNZIONI
OBBLIGATORIE PRESSO LE UNITÀ SOCIO-SANITARIE LOCALI
Riportiamo
integralmente la direttiva n. 8 emanata in data 96 aprile 1984
dall'Assessorato alla sanità ed assistenza della Regione Piemonte.
Viene segnalato da singoli interessati e da associazioni
il mancato rispetto da parte di alcune UU.SS.SS.LL.,
in sede di assunzione di personale, della riserva di posti a favore delle
categorie di cui alle leggi 14 luglio 1957 n. 694 e successive modificazioni
ed integrazioni; 21 luglio 1961 n. 686 e successive modificazioni e integrazioni;
2 aprile 1968 n. 482.
Si richiama pertanto all'attenzione delle UU.SS.SS.LL. l'obbligo del
rispetto, nei limiti delle percentuali previste dalla vigente legislazione,
delle previsioni normative in materia, ribadite finanche in sede di legge
finanziaria.
Si ricorda infatti al
riguardo che il 3° comma dell'art. 19 della legge 27.12.1983, n. 730 esclude
dal divieto di assunzione sancito dal 1° comma dello
stesso articolo le assunzioni obbligatorie relative alle categorie di che
trattasi.
Si richiamano infine, in quanto applicabili, le
disposizioni impartite dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale con
circolare 24 aprile 1982, n. 48 e riportate dalla direttiva assessorile
2 giugno 1982 n. 12 punto 8.12.85/130.
(1) Lettera aperta distribuita
dall'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale ai partecipanti del
Convegno «Condivisione e marginalità», svoltosi a Torino il 12-13 maggio 1984.
www.fondazionepromozionesociale.it