Prospettive assistenziali, n. 67, luglio - settembre 1984
ORGANIZZAZIONE
LOCALE DEI SERVIZI ASSISTENZIALI
FRANCESCO
SANTANERA
Nell'editoriale del n. 56,
ottobre-dicembre 1981, era stata avanzata una proposta per una
organizzazione specifica dell'assistenza a livello locale, le cui
caratteristiche essenziali possono essere così riassunte:
- l'attuazione corretta degli
interventi socioassistenziali richiede una
preparazione specifica e, spesso, il lavoro di gruppo di operatori dello stesso
settore assistenziale;
- il punto di riferimento degli
interventi socioassistenziali è il nucleo familiare.
Sono quindi da scartare í servizi per età (minori, adulti, anziani) o per
categorie (handicappati, disadattati, ecc.), in quanto l'unitarietà degli
interventi è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per rispettare
l'unitarietà del nucleo familiare;
- le prestazioni socio-assistenziali
(assistenza economica, aiuto domestico, affidamenti e inserimenti, ecc.) devono essere strettamente collegate con gli interventi di
prevenzione (casa, lavoro, scuola, ecc.). Di qui l'esigenza di un coordinamento
effettivo fra il settore assistenziale ed i suddetti
campi di attività;
- la saldatura fra le attività
operative e quelle di programmazione, verifica e ricerca deve essere attuata
in modo da coinvolgere tutti gli operatori.
In base a quanto sopra indicato, erano stati
proposti i seguenti raggruppamenti:
1) ad una équipe l'affidamento dei
compiti riguardanti l'impostazione dello schedario degli assistiti, in
collaborazione con il personale amministrativo, l'assistenza economica,
l'aiuto domestico, i rapporti, per i problemi relativi alla
prevenzione, con gli organismi preposti alla sanità, alle prestazioni previdenziali, alle pensioni di invalidità e inabilità;
2) un'altra équipe preposta agli
affidamenti e inserimenti, coordinamento delle comunità alloggio pubbliche e
private, tutele e curatele, rapporti con le autorità giudiziarie e
penitenziarie e, per i problemi relativi alla
prevenzione, con i settori dell'istruzione, della formazione professionale,
della casa e del lavoro;
3) ad una terza équipe
l'assegnazione delle funzioni relative all'informazione di massa, al ricovero
in istituti gestiti direttamente o da terzi (ammissioni, dimissioni,
convenzioni, vigilanza, ecc.), al coordinamento con i centri diurni per handicappati,
alle prestazioni per i nomadi e le persone dedite
alla prostituzione e al vagabondaggio (per i problemi specifici non di
competenza degli altri gruppi di lavoro), ai rapporti con i settori della
cultura, dello sport, del tempo libero, della prevenzione degli infortuni e
degli incendi.
Veniva inoltre segnalata l'esigenza di un
servizio apposito, a disposizione del coordinatore, del gruppo programmazione
e delle équipes operative, per l'espletamento di
tutte le pratiche amministrative (organizzazione e tenuta degli schedari,
pagamento delle rette, pratiche burocratiche, ecc.).
Era anche precisato che: «Gli
operatori sociali dovrebbero provvedere a turno al
primo ricevimento del pubblico, che dovrebbe aver luogo presso la sede centrale,
e, solo nei casi in cui l'utente abbia effettive difficoltà a raggiungere in
tempi ragionevoli la sede centrale con i trasporti pubblici, negli altri
Comuni della zona. Chi è preposto nelle sedi decentrate (1) al primo ricevimento
del pubblico dovrebbe anche assicurare sui posto tutti
gli interventi che la sua competenza professionale gli consente di fare».
Infine rilevavamo che la nostra
proposta intendeva evitare «la frattura fra operatori
"pensanti" (coordinatori, gruppo programmazione) e operatori
"esecutori" (gli altri)».
In sostanza l'organizzazione da noi
proposta, incentrata su funzioni specifiche e sul lavoro di équipe, prevedeva
tre tipi di intervento degli operatori:
- ricevimento del pubblico ed
erogazione delle prestazioni che ciascun operatore è
in grado di svolgere;
- interventi specifici attribuiti ai
tre gruppi di lavoro;
- attività di programmazione,
verifica e ricerca.
Molto diversa è la proposta
organizzativa descritta nelle conclusioni del seminario della
Fondazione Zancan su «Il progetto-obiettivo materno-infantile dell'età evolutiva nelle
politiche regionali e locali: analisi critica e problemi aperti» (Malosco, 20-26 giugno 1982), in cui viene affermato quanto
segue: «È individuato il distretto (socio-sanitario n.d.r.)
come ambito territoriale ottimale per l'integrazione dei servizi, considerando
che la popolazione deve individuare nel distretto
l'area di base quale punto a cui fare riferimento per trovare una risposta
primaria alle sue esigenze» (2).
Gli interventi socio-assistenziali
previsti a livello di distretto sono i seguenti:
assistenza domiciliare e infermieristica (3), assistenza economica,
interventi sostitutivi alla famiglia, interventi per i minori nei casi di
competenza della autorità giudiziaria minorile, interventi di deistituzionalizzazione, organizzazione del tempo libera
(4), integrazione scolastica degli handicappati, affidamenti familiari e
adozioni, riabilitazione fisica e psichica (5).
A livello interdistrettuale sono
indicati: i servizi residenziali e non, l'anagrafe delle famiglie affidatarie
(6), i soggiorni estivi e centri ricreativi
permanenti (7), l'inserimento lavorativo degli handicappati (8), le comunità
di pronto intervento, le comunità alloggio.
A livello dell'Unità locale si prevede la predisposizione
di piani settoriali con l'individuazione di specifiche esigenze espresse dai
distretti, la gestione del personale, la formazione e l'aggiornamento
professionale, la gestione del fondo per i servizi sociali, la verifica dei
programmi finanzîari, la vigilanza socio-sanitaria (9), il coordinamento
complessivo delle attività.
In sostanza, con il «modello»
proposto nel corso del citato seminario della Fondazione Zancan,
si ritorna all'assistenza per età (sono esclusi dal progetto tutela materno-infantile gli anziani ed in larga misura anche gli
adulti), si fa riferimento ad un operatore sociale (l'assistente sociale?)
che a livello di distretto è in grado di fare bene un po' di tutto:
dall'assistenza economica, all'adozione,
all'affidamento, agli altri interventi sostitutivi della famiglia, ai rapporti
con l'autorità giudiziaria minorile, all'integrazione scolastica degli
handicappati.
Secondo il modello proposto, ciascun
operatore di distretto dovrebbe, ad esempio, tenere direttamente i rapporti
con il tribunale per i minorenni, magari situato a
molti chilometri di distanza. Inoltre ognuno di questi operatori dovrebbe
rapportarsi con il giudice tutelare del luogo per i problemi dei minori, mentre
altri operatori (quelli del progetto anziani e del
progetto handicappati?) dovrebbero far riferimento allo stesso giudice
tutelare per i problemi degli anziani e degli invalidi.
Potrebbe anche avvenire che gli operatori suddetti si rivolgano allo stesso giudice per
membri della stessa famiglia. È un esempio che dimostra come nella organizzazione proposta il servizio
socio-assistenziale, lungi dall'essere uno strumento che favorisce la, coesione
del nucleo familiare, verrebbe organizzato in modo da metterla in crisi a causa
delle settorialità degli interventi.
Sul piano programmatico è giusto
procedere per progetti; ma la predisposizione di progetti (tutela materno-infantile, anziani, handicappati e via dicendo) non dovrebbe
significare, a nostro avviso, la creazione di super équipe in cui tutti fanno
tutto.
Sarebbe ridicola, ad esempio, la
creazione di un gruppo di lavoro preposto all'attuazione del progetto anziani
composto da medici, psicologi, infermieri, urbanisti,
ingegneri, architetti, istruttori sportivi, animatori culturali, assistenti sociali.
Per l'elaborazione del progetto è
necessario il lavoro di gruppo in modo che si tenga conto di tutti gli aspetti
(10). Il lavoro di gruppo è inoltre necessario per la verifica dei risultati.
Ci sembra quindi che nella definizione
di un progetto, debbano essere ripartiti i compiti specifici di ciascun
settore, in modo che ogni équipe operativa faccia la sua parte e la faccia con
il massimo possibile di competenza professionale.
Il settore assistenziale
è e sarà sempre il settore più debole fra i vari campi dell'azione sociale
poiché la stragrande maggioranza degli utenti (bambini, insufficienti mentali,
anziani non autosufficienti) non ha, né avrà mai la forza di far valere i
propri diritti.
L'autonomia - che non significa separatezza o peggio autarchia - del settore assistenziale è, a nostro avviso, una delle condizioni per
praticare interventi professionalmente corretti e per evitare che gli
operatori dell'assistenza diventino, al di là della loro stessa volontà,
strumenti per la gestione delle persone emarginate dalla sanità o da altri
settori forti.
Per esempio, alcuni anni fa, gli
assistenti sociali dei Centri di igiene mentale
avevano un ruolo subalterno nelle équipes medico-psico-pedagogiche.
Da anni hanno un ruolo subalterno negli ospedali: il loro compito prevalente è
quello di allontanare gli anziani malati cronici non autosufficienti, anche
se le leggi prevedono per questi soggetti il diritto alle cure sanitarie
gratuite e senza limiti di durata.
Adesso le stesse situazioni si
stanno verificando nei consultori dove, in alcune regioni, si è voluto creare
confusione e disorganizzazione mettendo insieme
competenze sanitarie e assistenziali.
Molto ingenuamente viene affermato (11): «Una garanzia ad evitare la medicalizzazione (dei consultori
familiari, n.d.r.) doveva essere data dalla presenza
di operatori quali lo psicologo, il sociologo, l'assistente sociale, ma questo
purtroppo non si è verificato sia per il ruolo subalterno assunta da questi
operatori rispetto a quelli sanitari, sia per l'incapacità o l'impossibilità
di rifiutare un metodo di lavoro di tipo tradizionale basato sul rapporto
individuale con l'utente. Infatti, anche un intervento psicologico-sociale che agisca sui sintomi anziché sulle cause
diventa medicalizzato e medicalizzante».
La definizione del ruolo del settore
assistenziale e dei compiti dei relativi operatori è un problema
essenzialmente politico.
Tuttavia la funzione dell'assistenza
quale settore di raccolta della «spazzatura» e cioè
di coloro che sono rifiutati dagli altri campi di intervento (sanità in primo
luogo) è, a nostro avviso, molto facilitata quando gli operatori assistenziali
accettano di essere risucchiati, come personale tuttofare, dalle équipes sanitarie.
Costituire équipes
specifiche di lavoro per lo svolgimento delle attività assistenziali,
è la traduzione concreta dell'esistenza, anche nel settore assistenziale, di
ben definiti interventi (la stragrande maggioranza) che esigono specifiche capacità
professionali.
(1) Le sedi decentrate
o di distretto socio-sanitario dovrebbero essere comuni per i servizi sanitari
e quelli socioassistenziali.
(2) Cfr. «Servizi sociali» documenti di
seminari a cura della Fondazione Zancan, n. 2, 1982,
p. 18.
(3) Ma l'assistenza
infermieristica non è di competenza esclusiva della sanità?
(4) A nostro avviso
«l'organizzazione del tempo libero» non è assolutamente di competenza
dell'assistenza, ma del settore «Tempo libero e turismo».
(5) Il settore
assistenziale, a nostro avviso, può svolgere per la riabilitazione fisica e
psichica un ruolo molto limitato. Gli interventi principali sono, com'è noto,
quelli di competenza della sanità, della scuola, del lavoro, della casa, dello
sport, ecc.
(6) Probabilmente
l'anagrafe delle famiglie affidatarie è una proposta avanzata dagli operatori
che non hanno alcuna esperienza di affidamento e che ritengono di poter
disporre di un elenco di famiglie affidatarie alle quali consegnare i bambini,
così come ci sono gli elenchi degli istituti disponibili al ricovero.
(7) Anche in questi
casi non si comprende per quale motivo la competenza sia attribuita al settore
assistenziale.
(8) In merito
all'inserimento lavorativo degli handicappati, i servizi assistenziali hanno
ben poco da fare: la formazione professionale e la ricerca del posto di lavoro
non sono certo compiti in cui gli operatori dell'assistenza abbiano competenze
e ruoli; nel lavoro di appoggio per favorire l'inserimento lavorativo,
l'operatore assistenziale può collaborare, ma la competenza primaria spetta a
chi è pratico di ambiente di lavoro, sa che cosa deve essere fatto per
modificarne l'organizzazione, è in grado di proporre i necessari adattamenti
del macchinario e delle attrezzature.
(9) Per gli aspetti
sanitari, la competenza non è del settore sanitario?
(10) Ad esempio un
progetto anziani deve tener conto delle esigenze abitative, sanitarie,
ricreative, culturali, assistenziali, ecc.
(11) Cfr. AA.VV., «La situazione dei
consultori in Provincia di Udine» in Prospettive sociali e sanitarie, n. 12,
1° luglio 1981.
www.fondazionepromozionesociale.it