Prospettive assistenziali, n. 68, ottobre - dicembre 1984
ISTITUZIONALIZZAZIONE:
QUALI ALTERNATIVE?
MARINA CIOFFI, PATRIZIA SARNO, LUISA
ZOTTI (1)
Il seminario organizzato dalla scuola di Servizio
sociale sul tema: «Istituzionalizzazione: quali alternative?»
vede particolarmente coinvolto e interessato il nostro gruppo che sta svolgendo
il tirocinio presso il «Conservatorio laicale Montevergine».
Poiché l'istituto era completamente
privo di schede dalle quali risultassero. le situazioni familiari delle minori
ricoverate, il nostro piano di lavoro ha previsto come momento fondamentale
l'effettuazione di visite domiciliari che chiarissero i reali motivi alla base
del ricovero in istituto.
Proprio per verificare queste situazioni, in un contesto più ampio, alcuni operatori del Comune di Salerno,
particolarmente sensibili a questo tipo di problema, hanno avviato una ricerca
che ha interessato i minori assistiti dall'Ente stesso e i diversi istituti nei
quali sono ricoverati.
L'Ente locale, disponendo di
un numero di operatori abbastanza limitato, ha utilizzato nella attività di
ricerca le allieve assistenti sociali di varie scuole e quindi anche il nostro
gruppo che già lavorava all'interno del Montevergine.
L'istituto attualmente
ospita circa 50 ragazze di età compresa tra i 4 e i 18 anni, delle quali circa la
metà proviene dalla provincia, aventi alle spalle situazioni familiari
disgregate per fattori economici, ambientali e sociali.
Dalle visite domiciliari effettuate abbiamo constatato che prevalgono nuclei familiari generalmente ubicati nei poli opposti della città (Centro storico - Mariconda), zone da sempre emarginate a causa di una volontà politica e sociale che continua a ghettizzare, anche in quartieri di recente costruzione, famiglie che presentano difficoltà di inserimento nella realtà sociale, aumentando così sperequazioni già esistenti.
Altra caratteristica
costante è la prevalenza di nuclei con più figli (molti dei quali ricoverati in
diversi istituti) e questa numerosità familiare è dovuta
sia all'ignoranza riguardo l'uso di metodi contraccettivi, sia alla assenza di
servizi di quartiere e di consultori che favorirebbero, attraverso l'educazione
e l'informazione, il controllo delle nascite.
Queste famiglie hanno un reddito molto basso poiché i loro proventi derivano da lavori svolti saltuariamente
in mancanza di una occupazione stabile, che è anche conseguenza di una bassa
scolarità.
Comune a tutti i casi è
l'inconsistenza dei rapporti affettivi e interpersonali esistenti tra i minori
istituzionalizzati e i genitori. Difatti questi ultimi tendono a
deresponsabilizzarsi nei confronti dei figli in quanto delegano all'istituto le responsabilità affettive, educative, concretizzando con
questo atteggiamento un allontanamento progressivo e inevitabile.
La nostra esperienza all'interno dell'istituto è
stata molta stimolante per il rapporto instauratosi
sia con le ragazze sia con le educatrici.
Per quanto riguarda le prime vogliamo solo accennare
a quelli che sono i danni che determina una istituzionalizzazione,
soprattutto se prolungata, sulla personalità di un adolescente.
Ci siamo trovate di fronte a ragazze che hanno un
notevole carico di privazioni alle spalle e per le quali il ricovero
in istituto può essere l'elemento scatenante di una crisi irrecuperabile.
Soprattutto durante l'adolescenza, ritrovarsi tra quattro mura, sottoporsi a
rigidi regolamenti, è una esperienza che porta alla
ribellione e al rifiuto.
Questo atteggiamento di aggressività
lo abbiamo riscontrato nella maggior parte delle minori. In altri casi,
soprattutto quando l'istituzionalizzazione si subisce in età precoce, la
personalità rimane talmente schiacciata dal sistema istituzionale da risultare
poi sostanzialmente «nulla», e ciò si evidenzia dalla incapacità
decisionale anche in merito a piccoli fatti personali.
Il nostro rapporto con le educatrici è stato molto positivo, in quanto abbiamo ricevuto la massima
collaborazione e disponibilità.
Ci siamo rese conto dello sforzo notevole che esse
compiono per promuovere un discorso concreto di apertura
dell'istituto all'esterno, un coinvolgimento sempre maggiore della famiglia
nella vita del minore, le occasioni di stimolo agli operatori sociali affinché
essi siano maggiormente presenti nella vita dell'istituto.
Questo discorso è conseguente ad una presa di coscienza
da parte delle educatrici che si rendono anch'esse conto
di quanto l'istituto sia inadeguato rispetto alle esigenze di un armonico
sviluppo psico-fisico delle minori.
Tuttavia non vorremmo fornire una immagine
distorta dell'istituto in quanto esso presenta delle carenze notevoli, sia per
la sua ubicazione (Centro storico) che rende problematico l'inserimento e il
collegamento col quartiere sia per la sua struttura fatiscente e poco
funzionale, sia per la sua inadeguata organizzazione dovuta soprattutto ad un
problema interno di personale: basti pensare al rapporto esistente tra il
numero delle minori (circa 50) e delle educatrici (5), delle quali solo due con
una qualifica specifica e quindi in grado di svolgere in modo completo e qualificato
compiti così delicati.
Dall'incontro avuto con le tirocinanti impegnate
negli altri istituti, abbiamo compreso che la apertura
all'esterno del Montevergine è quasi un caso isolato
perché le altre istituzioni o non si occupano dei problemi socio-psicologici
dei minori oppure tendono a gestire le strutture senza consentire interventi
dall'esterno. Questo è dovuto sia alla loro natura privatistica
e all'incompetenza di un personale cui molto spesso manca una qualifica
specifica che consenta loro di operare positivamente,
sia all'indifferenza e al disinteresse con i quali affrontano I loro compiti
educativi.
A questo punto chiediamo: quali controlli vengono effettuati all'interna di questi istituti? Che tipo di intervento offrono gli operatori sociali al di
là di quello burocratico? Che cosa fa l'Ente locale
oltre a versare le rette agli istituti?
Se dovessimo giudicare l'operato
dell'Ente locale considerando la situazione di un istituto quale l'Umberto I
che con il D.P.R. 616/1977 è passato alle competenze del Comune, dovremmo
essere molto critiche in quanto il passaggio dal privato al pubblico non ha
comportato alcun miglioramento; vi è stato anzi un sensibile peggioramento
nella situazione degli 80 minori ivi ricoverati, nella qualificazione del
personale addetto, nella gestione dei servizi.
Il progetto di ristrutturazione dell'istituto previsto
dall'Ente locale dimostra ancora una volta l'insensibilità degli amministratori
rispetto al problema della assistenza ai minori che
dovrebbe prevedere innanzi tutto soluzioni alternative al ricovero in istituto.
Questo è stato l'unico modo con il quale fino ad ora
si è data una risposta alle esigenze dei minori in difficoltà; infatti il meccanismo economico sociale della società ha
sempre considerato l'istituto come strumento ideale che gli permette di
tamponare situazioni difficili senza affrontare i problemi alla base,
allontanando ed emarginando così persone che creano solo dei «problemi».
L'istituto ha avuto un suo ruolo e una sua funzione;
oggi, però, bisogna comprendere che questa funzione e questo ruolo sono ormai
sorpassati e non tanto perché ci sono istituti cattivi o buoni, ma perché
esso, per la sua stessa struttura, non è in grado di svolgere un ruolo positivo.
L'assistenza ai minori è sempre stata di quasi totale
appannaggio dei privati; noi sappiamo che cosa ciò comporti. Oggi, però, e il
D.P.R. 616 lo ha ribadito chiaramente, è compito degli
Enti locali creare servizi che garantiscano i diritti dei minori prevenendo il
ricorso all'assistenza e al tempo stesso istituendo quei servizi alternativi
che concretamente possano avviare un discorso di destituzionalizzazione.
A questo punto ci sembra opportuno riprendere il
discorso sulla prevenzione che noi riteniamo l'obiettivo fondamentale di
qualsiasi politica sociale.
È chiaro che il discorso preventivo non può
prescindere dalla conoscenza delle esigenze reali dell'utenza, conoscenza che
sarà possibile acquisire attraverso un'indagine sul territorio che individui
i fattori rischio che determinano il ricorso
all'assistenza.
Con la nostra esperienza, abbiamo verificato
l'esistenza di molte situazioni di difficoltà familiari e personali
strettamente connesse a situazioni socio-economiche e
a distorsioni delle politiche sociali generali quali il problema della casa,
della scuola, della occupazione, dei servizi socio-sanitari, del tempo libero,
dello sport e altri ancora.
È evidente che il superamento di questi problemi
dovrà vedere coinvolto non solo l'Assessorato ai servizi sociali, ma anche gli
altri, in un discorso di competenze diverse, ma nello stesso tempo di
programmazione comune e quindi non settorializzata.
La realizzazione di un simile programma richiederà
tempi molto lunghi, come tempi lunghi richiederà l'istituzione di comunità
alloggio e altre strutture simili che in altre parti d'Italia sono già da tempo funzionanti con risultati positivi.
Noi riteniamo che queste strutture, nella nostra
realtà sociale, verranno difficilmente realizzate in
quanto manca la volontà politica e la competenza di chi è preposto a questo
tipo di scelta; non può essere una scusante valida la mancanza di fondi, visto
che la ristrutturazione dell'Umberto I richiederà l'impiego di una somma che poteva
essere utilizzata con criteri e finalità diverse.
Pur rendendoci conto del fatto che si dovrà lottare
per mutare questo stato di cose, riteniamo indispensabile che ci si cominci a
muovere utilizzando quelle alternative che potrebbero,
in breve tempo, alleviare il disagio dei minori istituzionalizzati.
Questi strumenti sono tra l'altro: semiconvitto,
sostegno economico alle famiglie bisognose, affidamenti con scopi educativi, adozione
speciale.
Se questi obiettivi venissero
perseguiti, gli istituti potrebbero trasformarsi da area di parcheggio
permanente quali sono adesso, in una soluzione transitoria.
Per poter realizzare queste finalità non si può prescindere da una collaborazione attiva e qualificata
tra amministratori, operatori sociali, educatori, Tribunale per i minorenni,
collaborazione che, dalla nostra esperienza di tirocinio, risulta essere appena
accennata.
(1) Questa relazione è stata presentata
da allieve del secondo corso, al termine dell'anno scolastico 1982/83, nella
Scuola superiore di servizio sociale di Via Vernieri
(una delle quattro scuole di Salerno), in due seminari di studio organizzati e
coordinati dalla docente di monitorato, assistente sociale Rosmina
Viscusi Passannanti, a
completamento delle attività di tirocinio professionale svolte dalle allieve
stesse in diverse realtà istituzionali e territoriali. Ai suddetti seminari
hanno partecipato il Presidente e alcuni giudici onorari del Tribunale per i
minorenni, un Consigliere comunale della DC, due operatori sociali della
Procura della Repubblica per i minorenni, operatori sociali dei Comuni di
Salerno e Cava dei Tirreni, dell'USL 53 di Battipaglia
e della Amministrazione provinciale di Salerno, due
suore educatrici dell'Istituto Montevergine, le
allieve e un docente dell'Istituto professionale femminile, numerosi
rappresentanti dell'Ass. N.A.S. provinciale di
Salerno, altri operatori e volontari impegnati nel settore.
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