Prospettive assistenziali, n. 68, ottobre - dicembre 1984

 

 

Notiziario dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale

 

 

RAPPORTI FRA OPERATORI SOCIO­ASSISTENZIALI E MOVIMENTI DI BASE

 

Una delle regole elementari nel campo dell'in­formazione democratica consiste nella pubblica­zione della risposta inviata da chi è o si ritiene attaccato da una lettera apparsa su quella deter­minata rivista o giornale.

Questa regola civile non è applicata dalla rivi­sta «Psichiatria/Informazione» edita dall'Asso­ciazione per la lotta contro le malattie mentali, associazione che pur asserisce di lottare contro l'emarginazione e per una società più libera.

Infatti la suddetta rivista, finora non ha pubbli­cato - nonostante i ripetuti solleciti orali e scrit­ti - la replica inviata da Francesco Santanera ad una lettera pubblicata nel n. 2/1983.

Riportiamo pertanto integralmente quanto ave­vano scritto gli operatori sul n. 2/1983 di «Psi­chiatria/Informazione» e la risposta di F. Santa­nera inviata alla suddetta rivista il 2 settembre 1983, segnalando, inoltre, che, fino ad oggi, gli operatori autori della lettera non hanno accet­tato di incontrarsi con le 15 associazioni facenti parte del Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base.

 

 

Lettera degli operatori

 

Siamo alcuni operatori dei servizi per handi­cappati della Provincia di Torino, abbiamo parte­cipato al dibattito del 18 aprile. Non siamo inter­venuti subito perché, come è facile immaginare, non tutti riescono a prendere la parola in una tale assemblea, e anche perché ci siamo un po' chiariti le idee solo parlandone nei giorni suc­cessivi.

Innanzitutto vogliamo dirvi che ci siamo tro­vati molto d'accordo sull'organizzazione di quella serata e dobbiamo ringraziare la redazione per aver indetto almeno un momento di dibattito nel dibattito nel silenzio che di questi tempi avvolge la città. Nello stesso tempo, però, vogliamo an­che avanzare qualche critica ai contenuti espres­si dai relatori. Ci sembra che essi, piuttosto che tentare di analizzare una realtà che si presenta sempre più complessa e avanzare proposte nuo­ve capaci di superare l'impasse in cui si trovano i servizi psichiatrici e quelli assistenziali, abbia­no più che altro rispolverato da un cassetto al­cuni elementi di analisi (l'immigrazione, la FIAT, l'indifferenza ...) già noti da anni, e che costitui­scono anzi un patrimonio culturale che abbiamo fra le mani ogni giorno nel nostro contatto con la gente. Queste cose oggi non ci bastano più: si tratta di capire se e che cosa si può fare per smuovere l'indifferenza, capire perché otto anni di giunte di sinistra hanno dato i risultati che sappiamo (ma su questo torneremo più avanti) e perché di nuovo acquistano spazio le offensive restauratrici della DC; capire come andiamo a fare i conti con i disagi prodotti a catena dalla disoccupazione, dalla cassa integrazione, dalla mancanza di case; capire, insomma, tante cose che ci pare siano state solo accennate nel dibat­tito (con le parziali eccezioni di Paolo Tranchina e l'intervento scritto di Agostino Pirella).

Infine, i relatori non hanno tenuto conto di un dato: l'assemblea realmente convenuta era for­mata in gran parte da operatori dei servizi, e quindi quest'aspetto andava tenuto presente nel proporre i punti di discussione per un dibattito. Perché se da un lato è importante vedere le cose anche da un punto di vista generale, dall'altro va tenuta presente la specificità del problema ope­ratori, tanto più in questo momento. Non possia­mo quindi non dare una risposta a Francesco Santanera del C.S.A., che nel suo intervento ha pesantemente criticato gli «addetti ai lavori», presentandoli come una corporazione cui interes­sa che nulla cambi; e che di fatto ostacola la trasformazione dei servizi assistenziali.

Mentre da un lato nessuno può negare che in parte la situazione sia effettivamente quella de­scritta da Santanera, d'altra parte egli indubbia­mente non tiene conto di due ordini di problemi: in primo luogo in quale contesto operiamo e da che tipo di sollecitazione siamo (o non siamo) circondati. Il 18 aprile non è stato detto che la partecipazione della gente è scomparsa, che la gestione delle sinistre è incredibilmente simile a quella vecchia, che i quartieri sono cadaveri, che le famiglie stesse degli utenti spesso osta­colano le trasformazioni, che si lavora sempre con un numero altissimo di precari e con dispo­nibilità economiche sempre minori, che - per­mette - le associazioni di famiglie non cercano alcun dialogo con noi. Se a questi elementi som­mariamente elencati, aggiungiamo i 30 anni di amministrazione DC, clientelare a cominciare dalla politica del personale, ci pare che in fondo non è tanto strano che gli operatori siano quello che sono.

Ma bisogna anche dire una seconda cosa, che non certamente tutti sono uguali, come sembra far capire Santanera. Esiste un'area di operatori che vogliono essere «aperti», «democratici», «al­ternativi», non cadere nel tecnicismo, lavorare per l'interesse del malato, e via dicendo, e che in questo hanno realizzato concretamente quei cambiamenti nel funzionamento dei servizi, nella direzione della lotta all'emarginazione e dell'in­serimento nel territorio. Francamente ci sentia­mo sempre più isolati e sappiamo sempre meno cosa dire e fare; se la risposta è solo quella che continua a dare Santanera, dobbiamo concludere che abbiamo un nemico in più, il C.S.A.

Ci ha lasciato alquanto perplessi, ad esempio, il suo atteggiamento nei confronti del caso dei colleghi Robert e Loccisano, condannati dalla magistratura perché si erano rifiutati di adem­piere un ordine di servizio della Provincia per l'assistenza in fase post-operatoria di un handi­cappato grave ricoverato: mentre la Provincia continua a gestire in modo squallidamente buro­cratico certi casi delicati, chi denuncia situazioni assurde (pagando di persona in estremi gesti di protesta) non viene capito nemmeno dalle asso­ciazioni delle famiglie e dai movimenti di base, per non parlare dell'Ente locale e della magi­stratura.

In sostanza, vorremmo chiedere a Santanera e al C.S.A. se la denuncia delle situazioni assur­de delle amministrazioni e l'elaborazione di pro­poste alternative può essere o meno un terreno di incontro e di discussione fra una certa area di operatori e i movimenti di base.

Per concludere questa nostra riflessione, vor­remmo proporre un argomento che il 18 aprile è stato totalmente ignorato, e che rappresenta il primo punto da discutere per capire il disorien­tamento che c'è fra gli addetti ai lavori in questo settore. Si tratta della questione delle giunte rosse, ovvero del modo di governare gli Enti lo­cali da parte delle sinistre.

Non vogliamo riferirci alla questione delle pre­sunte tangenti in Comune e in Regione, che è tutta da dimostrare, quanto alla gestione di que­sti otto anni «rossi», che invece è ben dimo­strata. Per chi vive dall'interno la situazione, è abbastanza chiaro che queste giunte sono una grossa delusione: mentre sul piano generale han­no ovviamente portato avanti le grandi riforme di livello nazionale (382, 180, 833), sul piano del­la gestione dei servizi e della logica amministra­tiva che li ispira è chiaro che non è cambiato un granché. Le descrizioni verticistiche, le mancate decisioni, le insabbiature, i mille ostacoli che chiunque trova per muoversi un po', sono solo i segni tangibili di una delusione che è più ampia, ed è quella che la sinistra non abbia inventato un modo diverso di governare. E queste giunte, anche per noi, restano una controparte (detto non senza una certa amarezza).

Ma il segno più evidente di questa crisi è la partecipazione, scesa a livelli sotterranei se con­frontati col grande movimento di gente, nei quar­tieri, nelle fabbriche, nelle scuole, nei servizi, che aveva portato nel 1975 alla svolta nella ge­stione della città. Questo calo qualitativo e quan­titativo della partecipazione a ogni livello è uno dei dati centrali per comprendere la situazione della metropoli oggi, come è stato delineato in generale dalle relazioni della serata, e come lo scarsissimo dibattito ha ben dimostrato.

Il discorso del «territorio», così pomposa­mente declamato dalle riforme, si svuota di ogni contenuto e lascia spazio a ogni tipo di tecnici­smo (come pure alle varie forme di boicottaggio), se non c'è dietro un movimento vivo di gente che lo sostiene e lo gestisce. Per questo si è passati dai Comitati di Quartiere ai Consigli di Circoscrizione burocratici, anche per questo non si aprono Comunità Ospiti nei quartieri, per que­sto i C.S.T. restano centri protetti chiusi, e l'elen­co potrebbe essere lungo.

Che cosa hanno fatto e stanno facendo PCI e PSI? Questo è il punto scottante di tutta la que­stione: essi non solo non hanno capito l'impor­tanza dei movimenti di base e spontanei per non insabbiare la trasformazione dei servizi e di tutta la città, ma hanno dato un contributo decisivo a tagliare le gambe alla partecipazione. Questo è stato fatto non solo con la istituzionalizzazione dei quartieri, ma con la burocratizzazione di tutte le decisioni importanti per la gestione dei servizi.

Qui il giudizio può essere uno solo e netto: le sinistre si sono date la zappa sui piedi, non sol­tanto per le prossime elezioni amministrative - che ci vedranno probabilmente in difficoltà -, non soltanto per lo spazio lasciato ad affari paco chiari come quella delle tangenti, ma soprattutto per la trasformazione e la gestione dei servizi, che diventa sempre più burocratica, verticistica, tecnicistica; anzi, le conseguenze si vedono, per esempio, a livello degli operatori, dove dilaga un certo qualunquismo e tecnicismo (che siamo d'accordo con Santanera nel denunciare).

In definitiva, chiediamo alla vostra rivista e ai lettori di aprire il dibattito su questi argomenti. Vogliamo mettere da parte i settarismi e cercare di capire cosa ci sta succedendo sotto i piedi?

 

Torino, 26 aprile 1983

EMMA DOVANO, LUCIANO ROSSO, CARLO SACCANI, ANNAMARIA TARABRA

 

 

 

Replica di Francesco Santanera

 

In merito alla lettera degli operatori Dovano, Rosso, Saccani e Tarabra, pubblicata sul n. 2/83 di «Psichiatria/Informazione», desidero innanzi tutto precisare che sono intervenuto alla tavola rotonda «La metropoli e la vita mentale» a nome dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale e non in rappresentanza del C.S.A.

In secondo luogo dichiaro di essere pienamen­te d'accordo sul fatto che «la denuncia delle situazioni assurde delle amministrazioni e l'ela­borazione di proposte alternative» diventino al più presto un terreno di incontro e di discussio­ne fra gli operatori e i movimenti di base.

Fin dal convegno di Torino del 3 luglio 1971, che aveva il significativo titolo «Dall'assistenza emarginante ai servizi sociali aperti a tutti», erano stati individuati dalle Federazioni provin­ciali torinesi CGIL, CISL, UIL, da associazioni (fra cui l'ULCES) e da movimenti di base, obiettivi e strumenti per una effettiva lotta contro l'esclu­sione sociale della fascia più debole della popo­lazione.

Gli obiettivi definiti erano sostanzialmente due:

1) ridurre al minimo e, se possibile eliminare le situazioni di emarginazione esistenti nei settori del lavoro, delle pensioni, della sanità, della casa, della scuola, dello sport, del tem­po libero, ecc.;

2) intervenire nel modo più adeguato nei con­fronti delle persone emarginate in modo da favorire il loro reinserimento sociale. Nei casi in cui ciò non fosse stato possibile, si concor­dava sulla necessità di assicurare idonei in­terventi di assistenza sociale alle persone non in grado di provvedere a se stesse da sole o con l'aiuto di un familiare.

Per quanto riguarda gli strumenti, a seguito del convegno suddetto, era stato costituito un collettivo intersindacale e interassociativo. Circa il lavoro svolto, si veda il quaderno dei Comitati regionali del Piemonte CGIL, CISL, UIL, «Espe­rienze di lavoro e di lotta sui problemi dell'assi­stenza» che raccoglie la documentazione rela­tiva al periodo settembre 1971 - maggio 1972.

Nel 1975, subito dopo le elezioni amministra­tive, i sindacati scioglievano il collettivo, senza peraltro mai comunicarne i motivi a coloro che, come il sottoscritto, vi lavoravano (gratis si in­tende).

Da quel momento non vi sono più state né ela­borazioni né lotte decise e attuate in comune fra sindacati e movimenti di base: solo in ben specifiche occasioni ci sono stati incontri e ini­ziative concordate.

Credo che dalla mancanza di un collegamento organico con le espressioni dell'utenza sia deri­vato il progressivo sganciamento del sindacato dai problemi dell'emarginazione, con la conse­guenza che, da anni, le organizzazioni dei lavo­ratori non sono intervenute nel settore dell'emar­ginazione se non a livello di documenti (basti pensare, ad esempio, alla riforma dell'assisten­za; alla legge riguardante l'adozione e l'affida­mento; all'assegnazione di alloggi ad anziani, handicappati e altri casi sociali; all'abolizione delle barriere architettoniche dalle nuove abita­zioni economiche e popolari e dai regolamenti edilizi, dai trasporti pubblici, dagli edifici di carattere sociale; alle condizioni e procedure per l'accertamento dell'invalidità civile; alla viola­zione dei diritti che prevedono l'assistenza sani­taria e ospedaliera gratuita e senza limiti di du­rata agli anziani cronici non autosufficienti).

Non credo sia il caso di completare l'elenco (ci vorrebbero molte pagine); ritengo invece che occorrerebbe analizzare i motivi per cui nessun partito e nessun sindacato ha finora inserito la lotta all'emarginazione nei suoi programmi ope­rativi (e quasi mai nemmeno in quelli elettorali, nonostante le pressioni esercitate dalle associa­zioni e, in alcuni casi, dai lavoratori dei servizi).

Credo inoltre che occorrerebbe valutare se si può razionalmente sperare che tutto il gruppo degli operatori (o almeno la maggioranza degli operatori stessi) possa in futuro assumere le difese delle esigenze degli assistiti, anche nei casi in cui questa assunzione sia in contrasto con gli interessi dei lavoratori.

Ad esempio, attualmente negli ospedali e ne­gli istituti si pranza alle 11 e si cena alle 17 perché prevale la volontà dei pochi addetti alle cucine e inservienti di non modificare le proprie abitudini, a scapito degli utenti (che sono tan­tissimi).

Altro esempio. Perché negli ospedali e negli istituti i letti sono alti a tal punto da essere una causa non indifferente di infortunio dei pazienti, specialmente di quelli anziani? Perché i medici, gli infermieri, gli inservienti (anche in questo caso una esigua minoranza rispetto agli utenti) non vogliono piegare la schiena più di tanto. An­che a questo riguardo l'esemplificazione potreb­be essere lunghissima.

Mentre continuo a pensare che, com'è sempre avvenuto in tutti i regimi, il gruppo dei più forti (in questo caso gli operatori) non cederà di sua volontà potere ai più deboli (gli assistiti); riten­go che gli addetti ai servizi che non accettano la logica del gruppo, possono svolgere un ruolo altamente positivo sul piano umano e su quello politico.

Riconfermo quindi la mia piena disponibilità ad incontri diretti a concordare iniziative di lotta contro l'emarginazione.

In questa sede potrà anche essere approfon­dito l'esame dei motivi per cui le linee di inter­vento delle giunte e dei partiti di sinistra siano spesso così deludenti.

Grato della pubblicazione della presente porgo i più cordiali saluti.

FRANCESCO SANTANERA

www.fondazionepromozionesociale.it