Prospettive assistenziali, n. 68, ottobre - dicembre 1984
PROGETTAZIONE INTEGRATA DELLE
RESIDENZE PER ANZIANI E DEI SERVIZI
EUGENIA MONZEGLIO
Il continuo e progressivo invecchiamento della
popolazione e le modificazioni sociali e culturali esigono, per la persona
anziana, interventi correlati, di natura quantitativa
e qualitativa: quantitativa per l'aumento, in valore assoluto e relativo,
della popolazione anziana, qualitativo per l'esigenza, ormai da tutti recepita
e consolidata, di consentire all'anziano di manifestarsi socialmente in un
ambiente non isolante e non emarginante.
Il presente contributo vuole fornire un ulteriore apporto ad una tematica già ampliamente affrontata
e discussa sulla rivista: il problema degli anziani non autosufficienti e
nella fattispecie delle strutture residenziali per gli anziani.
Innanzitutto il lavoro si pone nell'ottica più generale della
necessità di realizzare l'integrazione tra residenza e servizi. All'interno di tale concezione è prioritario il legame tra casa e
servizi sociali in quanto la questione abitativa non può e non deve essere
separata dalle tematiche inerenti ai servizi sociali. In particolare il
riferimento è indirizzato a quei servizi che sono caratterizzati dall'avere
maggiori interrelazioni funzionali con l'aggregato residenziale e di
conseguenza un più alto grado di diffusione sul territorio. Tali servizi
possono essere: servizi collettivi a livello di residenza (luoghi per riunioni,
attività del tempo libero, gioco coperto per bimbi e ragazzi, ecc.), asilo nido
e scuola dell'infanzia, scuole elementare e media
dell'obbligo, centro socio-sanitario di distretto, centro socio-culturale,
verde attrezzato alla piccola scala.
Perché progettazione integrata di residenza e servizi? Perché solo con una connessione tra i due settori
(problema della casa e problema dei servizi) e con una loro programmazione e
progettazione il più possibile coordinata è possibile raggiungere alcuni
obiettivi ritenuti prioritari, soprattutto in un momento come l'attuale, dove
a fronte di risorse scarse e sottoutilizzate si propongono
e si attuano forti tagli della spesa pubblica.
È evidente che le categorie di popolazione più
colpite sono quelle più deboli (disoccupati, persone
in cerca di prima occupazione, giovani, anziani, persone con handicap fisici o
psichici).
Più in dettaglio, gli obiettivi di
fondo cui deve rispondere una struttura articolata dei servizi collettivi
che si configura come sistema dei servizi, rivolti a una pluralità di modelli
di integrazione e di correlazione dei servizi stessi, sono:
1) raggiungimento di condizioni di egualitarietà nella fruizione dei servizi, in altre parole
offrire a ogni abitante uguali opportunità nell'uso dei servizi, ottenibile
mediante:
- eliminazione della discriminazione sociale (uguali
condizioni di accessibilità al servizio per tutti gli
utenti);
- superamento della segregazione sociale (uso del
servizio - anche se progettato specificatamente per
un tipo di utenza, ad esempio la scuola per bimbi e ragazzi - da parte di
diverse categorie di utenti);
- corrispondenza del servizio
offerto al reale bisogno sociale, attuabile anche mediante un rinnovamento e riadeguamento dell'assetto interno dei servizi;
2) uso corretto delle risorse esistenti che, essendo
scarse, impongono di essere utilizzate in modo «giusto» e tale da garantire la
produttività sociale delle attrezzature esistenti e di quelle nuove.
L'assunzione di un quadro sostanziale di obiettivi impone, come condizione necessaria per la
propria attuazione, l'individuazione di una strategia globale che contempla la
programmazione e produzione integrata di casa e servizi: in tale quadro non si
può pensare all'istruzione, alla sanità, alla cultura, al verde, allo sport
come corpi separati tra di loro.
Il motivo che, all'interno di questa concezione del
reciproco rapporto ed influenza fra casa e servizi, ha fornito l'occasione per
approfondire il problema dell'edilizia per gli anziani non autosufficienti, va
ricercato all'interno di una ricerca svolta da docenti e ricercatori del
Politecnico di Torino per incarico del Comune di
Nichelino (Torino) sul tema «Individuazione della struttura dei servizi di interesse pubblico nell'area P.E.E.P.
(piano di zona per l'edilizia economico popolare) del Comune di Nichelino»
articolato in due sezioni, relative la prima alla definizione e al dimensionamento
dei servizi collettivi in tale area, la seconda alla ricerca progettuale sulle
strutture edilizie di tali servizi.
In particolare, il problema delle strutture per
anziani costituisce uno dei punti trattati dalla prima sezione di ricerca.
All'interno del sistema dei servizi individuato e più specificatamente nell'ambito delle funzioni socio-sanitarie, un tipo di
servizio che costituisce un anello di saldatura tra problema della «casa» in
senso stretto e problematiche sociali, assistenziali
e sanitarie (ed è anche un importante parametro di valutazione del livello di
civiltà e giustizia raggiunto da una società) è rappresentato dalle strutture
residenziali per utenze particolari (anziani, minorati psichici, fisici,
sensoriali, minori socialmente disadattati), più facilmente esposte al rischio
della emarginazione.
Per tali fasce di popolazione, l'obiettivo di fondo
consiste nel mantenimento nel proprio ambiente sociale e familiare, obiettivo
raggiungibile anche con un'accorta politica della «casa» sia mediante l'uso
delle strutture esistenti, migliorando, ristrutturando e risanando le
abitazioni per consentirne una migliore fruizione, sia
con la creazione di nuove strutture residenziali: il riferimento è volto a una
serie di strutture integrate nel contesto territoriale ed abitativo, rivolte -
in linea prioritaria - ad utenti particolari e cioè a persone in condizione di
mancanza di autonomia (handicappati), di solitudine, di abbandono e di
disadattamento (minori, anziani) ma che consentono un uso generalizzato a
tutti (si pensi ad esempio a gruppi di coabitazione volontaria, persone che
vivono sole, piccoli nuclei parafamiliari).
La progettazione di tali strutture residenziali si
colloca quindi all'interno della lotta all'emarginazione, nella
prospettiva della desanitarizzazione del
bisogno sociale (qualora il bisogno espresso sia di tipo socio-assistenziale e
non specificatamente medico) e nell'ottica del recupero, del reinserimento e
dell'integrazione - nel contesto abitativo e sociale - dell'utenza
svantaggiata; tale progettazione costituisce uno strumento necessario per il
raggiungimento dell'obiettivo di assicurare una prestazione residenziale
qualificata e non segregante, qualora l'utente interessato (anziano, handicappato,
minore) non possa o non voglia vivere nella propria abitazione o in famiglia.
In una prima fase del lavoro, il modello di riferimento
assunto è stato quanto dispone il Piano socio-sanitario della Regione Piemonte
che, nell'allegato 1 «Indirizzi per il riordina dei
servizi sanitari e socio-assistenziali», prevede accanto ai servizi di base
quelli integrativi, tra i quali sono contemplati la comunità-alloggio e la casa
protetta (1). Rientra infatti tra i compiti dei
servizi di base formulare ai Comuni «proposte in ordine alle esigenze abitative
per i soggetti a rischio (in particolare anziani e handicappati), al
miglioramento degli alloggi con eliminazione delle barriere architettoniche e
l'installazione delle necessarie dotazioni e servizi, all'utilizzazione di
alloggi polifunzionali di cui i Comuni abbiano la disponibilità» (2).
La comunità-alloggio è concepita per persone
sostanzialmente autosufficienti ma che non possono vivere autonomamente o
presso loro familiari (minori, anziani, handicappati, alcune fasce di adulti in condizioni di particolare disagio: ad es.
dimessi da ospedali psichiatrici, dal carcere); la casa-protetta è destinata ad
accogliere persone bisognose di assistenza - non medica - con carattere di
continuità che non può essere garantita né a domicilio né dalla
comunità-alloggio.
Per questi presidi residenziali - comunitàalloggio e
casa protetta - nel Piano socio-sanitario della Regione Piemonte vengono precisati in maniera specifica i compiti e, più in
generale, le dimensioni ed i caratteri distributivi che tali servizi devono
assumere.
A questo punto si è innescata una seconda fase di
lavoro o meglio un ripensamento, in quanto è emerso che sul problema degli
anziani non autosufficienti, nel gestire la loro vita quotidiana (coloro per i
quali il Piano socio-sanitario regionale ipotizza il ricovero in casa
protetta), poco o nulla è stato concretamente raggiunto.
Infatti alle enunciazioni di principio (gli anziani non
devono essere sradicati dal loro ambito familiare e socio-culturale, non si
deve ricorrere alla ospedalizzazione indiscriminata) non corrispondono
alternative sostanziali alle due uniche soluzioni ora presenti:
- la famiglia (quando è presente) si accolla tutto il
peso (economico e non solo economico) determinato
dalla presenza di una persona non autosufficiente;
- «l'istituto» (sia esso casa di riposo, pensionato,
ospizio, cronicario) ospita l'anziano.
Se l'obiettivo di fondo,
comunemente sostenuto e recepito pure da tutte le normative delle Regioni in
materia socio-sanitaria, consiste nella necessità di mantenere la persona
anziana nel proprio ambito di provenienza, all'interno della propria vita di
relazione, in un alloggio autonomo e confortevole, rispondente cioè alle
esigenze di una persona anziana, ne discende che qualsiasi risposta ai bisogni
dell'anziano che in qualche modo o sotto qualche aspetto riprenda la fisionomia
del ricovero, è da scartare.
Nel vasto problema dell'emarginazione sociale alcuni significativi traguardi sono stati raggiunti, si pensi ad
esempio:
- al notevole sforzo fatto per ridurre e eliminare l'istituzionalizzazione dei bambini e fanciulli
(si veda al riguardo l'affido familiare);
- all'abolizione delle classi
differenziali e delle scuole speciali per i bambini ritenuti disadattati e
per gli handicappati e il loro inserimento
nelle classi e scuole normali.
Invece, nei riguardi soprattutto dell'anziano non
autosufficiente e/o malato, la risposta ultima rimane pur sempre l'istituzionalizzazione, che:
- accentua l'isolamento e la segregazione;
- cronicizza la situazione
di dipendenza;
- deresponsabilizza del
tutto il settore sanitario, cui spetterebbe invece la cura ed il recupero
all'autosufficienza dell'anziano e che, invece, rifiutando all'interno della
divisione ospedaliera tempestive ed adeguate cure mediche e riabilitative,
attua un processo di cronicizzazione del paziente giudicato, in quanto anziano,
irricuperabile.
All'interno del problema della residenza per tipi di utenti, che per condizioni fisiche, psichiche, economiche
sono in realtà emarginati e non possono usufruire di una residenza adeguata
alle loro esigenze, emerge la drammaticità della condizione degli anziani
cronici non autosufficienti.
A questo punto una considerazione pare prioritaria:
non si può semplicemente dividere la popolazione
anziana in base alla autosufficienza e alla non autosufficienza, categorie
rozze e di per sé limitanti: in realtà esistono diversi livelli di
autosufficienza nella persona anziana. La vecchiaia non è di per sé una malattia,
ma una fase della vita; il livello di autonomia
dell'anziano dipende oltre che dallo stato di «senilità», di infermità e di
invalidità anche da particolari situazioni sociali.
Ad esempio: un alloggio confortevole, di facile
manutenzione, di agevole accessibilità, privo di barriere
architettoniche all'interno dell'alloggio e all'esterno, inserito in un
contesto territoriale dotato di servizi sociali, sanitari, culturali, ricreativi,
commerciali, può contribuire a contenere certa dipendenza; oppure, per
l'anziano, la mancanza di una figura adulta valida all'interno del nucleo
familiare causa già un tipo di dipendenza (mancanza di sicurezza) (3).
Oltretutto la definizione in negativo del grado di autosufficienza può comportare il pericolo di incoraggiare
la tendenza ad aumentare a dismisura il livello di dipendenza, con conseguente
continua e progressiva emarginazione ed esclusione.
Molto spesso, inoltre, alla seconda categoria
(anziani non autosufficienti) è assimilato o per lo
meno affiancato il termine di cronico, che va rivisto e definito tecnicamente e
scientificamente. Generalmente, con tale termine, si intende
la persona con malattia a lungo decorso ritenuta non guaribile e più
precisamente l'ammalato che dopo cure e trattamento adeguati non è stato riportato
alla guarigione, ma necessita ancora di cure.
Non essendo stati scientificamente espressi i
parametri di valutazione della nozione di cronicità, si assiste ad un uso e
abuso del termine, soprattutto da parte di chi
vorrebbe scaricare il peso del paziente cronico al di fuori del settore
sanitario (che deve prestare cure mediche e riabilitative, saltuarie o
continuative gratuitamente a tutti).
A questo punto (come già precedentemente
precisato) è stato attuato un ripensamento su un aspetto (le strutture
abitative per i non autosufficienti) del tema in oggetto, sorto nel momento in
cui si sono esaminate le proposte avanzate dal Piano socio-sanitario regionale
per gli anziani non autosufficienti, come già ricordato per essi si prevede l'accettazione
in casa protetta.
Esaminando i possibili utenti della casa protetta, è
emerso che alcuni di essi, proprio per gli esiti di
malattie invalidanti o per malattie in corso (si pensi a titolo di esempio
alle persone con tumore in fase finale) sembrano bisognosi piuttosto di
assistenza medica e come tale da curare in ambito ospedaliero (o struttura
affine) senza scaricare la cura sanitaria dell'anziano su strutture di
assistenza con dichiarazioni di cronicità. È fondamentale sottolineare
che anche il cronico (supposto che la dichiarazione di cronicità abbia un
fondamento tecnico e scientifico) ha diritto a cure sanitarie come tutti gli
altri malati, prestate gratuitamente e senza soluzione di continuità. La
struttura ospedaliera dovrebbe essere luogo di cura, attrezzato con mezzi e
personale per assicurare prestazioni medico-specialistiche sistematiche e
programmate, sia per acuti che per tutte le altre
forme di dipendenza sanitaria.
A questo punto appare indispensabile ed irrinunciabile
presupporre ipotesi di revisione dell'organizzazione
ospedaliera, che deve essere profondamente diversa da quella attuale.
Oggi la divisione ospedaliera è organizzata funzionalmente
sulla base della durata della degenza e concentra lavoro e attenzione degli operatori
sui pazienti con acuzie, in quanto questa è ritenuta attività più qualificante
e gratificante.
Quando la compromissione della salute
dell'anziano e della sua autosufficienza è grave, la struttura ospedaliera
deve attuarne la cura e la riabilitazione, puntando al pieno raggiungimento
dell'autosufficienza, per permettere il rientro dell'anziano in una struttura
abitativa. Pertanto se si realizza effettivamente all'interno dei reparti
ospedalieri la guarigione e la decronicizzazione dei
pazienti anziani, ci si trova di fronte ad una popolazione anziana decronicizzata, in parte recuperata alla totale
autosufficienza e in parte portatrice ancora di dipendenza: per i primi il
ricovero in casa protetta non sarebbe quindi necessario, per i secondi potrebbe
essere ricercata una gamma di soluzioni alternative alla istituzionalizzazione,
che pur nelle ipotesi e soluzioni migliori, rimane sempre un luogo di ricovero
e di isolamento, in cui si concentra una stesso tipo di utenza, con stessi
problemi.
La permanenza della persona anziana nel proprio
domicilio rimane l'obiettivo di fondo: tale permanenza
deve essere facilitata attraverso una serie di servizi, quali:
- assistenza domiciliare generica;
- ospedalizzazione a
domicilio;
- interventi economici all'anziano o alla famiglia dell'anziano non autosufficiente (sotto forma ad
esempio di personale che provvede ad assistere la persona non autosufficiente);
- assegnazione di protesi, ausili e materiale
sanitario, che sollevi l'anziano con problemi di dipendenza;
- adeguamento dell'alloggio alle necessità
dell'anziano (rimozione delle barriere fisiche, inserimento di dispositivi di allarme, di chiamata, ecc.);
- fornitura pasti caldi a domicilio e servizio di
lavanderia a domicilio.
Sono tutti interventi (di cui quelli citati sono solo
un primo elenco) che necessitano anche dell'apporto
attivo e partecipe del volontariato.
Qualora il soggiorno dell'anziano nella propria abitazione o
con i propri familiari non sia più possibile (o non voluto) si devono ricercare
altre soluzioni.
Gli sforzi per trovare soluzioni residenziali, alternative
alle attuali, debbono essere rivolti essenzialmente
al rifiuto della ghettizzazione dei cittadini (nel caso in esame gli anziani)
in ricoveri, cronicari, case di riposo, ecc., studiando e ricercando soluzioni
abitative (4) che:
- integrino residenze generiche o «normali» con
quelle più specifiche, rivolte a una popolazione con
limitato grado di autonomia, di possibilità di movimento e di libera
espressione;
- evitino di specializzare eccessivamente la
destinazione della residenza, aggregando in strutture troppo specialistiche ed
omogenee l'utenza, ma nel contempo facendo attenzione
ad unire utenze con esigenze di difficile compatibilità tra di loro;
- siano assolutamente prive di barriere architettoniche
(e non), che oltre a costituire elementi di ostacolo
alla libera fruizione degli spazi (sia interni che esterni) spesso
rappresentano pure una fonte di pericolo.
Tenendo conto di alcuni
parametri, quali:
- le caratteristiche prevalenti dell'utenza (senilità,
disadattamento, presenza di handicap, solitudine, incompletezza del nucleo
familiare, ecc.),
- la condizione associativa (da
soli, in coppia, in famiglia, in gruppo, ecc.),
- il livello di autonomia
(autosufficienza totale, dipendenza generica, dipendenza sanitaria, ecc.),
si può
ipotizzare una serie di configurazioni residenziali, ottenibile mediante la
combinazione reciproca degli elementi sopra citati, differenziate tra di loro
e compatibili con la complessità e le articolazioni delle diverse situazioni.
A titolo di prima indicazione, si possono prevedere:
- residenze sociali con assistenza: normali alloggi
per gruppo di coabitazione di 6-8 persone, autosufficienti o parzialmente
autosufficienti, che usufruiscono di assistenza nella
cura e conduzione della casa;
- residenze sociali con protezione:
normali alloggi per un gruppo di coabitazione di 6-8 persone, dove sono
presenti anche elementi non autosufficienti. Dall'alloggio protetto dovrebbe essere guidato
l'accesso a comunità terapeutiche e all'ospedale diurno per assistenza, rieducativa-riabilitativa, a centri di incontro
e di animazione sociale. La protezione consiste essenzialmente nella presenza
di un collegamento fisso con un servizio di pronto intervento, di assistenza continua con reperibilità immediata di
personale medico, infermieristico, di psicologo a seconda delle necessità
(servizio di pronto intervento);
- residenze sociali formate da mini-appartamenti
autosufficienti (mono-bilocali) con supporto di una
serie di servizi collettivi residenziali, usufruibili da tutta la popolazione
(cucina e lavanderia centralizzate oppure decentrate ma con possibilità di
fornitura di pasti e prelievo/consegna della biancheria in loco, spazi per svolgimento di attività del tempo libero, spazi per
l'igiene e la cura del corpo, ecc.).
Le tipologie ora esposte dovrebbero essere concepite
non come elementi isolati, autonomi e segregati, bensì dovrebbe essere
prevista:
- l'integrazione dei diversi tipi di
alloggi tra di loro e con le residenze cosiddette normali;
- l'inserimento dei diversi tipi di residenze sociali
in strutture contenenti servizi rivolti a tutta la
popolazione (ad esempio centro civico, sociale, sanitario, luoghi di incontro,
attività del tempo libero, mensa);
prediligendo il ricorso soprattutto al patrimonio edilizio esistente,
ristrutturando, riconvertendo, riadattando.
(1) La legge della Regione Piemonte
10.3.1982 n. 7 definisce questa struttura come segue:
«La casa protetta è anch'essa destinata ad ospitare cittadini in regime
di assistenza, ma solo quando essi presentano un
bisogno di assistenza tutelare che, per la richiesta di continuità, non può
essere garantita né a domicilio, né dalla comunità alloggio.
La richiesta di assistenza
tutelare viene espressa particolarmente da persone in stato di grave o totale
invalidità, da portatori di esiti di malattie che hanno lasciato gravi
invalidità permanenti o forte deterioramento motorio (quali postumi di vasculopatie acute, artropatie gravemente
invalidanti e simili - si citano ad esempio - i giovani affetti da malattie neuromotorie), da persone il cui equilibrio fisico si
scompensa facilmente e che alternano periodi di equilibrio a sempre più lunghi
periodi di scompenso (cardiopneumoartropatie), da
persone, ancora, che presentano fenomeno o di grande senilità o di confusione
mentale o incapaci di svolgere azioni che si succedono correntemente: lavarsi,
asciugarsi, pettinarsi, ecc., che ne saltano alcune o lasciano incompiuto
l'atto che volevano formulare, da persone incapaci di determinare l'uso del
tempo e da persone affette da incontinenza.
L'esercizio dell'attività tutelare
richiede la presenza continuativa di personale di assistenza
non infermieristica che deve essere previsto per ogni casa protetta».
(2) «Piano
socio-sanitario della Regione Piemonte per il triennio 1982-1984» Legge
regionale 10.3.1982 n. 7, in Bollettino ufficiale
della Regione Piemonte, Torino 17.3.1982, supplemento speciale al n. 11.
(3) Un lavoro specifico che formula dei
criteri di definizione e valutazione della non autosufficienza, ovvero della
dipendenza sanitaria e sociale (rivolta a tutta la popolazione) è quello di
Giacinto Barneschi, in «La rivista di servizio
sociale» n. 2.6.1982. Tale ricerca individua la dipendenza sociale e sanitaria
in base alla natura della dipendenza (il riferimento è rivolto alle situazioni
evolutive acute e non acute e all'entità della
dipendenza, suddivisa in 5 gradi). Il titolo del lavoro è: «I
non-autosufficienti: il problema della dipendenza sanitaria e sociale»
pubblicato sulla citata rivista alle pagg. 72-93.
(4) Sul tema dell'alloggio integrato si
vedano: § 5.7. «L'alloggio integrato» facente parte del capitolo «I presidi
socio-sanitari di base» in R. Palumbo e F. Terranova, «Lineamenti di edilizia sanitaria», Nuova Italia Scientifica, Roma,
1980; il capitolo «Alloggi integrati» in Regione Lazio - Assessorato LL.PP. e
Università di Roma - Facoltà di Architettura,
«Servizi socio-sanitari», DEI, Roma, 1979 e il volume
di G. Cortese, A. Nesi, R. Palumbo
«L'edilizia sociale: un contributo contro
l'emarginazione», Edizione delle Autonomie, Roma, 1981.
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