Prospettive assistenziali, n. 68, ottobre - dicembre 1984
Editoriale
TUTTO È PRONTO
PER
UNA NUOVA EMARGINAZIONE DI MASSA
Da molti mesi denunciamo insistentemente il perseguimento, purtroppo attuato anche a livello regionale e comunale, dell'obbiettivo diretto alla emarginazione della fascia più debole della popolazione (1).
In sintesi abbiamo affermato e
ribadiamo che la nuova emarginazione riguarda «le persone che non hanno alcuna possibilità di protestare» (2).
Ancora una volta non possiamo fare a
meno di confermare il gravissimo pericolo della «linea politica, perseguita quasi ovunque nel nostro e negli altri
Paesi, che individua l'assistenza come il settore nel quale scaricare tutti coloro che sono rifiutati dalla sanità: gli anziani cronici,
gli handicappati non inseribili nel lavoro, le persone con disturbi
psichiatrici, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i disadattati in genere non
in fase acuta. Alla sanità non si attribuisce il compito di curare e
riabilitare finché si è malati o non autonomi a causa della mancanza di
salute, ma ad essa si attribuisce la facoltà, del
tutto discrezionale, di dichiararsi incompetente ad intervenire con la
semplice affermazione che la fase acuta è terminata.
«Dunque, stando così le cose, il settore sanitario non ha
convenienza, in termini politici, economici ed operativi, a curare ed a
riabilitare. Ha invece l'interesse, anche per quanto riguarda il carico di
lavoro dei medici, degli infermieri e degli inservienti, a scaricare
nell'assistenza gli utenti più difficili.
«A
sua volta il settore assistenziale è diventato
ingestibile sia perché l'utenza è in costante aumento (v. anziani cronici), sia
perché il lavoro da svolgere non è a lungo sostenibile.
«Si
pensi, ad esempio, al personale che dall'assunzione al pensionamento è addetto all'assistenza degli anziani cronici, senza alcuna possibilità
di ruotare in altri servizi meno gravosi» (3).
Un grave documento del
Consiglio sanitario nazionale
Il lavoro di preparazione per la nuova emarginazione di massa prosegue.
In data 8 giugno 1984, il Consiglio sanitario nazionale - in merito all'art. 30 della legge
finanziaria per l'anno 1984 (4) - ha approvato il documento, che riproduciamo integralmente in questo numero ed ha proposto al Governo di
assumere i provvedimenti necessari per la regolamentazione del citato art. 30 della legge 730/1983.
A prima vista il documento del
Consiglio sanitario nazionale potrebbe sembrare positivo,
in quanto finalizzato ad alleggerire le spese attualmente a carico degli
interessati e delle famiglie. Si potrebbe anzi ritenere che il pagamento da
parte del Servizio sanitario nazionale di attività
svolte dal settore assistenziale rappresenti una concreta modalità di sostegno
dello stesso settore assistenziale.
Un'analisi più approfondita svela
invece, a nostro avviso, qual è la vera natura del provvedimento.
Per ridurre la spesa sanitaria c'è
un sistema molto semplice e purtroppo collaudatissimo:
esso consiste nel dirottare gli utenti più deboli nel settore assistenziale. D'altra parte sono questi utenti (soprattutto
anziani cronici non autosufficienti, malati mentali, lungodegenti) che comportano
rilevanti spese. E il
personale della sanità (dai medici, ai paramedici, agli inservienti) è, spesso,
ben lieto che tali pazienti siano trasferiti altrove.
Questa finalità è chiaramente
espressa nel paragrafo «Tutela e
promozione sociale dei soggetti, compresi gli anziani, non autosufficienti»
del documento sopracitato,
ove si afferma che «la spesa relativa al
ricovero in casa protetta o struttura similare di persone non autosufficienti
carichi parzialmente (fino al massimo del 50%) sul fondo sanitario nazionale,
ai fini di determinare la correlativa riduzione della spesa ospedaliera».
Da sottolineare
che, mentre le prestazioni del settore sanitario sono gratuite, nel campo dell'assistenza
- com'è noto - viene richiesto agli interessati ed ai parenti tenuti agli
alimenti una partecipazione alle spese.
Tale partecipazione per gli anziani
malati non autosufficienti ricoverati in strutture assistenziali
nonostante necessitino di cure sanitarie, raggiunge addirittura le 28 mila
lire al giorno (5) per una retta complessiva di L. 44
mila.
La generalizzazione del ricovero in
casa protetta, già attualmente praticato in
moltissime regioni, produrrà (è vero) una rilevante diminuzione delle spese a
carico del servizio sanitario nazionale, ma anche un conseguente carico economico
a danno degli interessati e dei parenti tenuti agli alimenti.
Analoga valutazione va purtroppo
fatta, a nostro avviso, nei confronti di migliaia di handicappati non
autosufficienti, di tossicodipendenti, di persone con gravi disturbi
psichiatrici.
Per un uso non
distorto del concetto di cronicità
Premesso che l'attenzione
prioritaria deve essere rivolta a prevenire la cronicità, riteniamo che sia
inaccettabile usare il concetto di cronicità (o qualsiasi altra definizione)
per discriminare le persone malate.
Se il personale sanitario ritiene
necessario, ai fini terapeutici o organizzativi, usare
i concetti di acuzie, cronicità, lungodegenza, non
abbiamo nulla da obiettare allo stesso modo per cui ci sembrano pienamente
giustificate le definizioni di terapia intensiva, terapia normale, cure minime.
Riteniamo invece lesiva dei diritti
dei cittadini ogni classificazione usata nel campo sanitario, scolastico (6),
abitativo, culturale per allontanare i più deboli dal contesto
in cui sono inserite le persone cosiddette normali.
Competenze del settore
sanitario
A nostro avviso debbono
essere attribuite «esclusivamente alla
competenza sanitaria (e non a quella assistenziale) gli interventi nei confronti
delle persone la cui mancanza di autonomia è dovuta a mancanza di salute»
(7).
L'esclusiva competenza del settore
sanitario dovrebbe riguardare gli interventi nei confronti delle persone che, a causa di disagi psicofisici, siano essi acuti o
cronici, non sono in grado di svolgere le funzioni proprie della loro età.
Gli interventi dovrebbero essere di
tipo ambulatoriale e/o domiciliare nei casi in cui obiettivi motivi di opportunità terapeutico-riabilitativa
non impongano la degenza a carattere continuativo; di tipo residenziale negli
altri casi.
Le dimissioni (o non accettazioni) di ammalati dagli ospedali sono giustificate, pertanto, solo
nei casi di recuperato benessere psico-fisico, o comunque in presenza di servizi
territoriali alternativi che consentano il conseguimento di tale obiettivo.
Le eventuali norme dirette a far
carico ai cittadini di oneri economici, quali i tickets sulle prestazioni sanitarie e sui costi
alberghieri delle rette di ricovero assistenziale, debbono riguardare tutti
gli utenti, indipendentemente da qualsiasi loro classificazione (acuti,
cronici, lungodegenti, lungoassistiti,
convalescenti, ecc.).
Devono restare di esclusiva
competenza del settore sanitario gli interventi relativi al superamento dei disagi
psico-fisici per quanto concerne le persone con disturbi mentali ed i tossicodipendenti.
Per quanto riguarda gli anziani
cronici non autosufficienti tutte le competenze dovrebbero essere
concretamente assunte con la massima urgenza dal settore sanitario, così come è d'altra parte previsto dalla legge vigente (8).
Ovviamente occorrerà operare
affinché i servizi sanitari non vengano attuati
secondo i consolidati metodi di intervento che privilegiano la cura delle
malattie, senza tener conto delle esigenze personali. Invece la prevenzione,
la cura, la riabilitazione, per essere efficaci, debbono
prioritariamente prendere in considerazione le esigenze personali e sociali. Di
qui la necessità che le tecniche siano adattate alla persona e non viceversa.
Autonomia e
integrazione
Per una politica di reale promozione
umana e sociale è, inoltre, indispensabile l'integrazione dei servizi e
interventi sociali: sanità, scuola, casa, cultura, ecc.
Ma l'integrazione fra
servizi e interventi di settori diversi presuppone che ciascuno di detti
settori abbia una sua autonoma organizzazione (e cioè
propria competenza, proprio personale, proprio bilancio, proprie strutture e
attrezzature) in modo da essere in grado di rispondere alle specifiche funzioni
assegnate.
In secondo luogo, per l'integrazione fra settori diversi è
indispensabile predisporre piani comuni di lavoro che nello stesso tempo
salvaguardino la specificità di ciascun settore e realizzino
interventi coordinati per una più completa risposta alle esigenze dei singoli,
delle famiglie, delle comunità (9).
Nei casi in cui le suddette
condizioni manchino, anche se solo parzialmente, non si realizza l'integrazione ma il settore più debole viene inglobato da
quello più forte oppure è posto in condizione di un più o meno accentuato
asservimento.
Spesso è questa la posizione che il
settore assistenziale - e non soltanto in Italia - ha
nei confronti della sanità.
Da queste considerazioni trae
origine la nostra proposta di una piena autonomia (che non vuol dire separatezza o autarchia) del settore assistenziale,
autonomia che presuppone - lo ripetiamo - una
definizione precisa delle competenze assegnate (10), un proprio organico del
personale addetto, proprie strutture e attrezzature ed un proprio bilancio.
L'art. 30 della legge 27 dicembre
1983, n. 730, è stato approvato dal Parlamento anche sotto la spinta di coloro che, con molta superficialità, hanno
sostenuto che la sanità deve corrispondere al settore assistenziale gli oneri
di rilievo sanitario derivanti dallo svolgimento di attività contemplate dalla
legge 833/1978 fra quelle di competenza del servizio sanitario nazionale.
Questa argomentazione è fondata
sulla presunta necessità - da noi contestata - che certe categorie di malati
(ad esempio gli anziani cronici non autosufficienti) devono essere assistiti, curati e riabilitati dal settore assistenziale,
al quale la sanità deve solo rimborsare le spese di natura sanitaria (personale
medico ed infermieristico, prodotti farmaceutici).
È sorta così la definizione - usata
solo nel campo assistenziale - delle spese alberghiere
a carico dell'assistenza e quindi, in tutta la misura del possibile, degli
utenti e dei loro familiari.
Pertanto, per il settore sanitario,
non si parla mai di spese alberghiere (si tratta di
spese per riscaldamento, vitto, pulizia dei locali, igiene personale). Comunque esse non sono a carico dell'utente e dei familiari;
mentre questi costi sono calcolati e spesso anche addebitati nel settore
assistenziale, addirittura allo stesso utente. Capita perciò di trovarsi nella
situazione assurda in cui il giorno prima, all'anziano ricoverato in ospedale,
non viene addebitato nulla per vitto, riscaldamento,
pulizia; il giorno dopo, essendo il paziente trasferito in un istituto, gli vengono
addebitate le cosiddette spese alberghiere. E si tratta di una somma rilevante,
dalle 15 alle 30 mila lire al giorno!
La retta di ricovero di un anziano
cronico non autosufficiente in un istituto di assistenza
può arrivare alle 50-60 mila lire al giorno. Una somma insostenibile per la
stragrande maggioranza dei cittadini.
Per evitare le loro proteste (e per
rendere sopportabili gli oneri a carico degli utenti e dei
familiari), le conseguenze economiche derivanti dal «dirottamento» di
pazienti dal settore sanitario a quello assistenziale vengono attenuate dal
«provvidenziale» art. 30 della legge 27 dicembre 1983 n. 730 in modo da
consentire, ad avviso del Consiglio sanitario nazionale:
- il minimo carico possibile di
spese al settore sanitario;
- il minor carico di lavoro da parte
di medici e paramedici;
- la massima assunzione di oneri economici da parte degli utenti e dei parenti
tenuti agli alimenti.
In conclusione ai cittadini più deboli
si può applicare il detto «imbrogliati e contenti».
C'è ancora spazio per evitare questa
nuova emarginazione di massa e questa rilevante ed
indebita sottrazione di denaro?
Crediamo di sì, a condizione che
operatori, sindacati, associazioni dell'utenza, movimenti di base prendano urgentemente adeguate misure.
(1) Cfr. l'editoriale «Inaccettabile
l'attuale riorganizzazione del settore assistenziale»,
in Prospettive assistenziali, n. 48,
ottobre-dicembre 1979.
(2) Ibidem.
(3) Cfr. l'editoriale «La non riforma
dell'assistenza», in Prospettive assistenziali, n. 54, aprile-giugno 1981.
(4) L'art. 30 della
legge 27 dicembre 1983 n. 730 stabilisce quanto segue: «Per l'esercizio delle proprie competenze nelle attività di tipo
socio-assistenziale, gli enti locali e le regioni
possono avvalersi, in tutto o in parte, delle unità sanitarie locali, facendosi
completamente carico del relativo finanziamento. Sono a carico del fondo sanitario
nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse
con quelle socio-assistenziali. Le unità sanitarie locali tengono separata
contabilità per le funzioni di tipo socio-assistenziali ad esse
delegate».
(5) Questo è l'importo
della retta di ricovero nelle case protette di Modena
a carico degli interessati e dei parenti tenuti agli alimenti. Cfr. F. SANTANERA,
«Valorizzazione delle IPAB ed emarginazione degli
anziani non autosufficienti in Emilia-Romagna», in Prospettive assistenziali,
n. 65, gennaio-marzo 1984.
(6) Si pensi alla
definizione di «ascolastico» usata per anni con lo
scopo di espellere i bambini problematici dalla scuola.
(7) Cfr. l'editoriale «La non riforma
dell'assistenza», in Prospettive assistenziali, n. 54, aprile-giugno 1981.
(8) Cfr. l'editoriale «Gli anziani
definiti cronici vengono calpestati nei loro diritti»,
in Prospettive assistenziali, n. 44,
ottobre-dicembre 1978.
(9) È ovvio che una
integrazione fra settori diversi si realizza più facilmente e più compiutamente
quando detti settori appartengono ad un unico organo politico-amministrativo.
Di qui la nostra proposta relativa all'Unità locale di
tutti i servizi di base.
(10) Cfr. l'editoriale «Proposte di una organizzazione specifica dell'assistenza a livello
locale», in Prospettive assistenziali,
n. 56, ottobre-dicembre 1981 e l'articolo di F. SANTANERA, «Organizzazione locale dei servizi assistenziali»,
ibidem, n. 67, luglio-settembre 1984.
www.fondazionepromozionesociale.it